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ISBN 88-7214.085-4La fine del Novecento conferisce ai bahá’í un’eccezionale posizione di vantaggio. Negli ultimi cent’anni il mondo ha subito cambiamenti ben più profondi di quelli che si sono verificati in tutta la sua storia, ma le presenti generazioni perlopiù non ne comprendono il significato. Questi cent’anni hanno anche visto la Causa bahá’í emergere dall’oscurità e dimostrare a livello planetario il potere di unificazione conferitole dalla sua origine divina. Negli ultimi anni del secolo, la convergenza di questi due processi storici è divenuta sempre più evidente.
Il secolo di luce, scritto sotto la nostra supervisione, esamina questi due processi e le loro interrelazioni nel contesto degli insegnamenti bahá’í. Raccomandiamo agli amici di studiarlo attentamente, fiduciosi che le idee che esso propone li arricchiranno spiritualmente e li aiuteranno praticamente a spiegare agli altri le suggestive implicazioni della Rivelazione portata da Bahá’u’lláh.
LA CASA UNIVERSALE DI GIUSTIZIAIL NOVECENTO, il più turbolento secolo della storia della razza umana, è finito. Sgomente di fronte al crescente caos morale e sociale che ne ha segnato il corso, la maggior parte delle persone del mondo desidera dimenticare le sofferenze che questi decenni hanno comportato. Per quanto fragili appaiano le basi della fiducia nel futuro, per quanto grandi siano i pericoli che si profilano all’orizzonte, l’umanità sembra avere un disperato bisogno di credere che, per una qualche fortuita combinazione di eventi, sia malgrado tutto possibile ottenere che le condizioni della vita umana possano soddisfare i prevalenti desideri degli uomini.
Alla luce degli insegnamenti di Bahá’u’lláh queste speranze non solo sono puramente illusorie, ma ignorano completamente la natura e il significato della grande svolta compiuta dal nostro mondo in questo secolo cruciale. Solo quando arriverà a capire le implicazioni di ciò che è successo in questo periodo della storia, l’umanità sarà in grado di affrontare le sfide che l’attendono. L’importanza del contributo che noi bahá’í possiamo offrire a questo processo esige che noi per primi comprendiamo il significato della storica trasformazione verificatasi nel corso del Novecento.
Ciò che ci consente di acquisire questa comprensione è la luce irradiata dal Sole sorgente della Rivelazione di Bahá’u’lláh e l’influenza che essa è giunta a esercitare sulle cose umane. È questo il tema che sarà trattato nelle pagine che seguono.
IRICONOSCIAMO INNANZI TUTTO l’immensità della rovina che l’umanità si è procurata con le sue stesse mani nel periodo storico in esame. Le sole perdite in vite umane sono state incalcolabili. Il disfacimento di fondamentali istituzioni dell’ordine sociale, la violazione – anzi l’ab-bandono – delle regole della decenza, il tradimento della vita della mente nella sottomissione a ideologie squallide e vuote, l’invenzione e l’impiego di mostruosi ordigni bellici con enormi capacità di distruzione, la bancarotta di intere nazioni e la riduzione di grandi masse di esseri umani in condizioni di disperata miseria, la sconsiderata devastazione dell’ambiente del pianeta – questi sono solo gli orrori più evidenti in un elenco che neppure le più oscure epoche passate hanno conosciuto. Il solo menzionarli riporta alla mente gli ammonimenti divini contenuti nelle parole pronunziate da Bahá’u’lláh un secolo fa: «O uomini incuranti! Benché le meraviglie della Mia misericordia abbiano abbracciato tutte le cose create, sia visibili sia invisibili, e benché la rivelazione della Mia grazia e della Mia munificenza abbia permeato ogni atomo dell’universo, pure la verga con la quale Io posso punire i malvagi è dolorosa, e terribile è la violenza della Mia collera contro di loro».1
Nel 1941, affinché nessun osservatore della Causa fosse indotto a prendere questi ammonimenti in senso puramente metaforico, Shoghi Effendi, nel trarne alcune implicazioni storiche, scrisse:
Una tempesta senza precedenti per la sua violenza, imprevedibile per il corso che seguirà, catastrofica nei suoi effetti immediati, inimmaginabilmente gloriosa per le estreme conseguenze che produrrà, sta spazzando in questo momento la faccia della terra. Le dimensioni e l’impeto della sua forza d’urto stanno inesorabilmente crescendo. La sua azione purificatrice, anche se nessuno ancora l’ha scoperta, aumenta ogni giorno che passa. L’umanità, stretta negli artigli della sua forza devastatrice, è colpita dai segni della sua furia irresistibile. Essa non sa né comprenderne l’origine, né indagarne il significato, né prevederne i risultati. Smarrita, tormentata, inerme, guarda questo grande e possente vento divino che invade le regioni più remote e belle della terra, scuote le sue fondamenta, rompe il suo equilibrio, dilania le sue nazioni, distrugge i focolari delle sue genti, devasta le sue città, caccia in esilio i suoi re, abbatte i suoi baluardi, sradica le sue istituzioni, oscura la sua luce e strazia l’anima dei suoi abitanti.2
(Dal punto di vista della ricchezza e del potere, nel 1900 per «mondo» s’intendeva l’Europa e, con riluttanza, gli Stati Uniti. In tutto il pianeta, l’imperialismo occidentale perseguiva fra le popolazioni delle altre terre quella che esso considerava la propria «missione civilizzatrice». Nelle parole di uno storico, il primo decennio del secolo sembrò fondamentalmente la continuazione del «lungo Ottocento»,3 un’era la cui sconfinata prosopopea ebbe forse la migliore epitome nel 1897 nelle celebrazioni del giubileo di diamante della regina Vittoria, una parata che percorse per ore e ore le strade di Londra, con uno sfarzo imperiale e uno sfoggio di potere militare di gran lunga superiori a qualunque cosa sia mai stata tentata presso le antiche civiltà.
All’inizio del secolo, erano ben pochi coloro che, qualunque fosse il loro stato sociale o la loro sensibilità, presagivano le imminenti catastrofi, e pochi o punti coloro che ne avrebbero potuto immaginare l’enormità. Gli stati maggiori della maggior parte delle nazioni europee sapevano che sarebbe scoppiata una guerra, ma vedevano questa possibilità con animo sereno per la duplice incrollabile convinzione che quella guerra sarebbe stata breve e che comunque l’avrebbero vinta loro. Il movimento internazionale per la pace era quasi miracolosamente riuscito a ottenere l’appoggio di statisti, capitani d’industria, studiosi, organi di stampa e perfino improbabili influenti personaggi come lo zar di Russia. Se l’incontrollata proliferazione degli armamenti sembrava una minaccia, la rete di alleanze instancabilmente intessute e spesso sovrapposte sembrava garantire che i conflitti generali sarebbero stati evitati e le dispute regionali risolte, come era quasi sempre accaduto nei secoli precedenti. Questa illusione era rafforzata dal fatto che le teste coronate d’Europa – per lo più membri di un’unica grande famiglia e, molti di loro, detentori di un potere politico apparentemente determinante – si chiamavano fra loro con nomignoli confidenziali, tenevano corrispondenze private, sposavano l’uno le sorelle e le figlie dell’al-tro e ogni anno trascorrevano assieme lunghe vacanze nei reciproci castelli, panfili e casini di caccia. Anche le dolorose disparità nella distribuzione delle ricchezze erano energicamente, anche se non sistematicamente, affrontate nelle società occidentali mediante legislazioni destinate a frenare gli aspetti peggiori della pirateria corporativa dei decenni appena trascorsi e a rispondere alle più urgenti richieste delle crescenti popolazioni urbane.
La vasta maggioranza della famiglia umana, che viveva in terre al di fuori del mondo occidentale, condivideva ben poco delle benedizioni e pochissimo dell’ottimismo dei fratelli europei e americani. La Cina, malgrado l’antica civiltà e la convinzione di essere il «Regno di mezzo», era divenuta la sventurata vittima dei saccheggi delle nazioni occidentali e del vicino Giappone proiettato verso la modernità. Le moltitudini dell’India – la cui economia e la cui vita politica erano talmente assoggettate al dominio di un unico potere imperiale da escludere l’abituale gara per la supremazia – evitarono alcune delle violenze che toccarono ad altre terre, ma assistettero impotenti alla spogliazione di risorse di cui avevano un disperato bisogno. Le imminenti sofferenze dell’America Latina furono fin troppo chiaramente prefigurate da quelle del Messico, al quale il grande vicino settentrionale aveva già sottratto vasti territori e le cui risorse naturali stavano già attirando l’attenzione di avide corporazioni estere. Particolarmente imbarazzante per gli occidentali – data la sua vicinanza a brillanti capitali europee come Berlino e Vienna – era l’oppressione medievale nella quale i cento milioni di servi della gleba nominalmente emancipati in Russia trascinavano una vita grama di sconsolata miseria. Ma la tragedia più grande era la sorte degli abitanti del continente africano, messi l’uno contro l’altro da confini artificiali tracciati in base alle ciniche contrattazioni delle potenze europee. Si è calcolato che nel primo decennio del Novecento nel Congo siano morte oltre un milione di persone – affamate, percosse, letteralmente costrette ad ammazzarsi di lavoro per il profitto dei loro padroni lontani, un saggio della sorte che, entro la fine del secolo, avrebbe travolto oltre cento milioni di loro compagni di sventura in Europa e in Asia.4
Queste masse di esseri umani, depredati e vilipesi – pur costituendo la maggioranza degli abitanti della terra – non erano considerati protagonisti, ma oggetti dei tanto vantati processi di civilizzazione del nuovo secolo. Malgrado i benefici concessi a una minoranza di loro, i popoli delle colonie esistevano soltanto per essere manipolati – usati, addestrati, sfruttati, cristianizzati, civilizzati, mobilitati – a seconda dei dettami dei mutevoli ordini del giorno delle potenze occidentali. Questi potevano essere duri o moderati, illuminati o egoisti, essere ispirati all’evangelizzazione o allo sfruttamento, ma erano sempre formulati da forze materialistiche che decidevano i mezzi e la maggior parte degli scopi. Pietismi religiosi e politici di vario genere mascheravano ampiamente fini e mezzi agli occhi del pubblico nei paesi occidentali, che potevano così trarre soddisfazione morale dalle benedizioni che le loro nazioni pretendevano di conferire a persone meno degne, approfittando dei frutti materiali di tanta benevolenza.
Elencare le pecche di una grande civiltà non significa negarne le realizzazioni. All’inizio del Novecento, i popoli occidentali avevano tutte le ragioni di andar fieri dei progressi tecnologici, scientifici e filosofici di cui le loro società erano state responsabili. Decenni di sperimentazione avevano messo nelle loro mani mezzi materiali ancora sconosciuti al resto dell’umanità. In Europa e in America erano sorte grandi industrie, che si occupavano di metallurgia, di prodotti chimici di ogni genere, di prodotti tessili, della costruzione e della produzione di strumenti capaci di migliorare tutti gli aspetti della vita. Un continuo processo di scoperte, progettazioni e miglioramenti stava aprendo l’accesso a un potere di dimensioni inimmaginabili – con conseguenze ecologiche, purtroppo, altrettanto inimmaginabili a quei tempi – specialmente grazie all’uso di combustibili e di energia elettrica a basso costo. L’«era della ferrovia» era già molto avanzata e i piroscafi battevano le rotte del mondo. Con lo sviluppo delle comunicazioni telegrafiche e telefoniche, la società occidentale precorreva il momento in cui si sarebbe liberata dai limiti che le distanze geografiche avevano imposto al genere umano sin dagli albori della storia.
Ancor più epocali furono le implicazioni dei cambiamenti che si stavano verificando sul piano più profondo del pensiero scientifico. L’Ottocen-to era stato ancora dominato dal concetto newtoniano che vedeva il mondo come un enorme meccanismo ad orologeria, ma alla fine del secolo erano già stati compiuti i progressi intellettuali necessari a mettere in dubbio quella visione. Stavano emergendo nuove idee che avrebbero portato alla formulazione della meccanica quantistica. E in breve tempo l’effetto rivoluzionario della teoria della relatività avrebbe messo in discussione convinzioni riguardanti il mondo fenomenico che per secoli erano state accettate come dati di fatto. Questi passi avanti furono incoraggiati – e la loro influenza fu molto ampliata – dal fatto che la scienza si era già trasformata da un’attività di pensatori isolati a un’occupazione sistematicamente perseguita da una vasta e influente comunità internazionale che si avvaleva di università, laboratori e simposi per lo scambio delle scoperte sperimentali.
Ma la forza delle società occidentali non si limitava ai progressi scientifici e tecnologici. All’inizio del Novecento la civiltà occidentale raccoglieva i frutti di una cultura filosofica che stava rapidamente liberando le energie dei suoi popoli e la cui influenza avrebbe ben presto rivoluzionato il mondo intero. Era una cultura che assecondava i governi costituzionali, teneva in alta considerazione il dominio della legge e il rispetto per i diritti di tutti i membri della società e indicava a tutti coloro che raggiungeva la visione di un’imminente era di giustizia sociale. Anche se le ostentazioni di libertà e di uguaglianza che inflazionavano la retorica patriottica dei paesi occidentali erano ben lontane dalle condizioni reali, gli occidentali avevano però tutte le ragioni di celebrare i progressi verso quegli ideali compiuti nel corso dell’Ottocento.
Da un punto di vista spirituale quel periodo fu affetto da una strana, paradossale ambiguità. In quasi tutte le direzioni l’orizzonte intellettuale era oscurato da nuvole di superstizione prodotte dall’irriflessiva imitazione del passato. Per la maggior parte dei popoli del mondo le conseguenze variavano da una profonda ignoranza sulle potenzialità umane e sull’univer-so materiale a un ingenuo attaccamento a teologie che avevano poco o punto a che fare con l’esperienza. E là dove i venti del cambiamento disperdevano le nebbie, fra le classi colte dei paesi occidentali, le ortodossie ereditate erano rapidamente rimpiazzate dal malefico influsso di un laicismo aggressivo che metteva in discussione la natura spirituale dell’uomo e la stessa autorità dei valori morali. La laicizzazione delle classi elevate della società sembrò ovunque procedere di pari passo con un assai diffuso oscurantismo religioso fra gli altri strati della popolazione. Su un piano più profondo – dato che la religione influenza gli strati profondi della psiche umana e reclama un tipo di autorità che non ha eguali – in tutti i paesi i pregiudizi religiosi avevano tenuto accese nel corso delle generazioni le braci di un odio implacabile che avrebbe alimentato gli orrori dei decenni successivi.5
IIIN QUESTA SITUAZIONE DI FALSA FIDUCIA e profonda disperazione, di illuminismo scientifico e tenebre spirituali, apparve, all’inizio del Novecento, la luminosa figura di ‘Abdu’l-Bahá. Il percorso che L’a-veva condotto a quel momento cruciale della storia dell’umanità era passato attraverso oltre cinquant’anni di esilio, prigionia e privazioni, con brevissimi periodi di qualcosa che somigliasse alla pace e alla serenità. Egli l’affrontò ben deciso a proclamare a tutti, disponibili e incuranti, l’inse-diamento in terra di quel promesso regno di pace universale e di giustizia che aveva alimentato le speranze umane nel corso dei secoli. La sua base, Egli dichiarò, sarebbe stata l’unificazione dei popoli del mondo in questo «secolo di luce»:
… in questo giorno i mezzi per comunicare si sono moltiplicati e i cinque continenti della terra sono virtualmente divenuti uno... In tal guisa tutti i membri della famiglia umana, siano essi popoli o governi, città o villaggi, son divenuti sempre più interdipendenti... Ecco che oggigiorno può realizzarsi l’unità di tutta l’umanità: questa non è che una delle mirabilia di questa meravigliosa età, di questo secolo glorioso.6
Durante i lunghi anni di prigionia e di esilio che seguirono il rifiuto da parte di Bahá’u’lláh di prestarSi ai programmi politici delle autorità ottomane, ‘Abdu’l-Bahá ebbe l’incarico di gestire gli affari della Fede e il compito di fungere da portavoce del Padre. Un importante aspetto di questo lavoro comportava che Egli interagisse con funzionari locali e provinciali che Gli chiedevano consiglio sui problemi che incontravano. Problemi non dissimili si presentavano anche nella patria del Maestro. Nel 1875, ottemperando alle disposizioni di Bahá’u’lláh, ‘Abdu’l-Bahá indirizzò ai governanti e al popolo della Persia un trattato intitolato Il Segreto della Civiltà Divina, nel quale espose i principi spirituali che devono guidare la formazione della società persiana nell’era della maturità del genere umano. Il trattato incomincia invitando il popolo iraniano a riflettere sulla lezione insegnata dalla storia quanto alla chiave del progresso sociale:
Considerate attentamente: tutti i multiformi fenomeni, i concetti, il sapere, i procedimenti tecnici e i sistemi filosofici, le scienze, le arti, le industrie e le invenzioni – tutto questo è emanazione della mente umana. Chiunque si sia spinto più a fondo in codesto mare sconfinato è giunto a eccellere sugli altri. La felicità e l’orgoglio delle nazioni in ciò consistono: risplendere come il sole nell’alto firmamento del sapere. «Saranno forse trattati in modo eguale, quelli che sanno e quelli che non sanno?» 7
Il Segreto della Civiltà Divina precorre la guida che sarebbe fluita dalla penna di ‘Abdu’l-Bahá nei decenni successivi. Dopo la devastante perdita che seguì l’ascensione di Bahá’u’lláh, i credenti persiani furono rianimati e rincuorati da un profluvio di Tavole del Maestro, che fornirono loro non solo il nutrimento spirituale di cui avevano bisogno, ma anche una guida sul modo di farsi strada nel tumulto che stava sgretolando l’ordine costituito delle cose nella loro terra. Queste comunicazioni, che raggiungevano anche i più piccoli villaggi ai confini del paese, rispondevano agli appelli e alle domande di moltissimi credenti, portando direttive, incoraggiamento, rassicurazione. Leggiamo, per esempio, una Tavola indirizzata ai credenti del villaggio di Kishih, che menziona uno per uno circa centosessanta di loro. Dell’era che stava allora per incominciare, il Maestro dice: «questo è il secolo di luce» e spiega che questa immagine significa l’accettazione del principio dell’unità e le sue implicazioni:
Intendo dire che gli amati del Signore devono considerare le persone maldisposte come bendisposte… Cioè, devono associarsi ai nemici come farebbero con un amico e trattare gli oppressori come tratterebbero un compagno gentile. Non devono guardare alle pecche e alle trasgressioni dei nemici, né prestare attenzione all’inimicizia, all’iniquità o all’oppressione.8
Stranamente, questa Tavola invita il gruppetto di credenti perseguitati, che viveva in quel remoto angolo di una terra ancora perlopiù non toccata dagli sviluppi che stavano verificandosi altrove nella vita sociale e intellettuale, a sollevare gli occhi al di sopra del piano delle preoccupazioni locali e a vedere le implicazioni dell’unità in una dimensione globale:
Devono invece guardare la gente alla luce di quanto la Bellezza Benedetta ha proclamato, che tutti gli esseri umani sono servi del Signore della possanza e della gloria, perché Egli ha portato l’intera creazione nell’ambito della Sua benevola parola e ci ha ingiunto di mostrare amore e affetto, saggezza e compassione, fedeltà e unità nei confronti di tutti, senza alcuna discriminazione.9
Qui, il Maestro non chiede solo un nuovo livello di comprensione, ma sottintende anche la necessità di dedizione e azione. Nell’urgenza e nella certezza del Suo linguaggio si percepisce la forza che avrebbe prodotto le grandi realizzazioni dei credenti persiani nei decenni successivi, tanto nella promozione della Causa in tutto il mondo quanto nell’acquisizione di capacità che promuovono la civiltà:
O amati del Signore! Servite il mondo umano e amate la razza umana in perfetta letizia e gioia. Distogliete gli occhi dalle limitazioni e liberatevi dalle restrizioni, perché… questa libertà comporta benedizioni e largizioni divine.
Pertanto non fermatevi, neppure un attimo. Non cercate un momento di sosta né un attimo di riposo. Sorgete come i flutti di un possente mare e ruggite come il leviatano dell’oceano dell’eternità.
Perciò, finché resta una goccia di vita nelle vene, si deve lottare e faticare e cercare di costruire fondamenta che il trascorrere dei secoli e dei cicli non possa indebolire e innalzare un edificio che il passare di epoche e di eoni non possa distruggere, un edificio che si dimostri eterno e perpetuo, così che la sovranità del cuore e dell’anima sia solida e sicura in entrambi i mondi.10
I futuri sociologi della storia, che potranno vedere le cose in modo molto più spassionato e universale di quanto non sia possibile ora e che avranno libero accesso a tutta la documentazione primaria, studieranno minuziosamente la trasformazione che il Maestro ha ottenuto in quei primi anni. Giorno per giorno, mese per mese, da un lontano esilio dove era soggetto alle interminabili aggressioni delle schiere di nemici che Lo circondavano, ‘Abdu’l-Bahá riuscì non solo a stimolare l’espansione della comunità bahá’í persiana, ma anche a modellarne la coscienza e la vita collettiva. Il risultato fu la nascita di una cultura che, se pur circoscritta, era diversa da qualunque cosa l’umanità avesse mai conosciuto. Il nostro secolo, con tutti i suoi tumulti e le sue magniloquenti pretese di creare un nuovo ordine, non offre alcun paragonabile esempio di sistematico impegno dei poteri di una singola Mente nella costruzione di una tipica società ben funzionante che consideri il mondo intero come il proprio principale campo di lavoro.
Pur soggetta a periodiche atrocità da parte del clero musulmano e dei suoi sostenitori e priva della protezione di una serie di indolenti monarchi Qájár, la comunità bahá’í persiana trovò nuove prospettive di vita. Il numero dei credenti si moltiplicò in tutte le regioni del paese, si arruolarono personaggi di spicco nella vita della società, fra i quali influenti membri del clero, e i precursori delle istituzioni amministrative apparvero sotto forma di rudimentali corpi consultivi. È impossibile sopravvalutare l’im-portanza di questo solo sviluppo. In un paese e fra gente abituati da secoli a un sistema patriarcale che concentrava tutto il potere decisionale nelle mani di un monarca assoluto o dei mujtáhid sciiti, una comunità che rappresentava uno spaccato di quella società aveva rotto i ponti col passato, prendendo nelle proprie mani la responsabilità di decidere dei propri affari collettivi mediante un atto consultivo.
