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ISBN 88-7214-006-4Ogni qual volta siano state note, sono state indicate la data e le circostanze nelle quali il testo è stato scritto.
Nella traslitterazione delle parole e dei nomi arabi e persiani ci si è trovati di fronte al problema di unificare con un unico sistema testi che - essendo stati scritti in occasioni differenti e rivolti a pubblici differenti - usavano sistemi differenti. Dato che questa opera tratta fondamentalmente temi Bahá'í - col permesso della signora Elsa Bausani - si è scelto quello adottato dal Custode della Fede Bahá'í e indicato in una sua lettera del 12 Mirza 1923 (vedi Shoghi Effendi, Bahá'í Administration, pp. 43 e 57), di cui riportiamo gli elementi fondamentali in appendice. Nelle citazioni la traslitterazione è stata lasciata identica all'originale. Le parole Islam e Baghdad sono state scritte secondo l'uso corrente. La parola «bahà'i» è stata usata con la lettera minuscola quando ha funzione di aggettivo, con la lettera maiuscola quando è sostantivo e nelle locuzioni Fede Bahà'i, Religione Bahà'i, Istituzioni Bahá'í e, talvolta, Insegnamenti Bahà'i.
Le note sono tutte dell'Autore, tranne quando non sia altrimenti specificato. Per uniformità di impostazione, le note e i riferimenti bibliografici sono sempre stati messi a pie pagina, anche quando nell'originale erano riportati di continuo nel testo.
Per evitare inutili ripetizioni, i dati relativi alla Casa Editrice, al luogo e alla data di pubblicazione dei Testi Bahá'í citati - che negli originali sono quasi sempre integralmente annotati volta per volta - sono stati riportati in una bibliografia unica alla fine del volume. Fa eccezione l'articolo intitolato Fede Bahà'i, che è stato lasciato come nell'originale.
I corsivi nelle citazioni sono sempre dell'Autore e non del testo citato.
Di alcune citazioni da Testi Bahá'í non è stato possibile rintracciare la fonte originale.
Nelle citazioni da Testi Bahá'í scritti in arabo e in persia-no,l'Autore ha sempre usato le esistenti traduzioni ufficiali. Le traduzioni dell'Autore sono segnalate nelle note a pie pagina.
***L'Editore ringrazia vivamente la signora Elsa Scola Bausani per a-ver gentilmente fornito il materiale che ha consentito la realizzazione di questo testo e per aver generosamente collaborato in molti modi alla sua pubblicazione.
NOTA ALLA SECONDA EDIZIONELa seconda edizione, pubblicata nel ventennale della morte di Alessandro Bausani, è uguale a quella precedente, fuorché per la correzione di alcuni errori e per l'aggiunta di alcune note dell'editore, sempre indicate come tali, intese soprattutto a chiarire riferimenti a libri e personaggi meno noti e ad aggiornare dati statistici superati.
viQuesta raccolta di articoli e testi di conferenze di Alessandro Bausani intende presentare al pubblico il grande islamista recentemente scomparso in uno degli aspetti più suggestivi e ispiranti della sua multiforme personalità: l'aspetto religioso.
L'esperienza religiosa ha segnato le tappe fondamentali della vita del Bausani, il quale attorno a questo asse ha costruito la propria esistenza, unificandovi e armonizzandovi le molteplici sfaccettature delle proprie attività e dei propri interessi e dimostrando con il suo inconfondibile stile - nella vita e negli scritti -l'eterna attualità della fede in Dio.
Portato per innata inclinazione allo studio della civiltà islamica, il vasto sapere da lui acquisito in questo campo gli ha consentito di meglio comprendere i testi e gli insegnamenti della religione da lui professata - la Fede Bahá'í - che, senza essere una setta islamica, ha profonde radici nell'Islam, proprio come il Cristianesimo le ha nel Giudaismo.
Spinto dalla sua inesauribile curiosità intellettuale all'indagine dei più disparati aspetti della cultura umana, le esperienze così acquisite lo hanno portato a vivere la sua vicenda religiosa di credente in una Fede appena nata (il giorno del suo trapasso il calendario Bahá'í segnava l'il di 'Ala' del 144 dell'Era bahà'i) con sereno equilibrio - prezioso in un mondo nel quale l'esperienza religiosa Bahá'í è ancora così nuova da essere talvolta guardata con certo sospetto di fanatismo, di settarismo e simili.
VIIInfine la sua indole portata all'appianamento delle divergenze, allo sMirzamento degli eccessi, ma non certo disposta a rinunziare all'osservazione della realtà e all'esposizione dei risultati così conseguiti, ha fatto sì che la sua visione della vita assumesse un'inconfondibile connotazione positiva in un generoso sforzo di smascherare, ma senza intemperanze, inveterati pregiudizi, di mostrare con gli strumenti di un intelletto illuminato le nuove vie verso l'unità e la pace, sempre animato dalla fede tipicamente Bahá'í nel perenne rinnovamento divino della civiltà.