Nella società e nella cultura che il Maestro stava sviluppando, le energie spirituali si esprimevano nelle cose pratiche della vita quotidiana. L’importanza che gli insegnamenti attribuiscono all’educazione ha dato impulso all’apertura, nella capitale e in centri di provincia, di scuole bahá’í, come la scuola femminile Tarbíyat,11 che conseguì rinomanza nazionale. Con l’assistenza di collaboratori americani ed europei, furono poi istituiti ambulatori medici e altri servizi sanitari. Già nel 1925 le comunità di alcune città avevano istituito classi di esperanto, spinte dalla loro comprensione dell’insegnamento bahá’í per cui è doveroso adottare qualche forma di lingua internazionale. Una rete di corrieri, che percorrevano tutto il paese, fornì all’emergente comunità bahá’í un rudimentale servizio postale di cui il resto del paese era madornalmente privo. I cambiamenti in atto riguardavano le più banali circostanze della vita quotidiana. Per esempio, in obbedienza alle leggi del Kitáb-i-Aqdas, i bahá’í persiani abbandonarono l’uso dei luridi bagni pubblici, prolifici propagatori di infezioni e malattie, e incominciarono a far uso di docce che erogavano acqua pulita.
Tutti questi progressi, sociali, organizzativi e pratici, dovevano la loro forza animatrice alla trasformazione morale che stava verificandosi fra i credenti, una trasformazione che sempre più qualificava i bahá’í, perfino agli occhi di coloro che erano ostili alla Fede, come candidati a posizioni di fiducia. Che cambiamenti così imponenti abbiano potuto distinguere così rapidamente una fetta della popolazione persiana dalla maggioranza perlopiù ostile fu una dimostrazione dei poteri sprigionati dal Patto di Bahá’u’lláh con i Suoi seguaci e dall’assunzione da parte di ‘Abdu’l-Bahá del primato che questo Patto conferiva a Lui soltanto.
In tutti quegli anni la vita politica persiana fu quasi costantemente in subbuglio. Mentre nel 1906 Mu?affari’d-Dín Sháh, immediato successore di Ná?iri’d-Dín Sháh, fu indotto ad approvare la costituzione, il suo successore, Mu?ammad-‘Alí Sháh, sciolse sconsideratamente i primi due parlamenti, in un caso cannoneggiando l’edificio nel quale il corpo legislativo era riunito. Il cosiddetto «Movimento costituzionale», che lo depose e costrinse A?mad Sháh, l’ultimo sovrano Qájár, a convocare un terzo parlamento, era lacerato da fazioni contendenti e spudoratamente manipolato dal clero sciita. I tentativi bahá’í di svolgere un ruolo costruttivo in questo processo di rimodernamento furono ripetutamente vanificati dalle due fazioni monarchica e popolare, che istigate dal prevalente pregiudizio religioso videro la comunità bahá’í soltanto come un comodo capro espiatorio. Anche in questo caso solo un’epoca politicamente più matura della nostra sarà in grado di apprezzare il modo in cui il Maestro – stabilendo un esempio per le future sfide che la comunità bahá’í avrebbe dovuto inevitabilmente affrontare – guidò l’assediata comunità a fare tutto il possibile per incoraggiare le riforme politiche e a essere pronta a mettersi da parte quando i suoi tentativi erano cinicamente e seccamente respinti.
‘Abdu’l-Bahá non influenzò la comunità che si stava rapidamente sviluppando nella culla della Fede solo attraverso le Sue Tavole. Diversamente dagli occidentali, i credenti persiani non si distinguevano dagli altri popoli del Vicino Oriente per l’abbigliamento e l’aspetto e perciò i viaggiatori provenienti dalla culla della Fede non suscitavano i sospetti delle autorità ottomane. Di conseguenza, un costante fiume di pellegrini persiani fornì ad ‘Abdu’l-Bahá un ulteriore importante mezzo per ispirare gli amici, guidare le loro attività e portarli verso una sempre più profonda comprensione dello scopo di Bahá’u’lláh. Fra coloro che si recarono ad ‘Akká e ritornarono in patria pronti all’occorrenza a dare la vita per realizzare la visione del Maestro figurano alcuni dei più grandi nomi della storia bahá’í persiana. Fra questi privilegiati personaggi vi sono l’immortale Varqá e suo figlio Rú?u’lláh, ?ájí Mirza Haydar ‘Alí, Mirza Abu’l-Fa?l, Mirza Mu?ammad-Taqí, l’Afnán, e quattro illustri Mani della Causa, Ibn-i-Abhar, ?ájí Mullá ‘Alí Akbar, Adíbu’l-Ulamá e Ibn-i-A?daq. Lo spirito che sostiene oggi i pionieri persiani in tutte le parti del mondo e che ha una parte così creativa nella costruzione della vita comunitaria bahá’í risale direttamente di famiglia in famiglia fino a quegli eroici giorni. A posteriori, è evidente che il fenomeno che oggi conosciamo sotto il nome del duplice processo di espansione e consolidamento ebbe origine in quegli straordinari giorni.
Ispirati dalle parole del Maestro e dai racconti riportati dalla Terra Santa, i credenti persiani incominciarono a svolgere attività di insegnamento viaggiante nell’Estremo Oriente. Negli ultimi anni del Ministero di Bahá’u’lláh, erano state fondate comunità in India e in Birmania e la Fede era stata portata fino in Cina. Questo lavoro fu ora rafforzato. Una dimostrazione dei nuovi poteri sprigionati nella Causa fu l’erezione, nella provincia russa del Turkestan dove si era sviluppata una vigorosa vita comunitaria bahá’í, della prima Casa di culto bahá’í del mondo,12 un progetto che fu ispirato dal Maestro e guidato, sin dall’inizio, dal Suo consiglio.
Queste multiformi attività, svolte da un sempre più fiducioso corpo di credenti in un territorio che si estendeva dal Mediterraneo al mar della Cina, costruirono il supporto che permise ad ‘Abdu’l-Bahá di cogliere le promettenti occasioni che, all’inizio del nuovo secolo, avevano già incominciato a presentarsi in Occidente. Fra le importanti caratteristiche di questo supporto vi era anche la presenza di rappresentanti delle più svariate origini razziali, religiose e nazionali dell’Oriente. Questo aspetto fornì ad ‘Abdu’l-Bahá gli esempi dei quali Egli Si servì ripetutamente nel proclamare agli uditori occidentali le forze d’integrazione che si erano sprigionate con l’avvento di Bahá’u’lláh.
La più grande vittoria di questi primi anni fu il successo riportato dal Maestro nel costruire con immenso sforzo sul monte Carmelo, nel luogo appositamente designato da Bahá’u’lláh, un mausoleo per le spoglie del Báb, che erano state trasportate in Terra Santa malgrado i rischi e le difficoltà. Shoghi Effendi ha spiegato che mentre in passato il sangue dei martiri era il seme della fede personale, in questo giorno esso è il seme delle istituzioni amministrative della Causa.13 Questa spiegazione riveste di uno speciale significato il modo in cui il Centro Amministrativo dell’Ordine Mondiale di Bahá’u’lláh avrebbe preso forma all’ombra del Santuario del Profeta-martire della Fede. Shoghi Effendi spiega il significato globale e storico della realizzazione del Maestro:
Infatti, come nel regno dello spirito la realtà del Báb è stata inneggiata dall’Autore della Rivelazione Bahá’í come «il Punto attorno al quale gravitano le realtà dei Profeti e dei Messaggeri», così in questo piano visibile i Suoi sacri resti costituiscono il cuore e il centro di quelli che possono essere considerati nove centri concentrici.14 Si rispecchia così, e si sottolinea, la posizione centrale assegnata dal Fondatore della nostra Fede a Colui «dal quale Dio ha fatto procedere la conoscenza di tutto ciò che era e che sarà», «il Punto Primo da cui tutte le cose sono state generate».15
Ecco la commovente descrizione lasciataci da Shoghi Effendi del significato che la missione compiuta a tale prezzo aveva agli occhi di ‘Abdu’l-Bahá:
Quando tutto fu finito e i resti terreni del Profeta Martire di Shíráz furono finalmente deposti al sicuro a riposare in eterno nelle viscere della santa montagna di Dio, ‘Abdu’l-Bahá, Che Si era tolto il turbante, le scarpe e il mantello, Si chinò sul sarcofago ancora aperto, gli argentei capelli ondeggianti attorno al capo, il volto trasfigurato e luminoso, poggiò la fronte sul bordo della bara di legno e, singhiozzando, proruppe in un tal pianto che tutti i presenti piansero con Lui. Quella notte non riuscì a dormire così sopraffatto era dall’emozione.16
Nel 1908 la cosiddetta Rivoluzione dei giovani turchi aveva liberato non solo molti prigionieri politici dell’impero ottomano, ma anche ‘Abdu’l-Bahá. Tutt’a un tratto le restrizioni che L’avevano tenuto relegato nella colonia penale di ‘Akká e negli immediati dintorni erano cadute e il Maestro poteva accingerSi a un’impresa che Shoghi Effendi avrebbe poi definita una delle tre principali realizzazioni del Suo ministero: la pubblica proclamazione della Causa di Dio nei grandi centri popolati del mondo occidentale.
(Data la spettacolarità degli eventi che si verificarono nel Nord America e in Europa, i racconti degli storici viaggi del Maestro talvolta tendono a trascurare l’importanza del primo anno che Egli trascorse in Egitto. Giuntovi nel settembre 1910 con l’intenzione di proseguire direttamente per l’Europa, ‘Abdu’l-Bahá fu costretto da una malattia a trattenerSi a Ramleh, un sobborgo di Alessandria, fino all’agosto dell’anno successivo. Come si misero le cose, i mesi successivi furono un periodo di grande produttività e il loro effetto sui destini della Causa, specialmente nel continente africano, si farà sentire per molti anni ancora. Per certi versi la strada era stata indubbiamente spianata dalla fervente ammirazione che Shaykh Mu?ammad ‘Abduh nutriva verso il Maestro. Lo Shaykh aveva ripetutamente incontrato ‘Abdu’l-Bahá a Beirut ed era poi diventato mufti del-l’Egitto e un personaggio di spicco dell’università Al-Azhar.
Un aspetto del soggiorno egiziano che merita una speciale attenzione è l’opportunità che offrì per una prima proclamazione pubblica del messaggio della Fede. L’atmosfera relativamente cosmopolita e liberale che in quei tempi caratterizzava il Cairo e Alessandria consentì franche e approfondite discussioni fra il Maestro ed eminenti personaggi del mondo intellettuale dell’Islam sunnita, membri del clero, parlamentari, amministratori e aristocratici. Inoltre editori e giornalisti di influenti quotidiani di lingua araba, le cui informazioni sulla Causa erano state influenzate dai prevenuti resoconti provenienti dalla Persia e da Costantinopoli, ebbero ora modo di conoscere direttamente i fatti della situazione. Pubblicazioni che erano state apertamente ostili cambiarono tono. Gli editori di uno di questi giornali aprirono un articolo sull’arrivo del Maestro chiamandoLo «Sua Eminenza Mirza ‘Abbás Effendi, il dotto ed erudito Capo dei bahá’í in ‘Akká, centro di autorità per i bahá’í di tutto il mondo» e apprezzando la Sua visita in Alessandria.17 Questo e altri articoli elogiarono in modo particolare la comprensione che ‘Abdu’l-Bahá aveva dell’Islam e i principi di unità e tolleranza religiosa che costituiscono l’essenza dei Suoi insegnamenti.
Nonostante la malattia del Maestro che l’aveva provocato, l’interludio egiziano dimostrò di essere una grande benedizione. Diplomatici e ufficiali occidentali poterono osservare di prima mano lo straordinario successo dell’interazione di ‘Abdu’l-Bahá con figure eminenti in una regione del Vicino Oriente che era di interesse vitale per gli ambienti europei. Di conseguenza, l’11 agosto 1911 quando il Maestro S’imbarcò per Marsiglia, la Sua fama Lo aveva preceduto.
IIIUNA TAVOLA INDIRIZZATA DA ‘ABDU’L-Bahá a un credente americano nel 1905 contiene un’affermazione illuminante e commovente. RiferendoSi alla Sua situazione dopo l’ascensione di Bahá’u’lláh, Egli menziona una lettera che aveva ricevuto dall’America «in un momento in cui un oceano di cimenti e tribolazioni s’innalzava …»:
Tale era il nostro stato allorché ci pervenne una missiva dagli amici d’America. Essi avevano stretto un patto fra loro, così scrissero, di rimanere uniti in ogni cosa, e… si erano tutti impegnati d’affrontare sacrifici sulla via dell’amor di Dio, per conseguire così la vita eterna. Nello stesso istante in cui questa lettera fu letta, con le firme in calce, ‘Abdu’l-Bahá sentì una gioia così veemente che non v’è penna che possa descriverla…18
È molto importante, e per molte ragioni, che i bahá’í di oggi comprendano le circostanze nelle quali si verificò l’espansione della Causa in Occidente. Ci aiuta ad astrarci da una cultura di comunicazioni grossolane e invadenti, divenuta così abituale nei nostri giorni da passare quasi inosservata. Ci fa notare la gentilezza con cui il Maestro volle presentare ai Suoi ascoltatori occidentali i concetti della natura e della società umana rivelati da Bahá’u’lláh, concetti rivoluzionari nelle loro implicazioni e del tutto estranei alla loro esperienza. Così si spiega la delicatezza con cui Egli usò metafore o addusse esempi storici, il modo indiretto con cui affrontò i temi, l’intimità che seppe evocare a piacimento e la pazienza apparentemente illimitata con cui rispose a domande, spesso basate su idee della realtà che avevano ormai da lungo tempo perduto qualunque validità potessero aver un tempo posseduto.
Un ulteriore elemento che un obiettivo esame della realtà storica alla quale il Maestro Si rivolse in Occidente ci aiuta a conseguire è la comprensione della grandezza spirituale di coloro che Gli risposero. Quelle anime non risposero ai Suoi appelli grazie al mondo liberale ed economicamente progredito che conoscevano, un mondo che indubbiamente amavano e stimavano e nel quale dovevano necessariamente condurre la loro esistenza quotidiana, lo fecero suo malgrado. La loro risposta scaturì da un livello di consapevolezza che riconosceva, sia pur talvolta vagamente, il disperato bisogno che la razza umana aveva di essere spiritualmente illuminata. Per rimanere fedeli agli obblighi che venivano loro da questa comprensione, quei primi credenti – sulla cui abnegazione fu costruita gran parte delle basi delle attuali comunità bahá’í in Occidente e in molti altri paesi – dovettero resistere non solo a pressioni familiari e sociali, ma anche alle facili razionalizzazioni della visione del mondo alla quale erano stati educati e alla quale tutto ciò che li attorniava insistentemente li esponeva. Nella fermezza di questi primi bahá’í occidentali c’è un eroismo tanto commovente quanto quello dei loro fratelli di fede persiani che, negli stessi anni, affrontavano la persecuzione e la morte per la Fede che avevano abbracciato.
L’avanguardia degli occidentali che risposero all’invito del Maestro fu il manipolo di intrepidi credenti, i «pellegrini ebbri di Dio» acclamati da Shoghi Effendi, che ebbero il privilegio di visitare ‘Abdu’l-Bahá nella colonia penale di ‘Akká, di vedere personalmente la luminosità della Sua Persona e di sentire dalle Sue labbra parole che avevano il potere di trasformare la vita umana. L’effetto su questi credenti era stato descritto da May Maxwell:
«Di quel primo incontro»… «non riesco a ricordare né sensazioni di gioia né di dolore, nulla cui possa dare un nome. Mi sentivo d’un tratto innalzata ad una grande altezza; la mia anima era venuta in contatto con lo Spirito Divino ed era sopraffatta da questa forza, così pura, santa e possente…».19
Il loro ritorno in patria, spiega Shoghi Effendi, «segnò un’esplosione di attività sistematiche e prolungate che… [si ramificò] in Europa occidentale e negli stati e nelle province del continente nordamericano…».20 Ad alimentare gli sforzi loro e dei loro compagni di fede e ad attrarre nella Causa un numero sempre più grande di nuovi seguaci, provvide un fiume di Tavole indirizzate dal Maestro a destinatari su entrambe le sponde dell’Atlantico, messaggi che aprirono la loro mente ai concetti, ai principi e agli ideali della nuova Rivelazione di Dio. Il potere di questa forza creativa è riconoscibile nelle parole con cui il primo credente americano, Thornton Chase, tentò di descrivere ciò che vedeva:
I Suoi [del Maestro] scritti, spargendosi come bianche alate colombe dal centro della Sua presenza fino in capo al mondo, sono così numerosi (se ne riversano centinaia ogni giorno) che è impossibile che egli abbia avuto il tempo di dedicare loro indagini o riflessioni o di applicarvi i processi mentali dello studioso. Sgorgano come fiumi da una fonte fluente…21
Questi sentimenti aiutano a comprendere la determinazione con cui il Maestro andò incontro a un’avventura tanto ambiziosa da spaventare molti di coloro che Gli erano vicini. Ignorando le preoccupazioni espresse per la Sua età avanzata, per la Sua salute cagionevole e per gli acciacchi prodotti da decenni di prigionia, Egli partì per una serie di viaggi che sarebbero durati quasi tre anni, portandolo infine fino alle coste del Pacifico nel continente nordamericano. Le difficoltà e i rischi di un viaggio internazionale nei primi anni del secolo furono l’ostacolo più piccolo alla realizzazione degli obiettivi che Egli Si era posto. Nelle parole di Shoghi Effendi:
Egli Che, secondo le Sue parole, era entrato in prigione da giovane e ne era uscito da vecchio, Che nella Sua vita non aveva mai affrontato un pubblico, non aveva frequentato scuole, non Si era mai trovato in ambienti occidentali e non aveva dimestichezza né con le lingue né con le abitudini dell'Occidente, Si era levato non solo a proclamare da pulpiti e palchi, in alcune delle principali capitali europee e nelle più importanti città del continente nordamericano, le peculiari verità racchiuse nella Fede di Suo Padre, ma anche a dimostrare l’origine divina dei Profeti venuti prima di Lui e a rivelare la natura del legame che Li unisce a questa Fede.22
(Il primo atto di questa grande vicenda non avrebbe potuto avere una scena più brillante di Londra, la capitale dell’impero più grande e più cosmopolita che il mondo avesse mai conosciuto. Agli occhi del piccolo gruppo di credenti che ne avevano organizzato gli aspetti pratici e che desideravano vedere il Suo viso, il viaggio fu un trionfo molto superiore alle loro più rosee speranze. Pubblici ufficiali, studiosi, scrittori, editori, capitani d’industria, leader di movimenti di riforma, membri dell’aristocrazia britannica e influenti prelati di molte denominazioni, impazienti di incontrarLo, Lo invitarono sui loro palchi, nelle loro classi, nelle loro case e sui loro pulpiti e si profusero in espressioni di apprezzamento per le opinioni da Lui esposte. Domenica 10 settembre 1911 il Maestro parlò per la prima volta in pubblico dal pulpito del City Temple. Le Sue parole evocarono nei Suoi ascoltatori la visione di una nuova era dell’evoluzione della civiltà:
Questo è un nuovo ciclo del potere umano. Tutti gli orizzonti del mondo sono luminosi e in verità il mondo diverrà un giardino e un paradiso… Siete liberi dalle antiche superstizioni che avevano tenuto gli uomini nell’ignoranza, distruggendo le fondamenta della vera umanità.
Il dono che Dio ha fatto a quest’era illuminata è l’unità del genere umano e la fondamentale unità delle religioni. Le guerre fra le nazioni cesseranno e per volere di Dio verrà la Più Grande Pace. Il mondo sarà visto come un nuovo mondo e tutti gli uomini vivranno da fratelli.23
Dopo altri due mesi di soggiorno a Parigi e un breve ritorno ad Alessandria per svernare e rimetterSi in salute, il 25 Mirza 1912 ‘Abdu’l-Bahá salpò per New York, dove giunse l’11 aprile dello stesso anno. Già sul piano puramente fisico, un programma fitto di centinaia di discorsi pubblici, conferenze e colloqui privati in oltre quaranta città del Nord America e in diciannove città europee, alcune delle quali visitate più di una volta, fu un avvenimento senza precedenti nella storia moderna. In entrambi i continenti, ma specialmente nel Nord America ‘Abdu’l-Bahá fu entusiasticamente accolto da illustri ascoltatori che si interessavano di temi come la pace, i diritti femminili, la parità razziale, le riforme sociali e lo sviluppo morale. Quasi quotidianamente i Suoi discorsi e le Sue interviste furono ampiamente riportati da giornali a grande diffusione. Egli stesso avrebbe poi scritto di aver visto «che tutte le porte erano aperte… e che la forza spirituale del Regno di Dio rimuoveva ogni ostacolo e ogni impedimento».24
L’apertura mentale con cui fu accolto permise ad ‘Abdu’l-Bahá di proclamare senza mezzi termini i principi sociali della nuova Rivelazione. Shoghi Effendi ha così sintetizzato le verità da Lui presentate:
La ricerca indipendente della verità, libera da impedimenti di superstizioni o tradizioni, l’unicità dell’intera razza umana, principio basilare e dottrina fondamentale della Fede, l’essenziale unità di tutte le religioni, la riprovazione di ogni forma di pregiudizio religioso, razziale, sociale o nazionale, l’armonia che deve esistere fra religione e scienza, la parità di uomini e donne, le due ali con cui l’umanità, come un uccello, può volare, l’introduzione dell’educazione obbligatoria, l’adozione di una lingua ausiliaria universale, l’abolizione degli estremi di ricchezza e povertà, l’istituzione di un tribunale mondiale per comporre le controversie fra le nazioni, l’esaltazione del lavoro elevato al rango di culto, se compiuto in spirito di servizio, la glorificazione della giustizia come principio dominante nella società umana e della religione come baluardo per la protezione di tutti i popoli e le nazioni, l’instaurazione di una pace permanente e universale come scopo supremo di tutta l’umanità – questi sono gli elementi essenziali di quella politica divina che Egli, nel corso dei Suoi viaggi d’apostolato, proclamò ai leader dell’opinione pubblica e alle masse.25
L’essenza del messaggio del Maestro era l’annuncio che il Giorno da lungo tempo promesso dell’unificazione dell’umanità e dell’instaurazione del Regno di Dio sulla terra era arrivato. Quel Regno, svelato nelle lettere e nei discorsi di ‘Abdu’l-Bahá, non aveva proprio nulla delle ipotetiche caratteristiche ultraterrene tipiche degli insegnamenti della religione tradizionale. Il Maestro proclamava l’avvento della maturità del genere umano e la nascita di una civiltà globale nella quale lo sviluppo dell’intera gamma delle potenzialità umane sarebbe stato il frutto dell’interazione fra valori spirituali universali, da una parte, e dall’altra progressi materiali ancora inimmaginabili.
Gli strumenti per raggiungere quella meta, disse, erano già presenti. Occorreva solo la volontà di agire e la fede necessaria per persistere:
Sappiamo tutti che la pace internazionale è bene, che è la causa della vita, ma occorrono volizione e azione. Dato che questo è il secolo di luce, è stata concessa la capacità di conseguire la pace. È certo che tutte queste idee si diffonderanno fra gli uomini a tal punto che porteranno all’azione.26
Pur espressi con inesauribile cortesia e considerazione, i principi della nuova Rivelazione furono esposti senza mezzi termini tanto negli incontri privati quanto in quelli pubblici. E gli atti compiuti dal Maestro furono invariabilmente eloquenti come le parole di cui Si servì. Negli Stati Uniti, per esempio, nulla avrebbe potuto esprimere più chiaramente la fede nel-l’unità delle religioni della disinvoltura con cui Egli introdusse riferimenti al profeta Mu?ammad nei discorsi che pronunciò davanti ad ascoltatori cristiani e la Sua energica rivendicazione dell’origine divina del Cristianesimo e dell’Islam nel tempio Emanu-El di San Francisco. La Sua capacità di infondere in donne di tutte le età la fiducia di possedere capacità spirituali e intellettuali del tutto uguali a quelle degli uomini, la Sua riguardosa ma chiara dimostrazione del significato degli insegnamenti di Bahá’u’lláh sull’unità razziale accogliendo ospiti neri e bianchi alla Sua tavola e alle tavole imbandite delle Sue illustri ospiti e la Sua insistenza sull’importan-za primaria dell’unità in tutti gli aspetti delle imprese bahá’í – queste dimostrazioni del modo in cui gli aspetti spirituali e pratici della vita devono interagire aprirono gli occhi dei credenti a un nuovo mondo di possibilità. Lo spirito d’incondizionato amore con cui queste sfide furono formulate riuscì a vincere le paure e le incertezze di coloro ai quali il Maestro Si rivolgeva.
Ben più grandi dello sforzo compiuto nell’esposizione pubblica della Causa furono il tempo e l’energia che il Maestro dedicò ad approfondire i credenti nella comprensione delle verità spirituali della Rivelazione di Bahá’u’lláh. Città dopo città, dalle prime ore del mattino fino a tarda notte, le ore libere dagli aspetti pubblici della Sua missione furono dedicate a rispondere alle domande degli amici, a soddisfarne i bisogni e a infondere in loro la fiducia nel contributo che ognuno poteva offrire alla promozione della Causa che avevano abbracciato. La visita a Chicago fornì ad ‘Abdu’l-Bahá l’opportunità di posare, con le Sue stesse mani, la prima pietra della prima Casa di culto bahá’í in Occidente, un progetto ispirato da quello già in corso in ‘Ishqábád e altrettanto incoraggiato da ‘Abdu’l-Bahá sin dall’istante in cui era stato concepito.
Il Mashriqu’l-Adhkár è una delle più importanti istituzioni del mondo e ha molte branche sussidiarie. Benché sia una Casa di Adorazione, è anche collegata a un ospedale, una farmacia, un ostello per i viaggiatori, una scuola per gli orfani e un’università per studi avanzati… È mia speranza che il Mashriqu’l-Adhkár sia ora costruito in America e che a poco a poco sia seguito dall’ospedale, dalla scuola, dall’u-niversità, dalla farmacia e dall’ostello, tutti funzionanti secondo i metodi più efficaci e regolari.27
Come per il processo che si stava contemporaneamente svolgendo in Persia, solo gli storici del futuro saranno in grado di valutare correttamente il potere creativo di questo aspetto dei viaggi occidentali. Memorie e lettere testimoniano come incontri sia pur brevi col Maestro abbiano sorretto innumerevoli bahá’í occidentali negli anni di sforzi e sacrifici che seguirono, mentre essi lottavano per diffondere e consolidare la Fede. Senza l’in-tervento del Centro del Patto in persona, è impossibile immaginare che piccoli gruppi di credenti occidentali, completamente privi dell’eredità spirituale che i loro compagni di fede persiani ricevevano dalla prolungata partecipazione dei genitori e dei nonni agli eroici eventi della storia Bábí e bahá’í, avrebbero potuto così rapidamente intuire ciò che la Causa chiedeva loro e comprendere i difficoltosi compiti che ciò comportava.
Egli sollecitò i Suoi ascoltatori a diventare gli amorevoli e fiduciosi strumenti di un grande processo di civilizzazione, il cui perno è il riconoscimento dell’unità della razza umana. Nell’accingersi a svolgere la loro missione, Egli promise che avrebbero sentito sprigionarsi in sé e negli altri le capacità completamente nuove di cui Dio aveva dotato la razza umana in questo Giorno:
Dovete divenire l’anima del mondo, lo spirito vivente nel corpo dei figli degli uomini. In questa Età di portenti, in quest’ora in cui l’Antica Bellezza, il Più Grande Nome, è sorta all’orizzonte del mondo recando infiniti doni, la Parola di Dio ha infuso nelle intime essenze dell’uma-nità una potenza così grandiosa, che ha spogliato d’ogni efficacia le qualità umane, unificando le genti con la Sua trionfante possanza in un vasto mare di unicità.28
Probabilmente nulla testimonia in modo così singolare la risposta dei credenti a questo appello del fatto che l’unità creatasi fra loro non ne intralciò il vivace modo di esprimere le verità della Fede. Il rapporto fra individuo e comunità è sempre stato il punto più scottante nello sviluppo della società. Basta leggere, anche di sfuggita, il racconto della vita dei primi bahá’í occidentali per rendersi conto delle caratteristiche personalissime che distinguevano molti di loro, soprattutto quelli più attivi e creativi. Non di rado essi avevano trovato la Fede solo dopo intense ricerche nei vari movimenti spirituali e sociali del tempo e indubbiamente questa profonda conoscenza delle preoccupazioni e degli interessi dei loro contemporanei contribuì a far di loro insegnanti della Fede così capaci. È altrettanto chiaro, d’altronde, che le grandi diversità di espressione e comprensione non impedirono né a loro né ai loro compagni di fede di costruire quell’unità collettiva che era la principale attrattiva della Causa. Come risulta chiaramente dalle memorie e dai racconti storici di quel periodo, il segreto di questo equilibrio fra l’individuo e la comunità era il legame spirituale che univa tutti i credenti alle parole e all’esempio del Maestro. Per tutti loro ‘Abdu’l-Bahá era, nel vero senso della parola, la Causa bahá’í.
C’è un altro fatto che fa riflettere e che nessuno studio obiettivo della missione di ‘Abdu’l-Bahá in Occidente può ignorare: ben pochi di coloro che avevano accettato la Fede, e pochissimi fra gli ascoltatori che si erano accalcati per ascoltare le Sue parole, ricavò da queste preziosissime occasioni più di un’assai vaga comprensione delle implicazioni del Suo messaggio. RendendoSi conto di questi limiti dei Suoi ascoltatori, ‘Abdu’l-Bahá non esitò a introdurre nei Suoi rapporti con i credenti occidentali atti che li spronavano a sollevarsi a un piano di consapevolezza ben più alto del liberalismo sociale e della tolleranza. Fra tutti gli esempi di Suoi interventi in questo senso spicca il Suo gentile ma sensazionale incoraggiamento del matrimonio fra Louis Gregory e Louise Mathews, nero l’uno, bianca l’altra. L’iniziativa stabiliva per la comunità bahá’í americana un modello quanto al vero significato dell’integrazione razziale, di fronte alla timidezza e alla lentezza con cui i suoi membri rispondevano alle implicazioni essenziali della sfida.
Anche se non capivano a fondo gli scopi del Maestro, coloro che abbracciarono il Suo messaggio incominciarono a dare espressione pratica ai principi che insegnava, spesso pagando altissimi prezzi personali. Dedizione alla causa della pace internazionale, abolizione degli estremi di ricchezza e povertà che compromettevano l’unità della società, il superamento dei pregiudizi nazionali, razziali e d’altro genere, l’incoraggiamento della parità nell’educazione di ragazzi e ragazze, la necessità di liberarsi dai ceppi degli antichi dogmi che impedivano la ricerca della realtà – questi principi del progresso della civiltà avevano fatto grande impressione. Quello che solo pochi degli ascoltatori del Maestro capirono, o avrebbero forse potuto capire, era la rivoluzionaria trasformazione della struttura della società e la volontaria sottomissione della natura umana alla Legge divina, la sola cosa che, in ultima analisi, può produrre i necessari cambiamenti degli atteggiamenti e dei comportamenti.
(La chiave di questa visione dell’imminente trasformazione della vita personale e sociale degli esseri umani fu la proclamazione del Patto di Bahá’u’lláh e della parte centrale che Egli era stato chiamato a svolgervi, che ‘Abdu’l-Bahá fece poco dopo il Suo arrivo nel Nord America. Nelle parole del Maestro:
Quanto alla più importante caratteristica della rivelazione di Bahá’u’lláh, un insegnamento specifico che nessuno dei Profeti del passato ha mai dato, è l’ordinazione e la nomina del Centro del Patto. Con questa nomina, con questo provvedimento, Egli ha custodito e protetto la religione di Dio da divergenze e scismi, facendo in modo che nessuno possa creare nuove sette o fazioni di culto.29
Scegliendo New York per questo scopo, e chiamandola «Città del Patto», ‘Abdu’l-Bahá svelò ai credenti occidentali il passaggio di autorità voluto dal Fondatore della loro Fede per la definitiva interpretazione della Sua Rivelazione. Una credente molto stimata, Lua Getsinger, era stata invitata dal Maestro a preparare il gruppo dei bahá’í riuniti per questo storico annuncio nella casa dove Egli temporaneamente risiedeva. Subito dopo Egli scese dabbasso e parlò in termini generali su alcune delle implicazioni del Patto. Juliet Thompson, che, con uno dei traduttori persiani, si trovava nella camera del piano superiore nel momento in cui la sua amica aveva ricevuto questo incarico, ci ha lasciato un resoconto dell’episodio. Ella riferisce che ‘Abdu’l-Bahá disse:
… Io sono il Patto, nominato da Bahá’u’lláh. E nessuno può respingere la Sua Parola. Questo è il Testamento di Bahá’u’lláh. Lo puoi trovare nel Sacro Libro dell’Aqdas. Va’ e proclama: «Questo è il Patto di Dio in mezzo a voi».30
Concepito da Bahá’u’lláh come lo Strumento che, nelle parole di Shoghi Effendi, «doveva perpetuare l’influenza della Fede, assicurarne l’inte-grità, salvaguardarla dallo scisma e stimolarne l’espansione nel mondo intero»,31 il Patto era stato violato da membri della stessa famiglia di Bahá’u’lláh quasi immediatamente dopo la Sua ascensione. Rendendosi conto che l’autorità conferita al Maestro dal Kitáb-i-‘Ahd, dalla Tavola del Ramo e altri documenti vanificava le loro speranze personali di utilizzare la Causa a proprio vantaggio, questi individui incominciarono un’insisten-te campagna per indebolire la Sua posizione, prima in Terra Santa e poi in Persia, dove era concentrata la massa della comunità bahá’í. Falliti questi piani, cercarono di sfruttare i timori del governo ottomano e l’avidità dei suoi rappresentanti in Palestina. Anche queste speranze crollarono, quando la Rivoluzione dei giovani turchi rovesciò il regime a Costantinopoli, impiccando una trentina di alti ufficiali, fra i quali c’erano molti di coloro che erano implicati nei piani dei violatori del Patto.
In Occidente, nei primi anni del ministero del Maestro, i rappresentanti da Lui inviati erano già riusciti a neutralizzare le macchinazioni di Ibrahim Khayru’lláh – la stessa persona che aveva introdotto alla Causa molti dei credenti americani – il quale aveva cercato di assicurarsi una posizione di comando alleandosi ai violatori del Patto nella Santa Famiglia. Queste esperienze avevano indubbiamente preparato i credenti occidentali alla formale proclamazione da parte del Maestro del Suo rango e alla fermezza con cui Egli ingiunse ai credenti di evitare ogni contatto con quegli strumenti di divisione: «Certe anime deboli, volubili, malvage e ignoranti… hanno tentato di cancellare il Patto e il Testamento di Dio e di intorbidire l’acqua pulita per potervi pescare».32 Ma solo gradualmente, mentre le nuove comunità lottavano per superare le divergenze di opinione e per resistere alla perenne attrazione umana verso la faziosità, emersero le implicazioni di questa grande legge organizzativa della nuova Dispensazione.
Mentre esponeva nei discorsi pubblici e nelle discussioni private la visione del mondo di unità e di pace che sarà costruito dalla Rivelazione di Dio per il nostro giorno, il Maestro evidenziò i pericoli che si profilavano agli immediati orizzonti, tanto per la Fede quanto per il mondo. Per entrambi ‘Abdu’l-Bahá previde, nelle parole di Shoghi Effendi, un «inverno di eccezionale rigidità».
Per la Causa di Dio quell’inverno avrebbe comportato strazianti tradimenti del Patto. Nel Nord America la volubilità di alcune persone, frustrate nelle loro aspirazioni a primati personali, continuò a mettere in difficoltà la comunità, a insidiare la fede di alcuni e a indurre altri semplicemente ad allontanarsi dalla Fede. Anche in Persia la fede degli amici fu ripetutamente messa alla prova dalle trame di ambiziosi individui che si erano improvvisamente resi conto delle possibilità di autopromuoversi che credevano di vedere nei successi conseguiti dal lavoro del Maestro in Occidente. In entrambi i casi, queste defezioni finirono per approfondire la devozione dei credenti saldi.
Quanto all’umanità in generale, ‘Abdu’l-Bahá parlò con parole inquietanti della catastrofe che vedeva avvicinarsi. Pur sottolineando l’urgenza di compiere tentativi di riconciliazione che entro certi limiti avrebbero potuto alleviare le sofferenze dei popoli del mondo, Egli non lasciò ai Suoi ascoltatori alcun dubbio sulla gravità del pericolo. Uno dei maggiori quotidiani di Montreal, che dedicò alla cronaca del viaggio un servizio particolarmente dettagliato, scrisse:
«L’Europa è tutta un accampamento militare. Questi preparativi bellici sfoceranno necessariamente in una grande guerra. Gli armamenti sono di per sé una causa di guerra. Questo grande arsenale deve prender fuoco. Quest’opinione non ha nulla a che fare con le profezie», ha detto ‘Abdu’l-Bahá, «si basa soltanto sul ragionamento».33
Il 5 dicembre 1912, il personaggio che era stato acclamato come «Apostolo di pace» in tutto il Nord America salpò da New York per Liver-pool. Dopo brevi soggiorni a Londra e in altri centri della Gran Bretagna, il Maestro visitò molte città del continente, dedicando nuovamente diverse settimane a Parigi, dove poté disporre dei servigi di Hippolite Dreyfus, la cui conoscenza dell’arabo e del persiano scritti rispondeva alle Sue esigenze. Considerata la capitale della cultura continentale europea, Parigi era un centro d’attrazione per visitatori da tutte le parti del mondo, Oriente compreso. I discorsi che Egli pronunziò nel corso delle Sue due lunghe visite alla città, pur facendo spesso riferimento ai grandi temi sociali discussi altrove, sembrano distinguersi particolarmente per un’intima spiritualità che deve aver profondamente toccato il cuore di coloro che ebbero il privilegio di incontrarLo:
Innalzate i vostri cuori al di sopra del presente e guardate con occhio fiducioso verso il futuro. Oggi il seme è gettato; verrà il giorno in cui spunterà una pianta rigogliosa coi rami carichi di frutti. Rallegratevi, siate lieti che sia sorta l’alba di questo giorno, cercate di comprendere il suo potere, perché è, in verità, meraviglioso.34
La mattina del 13 giugno 1913, ‘Abdu’l-Bahá S’imbarcò a Marsiglia sulla motonave Himalaya e quattro giorni dopo giunse a Porto Said in Egitto. Quelli che Shoghi Effendi chiamò i «Suoi storici viaggi» si conclusero il 5 dicembre 1913 con il Suo ritorno a Haifa.
(Due anni, quasi esatti, dopo la dichiarazione di ‘Abdu’l-Bahá all’editore del Montreal Daily Star, quel mondo che aveva goduto di un così inebriante senso di sicurezza di sé e le cui fondamenta erano parse inattaccabili, crollò di colpo. La catastrofe è comunemente associata all’assassinio a Sarajevo dell’erede al trono dell’impero austro-ungarico e certamente la sequela di gaffe, di avventate minacce, di sciocchi appelli all’«onore» che portò direttamente alla prima guerra mondiale fu provocata da questo evento relativamente secondario. Ma in realtà, come il Maestro aveva indicato, i «brontolii» preliminari di tutto il primo decennio del secolo avrebbero dovuto far capire ai leader europei la fragilità dell’ordine esistente.
Negli anni 1904-1905 gli imperi giapponese e russo erano scesi in guerra con tale violenza che le forze navali dei russi erano andate praticamente distrutte ed essi avevano dovuto cedere territori che consideravano vitali ai propri interessi, un’umiliazione che avrebbe avuto durevoli ripercussioni nazionali e internazionali. Nei primi anni del secolo, per due volte si evitò per un pelo una guerra fra la Francia e la Germania per le loro mire imperialiste nel Nord Africa, solo grazie all’interessato intervento di altre potenze. Nel 1911 anche le ambizioni italiane produssero una pericolosa minaccia alla pace internazionale per la sottrazione all’impero ottomano di quella che ora è la Libia. L’instabilità internazionale si era ulteriormente accentuata, come il Maestro aveva previsto, quando la Germania, sentendosi assediata da una crescente rete di alleanze ostili, intraprese un imponente programma di costruzione navale nell’intento di eliminare il precedentemente accettato primato britannico.
A esacerbare questi conflitti si aggiunsero le tensioni fra i popoli sudditi degli imperi dei Romanov, degli Asburgo e degli Ottomani. Polacchi, cechi, slovacchi, popoli baltici, rumeni, curdi, arabi, armeni, greci, macedoni, slavi e albanesi attendevano con ansia il giorno della liberazione e aspettavano solo che il corso degli eventi rompesse in qualche modo la presa dei sistemi cadenti che li reprimevano. A sfruttare instancabilmente questa ragnatela di incrinature dell’ordine esistente provvedeva una schiera di cospirazioni, di gruppi di resistenza e di organizzazioni separatiste. Ispirate da ideologie disparate, da una quasi totale anarchia a un estremo alle affilatissime ossessioni razziste e nazionaliste dall’altro, queste forze sommerse condividevano un’ingenua convinzione: se quel particolare segmento dell’ordine prevalente che era divenuto il loro bersaglio fosse stato in qualche modo abbattuto, l’intrinseca nobiltà della parte di umanità che sosteneva le loro tesi – o una presunta nobiltà dell’umanità in generale – avrebbe di per sé garantito una nuova era di libertà e di giustizia.
Isolato fra questi pretesi agenti di cambiamento violento, un movimento fondato su un’ampia base procedeva con sistematicità e spietata lucidità di intenti verso la meta della rivoluzione mondiale. Il partito comunista, che traeva spinta intellettuale e incrollabile fede nel trionfo finale dagli scritti dell’ideologo dell’Ottocento Karl Marx, era riuscito a reclutare gruppi di devoti sostenitori in tutta Europa e in vari altri paesi. Convinto che il genio del suo maestro avesse incontrovertibilmente dimostrato la natura essenzialmente materiale delle forze che avevano dato origine alla coscienza umana e all’organizzazione sociale, il movimento comunista negava la validità della religione e dei valori morali «borghesi». A suo avviso, la fede in Dio era una debolezza nevrotica cui la razza umana aveva ceduto, una debolezza che aveva semplicemente permesso a successive classi dirigenti di servirsi della superstizione come strumento per asservire le masse.
Per i capi del mondo, che avanzavano alla cieca verso una conflagrazione universale dovuta a orgoglio e follia, i grandi progressi compiuti dalla scienza e dalla tecnologia erano in primo luogo uno strumento per ottenere la supremazia militare sugli avversari. Ma gli oppositori europei delle nazioni interessate non erano le popolazioni coloniali, miserabili e ignoranti, che essi erano riusciti ad assoggettare. La falsa sicurezza ispirata dagli armamenti militari portò dunque inesorabilmente a una corsa all’equi-paggiamento del massimo numero possibile di eserciti e navi con il massimo numero possibile delle più sofisticate armi moderne. Mitragliatrici, cannoni a lunga gittata, dreadnought, sottomarini, mine anticarro, gas asfissianti ed aeroplani da bombardamento furono gli elementi di quella che un commentatore ha definito la «tecnologia della morte».35 E come ‘Abdu’l-Bahá aveva previsto, tutti quei mezzi di distruzione sarebbero stati impiegati e potenziati nel corso dell’imminente conflitto.