Tutto questo Alessandro Bausani ha fatto con il linguaggio del migliore intellettuale occidentale, con lo stile disincantato dei più grandi moderni esponenti della millenaria cultura europea. Ma questo antico retaggio, che nell'uomo d'oggi spesso genera la strana convinzione di aver ben poco ormai da imparare dalla vita e dal presente, perché tutto o quasi gli è già venuto dai suoi lunghi secoli di una storia intensamente vissuta e ampiamente documentata, in lui invece - intellettualmente curioso com'era -si espresse in una sottile ironia, talvolta verso se stesso - quasi si vedesse quello strano personaggio che sapeva molti vedevano in lui - altre volte verso gli altri, per le cui opinioni di intellettuali laici - così inveterate da sfiorare molto spesso il pregiudizio -tuttavia non ebbe mai parole eccessivamente severe, mentre al relativo pessimismo di alcuni di loro opponeva la sua visione di un'albeggiante nuovissima civiltà.
Guidato dalle parole del Bausani il Lettore potrà qui seguire un percorso ideale che, partendo dall'esposizione di un concetto di religione nuovo, e per certi versi personale, muove attraverso tappe successive come la presentazione della Fede Bahá'í a un mondo occidentale che non ne ha ancora a sufficienza valutato i meriti e i pregi; una dotta spiegazione del linguaggio dei Testi di quella Fede a un pubblico che - per cultura - in genere è sconcertato dal loro stile metaforico, ben lontano dall'univocità e dal rigore intellettuale tipici della cultura occidentale moderna; brevi
Vilicommenti di alcuni Testi bahà'i; l'illustrazione di alcuni dei suoi insegnamenti più importanti (come quelli dell'equilibrio fra scienza e religione e soprattutto del concetto dell'unità delle religioni); un chiarimento dei rapporti fra Cristianesimo, Islam e Fede Bahà'i; un acuto esame di alcuni dei problemi e delle mode del mondo moderno seguito da proposte e visioni bahà'i, fra le quali non poteva mancare il nuovo modo di amministrare la cosa pubblica già praticato dai Bahà'i; cenni ad alcune ricorrenze bahà'i, come occasioni per spiegarne il significato spirituale; per terminare con tre poesie inedite che - pur scritte nei suoi verdi anni - ci sono sembrate adatte a concludere - nella loro semplice bellezza - il nostro itinerario nel mondo religioso del Bausani.
L'Assemblea Spirituale Nazionale dei Bahá'í d'Italia
(1991)Orientalista e studioso di fama internazionale, Alessandro Bau-sani ha espresso la sua genialità non solo nei campi più conosciuti al pubblico in generale e che sono quelli più strettamente legati alla sua attività considerata «professionale» e ai suoi incarichi accademici, ma anche in una straordinaria serie di articoli, conferenze, interventi e insegnamenti in cui ha profuso a tutti in modo mirabile la sintesi della Conoscenza. Non vogliamo qui ricordare i suoi molteplici meriti di studioso: non ne saremmo capaci, perché non siamo in grado di conoscere appieno il significato delle sue opere e del suo apporto alla cultura orientale. Preferiamo, sotto questo aspetto, riportare quanto il professor Francesco Gabrieli ha scritto su La Stampa del 15 Mirza 1988: «Con Alessandro Bausani, mancato men che settantenne dopo una lunga e crudele infermità scompare una eminente e originale figura di studioso, che ha concentrato i suoi interessi sulla civiltà dell'Islam, e l'ha scrutata a fondo, con quella totalità di indagine già rivendicata, qualche generazione innanzi, dal grande Nallino. Dotato di una eccezionale capacità di assimilazione linguistica, questo romano, anzi sotto certi aspetti "romanesco", orientalista si era di buon'ora impadronito delle principali lingue islamiche, anzitutto l'arabo e il persiano, e di quest'ultima era presto diventato maestro, dalla relativa cattedra nell'Istituto Orientale di Na-
1 Tratto con qualche lieve modifica dall'editoriale pubblicato in Opinioni bahd'i, anno XII, n. 2 (aprile-giugno 1988), pp. 1-5 [n.d.e.].
xpoli, e poi da quella di "Islamistica" nell'Università di Roma. I titoli delle due rispettive cattedre rispecchiano il duplice interesse fondamentale di Bausani, quello linguistico in cui si rese padrone della lingua di Sa'di e di Hafiz, e quello storico-religioso, applicato soprattutto alla religione dell'Islam. Più di trent'anni fa, ci dette una versione del Corano, che univa alla precisione filologica una rara scorrevolezza ed eleganza. Ma poco dopo questa esemplare versione dall'arabo del Libro sacro, usciva quel suo volume Persia religiosa che prova la eccezionale familiarità dello studioso italiano con la vita spirituale dell'Iran nelle sue varie fasi, islamica e premusulmana. Alla più eletta produzione dell'Iranismo, la letteratura d'arte persiana, Bausani dedicò nella collana di "Accademia" una magistrale storia letteraria; e altre versioni e studi egli dedicò a singoli classici di Persia, come Nizàmi e 'Umar Khayyàm, così come, nel campo moderno, al poeta indiano in lingua persiana Iqbàl. Ma la sua curiosità e le sue ricerche si estesero fino agli estremi lembi della ecumene musulmana, alla Malesia e all'Indocina; mentre l'inesauribile sua curiosità scientifica dalla storia religiosa e letteraria lo spingeva ad acquistar competenza e intraprender ricerche entro i più ardui domini della scienza islamica medievale, quali la matematica e l'astronomia. Viaggiatore instancabile nei suoi anni migliori, visitò quasi tutti i Paesi musulmani, specie del Vicino e Medio O-riente, ritraendone una freschezza e immediatezza di impressioni che corroboravano le sue ricerche. Partendo dall'Islamismo, con simpatizzante impegno studiato, Bausani fu tratto a interessarsi anche, con crescente spirituale adesione, a quella Fede Bahà'i, nata dal ceppo islamico in Persia nel primo Ottocento, e poi, lì e altrove, rifiutata e iniquamente perseguitata. Lo scienziato Bau-sani non esitò a mostrarsi anche uomo di fede, d'una fede illuminata, pacifica e perseguitata. Amici e scolari, che seppe avvincere a sé con la sua dottrina e bontà, ne accompagnano oggi la dipartita con affettuosa reverenza».
XIIl 29 maggio 1981, in occasione del suo sessantesimo compleanno, i suoi discepoli e collaboratori, unitamente allo stesso professor Francesco Gabrieli, suo maestro, festeggiarono l'evento con una dotta pubblicazione dal titolo La bisaccia dello Sheikh e presentarono il volume omaggio con un nota dalla quale citiamo alcuni brani: «La nascita di Bausani, infatti, è la rinascita dell'Oriente in Occidente, non certo l'offuscamento dell'Oriente a vantaggio dell'orientalista coloniale. Sessantanni di rinascita ormai... Non starebbe a noi dirlo, ma tanto lo sanno tutti, e lo ripete spesso anche Bausani, che l'unica scuola in fondo è la sua».
«Naturalmente non stiamo a dire ai presenti chi è Alessandro Bausani e che cosa ha scritto. Le innumerevoli voci della bibliografia raccolta da Alberto Ventura dicono tutto (si tratta di oltre nove facciate fittamente stampate elencanti titoli di libri e articoli). Fra l'altro, dicono che non si tratta di un professionista della filologia orientale. No, Bausani è, dell'Oriente e di tutto il resto, il sublime dilettante, nel senso che veramente per diletto, suo e nostro (capita di rado), ricerca e scrive. A sessant'anni la sua è ancora curiosità genuina, di bambino, che lo muove esclusivamente là dove è mossa».
«Bausani, infatti, dissipa l'eventuale tristezza dello stato d'animo di chi lo frequenta, e molto mi ha commosso, giorni fa, sentirmi dire da un allievo la stessa cosa».
«Bausani è la sintesi a priori tra l'emozione e la scienza, tra il diletto e lo scrupolo. E quest'ultima cosa va detta con grande chiarezza perché lui, in ciò un po' civettuolo, dice di no, di non avere poi tanti scrupoli. E non è vero».
«Chi siamo, chi possiamo essere noi, allora, dinnanzi a un e-sempio così irrepetibile? Io lo so, chi sono: semplicemente l'oste dal gusto sicuro che riconosce la damigiana e poi... dà inizio... al travaso nelle varie bottiglie che aspettano».
Citiamo ancora, questa volta dalla presentazione del suo libro Le lingue inventate pubblicato in Italia nel 1974, per dare
Xllun'idea dello straordinario carattere del Professore: «Un libro come questo di Bausani si presta alle più svariate letture, ed ai più incredibili "approcci". Una prima chiave di lettura è nel carattere scopertamente autobiografico di questo esercizio per apprendisti-linguisti, esercizio che sembra scritto da un personaggio di Borges, proditoriamente rinchiusosi nella Biblioteca di Bábele. E Alessandro Bausani sembra egli stesso un personaggio uscito dalla eruditissima fantasia del grande argentino: non per nulla pur ricoprendo un ruolo accademico di grande prestigio si è sempre rifiutato al giuoco accademico della assoluta specializzazione ed ha coltivato i più svariati interessi in campi di ricerca decisamente extravaganti, e alle volte addirittura insospettabili. Questo libro ne è una prova evidente: orientalista famoso in tutto il mondo, ha sempre nutrito una viscerale passione per le lingue, considerate non solo come strumento indispensabile alla ricerca scientifica, ma (soprattutto?) come intelligenti giuochi per adulti, meno noiosi dei puzzles e senza alcun dubbio più affascinanti. Il segno abbastanza evidente del presente repertorio di lingue artificiali, linguaggi segreti, e lingue universali, è il carattere ludico di cui l'Autore investe le strutture linguistiche, strutture linguistiche, considerate come "oggetti" da scomporre e ricomporre, da adoperare per giuochi in cui l'intelligenza deve essere pari alla fantasia. Auguriamoci che il lettore italiano rimanga affascinato da un libro stravagante e raro come questo, e che raccolga il malizioso invito espresso da Bausani nelle ultime righe della sua sapida prefazione all'edizione italiana».