La scienza e la tecnologia esercitarono sul prevalente ordine anche altre, più sottili pressioni. La produzione industriale in larga scala, alimentata dalla corsa agli armamenti, aveva accelerato lo spostamento delle popolazioni verso i centri urbani. Alla fine del secolo precedente, questo processo aveva già indebolito valori e lealtà ereditati, aveva esposto un crescente numero di persone a nuove idee a favore del cambiamento sociale e suscitato nelle masse appetiti di beni materiali precedentemente disponibili solo ai segmenti sociali elitari. Perfino nei sistemi relativamente autocratici, la gente incominciava a capire quanto la funzionalità dell’autorità civile dipendesse dalla capacità di ottenere un vasto appoggio popolare. Questi sviluppi sociali avrebbero avuto conseguenze impreviste e di vasta portata. Trascinandosi la guerra all’infinito, si incominciò a mettere in dubbio la fede irriflessiva nei suoi aspetti essenziali e milioni di coscritti negli eserciti di ambo le parti iniziarono a considerare le proprie sofferenze inutili in se stesse e improduttive ai fini del benessere loro e delle loro famiglie.
Oltre a queste conseguenze dei cambiamenti tecnologici ed economici, il progresso scientifico sembrò incoraggiare facili deduzioni sulla natura umana, quel deposito quasi invisibile che Bahá’u’lláh ha definito «polvere ottenebrante di tutta la sapienza acquisita».36 Queste opinioni si trasmisero senza essere prese in esame ad auditori sempre più vasti. Il sensazionalismo della stampa popolare, gli accesi dibattiti fra scienziati e studiosi, da una parte, e teologi e influenti prelati, dall’altra, congiuntamente al rapido diffondersi della pubblica istruzione, continuarono a sgretolare l’autorità delle dottrine religiose comunemente accettate e dei valori morali prevalenti.
Questi terremoti del nuovo secolo contribuirono tutti assieme a rendere altamente esplosiva la situazione nel mondo occidentale del 1914. Perciò, quando scoppiò la grande conflagrazione, l’incubo superò di gran lunga i peggiori timori delle menti riflessive. Sarebbe inutile esaminare qui il cataclisma già esaurientemente analizzato della prima guerra mondiale. Le pure statistiche superano ogni umana possibilità di comprensione: si calcola che sessanta milioni di uomini siano stati gettati nel più orribile inferno che la storia abbia conosciuto, di essi otto milioni sono periti nel corso della guerra e altri dieci o più sono rimasti permanentemente menomati a causa di ferite invalidanti, polmoni bruciati e spaventose deturpazioni.37 Gli storici hanno detto che il costo economico complessivo potrebbe aver raggiunto i trenta miliardi di dollari, spazzando via una parte sostanziale dell’intero capitale europeo.
Ma queste massicce perdite non rendono l’idea dell’immensità della rovina. Una delle considerazioni che trattenne a lungo il presidente Woodrow Wilson dal proporre al Congresso degli Stati Uniti la dichiarazione di una guerra, che a quel punto era ormai praticamente inevitabile, fu la sua consapevolezza del danno morale che ne sarebbe venuto. Uno dei più grandi meriti di questo uomo straordinario – uno statista la cui visione ‘Abdu’l-Bahá e Shoghi Effendi elogiarono – fu anche l’aver capito che l’abbrutimento dell’uomo sarebbe stato il peggior lascito della tragedia che stava già travolgendo l’Europa, un lascito che nessuno avrebbe potuto restituire.38
Le riflessioni sull’enormità delle sofferenze subite dall’umanità nei quattro anni di guerra – e della conseguente battuta d’arresto nel lungo, doloroso processo dell’incivilimento della natura umana – conferiscono una tragica forza alle parole che il Maestro aveva rivolto solo due anni prima ai Suoi ascoltatori in città europee come Londra, Parigi, Vienna, Budapest e Stoccarda nonché nel Nord America. Parlando una sera nella casa dei signori Maxwell a Montreal Egli disse:
Oggi il mondo dell’umanità cammina nelle tenebre perché non è in contatto con il mondo di Dio. Ecco perché non vediamo i segni di Dio nel cuore degli uomini. Il potere dello Spirito Santo non ha alcuna influenza. Quando nel mondo dell’umanità si manifesta l’illumi-nazione spirituale divina, quando appaiono l’istruzione e la guida divina, allora ne segue l’illuminazione, nell’intimo si realizza un nuovo spirito, un nuovo potere discende e una nuova vita è conferita. È come la nascita dal regno animale a quello umano… Pregherò, e dovete pregare anche voi, che questo dono celeste sia realizzato, che la lotta e l’inimicizia siano bandite, che la guerra e le stragi siano rimosse, che i cuori conseguano una comunicazione ideale e che tutti i popoli bevano alla stessa fonte.39
L’astioso trattato di pace imposto dalle potenze alleate ai loro nemici sconfitti servì solo, come hanno detto sia ‘Abdu’l-Bahá sia Shoghi Effendi, a spargere i semi di un altro, ancor più terribile conflitto. I disastrosi risarcimenti esatti dagli sconfitti – e l’ingiusta richiesta che si assumessero tutta la colpa di una guerra della quale ambo le parti erano state, in un modo o nell’altro, responsabili – furono fra i fattori che avrebbero preparato i demoralizzati popoli europei ad abbracciare promesse totalitarie di sollievo che forse altrimenti non avrebbero preso in esame.
Paradossalmente, a dispetto dell’entità dei risarcimenti ingiunti agli sconfitti, i cosiddetti vincitori si resero conto sbigottiti che il loro trionfo – e la pretesa della resa incondizionata che l’aveva imposto – aveva avuto un costo esorbitante. I pesantissimi debiti di guerra posero definitivamente fine al predominio economico che queste nazioni europee avevano conseguito dopo tre secoli di sfruttamento imperialista del resto del pianeta. La morte di milioni di giovani che sarebbero stati urgentemente necessari per affrontare i problemi dei decenni successivi fu una perdita alla quale non si poté più porre rimedio. In effetti, la stessa Europa – che solo quattro anni prima rappresentava l’apice della civiltà e dell’influenza mondiale – perse di colpo questo predominio e incominciò la sua inesorabile discesa dei successivi decenni verso una posizione di subordine nei confronti del nascente nuovo centro di potere nel Nord America.
Da principio sembrò che la visione del futuro concepita da Woodrow Wilson si sarebbe ora realizzata. E in parte ciò effettivamente avvenne per i popoli assoggettati dell’Europa che conquistarono la libertà di decidere dei propri destini con la nascita di una serie di nuovi stati nazionali dalle rovine degli ex imperi. Inoltre i «quattordici punti» del presidente conferirono per breve tempo alle sue dichiarazioni pubbliche una tale autorità morale nella mente di milioni di europei che neppure i più recalcitranti fra i capi di stato delle potenze alleate, suoi colleghi, poterono del tutto ignorare i suoi desideri. Dopo mesi di litigi sulle colonie, sui confini e sulle clausole del testo del trattato di pace, l’accordo di Versailles finì per incorporare una forma annacquata della proposta Società delle Nazioni, un’istituzione che si sperava potesse risolvere future dispute fra le nazioni e mitigare i contrasti della politica internazionale.
Se i bahá’í vogliono capire gli avvenimenti di questo secolo turbolento, devono riflettere sul commento di Shoghi Effendi sul significato di questa storica iniziativa. Descrivendo due eventi strettamente correlati e associati agli inizi della pace mondiale, egli evidenzia il fatto che essi sono «destinati a culminare, nella maturità dei tempi, in un’unica gloriosa consumazione».40 Il primo, dice il Custode, è associato alla missione della comunità bahá’í nel continente nordamericano, il secondo ai destini degli Stati Uniti come nazione. Parlando del secondo fenomeno, che ebbe inizio con lo scoppio della prima guerra mondiale, Shoghi Effendi scrive:
Esso ricevette l’impulso iniziale dalla formulazione dei quattordici punti del presidente Wilson, che per la prima volta legarono strettamente le sorti di quella repubblica ai destini del Vecchio Mondo. Subì il primo scacco, allorché quella repubblica si dissociò dalla neonata Società delle Nazioni per la cui creazione il suo presidente si era battuto… Dopo una serie di vittorie e di sconfitte, sfocerà – sia pur dopo un lungo e tortuoso cammino – nell’unificazione politica degli Emisferi orientale e occidentale, nella nascita di un governo mondiale e nell’in-staurazione della Pace minore, predetta da Bahá’u’lláh e prevista dal profeta Isaia. Culminerà, alla fine, nel dispiegamento del vessillo della Più Grande Pace, nell’Età d’oro della Dispensazione di Bahá’u’lláh.41
Tragico fu dunque il destino dell’idea che aveva ispirato gli sforzi del presidente americano. Come fu ben presto evidente, la Società delle Nazioni era nata morta. Sebbene comprendesse elementi come una legislatura, un ordinamento giudiziario, un esecutivo e una burocrazia di sostegno, le era stata negata l’autorità vitale per il lavoro che doveva evidentemente svolgere. Imprigionata nel concetto ottocentesco dell’assoluta sovranità nazionale, poteva prendere decisioni solo con il consenso unanime degli stati membri, un requisito che rendeva praticamente impossibile qualsiasi azione effettiva.42 L’insincerità del sistema fu inoltre messa in evidenza dall’esclusione di alcuni dei più potenti stati del mondo: la Germania era stata respinta in quanto nazione sconfitta ritenuta responsabile della guerra, alla Russia fu inizialmente negata l’ammissione per il suo regime bolscevico e gli Stati Uniti si rifiutarono – a causa di meschine faziosità politiche del Congresso – sia di aderire alla Società sia di ratificarne il trattato. Paradossalmente, perfino i timidi tentativi di proteggere le minoranze etniche che vivevano negli stati nazionali di nuova creazione finirono per diventare armi da utilizzare nei continui conflitti fratricidi europei.
Insomma, proprio nel momento della storia umana in cui un’inaudita esplosione di violenza indeboliva i baluardi tradizionali del comportamento civile, la leadership politica del mondo occidentale tarpava l’unico sistema alternativo di ordine internazionale nato dall’esperienza della catastrofe, il solo che avrebbe potuto alleviare le ben maggiori sofferenze che il futuro aveva in serbo. Nelle profetiche parole di ‘Abdu’l-Bahá: «Pace, pace, proclamano senza posa le labbra dei potenti e dei popoli, mentre la vampa di odî non dômi cova tuttora nei loro cuori». «I mali di cui il mondo soffre ora si moltiplicheranno», aggiunse nel 1920, «s’addenseranno le tenebre che lo avviluppano… Le potenze sconfitte continueranno ad agitarsi e ricorreranno a ogni mezzo per rinfocolare la fiamma della guerra».43
(Mentre l’inferno della guerra travolgeva il mondo, ‘Abdu’l-Bahá rivolse l’attenzione all’unico grande compito del Suo ministero che Gli restava ancora da svolgere, quello di assicurare che il messaggio che era stato o ignorato o avversato tanto nelle società musulmane quanto in quelle occidentali fosse proclamato negli estremi angoli della terra. Lo strumento che ideò per questo scopo fu il Piano Divino esposto in quattordici grandi Tavole, quattro indirizzate alla comunità bahá’í del Nord America e un supplemento di altre dieci indirizzate a cinque specifici segmenti di quella comunità. La Tavola del Carmelo rivelata da Bahá’u’lláh, le Ultime Volontà e Testamento del Maestro e le Tavole del Piano Divino furono definite da Shoghi Effendi le tre «Carte costituzionali» della Causa. Rivelato negli anni più bui della guerra, il 1916 e il 1917, il Piano Divino chiamava la piccola compagine dei credenti americani e canadesi ad assumere un ruolo direttivo nell’instaurazione della Causa di Dio in tutto il pianeta. Le implicazioni del compito erano imponenti. Nelle parole del Maestro.
‘Abdu’l-Bahá nutre la speranza che lo stesso successo che arrise ai vostri sforzi in America coroni la vostra opera in altre parti del mondo, che, per vostro mezzo, la fama della Causa di Dio si sparga in oriente e in occidente e l’avvento del Signore degli Eserciti sia proclamato in tutti i cinque continenti della terra. Nel momento in cui i credenti americani porteranno questo Messaggio divino oltre le sponde dell’Ameri-ca e lo propagheranno nei continenti di Europa, Asia, Africa e Australia, fino alle isole del Pacifico, questa comunità si troverà solidamente insediata sul trono di un dominio imperituro. Allora tutti i popoli della terra vedranno che codesta comunità è spiritualmente illuminata e guidata da Dio. Allora il mondo intero risuonerà della sua maestà e grandezza…44
Shoghi Effendi ci ricorda che le radici di questa storica missione, da lui definita «il diritto innato della comunità bahá’í nordamericana»,45 si trovano nelle parole delle Manifestazioni gemelle che Dio ha inviato nell’era della maturità del genere umano. Essa compare prima nelle parole del Báb, che invitò i «popoli d’Occidente» a uscire «dalle vostre città», per aiutare «Dio prima del Giorno in cui il Signore Misericorde vi sopravverrà in ombre di nubi…» e ad affratellarsi «nell’unica, indivisibile religione di Dio, liberi da distinzioni… sì che vi ritroviate riflessi in loro come essi in voi».46 Nei Suoi appelli ai «Governanti d’America e Presidenti delle sue Repubbliche», anche Bahá’u’lláh consegnò un mandato che non ha riscontri in nessuna delle Sue allocuzioni agli altri leader del mondo: «Con le mani della giustizia ricongiungete gli sbandati e schiacciate l’oppressore prosperante con la verga dei comandamenti del vostro Signore, l’Ordina-tore, il Saggio».47 Bahá’u’lláh enunciò inoltre una delle più profonde verità sul processo attraverso il quale la civiltà si è evoluta: «In Oriente è sorta la Luce della Sua Rivelazione; in Occidente sono apparsi i segni della Sua potenza. O genti, meditate ciò in cuor vostro…».48
Il Piano Divino sarebbe stato «tenuto in sospeso», come in seguito disse Shoghi Effendi, finché il sistema necessario alla sua esecuzione non fosse stato portato in vita. E tuttavia ‘Abdu’l-Bahá aveva scelto un gruppo di credenti, ai quali aveva conferito il potere e affidato il mandato di lanciare per primi l’impresa. La Sua vita volgeva rapidamente alla conclusione, ma i tre anni che Gli restarono dopo la fine della guerra sembrano, a posteriori, fornire un saggio delle vittorie che la Causa avrebbe conosciuto nel corso del secolo. La mutata situazione in Terra Santa lasciò il Maestro libero di proseguire la Sua opera senza ostacoli e creò le condizioni per cui la genialità della Sua mente e del Suo spirito poterono influenzare funzionari governativi, dignitari d’ogni sorta in visita nel paese e le varie comunità che costituivano la popolazione della Terra Santa. La stessa Potenza mandataria cercò di esprimere la propria gratitudine per l’effetto unificante del Suo esempio e per l’opera filantropica da Lui svolta conferendoGli il cavalierato.49 Ma soprattutto un rinnovato afflusso di pellegrini e invio di Tavole alle comunità bahá’í dell’Oriente e dell’Occidente fecero espandere il lavoro d’insegnamento e approfondirono la comprensione delle implicazioni del messaggio della Fede da parte degli amici.
Ma nulla ha tanto vividamente illustrato il trionfo spirituale conseguito dal Maestro nel Centro Mondiale della Fede quanto ciò che successe a Haifa immediatamente dopo la Sua ascensione nelle prime ore del 28 novembre 1921. L’indomani un’immensa folla di migliaia di persone, che rappresentavano le varie razze e le differenti sette della regione, seguì il corteo funebre su per il monte Carmelo manifestando un tale sincero dolore quale la città non aveva mai visto prima. Alla testa si trovavano i rappresentanti del governo britannico, membri della comunità diplomatica e i capi di tutti i corpi religiosi della zona, molti dei quali presero parte al servizio nel Mausoleo del Báb. Quella così irrefrenabile e compatta dimostrazione di cordoglio rispecchiò l’improvvisa consapevolezza della perdita di un Personaggio il cui esempio era stato un centro focale di unità in una terra furibonda e divisa. E per tutti coloro che avevano gli occhi per vedere fu una dimostrazione convincente della verità dell’unità del genere umano che il Maestro aveva infaticabilmente proclamato.
IVCON IL TRAPASSO DI ‘ABDU’L-BAHÁ, si concluse l’era apostolica della Causa. L’intervento divino che aveva avuto inizio settantasette anni prima la notte in cui il Báb dichiarò la Sua missione a Mullá ?usayn – e nacque ‘Abdu’l-Bahá – aveva completato la sua opera. Era stato, nelle parole di Shoghi Effendi, «un periodo i cui splendori nessuna vittoria di questa o di una futura età, per quanto luminosa, potrà mai emulare».50 Seguiranno ora le migliaia di migliaia d’anni durante i quali le potenzialità che questa forza creativa ha impiantato nella coscienza umana a poco a poco si svilupperanno.
La riflessione su una così grande occasione della storia della civiltà mette a fuoco la Figura la cui natura e il cui ruolo non hanno precedenti in questo processo durato seimila anni. Bahá’u’lláh ha chiamato ‘Abdu’l-Bahá «il Mistero di Dio». Shoghi Effendi L’ha definito «il Centro e il Perno» del Patto di Bahá’u’lláh, il «perfetto Esempio» degli insegnamenti della Rivelazione di Dio per l’era della maturità umana e «la Molla principale dell’Unità del Genere Umano». Nessun fenomeno in alcun modo paragonabile alla Sua comparsa ha mai accompagnato alcuna delle Rivelazioni divine che hanno dato origine agli altri grandi sistemi religiosi della storia documentata. Tutte quelle Rivelazioni erano state essenzialmente stadi di preparazione dell’umanità al conseguimento della maggiore età. ‘Abdu’l-Bahá fu la suprema Creazione di Bahá’u’lláh, Quella che rese possibile tutto il resto. La comprensione di questa verità ha spinto un perspicace bahá’í americano a scrivere:
Si doveva ora trasmettere un messaggio di Dio e non c’era un’u-manità pronta ad ascoltarlo. Perciò Dio dette al mondo ‘Abdu’l-Bahá. ‘Abdu’l-Bahá ricevette il messaggio di Bahá’u’lláh per conto della razza umana. Ascoltò la voce di Dio. Fu ispirato dallo spirito. Conseguì piena consapevolezza e coscienza del significato di questo messaggio e impegnò la razza umana a rispondere alla voce di Dio… secondo me questo è il Patto – che sia esistita sulla terra una persona che abbia potuto essere il rappresentante di un’umanità che non era ancora stata creata. Esistevano tribù, famiglie, credi, classi eccetera, ma non c’era nessun uomo, tranne ‘Abdu’l-Bahá, e ‘Abdu’l-Bahá, come uomo, Si fece carico del messaggio di Bahá’u’lláh e promise a Dio che avrebbe condotto la gente all’unità del genere umano e creato un’umanità che potesse essere il veicolo delle leggi di Dio.51
Incominciando la Sua missione come prigioniero di un regime brutale e ignorante e spietatamente aggredito da perfidi fratelli che alla fine Lo volevano morto, il Maestro da solo fece della comunità bahá’í persiana una brillante dimostrazione dello sviluppo sociale che la Causa poteva produrre, ispirò l’espansione della Fede in Oriente, fece sorgere comunità di devoti credenti in Occidente, progettò un Piano per l’espansione mondiale della Causa, ottenne il rispetto e l’ammirazione di eminenti pensatori ovunque giungesse la Sua influenza e fornì ai seguaci di Bahá’u’lláh di tutto il mondo un’autorevole guida quanto al significato delle leggi e degli insegnamenti della Fede. Sulle falde del monte Carmelo eresse fra enormi dolori e difficoltà il Santuario che accoglie i resti mortali del martirizzato Báb, il punto focale dei processi attraverso i quali la vita del nostro pianeta sarà a poco a poco organizzata. In tutto questo, nelle minime occasioni di una vita piena di preoccupazioni e di pretese d’ogni sorta, una vita continuamente esposta all’esame di nemici e amici, Egli assicurò che i posteri abbiano quel tesoro che poeti, filosofi e mistici di tutti i tempi hanno sognato, la dimostrazione di un’immacolata perfezione umana.
E infine fu ‘Abdu’l-Bahá ad assicurare che l’Ordine divino concepito da Bahá’u’lláh per l’unificazione della razza umana e l’instaurazione della giustizia nella vita collettiva dell’umanità potesse disporre degli strumenti necessari per conseguire lo scopo del suo Fondatore. Perché fra gli esseri umani vi sia unità, sia pur nella forma più semplice, si devono realizzare due condizioni fondamentali. Gli interessati devono in primo luogo essere in qualche modo d’accordo sulla natura della realtà nella misura in cui essa ne influenza i rapporti vicendevoli e con il mondo fenomenico. In secondo luogo essi devono approvare uno strumento riconosciuto e autorevole che prenda le decisioni riguardanti la loro reciproca associazione e ne stabilisca le mete collettive.
In altre parole, l’unità non è semplicemente la condizione che nasce da un senso di reciproca buona volontà e da uno scopo comune, per profondi e sinceri che quei sentimenti siano, così come un organismo non è il prodotto di una fortuita e amorfa associazione di vari elementi. L’unità è un fenomeno dotato di potere creativo, la cui esistenza diventa evidente grazie agli effetti prodotti dall’azione collettiva e la cui assenza è rivelata dall’impotenza di quegli sforzi. Malgrado sia stata spesso inficiata dalla ignoranza e dalla corruzione, questa forza è stata il principale fattore che ha prodotto il progresso della civiltà, che ha generato codici di leggi, istituzioni sociali e politiche, opere d’arte, infinite realizzazioni tecnologiche, il progresso morale, la prosperità materiale e lunghi periodi di pace pubblica i cui riverberi vivono nel ricordo del succedersi delle generazioni sotto forma di immaginarie «età dell’oro».