E Bausani dice in queste ultime righe: «Per me la conoscenza di cose, la quantità di informazioni, insomma quello che si chiama ora con disprezzo "nozionismo" è, sì, rovinoso per i cretini, ma è un elemento essenziale della cultura. Invito pertanto i pochi che leggeranno il libro a non saltare le parti noiose, per esempio quella riguardante la lingua segreta dei Dogon, ma semmai a im-
xnipararla, a usarla per gioco con amici, e, meglio ancora, a inventarne qualcuna essi stessi».
La molteplicità dei suoi interessi, tra i quali, oltre le lingue (e a proposito di lingue, da ragazzo ne inventò una nuova con sua sorella Marisa per usarla con i suoi familiari) è da ricordare la matematica e l'astronomia come ben sanno gli studenti che hanno seguito i suoi corsi all'Università.
Ma come riusciva a interessarsi di tante cose? Qual'era la molla che lo spingeva? La curiosità, come alcune volte egli stesso ha detto, la curiosità genuina che combinata ai talenti di cui era dotato gli consentiva di approfondire tutti i rami della conoscenza a cui si dedicava. Era cioè dotato di quella intuizione ragionata comunemente indicata come «genio».
La sua mitezza, la sua umiltà, l'atteggiamento di continua disponibilità, la serenità d'animo e la pace interiore, aspetti rivelatisi appieno nel periodo terminale della sua malattia che non gli consentiva più di muoversi né di comunicare, esprimono quelle costanti spirituali che hanno sempre accompagnato il suo intelletto. Il suo particolare modo di «essere alla mano» genuino e autentico poteva farlo ritenere a qualcuno un po' anticonformista con un pizzico di «sregolatezza del genio», ma tutti coloro che lo hanno conosciuto hanno in comune verso di lui un grandissimo affetto. Il suo sorriso leggermente divertito e canzonatorio, le sue battute scherzose sono così vivide nel nostro ricordo che la sofferenza e la commozione che inevitabilmente si accompagnano in circostanze come questa, vengono mitigate dalla profonda certezza che il termine dell'esistenza terrena rappresenta per noi il momento del salto qualitativo verso una più elevata dimensione di vita, quella spirituale. E siamo anche certi che il suo grande spirito continuerà a ispirarci e sorreggerci, in modi per noi - ancora in questa dimensione - non chiaramente spiegabili.
Spirito profondamente religioso, educato alla religiosità fin dall'infanzia, non poteva che, da autentico ricercatore, riconosce-
XIVre la Religione come aspetto centrale della vita quale forza unificante tra gli uomini e Dio. Citiamo in proposito alcuni brani da una lettera che egli scrisse a suo padre il 9 agosto 1949: «...non solo non bisogna odiare gli eretici perché è eresia solamente il non vivere di spirito ma di lettera, è eresia il non seguire il Discorso della Montagna. Tutti siamo eretici, ma quale povera religione sarebbe quella che sostituisce una legge dogmatica esteriore da sottoscrivere... all'unione col Signore che proprio per essere creatore dei cieli e della terra si preoccupa molto poco di questi canoni umani. Mi dici dei missionari: se i missionari diffondono fra i selvaggi lo spirito dell'Evangelo di Gesù Cristo fanno opera santa ed eroica, ma se vogliono solo convincere un bud-dhista a formare una filza di dogmi teorici diversi da quelli in cui credeva prima, perdono il loro tempo. Ci può essere infatti un buddhista che vive evangelicamente anche senza aver mai letto il Vangelo. Come il Signore ha fatto tante varietà di cose nella natura, che veramente sembra che parlino di Lui (stando soli - come adesso - vicino alla natura uno si sente più vicino, se sa meditare certe cose, anche a Dio) in diverse lingue, così la diversità delle opinioni umane sul suo abisso impenetrabile (nonché oscuro) è un dono di Dio, se è in buona fede e non dovuta a puri divertimenti intellettualistici. Non solo tutte le cose ma tutte le idee sincere "cantano la gloria di Dio", il quale ha anche creato nel mare, come dice il salmo, il "leviathan per scherzare con esso". Può darsi che io sia un leviathan bruttissimo e nerissimo che serve a certi piani misteriosi del Signore e a mio modo con tutte le mie frescacce glorifico l'Eterno... Tutte le altre formalità poco contano: quanti animali antidiluviani e specie di piante c'erano prima, secoli e millenni fa, e ora si sono annientate e disseccate. Così idee, teorie, eresie e ortodossie ci sono state, sono sorte e cadranno anche le più venerande, perché nulla può resistere davanti a Dio e "solo la sua parola rimane in eterno": ma la sua pa-
XVrola non è parola umana, non è dottrina, è spinta all'azione... e guai a noi se non seguiamo quella parola!».
Abbracciò la Fede Bahá'í ed è stato membro della relativa i-stituzione nazionale italiana per diversi anni. Come egli stesso scrisse in uno degli opuscoli sulla Fede Bahà'i: «convertirsi al Bahá'ísmo non significa accettare una nuova tradizione religiosa, "abiurando" la propria tradizione (come nel caso di ogni altra conversione, dall'Ebraismo al Cristianesimo o dal Cristianesimo al Buddismo, ecc.) ma riconoscere nella propria tradizione "ragioni" che ci facciano comprendere che quella tradizione non è definitiva».
XVIPANORAMA DELLE RELIGIONI OGGI: CHE COS'È LA RELIGIONE?2
1. Il soggetto è amplissimo e parlarne dettagliatamente porterebbe a scrivere interi volumi, cosa che io, del resto, che sono soprattutto studioso di Islam e cultura islamica, a malapena saprei fare.
Sebbene molti studiosi si opporrebbero a questa mia proposta iniziale (non ultimo dei quali il mio amico e collega Ugo Bianchi,3 ordinario ora di Storia delle Religioni all'Università di Roma, il quale è fieramente avverso ad ogni definizione previa del concetto di religione), penso che bisognerebbe prima di tutto definire che cosa si intende quando si parla di religione. Per esempio, il Buddhismo, che in certe sue forme più antiche era «ateo» (almeno nel nostro senso occidentale) è una religione? Da una definizione di religione dipende infatti molto. Vediamo per esempio che l'integralista cattolico monsignor Graneris in un suo libro (è vero, un po' vecchio, ora forse nemmeno i cattolici gli darebbero ragione...) definisce religione così: «il riconoscimento della assoluta trascendenza del creatore e della conseguente assoluta dipendenza della
2 Articolo pubblicato in Opinioni bahd'i, anno VI, n. 1 (gennaio-Mirza 1982),
pp. 3-15 [n.d.e.].3 Ugo Bianchi (1922-1995), allievo di Raffaele Pettazzoni, cattolico, ha acqui-
sito rinomanza internazionale per la sua vita dedicata alla storia delle religioni [n.d.e.].
SAGGI SULLA FEDE BAHÀ'Ìcreatura»4 e continua poi a precisare il concetto in modo così restrittivo che quel che se ne deduce poi fatalmente è che l'unica religione degna di questo nome è, non soltanto il Cristianesimo, ma addirittura il Cattolicesimo, e che le altre non sono solo delle «religioni false» ma addirittura non possono essere chiamate religioni! Persino lo studioso laico Raffaele Pettazzoni, il vero e proprio fondatore della storia delle religioni in Italia, dà una definizione che è ancora troppo «cristiana». Nella raccolta, ripubblicata nel 1966, Religione e Società, in un suo articolo pubblicato nel Mondo del 12 luglio 1955, scriveva «per la religione il sommo bene è la salvezza».5 Il che è vero per il Cristianesimo e il Buddhismo, ma non è del tutto vero per l'Islam, che non conosce un preciso concetto religioso di «salvezza», almeno di salvezza individuale, e che, semmai, pone il Bene supremo della religione nell'obbedire agli «ordini legali di Dio», che servono a uno scopo che Lui solo conosce e che potrebbero, per assurdo, anche non implicare la mia o la tua salvezza personale.
Dall'altra parte, l'edizione staliniana dell'Enciclopedia Sovietica definiva la religione «riflesso deformato, fantastico, delle forze naturali e sociali cui gli uomini sono soggetti, nella coscienza di questi ultimi...» e anche «fede nell'esistenza di forze soprannaturali (dèi, spiriti, anime e simili)», e aggiunge «essa è antiscientifica per definizione».6 Ma se questa è religione, io, che pur mi sento (e per altre definizioni sono) un «religioso», sarei il primo a dichiararmi irreligioso o antireligioso!
Forse l'unica possibile definizione di «religione», quella cioè che permette l'inserzione sotto questo ambito di tutte quelle che
4 Giuseppe Graneris, La religione nella storia delle religioni (Società editrice
internazionale, Torino, 1935), p. 79. Monsignor Graneris, filosofo del diritto
e autore di numerose opere su religione e diritto, già ordinario alla Pontificia
Università Lateranense [n.d.e.].5 Raffaele Pettazzoni [1883-1950], Religione e Società (Edizioni Ponte Nuovo,
Bologna, 1966), p. 170.Boi 'shaya Sovetskaya Encìklopedìja, art. Religija.