Con la Rivelazione di Dio all’era della maturità del genere umano, le potenzialità di questa forza creativa sono state finalmente sprigionate tutte e sono stati istituiti gli strumenti necessari alla realizzazione dello scopo divino. Nelle Sue Ultime Volontà e Testamento, che Shoghi Effendi ha definito la «Carta» dell’Ordine Amministrativo, ‘Abdu’l-Bahá ha dettagliatamente esposto la natura e il ruolo delle istituzioni gemelle che sono i Suoi Successori nominati, le cui funzioni complementari garantiscono l’unità della Causa bahá’í e il completamento della sua missione nel corso della Dispensazione, il Custodiato e la Casa Universale di Giustizia. Egli ha dato grande risalto all’autorità in questo modo conferita:
Quel che essi decidono emana da Dio. Chi non obbedisce a lui o ad essi, non ha ubbidito a Dio; chi si ribella a lui o ad essi, si è ribellato a Dio; chi si oppone a lui, si è opposto a Dio; chi contende con essi, ha conteso con Dio…52
Shoghi Effendi ha spiegato il significato di questo straordinario testo:
L’Ordine Amministrativo che questo storico Documento aveva istituito, in virtù della sua origine e del suo carattere, è, va notato, unico negli annali dei sistemi religiosi del mondo. Nessun Profeta prima di Bahá’u’lláh, lo si può affermare con sicurezza… ha stabilito autorevolmente e per iscritto alcunché di paragonabile all'Ordine Amministrativo che l’Interprete autorizzato degli insegnamenti di Bahá’u’lláh ha istituito, un Ordine che… dovrà e potrà proteggere dallo scisma la Fede da cui è nato, in una maniera che non ha eguali in alcuna delle religioni precedenti.53
Prima della lettura e della promulgazione delle Ultime Volontà e Testamento, la grande maggioranza dei membri della Fede dava per scontato che lo stadio successivo nell’evoluzione della Causa sarebbe stato l’ele-zione della Casa Universale di Giustizia, l’istituzione che Bahá’u’lláh stesso aveva fondato nel Kitáb-i-Aqdas per governare il mondo bahá’í. Un fatto importante che i bahá’í odierni devono capire è che prima di allora la comunità bahá’í ignorava il concetto di Custodiato. Grande fu la gioia quando si seppe dell’incomparabile distinzione che il Maestro aveva conferito a Shoghi Effendi e del legame di continuità con i Fondatori della Fede che il suo ruolo rappresentava. Ma fino ad allora nessuno aveva capito che Bahá’u’lláh intendesse far apparire un’istituzione di quel genere o compreso la funzione di interpretazione che essa avrebbe dovuto svolgere, una funzione la cui enorme importanza è poi divenuta subito evidente e che, con il senno del poi, è chiaramente implicita in certi Scritti.
Ciò che nessuno di coloro che, fedele o maldisposto, vivevano a quei tempi avrebbe mai potuto immaginare è la trasformazione che le Ultime Volontà del Maestro misero in moto nella vita della Causa. «Se sapeste che cosa succederà dopo di Me», aveva dichiarato ‘Abdu’l-Bahá, «sicuramente preghereste che la mia fine fosse affrettata».54
VLO STUDIO DELLA POSIZIONE del Custodiato nella storia bahá’í deve partire da un esame obiettivo delle circostanze nelle quali Shoghi Effendi dovette svolgere la sua missione. Particolarmente importante è il fatto che la prima metà di questo ministero si svolse in mezzo alle guerre, un periodo caratterizzato da un crescendo di incertezze e di ansietà su tutti gli aspetti delle cose umane. Da una parte, erano stati fatti grandi progressi nel superamento delle barriere fra le nazioni e fra le classi. Dall’altra l’impotenza politica e la conseguente paralisi economica indebolirono enormemente gli sforzi compiuti per trarre vantaggio da queste opportunità C’era una diffusa sensazione che occorresse urgentemente una qualche fondamentale ridefinizione della natura della società e del ruolo delle sue istituzioni – insomma, una ridefinizione dello scopo della vita umana.
Sotto molti importanti aspetti alla fine della prima guerra mondiale l’umanità si trovò capace di esplorare possibilità mai prima immaginate. In Europa e nel Vicino Oriente erano stati spazzati via sistemi assolutisti che erano stati fra i più potenti ostacoli all’unità. Anche i fossilizzati dogmi religiosi che avevano dato legittimazione morale alle forze del conflitto e dell’alienazione erano stati in larga misura messi dappertutto in discussione. Popoli prima assoggettati erano liberi di progettare il proprio futuro collettivo e di assumersi la responsabilità dei propri reciproci rapporti grazie allo strumento dei nuovi stati nazionali creati dagli accordi di Versailles. La stessa inventiva che era stata utilizzata nella produzione di ordigni bellici era ora protesa verso gli impegnativi, ma remunerativi compiti del-l’espansione economica. I giorni più oscuri della guerra avevano anche lasciato commoventi storie, come quella dell’impulso che aveva spinto soldati inglesi e tedeschi a disertare sia pur per breve tempo i mattatoi delle trincee per celebrare assieme la nascita di Cristo, un guizzo dell’unità della razza umana che il Maestro aveva infaticabilmente proclamato nei Suoi viaggi in quello stesso continente. Ma la cosa più importante è che uno straordinario sforzo d’immaginazione aveva fatto compiere un enorme passo avanti all’unificazione della razza umana. I leader mondiali avevano, sia pur con riluttanza, creato un sistema consultivo che, pur mutilato da interessi e privilegi, dette all’ideale di un ordine internazionale un primo barlume di forma e di struttura.
La presa di coscienza post-bellica si espresse in tutto il mondo. Sotto la guida di Sun Yat-sen, il popolo cinese aveva già abbattuto il decadente regime imperiale che aveva compromesso il benessere del paese e cercava di mettere le basi della rinascita della sua grandezza. Anche nell’America Latina, malgrado i terribili e ripetuti insuccessi, i movimenti popolari stavano lottando per prendere il controllo dei destini dei loro paesi e dell’uso delle immense risorse naturali del continente. In India, Mohandas Gandhi, uno dei più straordinari personaggi del secolo, avviò un’impresa che avrebbe non solo rivoluzionato le sorti del suo paese, ma anche definitivamente dimostrato al mondo ciò che è capace di fare la forza dello spirito. L’Africa era ancora in attesa della sua ora del destino, così come gli abitanti delle altre terre colonizzate, ma per tutti coloro che avevano gli occhi aperti vi si era messo in moto un processo di cambiamento che alla fine nessuno poté sopprimere, perché era l’aspirazione universale dell’umanità.
I pur incoraggianti progressi non possono certo nascondere la tragedia che si era svolta. Nella seconda metà dell’Ottocento, la proclamazione del Giorno di Dio indirizzata da Bahá’u’lláh ai governanti del tempo che controllavano i destini del genere umano, era stata o respinta o ignorata dai suoi destinatari in Oriente e in Occidente. La riflessione su una così grande mancanza di fede ci fa vedere in una luce più realistica la successiva risposta suscitata dalla missione di ‘Abdu’l-Bahá in Occidente. Per quanto ci si possa rallegrare degli elogi profusi da ogni parte sul Maestro, gli immediati risultati dei Suoi sforzi costituiscono un altro enorme fallimento morale di una considerevole parte dell’umanità e dei suoi capi. Il messaggio che in Oriente era stato represso fu essenzialmente ignorato da un mondo occidentale che aveva proseguito sulla via della rovina che da lungo tempo gli era stata aperta dalla sua stessa arrogante prosopopea e che l’avrebbe infine portato a tradire l’ideale rappresentato dalla Società delle Nazioni.
Di conseguenza, i primi due decenni dopo che Shoghi Effendi ebbe assunto il compito di rivendicare la Causa di Dio furono un periodo di crescenti tenebre nel mondo occidentale, che sembrò rispecchiare una pesante sconfitta del processo di integrazione e illuminazione così fiduciosamente proclamato dal Maestro. Era come se la vita politica, sociale ed economica fosse caduta in una sorta di limbo. Gravi dubbi sorsero sulla capacità della tradizione liberal-democratica di far fronte ai problemi del momento. E infatti in un certo numero di paesi europei i governi ispirati a quei principi furono sostituiti da regimi autoritari. Ben presto la crisi economica del 1929 portò a una riduzione mondiale del benessere materiale, con tutte le conseguenti insicurezze morali e psicologiche.
L’esame di queste circostanze ci aiuta a comprendere l’enormità della sfida che Shoghi Effendi dovette affrontare all’inizio del suo ministero. Quanto alle condizioni obiettive del genere umano che egli trovò, non c’era nulla che potesse far sperare che la visione del nuovo mondo affidatagli dai Fondatori della Causa bahá’í potesse compiere un progresso significativo negli anni di vita che avrebbero potuto essergli concessi.
E lo strumento di cui egli disponeva non sembrava avere la forza, l’e-lasticità o la sofisticazione che il compito esigeva. Nel 1923, quando Shoghi Effendi poté finalmente prendere nelle sue mani la direzione della Causa, il nucleo dei seguaci di Bahá’u’lláh consisteva nel corpo dei credenti in Iran, di cui allora non si sarebbe neppure potuto valutare in modo attendibile il numero. Per lo più priva dei mezzi necessari per promuovere la Causa e in possesso di risorse materiali alquanto limitate, la comunità iraniana era assediata da continui tormenti. Nel Nord America, cui era stata affidata l’onerosa responsabilità del Piano Divino, piccole comunità di credenti erano alle prese con i semplici problemi di procurarsi da vivere per sé e per le loro famiglie mentre la crisi economica si aggravava. In Europa, in Australasia e nell’Estremo Oriente, gruppi bahá’í ancora più minuscoli tenevano accesa la fiamma della Fede, come facevano gruppi isolati, famiglie e persone sparse nel resto del mondo. La letteratura era insufficiente, anche in inglese, e il compito di tradurre gli Scritti nelle lingue principali e di reperire i fondi per pubblicarli rappresentava un onere pressoché insostenibile.
Sebbene la visione comunicata dal Maestro ardesse più luminosa che mai, i mezzi a loro disposizione devono essere apparsi ai bahá’í dolorosamente inadeguati date le prevalenti condizioni generali. Le sgraziate, scure fondamenta del futuro Tempio madre dell’Occidente, che sorgevano sul lago a nord di Chicago, sembravano irridere alla brillante idea che solo pochi anni prima aveva affascinato il mondo dell’architettura. A Baghdad, la «Casa Più Santa», che Bahá’u’lláh aveva scelto come centro focale di pellegrinaggio dei bahá’í, era finita nelle mani di oppositori della Fede. In Terra Santa, la Magione di Bahá’u’lláh stava cadendo a pezzi a causa del-l’incuria dei violatori del Patto che vi abitavano e il Mausoleo che custodiva le preziose spoglie del Báb e di ‘Abdu’l-Bahá era ancora quella semplice struttura di pietra che era stata eretta dal Maestro.
Una serie di consultazioni esplorative con alcuni eminenti bahá’í chiarì al Custode che perfino una formale discussione con credenti qualificati sulla creazione di un segretariato internazionale sarebbe stata non solo inutile, ma probabilmente controproducente. Pertanto Shoghi Effendi dovette incominciare a occuparsi da solo del compito di mandare avanti la grande impresa che era stata affidata alle sue mani. Per la presente generazione di bahá’í, è pressoché impossibile capire quanto egli sia stato solo. E chi se ne rende conto ne prova un immenso dolore.
All’inizio, il Custode pensò che i membri della grande famiglia del Maestro, ai quali l’illustre lignaggio arrecava l’immenso rispetto dei bahá’í di tutto il mondo, avrebbero colto con gioia l’opportunità di aiutarlo a realizzare lo scopo che il Maestro aveva esposto con parole così pressanti e commoventi. Di conseguenza, invitò i fratelli, i cugini e una delle sue sorelle, che per educazione erano adatti allo scopo, a fornire il supporto amministrativo che l’impegnativo lavoro del Custodiato richiedeva. Tragicamente, col passar del tempo, una dopo l’altra queste persone si mostrarono insoddisfatte del ruolo di sostegno loro assegnato e trascurate nello svolgimento delle sue funzioni. Ma peggio ancora, Shoghi Effendi si trovò ad affrontare una situazione per cui l’autorità conferitagli, pur espressa in termini inequivocabili nelle Ultime Volontà e Testamento, era vista dai suoi parenti come un fatto puramente nominale. Questi individui preferirono considerare la guida della Fede come un affare di famiglia per cui si sarebbe dovuto dare un grande peso alle opinioni dei più anziani fra loro, che si supponeva fossero qualificati ad assumere tale prerogativa. Incominciando da dimostrazioni di scontrosa resistenza, la situazione continuò a degenerare fino al punto in cui figli e nipoti di ‘Abdu’l-Bahá si sentirono liberi di dissentire da colui che era stato nominato Suo successore e di disobbedire alle sue istruzioni.
Rú?yyih Khánum, che assisté agli ultimi stadi di questo processo di deterioramento e che soffrì molto nel vederne gli effetti sul lavoro della Causa e sulla persona del Custode, ha scritto:
… si deve capire la vecchia storia di Caino e Abele, una storia di gelosie familiari che attraversa tutte le epoche della storia come un filo scuro nel suo tessuto e può essere rintracciata in tutti i suoi eventi… La debolezza del cuore umano, che tanto spesso si attacca a oggetti indegni, la debolezza della mente umana, incline alla presunzione e a una eccessiva fiducia nelle proprie opinioni, trascinano le persone in un caos di emozioni che ne accecano il giudizio e le portano fuori strada… Sebbene il fenomeno della violazione del Patto sembri un aspetto intrinseco della religione, ciò non significa che non porti danno alla Causa… Soprattutto non significa che non produca un effetto devastante sul Centro del Patto. Tutta la vita di Shoghi Effendi è stata rattristata da feroci attacchi personali contro di lui.55
Questo sfondo oscuro fa risplendere ancora di più le realizzazioni della Più Grande Santa Foglia, la sorella di ‘Abdu’l-Bahá, l’ultima superstite dell’Età eroica della Fede. Bahíyyih Khánum svolse un ruolo di primaria importanza nel proteggere gli interessi della Causa dopo la morte del Maestro e divenne l’unico effettivo sostegno di Shoghi Effendi. La sua fedeltà evocò dalla sua penna i passi forse più commoventi che egli abbia mai scritto. Le parole che le rivolse dopo il suo trapasso nel 1932 sono contenute in una lettera ai bahá’í «di tutto il mondo», che fra le tante cose dice:
Solo future generazioni e penne più abili della mia potranno adeguatamente celebrare la torreggiante grandezza della sua vita spirituale, il ruolo ineguagliabile che ella svolse nei tumultuosi stadi della storia bahá’í, le espressioni di incondizionato elogio scaturite dalla penna di Bahá’u’lláh e di ‘Abdu’l-Bahá, il Centro del Suo Patto, non registrate e per lo più insospettate dalla massa dei suoi ardenti ammiratori in Oriente e in Occidente, la parte che ebbe nell’influenzare il corso di alcuni dei principali eventi degli annali della Fede, le sofferenze che sopportò, i sacrifici che fece, i rari doni di immancabile simpatia che così palesemente mostrò – questi fatti, e molti altri sono così inestricabilmente intessuti nella struttura della Causa che nessuno storico della Fede di Bahá’u’lláh potrà permettersi di ignorarli o sminuirli… Quali delle benedizioni dovrò narrare di cui ella nella sua inesauribile sollecitudine mi sommerse nelle ore più critiche della mia vita? Per me, che avevo un così urgente bisogno della vitalizzante grazia di Dio, ella fu il simbolo vivente di molti attributi che avevo imparato ad ammirare in ‘Abdu’l-Bahá.56
Per molti anni il Custode ritenne che la protezione della Causa esigesse che egli tacesse sul deterioramento della situazione della Santa Famiglia. Solo quando l’opposizione esplose in atti di aperta sfida, che alla fine coinvolsero la famiglia in una vergognosa tresca e perfino in matrimoni con membri della banda dei violatori del Patto contro la cui perfidia le Ultime Volontà e il Testamento del Maestro avevano messo in guardia con parole veementi, nonché con una famiglia del luogo profondamente ostile alla Causa, Shoghi Effendi si sentì costretto a denunciare al mondo bahá’í la natura dei misfatti con cui aveva a che fare.57
Questa triste storia è importante ai fini della comprensione della Causa nel Novecento non solo a causa di quella che il Custode chiamò la «devastazione» che portò nella Santa Famiglia, ma anche per la luce che getta sui problemi che la comunità bahá’í dovrà sempre più affrontare negli anni avvenire, problemi predetti in esplicito linguaggio tanto dal Maestro quanto dal Custode. A parte l’insincerità che caratterizzò fin troppi di loro, i parenti di Shoghi Effendi mostrarono di capire poco o punto la natura spirituale del ruolo conferito al loro congiunto nelle Ultime Volontà e Testamento. Che la Rivelazione di Dio all’era della maturità del genere umano dovesse portare con sé, fra le caratteristiche centrali della sua missione, un’autorità essenziale per la ristrutturazione dell’ordine sociale costituiva una sfida spirituale che essi sembrarono non poter, o non voler sforzarsi di comprendere. Il loro abbandono del Custode è una lezione che resterà ai posteri per tutti i secoli della Dispensazione bahá’í. La sorte di questo molto privilegiato ma indegno gruppo di esseri umani evidenzia a tutti coloro che ne leggono la storia il significato del Patto di Bahá’u’lláh ai fini dell’unificazione della razza umana e le sue inflessibili richieste a coloro che ne cercano l’asilo.
(Nell’esaminare gli eventi del ministero di Shoghi Effendi, i bahá’í devono immaginarsi di vedere attraverso i suoi occhi la natura della missione che gli era stata affidata. Per farlo abbiamo la guida del corpo di scritti da lui lasciati. ‘Abdu’l-Bahá proclamò in un gran numero di Tavole e discorsi il principio cardinale del messaggio di Bahá’u’lláh: «In questa mirabile Rivelazione, in questo secolo glorioso, le fondamenta della Fede di Dio e il tratto caratteristico della Sua Legge sono la consapevolezza del-l’Unità della Razza Umana».58 Come si è detto, ‘Abdu’l-Bahá era stato altrettanto categorico nell’affermare che i rivoluzionari cambiamenti in atto in ogni campo della vita umana rendevano ora l’unificazione del-l’umanità un obiettivo realistico. Questa visione fu la forza organizzatrice del lavoro di Shoghi Effendi nei trentasei anni del suo Custodiato. Le sue implicazioni furono il tema di alcuni dei più importanti messaggi che egli scrisse. Nel 1939 rivolgendosi agli amici in Occidente, indicò loro una brillante prospettiva:
Non cadiamo tuttavia nell’errore di credere che il principio dell’Unità del Genere Umano, asse attorno al quale ruotano tutti gli insegnamenti di Bahá’u’lláh, si limiti ad un mero scoppio di inconsapevole emotività e si configuri quale espressione di vaghe e pie speranze. Non si può identificare il suo appello come un semplice risveglio dello spirito di fratellanza e di buona volontà fra gli uomini, né esso mira soltanto a promuovere un’armoniosa cooperazione fra individui, popoli e nazioni. Vanno ben più a fondo le sue implicazioni, e molto più vaste di quelle che ai Profeti del passato fu concesso di annunciare sono le istanze che esso propone, ché il suo messaggio non è applicabile al solo individuo, ma ha attinenza anzitutto con quelle relazioni fondamentali che dovranno unire tutti gli Stati e le nazioni quali membri dell’unica umana famiglia… [esso] implica un’organica trasformazione nelle strutture dell’odierna società, un mutamento quale mai il mondo ha finora sperimentato… richiede niente meno che la riedificazione e il disarmo dell’intero mondo civilizzato, un mondo organicamente unificato in tutti gli aspetti essenziali della sua esistenza, nei meccanismi politici, nelle aspirazioni spirituali, nei commerci e nelle finanze, nella scrittura e negli idiomi, ma un mondo nel contempo sconfinato per la diversità delle caratteristiche nazionali delle sue unità confederate.59
Un concetto che si mostrò prepotentemente negli scritti del Custode è la metafora organica nella quale Bahá’u’lláh, e poi ‘Abdu’l-Bahá, avevano colto il processo millenario che aveva portato l’umanità a questo momento culminante della sua storia collettiva. Quell’immagine era l’analogia che si può scoprire tra gli stadi attraverso i quali l’umanità si è a poco a poco organizzata e integrata, da una parte, e il processo attraverso il quale ciascun essere umano lentamente si sviluppa dalle limitazioni dell’esistenza infantile verso i poteri della maturità, dall’altra. Essa si presenta cospicuamente in molti degli scritti di Shoghi Effendi sulla trasformazione che si sta verificando nel nostro tempo:
Le lunghe età dell’infanzia e della fanciullezza, che l’umanità ha dovuto passare, sono ormai finite, ed essa sta ora sperimentando i trambusti invariabilmente legati allo stadio più turbinoso della sua evoluzione, quella dell’adolescenza in cui toccano il loro apice l’ir-ruenza e l’ardore giovanile, per venir poi gradualmente sostituiti dalla tranquillità e dalla saggezza e maturità che caratterizzano lo stadio dell’età virile.60
La riflessione su questo ampio concetto doveva portare Shoghi Effendi a dare al mondo bahá’í una descrizione logica del futuro che ha poi permesso a tre generazioni di credenti in ogni parte del mondo di formulare chiaramente per i governi, per i mass media e per il pubblico la prospettiva nella quale la Fede bahá’í svolge la sua opera:
L’unità della razza umana, così com’è stata prevista da Bahá’u’lláh, implica la creazione di una confederazione mondiale entro la quale tutte le nazioni, le razze, i credi e le classi siano uniti intimamente e permanentemente e nella quale l’autonomia degli stati confederati e la libertà personale e l’iniziativa degli individui che li compongono siano definitivamente e completamente garantite. Questa confederazione, per quel che si può concepire, consiste in un corpo legislativo mondiale i cui membri, quali fiduciari dell’umanità intera, dovranno controllare tutte le risorse delle nazioni componenti, e promulgare le leggi necessarie per regolare la vita e le relazioni e soddisfare i bisogni di tutte le razze e di tutti i popoli. Un organo esecutivo mondiale, spalleggiato da un’armata internazionale, porterà a compimento le decisioni e applicherà le leggi promulgate da detta assemblea legislativa mondiale, garantendo l’unità organica dell’intera confederazione. Un tribunale mondiale giudicherà e pronunzierà i suoi verdetti finali e vincolanti per tutte le dispute che possano sorgere fra i vari elementi costituenti tale sistema universale… Le risorse economiche del mondo saranno organizzate e le fonti di materie prime saranno sfruttate e pienamente utilizzate; i mercati saranno coordinati e sviluppati, e la distribuzione dei prodotti regolata con equità e giustizia.61
Nell’interpretazione definitiva dell’Ordine Amministrativo che mise per iscritto nella «Dispensazione di Bahá’u’lláh», Shoghi Effendi menzionò particolarmente il ruolo che l’istituzione che egli rappresentava avrebbe svolto nel consentire alla Causa di «avere una lunga ininterrotta prospettiva su una serie di generazioni…». Questo incomparabile dono si espresse con particolare chiarezza nella sua descrizione della natura duale del processo storico che egli vedeva svolgersi nel Novecento. Lo scenario internazionale sarebbe stato sempre più rimodellato, disse, dalle due forze del-l’«integrazione» e della «disintegrazione», che sono entrambe al di fuori del controllo umano. Alla luce di quello che i nostri occhi vedono oggi, la sua previsione dell’operato di questo duplice processo ci lascia senza parole: la creazione di «un meccanismo per regolare le comunicazioni internazionali dell’intero pianeta… funzionante con rapidità sorprendente e regolarità perfetta»,62 l’indebolimento dello stato nazionale come principale arbitro dei destini umani, i devastanti effetti che l’incalzante cedimento morale in tutto il mondo avrebbe avuto sulla compagine sociale, la diffusa delusione prodotta dalla corruzione politica e, impensabile ad altri della sua generazione, la nascita di organismi globali deputati ad occuparsi della promozione del benessere sociale, del coordinamento delle attività economiche, della definizione di standard internazionali e dell’ incoraggiamento del senso della solidarietà fra le varie razze e culture. Questi e altri sviluppi, il Custode spiegò, avrebbero modificato radicalmente le condizioni nelle quali la Causa avrebbe proseguito la propria missione nei decenni avvenire.
Uno degli straordinari eventi di questo genere che Shoghi Effendi scoprì negli Scritti che era stato chiamato a interpretare riguardava il futuro ruolo degli Stati Uniti come nazione e, in misura minore, delle altre nazioni dell’emisfero occidentale. Le sue intuizioni sono tanto più rimarchevoli quando si ricordi che egli scrisse in un periodo della storia in cui gli Stati Uniti furono decisamente isolazionisti nella politica estera e nelle convinzioni della maggioranza dei suoi cittadini. Ma Shoghi Effendi vide il paese assumere una «parte attiva e decisiva… nell’organizzazione e nella composizione pacifica degli affari dell’umanità». Egli ricordò ai bahá’í la previsione di ‘Abdu’l-Bahá che, a causa dell’unicità della loro composizione sociale e del loro sviluppo politico – e non per «eccellenza intrinseca o merito speciale» del suo popolo – gli Stati Uniti avevano acquisito capacità che potevano loro permettere di «gettare, prima fra le nazioni, le basi dell’accordo internazionale». In effetti egli previde che i governi e i popoli dell’intero emisfero si sarebbero sempre più orientati verso questa direzione.63
Il ruolo che la comunità bahá’í deve svolgere per contribuire a realizzare questa consumazione del processo storico era stata prefigurata, agli inizi della Causa, nell’appello che il Báb rivolse ai Suoi seguaci:
O amici amatissimi! Siete gli araldi del nome di Dio in questo giorno…Siete gli umili di cui Dio ha così parlato nel Suo Libro: «E desideriamo concedere il Nostro favore a coloro che furono umiliati sulla terra e farne guide spirituali fra gli uomini e farne i Nostri eredi». A questo alto stadio siete stati chiamati, ma vi perverrete soltanto se calpesterete ogni desiderio terreno e cercherete di diventare quei «Suoi servi onorati che non parlano finché Egli non ha parlato e che eseguono i Suoi ordini»… Non curatevi delle vostre debolezze e della vostra fragilità, fissate lo sguardo sull’invincibile potere del Signore Iddio vostro, l’Onnipotente… Alzatevi in Suo nome, riponete la vostra fiducia interamente in Lui e siate certi della vittoria finale.64
Già nel 1923 Shoghi Effendi si sentì mosso ad aprire il cuore su questo tema agli amici nel Nord America:
Preghiamo Iddio che in questi giorni di tenebre universali, mentre le oscure forze della natura, dell’odio, della ribellione, dell’anarchia e della reazione minacciano la stabilità della società umana e i più preziosi frutti della civiltà sono sottoposti a severe e inaudite prove, ci sia dato di capire più profondamente che mai che, sebbene siamo un piccolo manipolo fra le brulicanti masse del mondo, noi siamo in questo giorno lo strumento prescelto della grazia di Dio, che la nostra missione è urgentissima e importantissima per le sorti dell’umanità e rafforzati da questo sentimento occupiamoci di conseguire il santo scopo di Dio per l’umanità.65
(Pienamente consapevole delle condizioni in cui la società si era ridotta, delle conseguenze del tradimento nei suoi confronti da parte di membri della famiglia sulla cui assistenza egli avrebbe dovuto contare e della relativa esiguità delle risorse disponibili nella comunità bahá’í, Shoghi Effendi incominciò a forgiare gli strumenti necessari allo svolgimento della missione che gli era stata affidata.
In una misura o nell’altra, la maggior parte dei bahá’í indubbiamente capivano che il significato delle Assemblee che venivano invitati a formare era molto più grande della gestione delle questioni pratiche di cui esse erano incaricate. ‘Abdu’l-Bahá, che aveva guidato questo sviluppo, aveva parlato di loro come:
…fulgide lampade e celestiali giardini, donde le fragranze della santità aleggiano su tutte le regioni, e le luci del sapere s’irradiano su tutte le cose create, e lo spirito della vita scorre in ogni direzione. In verità, esse sono le possenti fonti del progresso umano, in ogni momento e in qualunque circostanza.66
Ma toccò a Shoghi Effendi di aiutare la comunità a comprendere il posto e il ruolo di questi enti consultivi nazionali e locali nella struttura dell’Or-dine Amministrativo creato da Bahá’u’lláh ed elaborato nelle Ultime Volontà e Testamento del Maestro. Sotto questo aspetto un ostacolo per un discreto numero di amici fu l’ingiustificato presupposto di molti di loro che la Causa fosse essenzialmente un’associazione «spirituale» e che dunque l’organizzazione, anche se non antitetica, non era una caratteristica intrinseca dello scopo divino. Evidenziando che il Kitáb-i-Aqdas e le Ultime Volontà e Testamento «non solo.. sono complementari, ma… si confermano altresì a vicenda, come parti inseparabili di una completa unità»,67 il Custode invitò i credenti a riflettere profondamente su una verità centrale della Causa che avevano abbracciato:
Pochi vorranno disconoscere che lo Spirito infuso da Bahá’u’lláh nel mondo e che si sta manifestando in vario grado mercé i consapevoli sforzi dei Suoi sostenitori dichiarati e indirettamente grazie ad alcune organizzazioni umanitarie, mai potrà permeare il genere umano ed esercitare su di esso un durevole influsso, a meno che e fintanto che non si concretizzi in un Ordine visibile, che si fregi del Suo nome, si identifichi pienamente con i suoi principi e operi in conformità alle sue Leggi.68
Egli prosegue raccomandando ai seguaci della Fede di comprendere la differenza essenziale fra la Causa di Bahá’u’lláh, i cui Testi rivelati contengono provvedimenti dettagliati per questo autorevole Ordine, e le Rivelazioni propedeutiche, le cui Scritture avevano largamente taciuto sul tema dell’amministrazione delle cose e dell’interpretazione dell’intento dei loro Fondatori. Nelle parole di Bahá’u’lláh: « Il Ciclo Profetico si è veramente chiuso. La Verità Eterna è ora apparsa. Egli ha innalzato l’Insegna del Potere…».69 Diversamente dalle Dispensazioni del passato, la Rivelazione di Dio a questa era ha dato origine, disse Shoghi Effendi, a «un organismo vivo», le cui leggi e istituzioni costituiscono «gli elementi essenziali di un’Economia Divina», un «modello per la società futura» e lo «strumento supremo per l’unificazione del mondo e la proclamazione del regno della rettitudine e della giustizia sulla terra».70
Perciò gli amici dovevano sforzarsi di comprendere, raccomandò il Custode, che le Assemblee Spirituali che essi stavano infaticabilmente fondando in tutto il mondo precorrevano le «Case di Giustizia» locali e nazionali previste da Bahá’u’lláh. Come tali, esse erano parte integrante dell’Ordine Amministrativo che, a suo tempo, «affermerà i suoi pregi e dimostrerà la sua capacità di essere considerato non solo il nucleo, ma altresì il vero e proprio modello del Nuovo Ordine Mondiale, destinato ad abbracciare, nella pienezza dei tempi, l’intera umanità».71
Nelle giovani comunità dell’Occidente, questo allontanamento dalle idee tradizionali della natura e del ruolo della religione fu per alcuni una prova troppo grande e le comunità bahá’í ebbero il dolore di vedere apprezzati collaboratori allontanarsi alla ricerca di attività spirituali più congeniali alle loro inclinazioni. Ma per la vasta maggioranza dei credenti i grandi messaggi della penna del Custode, come «La meta di un nuovo Ordine Mondiale» e «La Dispensazione di Bahá’u’lláh» gettarono una luce brillante sul tema che più li interessava, il rapporto fra la verità spirituale e lo sviluppo sociale, ispirando loro la determinazione di contribuire alla costruzione delle fondamenta del futuro dell’umanità.
Il Custode fornì anche l’immagine organizzativa di questa imponente opera. L’«Età eroica» della Dispensazione di Bahá’u’lláh, dichiarò, era finita con il trapasso di ‘Abdu’l-Bahá. La comunità bahá’í era ora entrata nell’«Età di ferro», l’«Età formativa», durante la quale l’Ordine Amministrativo sarebbe stato eretto in tutto il pianeta, le sue istituzioni sarebbero state fondate e i poteri «di costruire una società» inerenti in esso sarebbero stati pienamente rivelati. Nel lontano futuro si trovava quella che Shoghi Effendi chiamò l’«Età dell’oro» della Dispensazione, che avrebbe comportato la nascita della Confederazione Mondiale bahá’í che rappresenterà l’insediamento del Regno di Dio sulla terra e la creazione di una civiltà mondiale.72 L’impulso inizialmente impartito alla coscienza umana mediante la rivelazione della Parola creativa, le cui rivoluzionarie implicazioni sociali erano state proclamate dal Maestro, era adesso tradotto dal loro interprete nominato nella terminologia della trasformazione politica ed economica in cui il pubblico discorso del secolo era dappertutto articolato. A impartire al processo una forza irresistibile, a illuminare le sempre nuove dimensioni dell’esperienza bahá’í e ad agire quale molla principale dell’unificazione del genere umano che essa proclamava, provvedeva il Patto che Bahá’u’lláh aveva istituito fra Se stesso e coloro che a Lui si rivolgono.
Anche se inizialmente ancora non erano chiamati «Assemblee Spirituali», i consigli che le comunità locali bahá’í in Persia erano state incoraggiate da ‘Abdu’l-Bahá a creare avevano assunto il compito di amministrare i loro affari. Alla luce di quello che seguì, chi ha il senso della storia non può non essere colpito dal fatto che la prima Assemblea Spirituale della Fede, quella di Teheran, fu fondata nel 1897, l’anno di nascita di Shoghi Effendi. Sotto la guida del Maestro, intermittenti riunioni tenute dalle quattro Mani della Causa in Persia si erano a poco a poco trasformate in questa istituzione che fungeva contemporaneamente da «Assemblea Spirituale Centrale» della Persia e da corpo di governo della comunità locale della capitale. Al tempo del trapasso di ‘Abdu’l-Bahá., erano state fondate in Persia oltre trenta Assemblee Spirituali Locali. Nel 1922 Shoghi Effendi chiese la formale istituzione dell’Assemblea Spirituale Nazionale della Persia, cosa che fu rimandata fino al 1934 per la necessità di fare un censimento attendibile della comunità su cui basarsi per l’elezione dei delegati.
Fuori dai confini della Persia, i credenti di ‘Ishqábád, nel Turkestan russo, elessero la loro prima Assemblea Spirituale Locale, un’istituzione che ebbe un importante ruolo nel progetto per la costruzione del primo Mashriqu’l-Adhkár in ‘Ishqábád. Nel Nord America analoghe funzioni erano svolte da una varietà di organizzazioni consultive, «Boards of Council (Commissioni conciliari)», «Council Boards (Commissioni conciliari)», «Boards of Consultation (Consigli di consultazione)» and «Working Committees (Comitati operativi)», le quali si trasformarono gradualmente in corpi eletti che precorsero le Assemblee Spirituali. Al tempo del trapasso del Maestro, nel Nord America funzionavano una quarantina di tali consigli. Questi sviluppi aprirono la strada alla nascita della prima Assemblea Spirituale Nazionale dei bahá’í degli Stati Uniti e del Canada, che nacque dalla «Commissione per l’unità del Tempio», un’istituzione creata nel 1909 per coordinare la costruzione della futura Casa di culto. Essa fu formata nel 1923, sebbene i requisiti amministrativi stabiliti dal Custode si siano realizzati solo nel 1925. Prima di questa data, Assemblee Nazionali erano state istituite nelle isole Britanniche, in Germania e Austria, in India e Birmania, nonché in Egitto e Sudan.73
Con la formazione delle prime Assemblee Spirituali Nazionali e Locali, il Custode incominciò a sottolineare l’importanza che esse ottenessero il riconoscimento come «personalità giuridiche» secondo la legge civile. Ottenendo questo riconoscimento formale, comunque fosse realizzabile, le istituzioni amministrative bahá’í avrebbero potuto essere intestatarie di proprietà, firmare contratti e a poco a poco esercitare molti diritti legali essenziali per gli interessi della Causa. L’importanza che Shoghi Effendi attribuì a questo nuovo stadio dell’evoluzione amministrativa è evidente dalle fotocopie di questi atti legali che incominciarono a essere un elemento importante del materiale fotografico relativo all’espansione della Fede nella serie dei volumi The Bahá’í World. Anzi, quando si rientrò in possesso della Magione di Bahjí e la si restaurò fino a riportarla alle condizioni originarie arredandola convenientemente, Shoghi Effendi mise assieme una raccolta di questa preziosa documentazione per esibirvela per l’incorag-giamento e l’educazione del crescente flusso di pellegrini che si riversavano nel Centro Mondiale.
Il processo di riconoscimento civile ebbe inizio nel 1927 con l’ado-zione di un Atto costitutivo e di uno Statuto dell’Assemblea Spirituale Nazionale degli Stati Uniti e del Canada, che due anni dopo fu riconosciuta come consorzio volontario. Il 17 febbraio 1932 la prima Assemblea Locale bahá’í, quella di Chicago, adottò per il riconoscimento documenti che, assieme a quelli adottati da New York il 31 Mirza dello stesso anno, dovevano diventare un modello per la stesura di analoghi strumenti in tutto il mondo. Nel 1949 l’Assemblea Spirituale Nazionale dei bahá’í del Canada, formatasi un anno dopo la separazione delle due comunità nordamericane, riuscì a ottenere il riconoscimento formale del suo stato giuridico secondo la legge civile attraverso uno speciale atto del Parlamento, una vittoria che Shoghi Effendi definì «un atto senza precedenti negli annali della Fede, tanto in Occidente quanto in Oriente».74
Queste pressanti esigenze amministrative non distrassero Shoghi Effendi da altri compiti essenziali per la formazione della vita spirituale di una comunità globale. La più importante era l’arduo lavoro che solo lui poteva compiere consentendo alla crescente massa di credenti che non erano di origine persiana un diretto e attendibile accesso agli Scritti dei Fondatori della Fede. Le Parole Celate, il Kitáb-i-Íqán, il preziosissimo tesoro raccolto con tanto amore e sagacia sotto il titolo di Gleanings from the Writings of Bahá’u’lláh (Spigolature dagli Scritti di Bahá’u’lláh), Prayers and Meditations of Bahá’u’lláh (Preghiere e Meditazioni di Bahá’u’lláh) e l’Epistola al Figlio del Lupo fornirono il nutrimento spirituale di cui il lavoro per la Causa aveva urgente bisogno, come anche la sua edizione e traduzione della «Narrazione» di Nabíl intitolata The Dawn-Breakers (Gli Araldi dell’Aurora).
I pellegrini bahá’í trovarono un arricchimento spirituale d’altro genere nei Luoghi santi e nei siti storici che il Custode acquistò – spesso al prezzo di lunghi ed estenuanti negoziati – e amorevolmente restaurò. Shoghi Effendi fu altrettanto attento alle inattese opportunità che si presentarono al suo senso della storia. Nel 1925, un tribunale religioso sunnita in Egitto negò il riconoscimento civile ai matrimoni contratti fra donne musulmane e uomini bahá’í, insistendo che «La Fede bahá’í è una nuova religione, del tutto indipendente» e che «nessun bahá’í può pertanto essere considerato musulmano» (e pertanto qualificato a unirsi in matrimonio con una donna che lo fosse).75 Appigliandosi alle più vaste implicazioni di questa apparente sconfitta, il Custode fece ampio uso del giudizio definitivo del tribunale per confermare le affermazioni della Causa in ambienti internazionali di essere una fede indipendente, separata e distinta dalle proprie radici islamiche.
(Mentre la comunità bahá’í costruiva le basi amministrative che le avrebbero permesso di prendere attivamente parte alle cose umane, l’incalzante processo di disintegrazione che Shoghi Effendi aveva identificato distruggeva la struttura dell’ordine sociale. Le sue origini, pur decisamente ignorate da molti teorici della sociologia e della politica, incominciano, dopo parecchi decenni, a essere riconosciute nei convegni internazionali sui temi della pace e dello sviluppo. Nei nostri tempi non è più insolito incontrare in questi ambienti espliciti riferimenti al ruolo essenziale che le forze «spirituali» e «morali» devono svolgere nel conseguimento di risoluzioni di urgenti problemi. Al lettore bahá’í questi tardivi riconoscimenti ricordano l’ammonimento rivolto da Bahá’u’lláh ai governanti delle cose umane oltre cent’anni fa: «La vitalità della fede degli uomini in Dio va spegnendosi in ogni paese… La corrosione dell’empietà sta distruggendo gli organi vitali della società umana…».76
La responsabilità di questa immane tragedia, il Custode sottolineò, ricade innanzi tutto sulle spalle dei capi religiosi del mondo. Bahá’u’lláh riserva la Sua più dura condanna a coloro che, con la presunzione di parlare in nome di Dio, hanno imposto alle credule masse una congerie di dogmi e di pregiudizi che sono stati il massimo ostacolo contro il quale il progresso della civiltà è stato costretto a lottare. Pur riconoscendo i servizi umanitari di innumerevoli membri del clero, Egli addita le conseguenze del modo in cui nel corso della storia sedicenti elite religiose si sono intromesse fra l’umanità e tutte le voci del progresso, compresi gli stessi Messaggeri di Dio. «Quale ‘oppressione’ più atroce», Egli chiede «di quella di un’anima che cerca la verità e, desiderando pervenire alla conoscenza di Dio, non sappia dove trovarla e presso chi cercarla?…».77 In un’era di progresso scientifico e di diffusa educazione popolare, gli effetti complessivi della conseguente delusione avrebbero fatto apparire irrilevante la fede religiosa. Impotenti loro stessi di affrontare la crisi spirituale, molti membri di quel clero di varie Fedi che vennero a conoscere il messaggio di Bahá’u’lláh o ignorarono l’influenza morale da esso dimostrata o gli si opposero attivamente.78
Riconoscere questo aspetto della storia non diminuisce il danno prodotto da coloro che hanno cercato di giovarsi del vuoto spirituale che si era così aperto. Il bisogno di credere è insopprimibile, una parte intrinseca di ciò che ci rende umani. Quando esso è bloccato o tradito, l’anima razionale è indotta a cercare un altro punto di riferimento, pur inadeguato e indegno, attorno al quale organizzare l’esperienza e avere ancora il coraggio di affrontare i rischi che sono un aspetto imprescindibile della vita. È sotto questa luce che Shoghi Effendi avvertì i membri della Fede, in termini insolitamente forti, che dovevano cercare di vedere la calamità spirituale nella quale gran parte dell’umanità stava affondando nei decenni fra le due guerre mondiali:
Dio Stesso è stato detronizzato dal cuore umano e un mondo idolatra appassionatamente e chiassosamente acclama e adora i falsi idoli, che le sue vane fantasie hanno stoltamente creato e le sue mani traviate hanno così empiamente innalzato…. I loro sommi sacerdoti sono i politici e gli esperti delle cose del mondo, i così detti saggi del secolo; il loro sacrificio, la carne e il sangue delle moltitudini massacrate; i loro incantesimi, dottrine antiquate e consunte formule insidiose e irriverenti; il loro incenso, il fumo del dolore che si leva dai cuori dilaniati dei familiari dei defunti, dei mutilati e dei senza tetto.79
Come infezioni opportunistiche, aggressive ideologie approfittarono della situazione creatasi con il declino della vitalità religiosa. Sebbene non si possano fare distinzioni fra loro quanto alla corruzione della fede che rappresentarono, i tre sistemi di credenza che svolsero un ruolo dominante nelle cose umane nel corso del Novecento differivano nettamente l’uno dall’altro nelle loro caratteristiche secondarie e più cospicue che il Custode mise in evidenza. Nel denunciare «le dottrine oscure, false e disoneste» che avrebbero portato la devastazione su chiunque «creda in esse», Shoghi Effendi segnalò specificamente le insidie dei «tre dei del Nazionalismo, del Razzismo e del Comunismo».80
Del regime fondatore del fascismo, creato nel 1922 dalla cosiddetta «Marcia su Roma», c’è ben poco da dire. Molto tempo prima che esso e il suo leader fossero spazzati via negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale, il fascismo era divenuto oggetto di scherno perfino fra la maggior parte di coloro che l’avevano originariamente sostenuto. Esso è invece importante per la schiera di imitatori che generò e che, nei decenni successivi, sarebbero proliferati in tutto il mondo come una maligna serie di mutanti. Alimentata da una monomania nazionalistica, questa aberrazione dello spirito umano deificava lo stato, scopriva dappertutto immaginarie minacce alla sopravvivenza nazionale dell’infelice popolo al quale si era attaccata e predicava a chiunque lo ascoltasse la nozione che la guerra esercita un’influenza «nobilitante» sull’anima dell’uomo. La tragicomica parata di uniformi, stivali di cuoio, bandiere e trombe abitualmente ad essa associata non può nascondere all’osservatore contemporaneo la virulenta eredità che ha lasciato ai nostri tempi, introducendo nel vocabolario politico termini così dolorosi come desaparecidos (gli scomparsi).