4tali generalmente sono considerate, mi sembra la seguente, anche se paradossale: «religione è quella attitudine umana per la quale anche ciò che per il non religioso è nulla, viene integrato in un sistema totalitario universale acquistando pertanto valore, anzi supremo valore». Esempi: Dio, per il non religioso, è espressione priva di significato, ma per il religioso ha valore assoluto; il «morto» per il non religioso non ha alcun valore, ma il religioso prega per i morti e talora (come per la Fede Bahà'i) li considera addirittura come collaboratori a una costruzione cosmica con i viventi; il «pazzo incurabile» per il non religioso non ha alcun valore, per il religioso ha anch'esso la sua funzione cosmica. Tale definizione di religione è mirabilmente espressa - in parole meno teoriche ma tanto più toccanti - nel noto passo della prima epistola di Paolo ai Corinti:
«Infatti, fratelli, guardate la vostra vocazione: non ci son tra voi molti savi secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili; ma Dio ha scelto le cose pazze del mondo per svergognare i savi; e Dio ha scelto le cose deboli del mondo per svergognare le forti; e Dio ha scelto le cose ignobili del mondo, e le cose sprezzate, anzi le cose che non sono, per ridurre al niente le cose che sono, affinché nessuna carne si glorii nel cospetto di Dio».7
2. Come si è concretizzato nella storia questo atteggiamento verso il «nulla»? Direi intanto in due differenti modi: c'è chi da del tu al nulla (i monoteismi personalistici) e chi considera il divino nulla come un quid che penetra nel mondo e lo attivizza (religioni panteistiche). Delle cinque grandi religioni descritte dal Gla-senapp in un suo famoso libro (Die filnf grossen Religionerì? e cioè l'Induismo, il Buddhismo, l'Universismo cinese, il Cristianesimo e l'Islam, cui andrebbero aggiunti (anche se non «gran-
71 Corinti 1,26-9.8 Helmuth von Glasenapp [1891-1963], Die fiinf grossen Religionen (E. Diederich, Dusseldorf [1951]).
5di» statisticamente) almeno l'Ebraismo e lo Zoroastrismo o Mazdeismo, sono del primo tipo (che dà del tu a Dio) il Cristianesimo, l'Islam e l'Ebraismo, del secondo l'Induismo, il Buddhismo, l'Universismo, mentre lo Zoroastrismo o Mazdeismo occupa in certo modo una posizione intermedia. E si potrebbero porre anche altre tipologie, come quella che distinguesse religioni nazionali, in cui si è nati e alle quali praticamente non ci si può convertire, come lo Shintoismo giapponese, la religione pagana greco-romana, l'Induismo, l'Ebraismo, l'attuale Mazdeismo zo-roastriano, e altre universaliste che formano cioè delle comunità aperte in cui chiunque può, solo che lo voglia, appartenere, come il Buddhismo, il Cristianesimo e l'Islam. Come si vede, le due tipologie non coincidono in quanto il Buddhismo, per esempio, è del tipo monista nella prima tipologia, e sta quindi con l'Induismo, mentre è di tipo universalista nella seconda tipologia e sta quindi con il Cristianesimo e l'Islam.
Diamo ora uno sguardo (estremamente sommario per necessità) alle religioni di questi vari tipi nei loro rapporti con le società in cui sono nate e che in buona parte hanno contribuito a plasmare o almeno a riplasmare.
3. L'Induismo, le «religioni dell'India», forma un insieme di atteggiamenti religiosi di difficile definizione attualmente: c'è come si sa, in India, di tutto, dalla religione del devoto di un determinato dio personale come Visnu, al filosofo monista che segue le più varie scuole (ne esisteva anche una materialista, i Chàrvàkaì), i tantristi che usano mezzi sessuali per la liberazione e così via. Comuni a tutte le scuole sembrano due punti. II concetto della liberazione (moksa) da una situazione attuale terrestre in sostanza negativa, da cui si cerca di sfuggire per la tangente, e, connesso con questo, il concetto di karma (azione) e di karma-phala o «frutto dell'azione» con la conseguente idea della reincarnazione. Le anime umane sono prigioniere del mondo,
6l'ideale massimo è sfuggirne verso un assoluto di cui si può solo dire neti neti (teologia negativa: «non è così non è così») mediante vari mezzi, che vanno dall'ascesi più rigida alle pratiche tantriche liberatorie di tipo sessuale. Ogni azione che noi compiamo con attaccamento crea un corpo, dà impulso a nuove rinascite. Se il sig. X ora è morto di fame è colpa sua, cioè delle a-zioni che aveva commesso in precedenti rinascite. Ognuno vede quanto pessimistica e in sostanza reazionaria sia una tale concezione. Ma non è stato sempre così. Tutte le comunità religiose indiane si rifanno, come la loro origine sacra, ai Veda, libri sacri rivelati in età imprecisate (ma certo all'incirca un millennio o più avanti Cristo) da imprecisabili «profeti» irsi ecc.).