Pur condividendo con il fascismo l’idolatria dello stato, l’ideologia nazista, sua sorella, si fece portavoce di una perversione ben più antica e insidiosa. La sua essenza era un’ossessione per quella che i suoi proponenti chiamavano «purezza razziale». La monomaniacale determinazione con cui essa perseguì i suoi sanguinari scopi non fu in alcun modo indebolita dalla dimostrabile falsità dei postulati su cui si fondava. Il sistema nazista fu unico nella pura bestialità dell’atto più comunemente associato al suo nome, il programma di genocidio sistematicamente perseguito contro popolazioni considerate o prive di valore o dannose al futuro del-l’umanità, un programma che prevedeva il deliberato tentativo di sterminare l’intero popolo ebraico. Infine, il fermo proposito nazista che una «razza padrona» di sua invenzione avrebbe dovuto dominare l’intero pianeta fu responsabile della realizzazione del profetico avvertimento di ‘Abdu’l-Bahá, che il mondo sarebbe stato devastato da un’altra guerra, ancor più terribile della prima. Come il fascismo, anche il nazismo ha lasciato dei postumi nei nostri tempi. In questo caso, si tratta di linguaggi e simboli mediante i quali frange di elementi della presente società, demoralizzati dalla decadenza economica e sociale e disperati per la mancanza di soluzioni, sfogano la loro rabbia impotente su minoranze che essi incolpano delle loro delusioni.
Il falso dio, che il Maestro identificò esplicitamente e che Shoghi Effendi denunciò chiamandolo per nome, aveva dimostrato la propria natura fin da principio, distruggendo brutalmente verso la fine della prima guerra mondiale il primo governo democratico formatosi in Russia. Per molti anni, il sistema sovietico creato da Valdimir Lenin riuscì a presentarsi a molti come un benefattore dell’umanità e il paladino della giustizia sociale. Alla luce dei fatti storici, queste pretese sono grottesche. I documenti ora disponibili forniscono prove inconfutabili di crimini così immani e di follie così abissali da non avere riscontro nei seimila anni della storia documentata. La cospirazione leninista contro la natura umana compì sistematici tentativi di distruggere la fede in Dio che nessuno aveva mai prima immaginato o tanto meno azzardato. Qualunque opinione abbia sulla situazione, nessun teorico della politica può sorprendersi del fatto che quella deliberata violenza contro le radici delle motivazioni umane comportò inesorabilmente la rovina economica e politica delle società che ebbero la sventura di cadere sotto il dominio sovietico. Tragicamente il suo effetto spirituale a lungo termine fu di piegare al servizio del proprio amorale programma le legittime aspirazioni alla libertà e alla giustizia di popoli assoggettati di tutto il mondo.
Dal punto di vista bahá’í, che l’umanità adori idoli di propria invenzione non è importante per i fatti storici associati a queste forze, per quanto orripilanti, ma per la lezione che ha insegnato. Nell’esaminare il mondo crepuscolare nel quale quelle forze demoniache si profilarono sul futuro dell’umanità, dobbiamo chiederci quale debolezza abbia reso la natura umana vulnerabile a queste influenze. Aver visto la figura di un «Uomo del destino» in uno come Benito Mussolini, essersi sentiti obbligati a vedere nelle teorie razziali di Adolf Hitler altro che i lapalissiani prodotti di una mente malata, avere preso sul serio la reinterpretazione dell’esperien-za umana attraverso i dogmi che avevano dato origine all’Unione Sovietica di Giuseppe Stalin – una così volontaria rinuncia alla ragione da parte di un considerevole segmento della leadership intellettuale di una società deve una spiegazione ai posteri. Questo studio, se sarà compiuto spassionatamente, dovrà o prima o poi esaminare con attenzione una verità che percorre come un filo centrale le Scritture di tutte le religioni dell’umanità. Nelle parole di Bahá’u’lláh:
…nella realtà dell’uomo [Egli] ha accentrato la radiosità di tutti i Suoi nomi e attributi facendone lo specchio di Se Stesso… Ma queste energie… sono latenti in lui, come la fiamma è celata nella candela e i raggi della luce sono potenzialmente presenti nella lampada… Né la candela né la lampada possono accendersi senza aiuto e col loro solo sforzo, né può mai riuscire possibile allo specchio di liberarsi dalla patina.81
La conseguenza dell’infatuazione dell’uomo per ideologie che la sua mente aveva concepito doveva impartire un’accelerazione terrificante al processo di disintegrazione che stava disgregando la struttura della vita sociale e alimentando i più bassi impulsi della natura umana. L’abbruti-mento che la prima guerra mondiale aveva prodotto ora divenne un elemento onnipresente della vita sociale nella maggior parte del pianeta. «Così Noi abbiamo riuniti gli artefici d’iniquità», Bahá’u’lláh avvertì oltre cent’anni prima, «Li vediamo precipitarsi verso il loro idolo… Si affrettano verso il Fuoco dell’Inferno confondendolo con la luce».82
VIMENTRE LA STRUTTURA AMMINISTRATIVA della Causa stava prendendo forma, Shoghi Effendi rivolse la sua attenzione verso il compito che era stato costretto a rimandare tanto a lungo, l’esecuzione del Piano Divino del Maestro. In Persia lo sviluppo era già avanzato. Diretto prima da Bahá’u’lláh e poi da ‘Abdu’l-Bahá, un corpo di insegnanti specificamente designati, muballighín, stimolò il lavoro a livello locale in tutto il paese e l’esistenza di una vivace vita comunitaria giovò alla relativamente rapida integrazione dei nuovi dichiarati. I fondi dell’?uqúqu’lláh, rafforzati dalla pratica della deputazione, che era già allora una caratteristica consolidata della coscienza bahá’í persiana, fornirono il sostegno materiale per questa attività di insegnamento.
In Occidente, l’ispirazione ai fini della promozione della Fede era venuta dalla riposta agli appelli del Maestro di eminenti personaggi come Lua Getsinger, May Maxwell e Martha Root. Semplicemente menzionare questi nomi significa mettere in luce una caratteristica dello sviluppo della Causa in Occidente che il Maestro fece particolarmente notare:
In America, sotto questo aspetto le donne hanno vinto gli uomini e hanno preso la guida in questo campo. Esse lavorano più duramente per guidare le genti del mondo e i loro sforzi sono maggiori. Esse sono confermate dalle largizioni e dalle benedizioni divine.83
In Oriente, le condizioni sociali del tempo avevano praticamente imposto che le iniziative per la promozione della Fede fossero prese quasi sempre dagli uomini. Ma quelle limitazioni erano solo parzialmente presenti nel Nord America e in Europa, dove una galassia di indimenticabili donne divennero le principali esponenti del messaggio bahá’í sulle due sponde dell’Atlantico. Si pensi a Sarah Farmer, che con la sua scuola di Green Acre fornì alla giovane comunità bahá’í un luogo per presentare la Fede a influenti pensatori, a Lady Sara Blomfield, la cui posizione sociale dette maggior forza all’ardore con cui ella perorò gli insegnamenti, a Marion Jack, che Shoghi Effendi ha immortalato come un modello del pioniere bahá’í, a Laura Dreyfus-Barney, che ha dato alla Fede la preziosa raccolta dei discorsi alla mensa del Maestro, Le Lezioni di San Giovanni d’Acri, ad Agnes Parsons, che assieme a Louis Gregory fondò le iniziative «Race Amity (amicizia razziale)» ispirate da ‘Abdu’l-Bahá, a Corinne True, Keith Ransom-Kehler, Helen Goodall, Juliet Thompson, Grace Ober, Ethel Rosenberg, Clara Dunn, Alma Knobloch e a tutte le altre, la maggior parte delle quali furono pioniere in qualche nuovo campo di servizio bahá’í.
All’elenco si deve aggiungere il nome della regina Maria di Romania, alla quale i posteri plaudiranno perché fu la prima testa coronata che riconobbe la Rivelazione di Dio per questo giorno. Il coraggio dimostrato da questa donna sola nel dichiarare pubblicamente la propria fede, con le lettere che scrisse audacemente agli editori di molti giornali in Europa e nel Nord America, con ogni probabilità fece conoscere il nome della Causa a molti milioni di lettori.
Malgrado la notevole reazione prodotta da questi primissimi sforzi, la mancanza di un sistema organizzato per far tesoro dei risultati limitò inizialmente i benefici per le comunità bahá’í nei paesi occidentali. Lo sviluppo dell’Ordine Amministrativo cambiò drasticamente la situazione. Quando vennero alla luce le Assemblee Spirituali Locali, si incominciarono a stabilire delle mete, si resero disponibili somme di denaro per finanziare il lavoro personale di insegnamento e coloro che si dichiararono si trovarono a partecipare alle numerose attività di un’avvincente vita comunitaria bahá’í. Fu così possibile tradurre e pubblicare sistematicamente la letteratura, condividere le notizie di interesse generale e rafforzare i legami che univano i credenti al Centro Mondiale della Fede.
I due principali strumenti di cui Shoghi Effendi si servì per coltivare quella maggiore dedizione all’insegnamento in Oriente e in Occidente furono gli stessi di cui Si era servito il Maestro. Un costante flusso di lettere alle comunità e alle persone dischiuse ai destinatari nuove dimensioni del credo che avevano abbracciato. Ma ora le comunicazioni più importanti erano quelle indirizzate alle Assemblee Spirituali Nazionali e Locali. Il loro effetto fu rafforzato dal fiume di pellegrini che, al ritorno, condividevano con gli altri le idee ricevute dal diretto contatto con il Centro della Causa. Grazie a questi collegamenti, ciascun credente fu personalmente incoraggiato a considerarsi uno strumento del potere che fluiva attraverso il Patto. La preziosa compilazione che apparve con il titolo di Messages to America 1932-1946 (Messaggi al-l’America 1932-1946) trasmette una sintesi dei passi mediante i quali Shoghi Effendi fece comprendere sempre più a fondo le implicazioni del Piano Divino del Maestro per «la conquista spirituale del pianeta»:
Con la sublimità e la serenità della loro fede, con la fermezza e la chiarezza della loro visione, l’incorruttibilità del loro carattere, il rigore della loro disciplina, la santità della loro morale e l’incomparabile esempio della vita della loro comunità, essi possono, anzi devono, dimostrare – in un mondo inquinato da insanabili corruzioni, paralizzato da ossessionanti paure, lacerato da devastanti odi e languente sotto il peso di spaventose miserie – la validità della loro pretesa di essere considerati gli unici depositari di quella grazia dalla cui azione dipendono la completa liberazione, la fondamentale riorganizzazione e la suprema felicità di tutto il genere umano.84
Il Custode fornì alla comunità bahá’í nordamericana una visione del suo destino spirituale. I suoi membri, disse, erano «i discendenti spirituali degli eroi della Causa di Dio», le loro nascenti istituzioni «i simboli visibili dell’indiscussa sovranità della sua [Fede]», gli insegnanti e i pionieri da essa inviati «i tedofori di una futura civiltà», essa aveva l’arduo compito di assumere «una parte preponderante» nella costruzione delle fondamenta dell’Ordine Mondiale «che il Báb ha preannunciato, che la mente di Bahá’u’lláh ha immaginato, le cui caratteristiche ‘Abdu’l-Bahá, il suo Architetto, ha delineato…».85
Il linguaggio dei messaggi è magnifico, avvincente. Nel riconoscere l’oscurità generata dal diffondersi dell’empietà, della violenza e di una crescente immoralità, Shoghi Effendi descrisse il ruolo che i bahá’í di tutto il mondo dovevano svolgere per farsi strumento della capacità di trasformazione della nuova Rivelazione:
Mentre le ombre della notte scendono su tutta la razza umana fino ad avvolgerla completamente, essi hanno il dovere di tenere alta e sempre accesa la fiaccola della guida divina. Nonostante i tumulti, i pericoli e le sofferenze, essi hanno il compito di testimoniare la verità della visione e di proclamare l’imminenza di quella società ricreata, quel Regno promesso da Cristo, quell’Ordine Mondiale, il cui impulso generatore è lo spirito di Bahá’u’lláh in Persona, il cui dominio è l’intero pianeta, la cui parola d’ordine è l’unità, il cui potere animatore è la forza della Giustizia, il cui scopo direttivo è il regno della giustizia e della verità, la cui gloria suprema è la completa, indisturbata ed eterna felicità dell’intera razza umana.86
Nel 1936 il Custode giudicò la struttura amministrativa del Nord America sufficientemente ampia e consolidata per dare inizio al primo stadio dell’esecuzione del Piano Divino. Poiché il mondo andava verso un’altra conflagrazione globale e la libertà d’azione dei credenti persiani era gravemente limitata, l’attenzione si dovette necessariamente rivolgere verso l’espansione e il consolidamento della comunità bahá’í nell’emisfero occidentale in vista delle ben più grandi imprese che l’aspettavano. Rivolgendosi a coloro che erano stati nominati «esecutori» del Piano, i credenti nel Nord America, il Custode stilò un Piano settennale, che doveva durare dal 1937 al 1944. I suoi obiettivi furono la formazione di almeno un’Assem-blea Spirituale Locale in ogni stato degli Stati Uniti e in ogni provincia del Canada e l’apertura alla Causa di quattordici repubbliche dell’America Latina. A questi obiettivi fu aggiunto il compito, alquanto impegnativo per una comunità ancora così esigua che disponeva di risorse economiche così limitate, di completare l’ornamentazione esterna del «Tempio madre del-l’Occidente».
Rú?íyyih Khánum ha fatto notare un sorprendente parallelo fra due eventi di questo periodo storico. Da una parte, potenti nazioni spedivano eserciti invasori per impadronirsi delle risorse naturali di stati confinanti, o semplicemente per soddisfare smanie di conquista. Nello stesso periodo, Shoghi Effendi mobilizzava il penosamente piccolo manipolo di pionieri di cui disponeva e li avviava verso le mete di insegnamento del Piano da lui creato. In pochissimi anni, gli immani eserciti aggressori sarebbero stati irreparabilmente annientati, i loro nomi e loro vittorie cancellate dalla storia. Il manipolo di credenti partiti con il cuore in mano per svolgere la missione affidata loro dal Custode avrebbero raggiunto e superato tutti gli obiettivi, obiettivi che sarebbero presto divenuti la base di fiorenti comunità.87
Nell’esaminare questa impresa, è utile che i bahá’í comprendano non solo il ruolo della pianificazione nella vita della Causa, ma anche le caratteristiche peculiari che questo strumento assume nella sua espressione bahá’í. L’identificazione sistematica degli obiettivi da conseguire e delle decisioni da prendere su come conseguirli non significa che la comunità bahá’í si sia assunta il compito di «disegnarsi» il futuro, come il concetto di pianificazione abitualmente implica. Quello che le istituzioni bahá’í fanno è, invece, di orientare il lavoro della Causa secondo il processo mosso da Dio che essi vedono costantemente svolgersi nel mondo, un processo che alla fine raggiungerà lo scopo, indipendentemente dalle circostanze e dagli eventi della storia. L’Ordine Amministrativo ha il difficile compito di fare in modo che, con l’aiuto della Provvidenza, il lavoro bahá’í sia in armonia con questo grande Piano di Dio, perché così facendo le potenzialità che Bahá’u’lláh ha istillato nella Causa possono dare un frutto. Che le clausole del Kitáb-i-Aqdas e delle Ultime Volontà e Testamento di ‘Abdu’l-Bahá garantiscano il successo del lavoro dei bahá’í è brillantemente dimostrato dall’ininterrotta serie dei trionfi che hanno arriso ai piani creati da Shoghi Effendi.
Nell’agosto 1944, Shoghi Effendi poté acclamare il completamento del primo Piano settennale. Il Custode celebrò l’occasione offrendo ai bahá’í del mondo un dono che rappresenta una delle più grandi realizzazioni della sua vita. La pubblicazione nel 1944 di God Passes By (Dio passa nel mondo), la sua esaustiva storia ragionata dei primi cent’anni della Causa, incominciò a far comprendere ai credenti il processo spirituale attraverso il quale lo scopo di Bahá’u’lláh per il genere umano si sta realizzando.
La storia è un potente strumento. Nelle sue espressioni migliori, essa ci aiuta a comprendere il passato e a prevedere il futuro. Fa dono alla coscienza umana di eroi, santi e martiri il cui esempio risveglia in coloro che ne sono toccati capacità che non avevano immaginato di possedere. Aiuta a dare un significato al mondo e anche all’esperienza umana. Ispira, consola e illumina. Arricchisce la vita. Nel grande patrimonio di letteratura e di leggende che ha lasciato all’umanità, la mano della storia può essere vista all’opera mentre modella il corso della civiltà – nelle leggende che hanno ispirato gli ideali di tutti i popoli sin dall’alba dei tempi della memoria, come l’epopea del Ramayana, le avventure cantate dall’Odissea e dall’Eneide, dalle saghe nordiche, dallo Shahnameh e da gran parte della Bibbia e del Corano.
God Passes By (Dio passa nel mondo) innalza questo grande lavoro della mente a un livello sempre ardentemente ambito e mai raggiunto nelle ere passate. Coloro che si aprono alla sua visione vi scoprono una strada per comprendere lo Scopo di Dio, una strada che sfocia nei vasti spazi dischiusi dalle inimitabili traduzioni dei Testi rivelati fatte dal Custode. La sua comparsa in occasione del centenario della nascita della Causa, proprio mentre il mondo bahá’í celebrava il successo del primo sforzo collettivo che aveva compiuto, rievocò ai credenti in tutto il mondo tutta la maestà e il significato di cent’anni d’incessante sacrificio.
(Relativamente presto nel corso della seconda guerra mondiale, il Custode presentò quel conflitto ai bahá’í da un punto di vista assai diverso da quello prevalente. La guerra doveva essere considerata, disse, il «diretto proseguimento» della conflagrazione esplosa nel 1914. Sarebbe stata in futuro considerata il «presupposto essenziale per l’unificazione mondiale». L’entrata in guerra degli Stati Uniti, il cui presidente aveva dato avvio al progetto di un sistema di ordine internazionale, ma che aveva poi respinto la lungimirante iniziativa, avrebbe portato quella nazione, previde Shoghi Effendi, ad «assumersi attraverso le avversità una parte preponderante del compito di costruire, finalmente, fondamenta ampie, mondiali, inattaccabili per quel Sistema tenuto in scarsa considerazione eppure immortale».88
Queste parole furono profetiche. Cessate le ostilità, divenne a poco a poco evidente che in tutto il mondo si stava verificando un fondamentale cambiamento delle coscienze e che i presupposti, le istituzioni e le priorità ereditati dal passato, progressivamente sgretolati dalle forze in atto nella prima metà del secolo, stavano ora crollando. Anche se quel cambiamento non poteva ancora essere definito un’emergente convinzione dell’unità del genere umano, nessun osservatore obiettivo potrebbe ignorare il fatto che gli ostacoli che ne impedivano la realizzazione e che nella prima parte del secolo avevano resistito a ogni assalto stavano alla fine cedendo. Ritornano alla mente le profetiche parole del Corano: «E vedrete i monti e penserete che siano saldi, ma passeranno come passano le nubi». (LXXVIII, 20) L’effetto fu di ispirare nelle menti progressiste un senso di fiducia nella possibilità di costruire un nuovo tipo di società che avrebbe non solo preservato a lungo la pace nel mondo, ma anche arricchito la vita di tutti i suoi abitanti.
Questa nuova speranza era nata principalmente, come Shoghi Effendi aveva previsto, dalla «durissima ordalia» che era alla fine riuscita a «creare quel senso di responsabilità» che i leader avevano prima cercato di evitare.89 A questa nuova consapevolezza si erano aggiunti gli effetti dei timori suscitati dall’invenzione di nuovi ordigni bellici, una reazione che ci ricorda le preveggenti parole del Maestro in Nord America: la pace sarebbe finalmente venuta perché le nazioni sarebbero state costrette ad accettarla. Il Montreal Daily Star aveva citato queste Sue parole: «[La pace] sarà universale nel ventesimo secolo. Tutte le nazioni vi saranno costrette».90 Gli anni successivi al 1945 videro un progresso nella formulazione del nuovo ordine sociale che superò di molto le più rosee speranze dei decenni precedenti.