Orbene se studiamo spassionatamente i più antichi inni vedici (specie della più antica raccolta, il Rgveda) vediamo che tali concezioni teologiche non vi sono in realtà presenti e sono frutto di speculazione più tarda. I Veda, inni di una popolazione vivace, solare, guerriera, quegli Àrya che conquistarono l'India venendo dal Nord, non sembrano conoscere la reincarnazione, per esempio. Le idee vediche sulla vita di oltretomba possono grosso modo riassumersi così: Morto che è l'uomo, dopo che il fuoco ne ha purificato il cadavere, egli in certo modo assume una sorta di corpo etereo chiamato suksma «sottile». Questa anima, partita dal corpo materiale pieno di imperfezioni, procede per la via battuta dai predecessori che il cantore chiama «Padri» (pitarah), che concedono nell'aldilà protezione agli uomini e sono immortali. Tale via, facilitata da esseri divini di accompagnatori, i Marut, conduce al più alto dei cieli, dove abita Yama. Nulla delle tristezze della vita l'anima soffre nella sua nuova dimora, col suo corpo etereo privo di qualsiasi imperfezione. Essa abita fra gli dèi e partecipa di una società in cui non esistono (a differenza da quella terrena) differenze di natura né condizione. Ma questo avviene solo se nella vita mortale l'individuo cui essa apparteneva abbia osservato rigorosa penitenza o abbia compiuto azioni de-
7gne di lode. La sorte del cattivo non è invece descritta in senso troppo chiaro: confinamento in una sorta di tenebra sotterranea o, forse, l'annientamento completo.
La religione vedica più antica è dunque ben diversa (come del resto avvenne in tutte le religioni) dalle filosofie e teologie susseguenti che i patiti occidentali dell'India identificano con la «religione indiana», ed è molto più simile a quella delle religioni monoteistiche più tarde, almeno ai loro inizi. Si tratta di una religione molto meno ascetica, più rivolta al mondo e all'azione, più positiva, che creò una mirabile forma di civiltà; è la religione naturalistica se si vuole (gli dèi sono trasparenti simboli delle forze della natura) di un popolo jugendfrisch, come dice il Glasenapp, di pastori guerrieri. La cultura da essa creata, anche se poi ritualizzata e magicizzata al contatto soprattutto con le popolazioni dravidiche dell'India precedenti all'invasione aria, finì per influenzare non solo l'India ma tutta l'Asia di sud est. È, dunque, una religione creatrice di società nuove, agli inizi positiva, solo poi cristallizzata in riti magici e reincarnazionistici sostanzialmente reazionari, e quindi bisognosa di riforma. Anche il cosiddetto scetticismo o pessimismo del famoso inno decimo del Rgveda, che sembra preludere alle sottili speculazioni che seguiranno, è, in sostanza, uno scetticismo sano e ancora gioioso. Ecco il testo dell'inno, uno dei più belli e dei più famosi dei Veda:
1. Non l'essere esisteva allora né il non-essereChe cosa era nascosto? Dove? Protetto da chi? E e 'era forse allora l'acquaprofonda insondabile?
2. La morte allora non esisteva né la vita immortale;
né di notte né di giorno v 'era alcun segno.Per la sua forza inerente l'Uno alitava senza soffio; nuli 'altro esisteva, oltre a quello.
83. Da principio l'oscurità era dall'oscurità nascosta,
senza segni a distinguere, come se tuttofasse acqua.
Ciò che, divenendo, dal Vuoto era copertoquell 'Uno, per forza di calore, venne in esistenza.
4. E un desiderio entrò, in principio, nell'Uno:I saggi, cercando in cuor loro con sapienza, trovarono il legame dell 'essere col non essere.
5. // raggio loro lanciò fasci di luce sulle tenebre:
ma l'Uno era sopra o era sotto?C'era forza creante e fertile potenza: sotto energia, sopra impulso.
6. Chi saper certo? Chi potrà qui dichiararlo?Gli dèi nacquero dopo la creazione di questo universo: chi può dunque sapere donde esso sia sorto?
7. Nessuno conosce donde sia sorto il creato4. Ho detto poc'anzi che una religione simile aveva bisogno a un certo punto di una riforma. La società indiana era già in una situazione di penoso conservativismo feudale nel VI secolo a-vanti Cristo. La religione, già «oppio del popolo», si era ridotta a un ritualismo dominato dalla casta sacerdotale dei Brahmani, che aveva fatto del sacrificio stesso (bràhman) il dio supremo o meglio il principio soggiacente a tutto l'universo; mentre la casta guerriera dei re (ksatriya) aveva sviluppato una sua filosofia, anch'essa monista, con al centro Vàtman (l'anima profonda in-
9RigvedaX, 129.dividuale). L'alleanza fra trono e altare è simboleggiata dalla famosa frase tat tvàm asi «quello sei tu», cioè dalla identificazione fra bràhman e àtman. Io=Universo, un panteismo che, unito alla divisione rigorosa in caste, al principio del karma e della reincarnazione, formava una potente rete reazionaria con innumerevoli dèi, buoni per il volgo. Il Buddha, l'Illuminato (circa 560-480 a.C), spezza questa catena sociale e crea una società nuova: rifiuta l'ascetismo eccessivo, nega il concetto di anima individuale e di dio, ha della reincarnazione un'idea del tutto differente da quella corrente. Cade così il concetto di casta: chiunque segue la nuova dottrina può esser salvato. Il Buddhismo fu respinto dalla conservatrice India dopo alcune affermazioni (il re Acoka dei Manaya, III sec. a.C, sovrano propulsore e innovatore, fu buddhista) ma là dove si affermò agli inizi creò società feudali progredite, non fu contrario al commercio. Se si considera l'ambiente in cui nacque, risultano comprensibili alcune affermazioni apparentemente areligiose, come la negazione dell'anima, di un dio, o meglio degli dèi. Resta il Nirvana che è assimilabile all'inconoscibile essenza di Dio o alle inconoscibili beatitudini della vita dell'oltre delle religioni monoteiste. Nel Milindapanha o «questioni di Milinda» o Menandro, sono riprodotti una serie di dialoghi fra il predicatore buddhista Nagasena e il re Milinda/Menandro, sovrano di un regno ellenizzante successivo alle conquiste alessandrine (che regnò nella valle dell'Indo tra il 130 e il 100 a.C). Leggiamo per esempio la famosa parabola del carro che il reverendo Nagasena espone al re per mostrargli la inesistenza di un'entità animica individualistica, il famoso àtman dell'Induismo.10 Alla domanda del re: «Ma la persona che rinasce è la stessa persona o una diversa?», il monaco
«Milindapanha», in Parabole Buddhiste, tradotte dal pali da Eugene Watson Burlingame; ridotte in italiano da Mario D'Anna; con una prefazione di Giuseppe De Lorenzo (Laterza, Bari, 1926), pp. 144-5.
10risponde: «Non è la stessa persona né una diversa. Come la lampada della prima vigilia e quella della seconda sono e non sono la stessa lampada, così», dice Nagasena, «vi è nell'uomo una successione ininterrotta di stati fisici e mentali. Uno stato finisce e uno comincia; e la successione è tale da poter quasi dire che niente precede e niente segue. Così non è la stessa persona né una diversa quella che giunge alla consumazione finale della coscienza». «Il Nirvana è inalterata beatitudine, non rassomiglia a nulla: come il fiore di loto non è bagnato dall'acqua così il Nirvana è immacolato da male», è come il Grande Oceano che si sa che esiste ma nulla se ne può sapere in dettaglio.
Socialmente si potrebbe chiamare il Buddhismo una reazione cittadina e mercantile alla antica cultura patriarcale e reazionaria dell'India antica: i suoi effetti furono, mutatis mutandis, nell'atmosfera asiatica, simili a quelli prodotti dalla riforma protestante in Europa. Fu agli inizi produttivo e positivo, creò società nuove, come dicemmo, quelle del sud-est asiatico, e diede grande impulso alla formazione delle società Cinese e Giapponese. Ora esso si è ripaganizzato; sono rinati dèi e demoni, la «rete di Brahmà» contro cui con parole amare e quasi atee predicava il Buddha, ha riacciuffato gli uomini. E non solo orientali, che anche gli occidentali, certi occidentali, ancora una volta confondendo la filosofia bud-dhista con la religione, sembrano inneggiare al buddhismo quasi come a una presunta liberazione dalle catene del dogmatismo cattolico.
5. Mentre nell'Asia Orientale si svolgevano questi processi, nasce in Asia Occidentale una nuova idea religiosa che, a mio parere, sta alla prima origine della cultura che finirà per dominare il mondo intero, quello europeo-occidentale: il monoteismo. L'idea centrale del monoteismo è riassumibile come segue: non c'è nulla di sacro nel mondo, tutto il sacro è concentrato in un punto, e questo punto è esterno al mondo e, nelle va-
11rie forme di monoteismo ha un nome, Yahweh, Allah (solo il Cristianesimo ha mantenuto l'antico nome pagano di deus, mo-noteistizzandolo).
In modo molto generico e superficiale si può dire che il monoteismo è stato il Buddhismo dell'occidente. Così come il Buddha aveva criticato fino a negarlo il concetto di deva «dio», sostituendovi l'ineffabile nirvana, così il deus 9eó s
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