Ma la cosa più importante fu che i governi nazionali furono disposti a creare un nuovo sistema di ordine internazionale e a conferirgli il potere di pacificazione che era stato così tragicamente negato alla defunta Società delle Nazioni. Riuniti nell’aprile 1945 a San Francisco, nello stato in cui ‘Abdu’l-Bahá aveva profeticamente dichiarato: «Possa la prima bandiera della pace internazionale essere innalzata in questo stato», i delegati di cinquanta nazioni adottarono la Carta dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, il nome per essa proposto dal presidente Franklin D. Roosvelt.91 Nell’ottobre successivo l’atto fu ratificato dal richiesto numero di stati membri e la prima Assemblea generale della nuova organizzazione fu tenuta il 10 gennaio 1946 a Londra. Nell’ottobre 1949 la prima pietra della sede permanente delle Nazioni Unite fu posata a New York, che trentasette anni prima ‘Abdu’l-Bahá aveva proclamato «Città del Patto». Durante la Sua visita alla città aveva predetto: «È indubbio che… qui sarà innalzata la bandiera dell’accordo internazionale fino a spiegarsi dappertutto fra tutte le nazioni del mondo».92
Significativamente, fu anche per iniziativa di un politico di una di quelle nazioni dell’emisfero occidentale alle quali Bahá’u’lláh Si era rivolto, che il Suo invito alla sicurezza collettiva – rispecchiato per la prima volta nelle sanzioni nominali votate dalla Società delle Nazioni contro l’aggressione fascista dell’Etiopia – ebbe finalmente una risposta pratica. Nel novembre 1956, Lester Bowles Pearson, allora Ministro degli esteri e poi primo Ministro canadese, ottenne la creazione del primo corpo internazionale di pace delle Nazioni Unite, realizzazione che gli procurò il Premio Nobel per la pace.93 Nella seconda metà del secolo, la natura del-l’autorità contenuta in quel mandato sarebbe gradualmente apparsa fra le caratteristiche salienti delle relazioni internazionali. Iniziatosi come una politica di accordi fra stati ostili, il principio dell’azione collettiva in difesa della pace assunse a poco a poco la forma di intervento militare come quello della guerra del Golfo, quando l’obbedienza alle risoluzioni del Consiglio di sicurezza fu imposta con la forza a fazioni e stati aggressori.
Oltre alla formazione del nuovo sistema delle Nazioni Unite e ai passi per applicarne le sanzioni, vi fu una seconda grande innovazione. Ancor prima della cessazione delle ostilità, la gente di tutto il mondo rimase allibita davanti alle riprese cinematografiche della liberazione dei campi di sterminio nazisti, che mostrarono a tutti le agghiaccianti conseguenze del razzismo. Quello che può essere correttamente descritto soltanto come un profondo sentimento di vergogna davanti agli abissi di malvagità che l’umanità si era dimostrata capace di perpetrare scosse le coscienze. Approfittando di questa opportunità che si era per breve tempo offerta, un gruppo di uomini e donne devoti e preveggenti, sotto l’ispirata guida di personaggi come Eleanor Roosevelt, ottennero che le Nazioni Unite adottassero la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. L’impegno morale che essa rappresentava fu istituzionalizzato nella successiva creazione della Commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani. A suo tempo, la comunità bahá’í avrebbe avuto buone ragioni per apprezzare, di prima mano, l’importanza del sistema nella difesa delle minoranze contro i passati abusi.
Le due innovazioni furono sottolineate dalla decisione delle nazioni vittoriose nel recente conflitto di mettere sotto processo i principali personaggi del regime nazista. Per la prima volta nella storia i capi di una nazione sovrana – uomini che cercavano di sostenere la legittimità delle posizioni politiche che avevano occupato – furono trascinati davanti a un tribunale, i loro crimini furono implacabilmente esaminati e documentati, furono debitamente dichiarati colpevoli e coloro che non sfuggirono con il suicidio furono o impiccati o condannati a lunghi periodi di detenzione. Nessuna protesta fu sollevata contro questa procedura, che teoricamente rappresentava un fondamentale allontanamento dalle vigenti norme della legge internazionale. Sebbene l’integrità di questi processi sia stata gravemente compromessa dalla partecipazione di giudici nominati dalla dittatura sovietica i cui crimini furono altrettanto o ancor più gravi di quelli del regime degli imputati, l’atto stabilì un precedente storico. Dimostrò, per la prima volta, che il feticcio della «sovranità nazionale» aveva limiti riconoscibili e applicabili.
A partire da quegli anni, un antico sogno a lungo incompiuto incominciò a realizzarsi con la dissoluzione dei grandi imperi che non solo erano sopravvissuti al 1918, ma erano anche riusciti a estendere la loro influenza acquistando «mandati», «protettorati» e colonie carpiti alle potenze sconfitte. Ora, questi antiquati sistemi di oppressione politica furono travolti da una crescente ondata di movimenti di liberazione nazionale troppo forti perché le loro indebolite capacità vi si potessero opporre. Con stupefacente rapidità, tutti costoro rinunciarono volontariamente alle loro pretese oppure furono costretti dalle ribellioni coloniali ad accettare lo stesso destino che poco prima aveva travolto i loro predecessori ottomani e asburgici.
Improvvisamente, i popoli del mondo si trovarono a disporre di una sede dove presentarsi dignitosamente, di un forum nel quale esprimere le preoccupazioni che più li affliggevano e di un iniziale vago ruolo nel decidere del proprio futuro e di quello dell’umanità nel suo complesso. Si era compiuta una svolta che si lasciava alle spalle oltre seimila anni di storia. Al di là dei persistenti svantaggi educativi, delle iniquità economiche e degli ostacoli creati dalle manovre politiche e diplomatiche – al di là di questi limiti pratici ma storicamente transitori – una nuova autorità era al-l’opera nelle cose umane, un’autorità alla quale tutti avevano ragione di sperare di potersi in qualche modo appellare. I rappresentanti di popoli un tempo assoggettati, i cui guerrieri pittorescamente abbigliati avevano arricchito solo cinquant’anni prima le retroguardie del corteo del Giubileo di diamante a Londra, ora incominciavano a presentarsi al Consiglio di sicurezza come delegati e titolari di posti direttivi nelle Nazioni Unite e in organizzazioni non governative di ogni genere. Il più chiaro segno dell’am-piezza del cambiamento è forse il fatto che oggi il Segretario generale delle Nazioni Unite è un ghaniano e che i suoi immediati predecessori provenivano dall’Egitto e dal Perù rispettivamente.94
Il cambiamento non fu certo solo formale e amministrativo. Col passar del tempo, un numero crescente di eminenti personaggi di ogni sorta valicò gli abituali limiti dell’identità razziale, culturale o religiosa. In ogni continente del globo, nomi come Anna Frank, Martin Luther King Jr., Paolo Freire, Ravi Shankar, Gabriel Garcìa Marquez, Kiri Te Kanawa, Andrei Sakharov, madre Teresa di Calcutta e Zhang Yimou divennero fonte di ispirazione e incoraggiamento per molti dei loro concittadini.95 In ogni ambito della vita, l’eroismo, l’eccellenza professionale o la distinzione morale hanno sempre più potuto parlare per se stessi ed essere accettati dalla generalità degli esseri umani. Le manifestazioni di affetto e di gioia con cui il mondo intero accolse la liberazione di Nelson Mandela e la sua successiva elezione a presidente del suo paese confermano che la gente di ogni razza e nazione considera questi storici eventi una vittoria per l’intera famiglia umana.
Fu anche evidente che i concetti prebellici sull’uso e sulla distribuzione delle ricchezze dovevano essere riveduti. A parte i principi di giustizia sociale, che indubbiamente ispirarono molti di coloro che si dedicarono a questo compito, i dissesti economici prodotti dagli eventi dei tre precedenti decenni avevano chiarito a tutti che le misure vigenti erano antiquate e inefficaci. Alcuni tentativi di risolvere il problema erano stati compiuti a livello nazionale dopo la depressione degli anni ’30. Ora si incominciò prima a disegnare e poi a realizzare un sistema di istituzioni di collegamento orientate verso il riconoscimento del fatto che le economie nazionali sono elementi di un insieme globale. Il Fondo monetario internazionale, l’Accordo generale sulle tariffe e sui commerci, la Banca mondiale e altri organismi sussidiari incominciarono sia pure in ritardo a cimentarsi con le implicazioni di un mondo in via di integrazione e con i problemi relativi alla distribuzione delle ricchezze conseguenti a questo sviluppo. Gli uomini di pensiero dei paesi in via di sviluppo non tardarono a far notare che queste iniziative servivano soprattutto ai bisogni del mondo occidentale. Ma la loro nascita segnò un fondamentale cambiamento di direzione che avrebbe progressivamente consentito la partecipazione di un crescente numero di stati e istituzioni.
Un’iniziativa umanitaria di un genere mai prima concepito aprì un’ul-teriore dimensione dell’integrazione globale in atto. A partire dal «Piano Marshall» concepito dal governo degli Stati Uniti per riabilitare le nazioni europee devastate dalla guerra, le nazioni che erano in grado di farlo presero seriamente in considerazione una serie di programmi per favorire lo sviluppo socio-economico delle nazioni più giovani. La larga pubblicità suscitò un sentimento di solidarietà con il resto del mondo fra la gente dei paesi che avevano raggiunto livelli accettabili di istruzione, di assistenza sanitaria e di applicazioni tecnologiche. Questa ambiziosa iniziativa fu poi criticata a causa delle varie motivazioni che le furono attribuite. È innegabile d’altronde che i risultati a lungo termine dei progetti di sviluppo sono stati penosamente deludenti nella loro incapacità di colmare l’enorme abisso fra i ricchi e i poveri. Ma tutto questo nulla toglie al sentimento umanitario dei suoi obiettivi la cui più eloquente manifestazione fu la risposta suscitata fra moltissimi giovani idealisti di tutti i paesi.
Paradossalmente, soprattutto in Estremo Oriente, perfino la guerra ebbe un certo effetto liberatorio sulle coscienze. Già nel 1904 il conflitto russo-giapponese era stato visto in alcune parti dell’Oriente come un incoraggiante segno che i popoli non occidentali potevano resistere all’apparentemente invincibile potenza occidentale. L’effetto era stato confermato dagli eventi della prima guerra mondiale e poi molto rafforzato dal fatto che gli eserciti giapponesi erano riusciti a resistere a un così prolungato e massiccio sforzo occidentale inteso a sconfiggerli nel periodo 1941-1945. La seconda metà del secolo vide questa nuova perizia tecnologica dare origine a economie moderne in una mezza dozzina di nazioni di quella regione, nazioni che con i loro prodotti innovativi e la loro energia industriale, soprattutto nel campo dei trasporti e della tecnologia dell’informazione, furono in grado di tener testa al meglio che il resto del mondo poteva offrire.
(Nel 1946 la cessazione delle ostilità aveva spianato a Shoghi Effendi la strada per il lancio di un secondo Piano settennale, che approfittò della nuova recettività al messaggio della Fede prodotta dal mutamento delle coscienze già allora evidente. Ancora una volta la comunità bahá’í nordamericana fu invitata ad assumersi una difficile responsabilità, attingendo ai risultati del Piano precedente e potenziandoli. Ma la grande differenza era che ora anche molte altre comunità bahá’í erano in grado di partecipare. Già nel 1938 i bahá’í dell’India, Pakistan e Birmania si erano impegnati in un loro piano. E con la graduale cessazione delle ostilità internazionali, le Assemblee Spirituali Nazionali della Persia, delle Isole Britanniche, del-l’Australia e Nuova Zelanda, della Germania e Austria, dell’Egitto e Sudan e dell’Iraq – libere dalle limitazioni imposte loro dalla guerra – si dedicarono a progetti di varia durata per espandere la base dell’Ordine Amministrativo, insediare pionieri in mete interne ed estere e ampliare la letteratura bahá’í.
Nel 1953 tutte queste imprese erano state perfettamente completate. Si erano formate tre nuove Assemblee Spirituali Nazionali che avevano intrapreso piani d’insegnamento supplementari, in Europa si era formato un discreto numero di Assemblee Spirituali Locali, le iniziative intraprese da cinque comunità nazionali sotto la guida dell’Assemblea Spirituale Nazionale delle Isole Britanniche avevano comportato l’insediamento di pionieri in Africa Orientale e Occidentale e il grande progetto che aveva avuto inizio quando il Maestro aveva posato la prima pietra del Tempio madre dell’Oc-cidente era stato finalmente portato a termine.96
Prima che i credenti potessero celebrare queste realizzazioni, Shoghi Effendi svelò una nuova sfida di dimensioni sconcertanti. Spinto da forze storiche che solo lui era in grado di valutare, il Custode annunciò che il Ri?ván successivo avrebbe lanciato un Piano globale decennale che chiamò «Crociata spirituale». Esso impegnava le energie delle dodici Assemblee Spirituali Nazionali esistenti – la dodicesima delle quali era quella della comunità italo-svizzera – alle quali chiedeva l’introduzione della Fede in altri centotrentun paesi e territori, la formazione di quarantaquattro nuove Assemblee Spirituali Nazionali, trentatré delle quali dovevano ottenere il riconoscimento legale, un vasto incremento della letteratura bahá’í, la costruzione di Case di culto in Iran e in Germania (e quando il progetto di Teheran fu bloccato, la Casa di culto in Iran fu sostituita da due Templi, uno in Africa e uno in Australia) e l’aumento del numero delle Assemblee Spirituali Locali nel mondo fino a un totale di cinquemila, trecentocinquanta delle quali dovevano ottenere il riconoscimento legale. Nulla della precedente esperienza collettiva aveva preparato i bahá’í del mondo a un’impresa così colossale. L’entità della sfida fu spiegata da Shoghi Effendi in un cablogramma dell’8 ottobre 1952:
Sento che il momento è propizio per proclamare all’intero mondo bahá’í il lancio progettato… la fatidica, entusiasmante Crociata spirituale decennale che comporta… la partecipazione concordata di tutte le Assemblee Spirituali Nazionali del mondo bahá’í nell’intento di estendere immediatamente il dominio spirituale di Bahá’u’lláh… a tutti i restanti stati sovrani, i principali possedimenti compresi i principati, i sultanati, gli emirati, gli sceiccati, i protettorati, i territori soggetti ad amministrazione fiduciaria e le colonie della corona sparsi per tutto il pianeta. L’intero corpo dei devoti sostenitori della trionfante Fede di Bahá’u’lláh è ora invitato a compiere in un solo decennio gesta che eclissino la totalità delle realizzazioni che hanno dato lustro agli annali del pionierismo bahá’í nel corso dei precedenti undici decenni.97
Una vittoria in questa ambiziosa impresa avrebbe significato che la Fede si sarebbe estesa in tutto il globo, che le basi istituzionali del suo Ordine Amministrativo si sarebbero almeno quintuplicate e che la vita delle sue comunità si sarebbe arricchita per la partecipazione di credenti provenienti da un gran numero di culture, nazioni e tribù che non erano ancora state raggiunte.
In effetti il Piano chiedeva che la Causa facesse un gigantesco balzo avanti, che altrimenti avrebbe potuto richiedere molti stadi della sua evoluzione. Quello che Shoghi Effendi vide chiaramente – e che solo le capacità di preveggenza inerenti nel Custodiato potevano permettere di vedere – fu che una coincidenza storica di circostanze offriva alla comunità bahá’í un’occasione che non si sarebbe più ripresentata e dalla quale sarebbe dipeso il successo dei futuri stadi nel proseguimento del Piano Divino. Quello che egli non esitò a definire «l’invito del Signore degli eserciti» è contenuto in un messaggio che colpì l’immaginazione dei bahá’í di tutte le parti del mondo:
Per quanto lungo sia il periodo che li separa dalla vittoria finale, arduo il compito, laborioso lo sforzo richiesto, oscuro l’abisso che l’umanità, confusa e messa a durissima prova, in quest’ora di travaglio, deve attraversare e dolorose le prove che coloro che devono riscattarne le sorti dovranno affrontare… li supplico, per il prezioso sangue versato in tale profusione, per la vita che gli innumerevoli santi ed eroi hanno immolato, per il supremo, glorioso sacrificio del Profeta Araldo della nostra Fede, per le tribolazioni che il suo Fondatore fu disposto a sopportare, sì che la Sua Causa potesse vivere, il Suo Ordine potesse redimere un mondo smembrato e la sua gloria inondare l’intero pianeta – li supplico, nell’imminenza di quest’ora solenne, di decidere di non recedere, di non esitare, di non darsi riposo, finché tutti gli obiettivi dei Piani che saranno successivamente proclamati non siano stati completamente conseguiti.98
La risposta fu immediata. In pochi mesi i messaggi del Centro Mondiale incominciarono a comunicare la notizia di una serie di vittorie in un paese dopo l’altro. I pionieri che riuscirono a costituire il primo insediamento stabile in un paese o territorio furono chiamati «Cavalieri di Bahá’u’lláh» e i loro nomi scritti su un Albo d’onore che sarebbe poi stato deposto, per volontà del Custode, sotto la soglia all’ingresso del Mausoleo di Bahá’u’lláh. La prova più lampante della preveggenza della serie dei Piani di Shoghi Effendi fu il fatto che in tutti i nuovi stati nazionali nati dopo la seconda guerra mondiale le comunità bahá’í e le Assemblee Spirituali facevano già parte del tessuto della vita nazionale.
Una serie di brillanti realizzazioni seguì quelle iniziali. Nell’ottobre 1957, la Fede era già stata introdotta in oltre duecentocinquanta paesi e territori e Shoghi Effendi fu in grado di annunciare l’acquisto del terreno per dieci nuovi templi e l’inizio dei lavori per le Case di culto di Kampala, Sydney e Francoforte, l’acquisto di proprietà destinate a quarantasei delle previste ?a?íratu’l-Quds nazionali, un vasto incremento nella produzione della letteratura bahá’í, il riconoscimento legale di altre Assemblee per un totale di centonovantacinque, ulteriori riconoscimenti dei matrimoni e delle Festività bahá’í e lo stato dei lavori per gli Archivi Internazionali Bahá’í, il primo edificio eretto sull’ampio arco che il Custode aveva tracciato sulle pendici del monte Carmelo. Nell’esaminare gli eventi di quei giorni è impossibile non sentirsi profondamente commossi dalla cura materna con cui Shoghi Effendi ottenne il conseguimento di questi magnifici risultati, rispecchiati negli scrupolosi elenchi, che inserì nell’ultimo messaggio generale sulla Crociata che scrisse nell’aprile 1957, del nome di ciascuno dei sessantatre convegni e istituti regionali d’insegnamento che si volsero quell’anno nel mondo bahá’í.
Questo esame sarebbe incompleto se non tenesse conto dei contemporanei sviluppi dell’Ordine Amministrativo a livello internazionale voluti dal Custode in quegli anni. Questi passi furono cruciali ai fini non solo del successo della Crociata ma anche del consolidamento e della protezione del futuro della Causa. Accanto all’autorità decisionale devoluta alle istituzioni elettive della Fede, l’Ordine Amministrativo ha anche la funzione di esercitare un’influenza spirituale, morale e intellettuale su queste istituzioni e sulla vita dei singoli membri della comunità. Concepito da Bahá’u’lláh, il compito «di diffondere le fragranze Divine, edificare le anime degli uomini, promuovere il sapere, migliorare il carattere di tutti gli uomini…» è conferito dalle Ultime Volontà e Testamento del Maestro specificamente alle Mani della Causa di Dio.99
Durante i ministeri di Bahá’u’lláh e di ‘Abdu’l-Bahá, i credenti investiti di questo alto rango avevano svolto un ruolo cruciale nella promozione del lavoro di insegnamento in Oriente. Mentre il disegno della Crociata decennale prendeva forma nella sua mente, Shoghi Effendi si mosse per mobilitare il sostegno spirituale che questa istituzione poteva offrire allo svolgimento dei compiti del Piano. In un cablogramma del 24 dicembre 1951, egli annunciò la nomina del primo contingente di dodici Mani della Causa di Dio, assegnate equilibratamente al lavoro in Terra Santa, in Asia, nelle Americhe e in Europa. Questi illustri servitori della Causa furono invitati a concentrarsi direttamente sul compito di mobilitare le energie degli amici e di offrire incoraggiamento e consiglio alle istituzioni elette. A breve distanza di tempo il numero delle Mani della Causa fu portato da dodici a diciannove.
Le risorse disponibili per lo svolgimento di questo compito furono notevolmente accresciute nell’ottobre del 1952, quando il Custode decise di invitare le Mani della Causa a creare cinque consigli ausiliari, uno per continente: i consigli delle Americhe, dell’Europa e dell’Africa ebbero nove membri ciascuno, mentre quelli dell’Asia e dell’Australasia ne ebbero sette e due rispettivamente. In seguito furono creati consigli ausiliari separati per assistere nella protezione della Fede, l’altra delle due funzioni principali delle Mani della Causa.
Un messaggio del 3 giugno 1957 celebrò la decisione del governo israeliano di rendere esecutiva la decisione definitiva della corte d’appello del paese, in base alla quale i violatori del Patto superstiti dovevano essere finalmente sfrattati dall’?aram-i-Aqdas che circonda il Centro focale del mondo bahá’í a Bahjí.100 Ma già il giorno dopo un secondo allarmante cablogramma avvertiva le maggiori istituzioni della Fede della necessità di agire di concerto per proteggere quel Centro da nuovi pericoli che il Custode vedeva profilarsi all’orizzonte. Seguì in ottobre un messaggio che annunziava che il numero delle Mani della Causa di Dio era stato portato da diciannove a ventisette, chiamava questi alti funzionari «primi Sovrintendenti dell’embrionaria Confederazione Mondiale di Bahá’u’lláh» e li investiva del compito di consultarsi con le Assemblee Spirituali Nazionali sulle urgenti misure necessarie per proteggere la Fede.
Meno di un anno dopo, il mondo bahá’í era devastato dalla notizia della morte di Shoghi Effendi avvenuta il 4 novembre 1957 a causa delle complicazioni di un attacco di influenza asiatica contratta nel corso di una visita a Londra. Il Centro della Causa che per trentasei anni ne aveva guidato giorno dopo giorno l’evoluzione, la cui visione ravvisava il corso degli eventi e le azioni che la comunità bahá’í doveva compiere, i cui messaggi d’incoraggiamento erano stati l’ancora di salvezza per innumerevoli bahá’í in tutto il mondo, se ne era improvvisamente andato, lasciando la grande Crociata a metà e l’Ordine Amministrativo in crisi.
(Il dolore e l’opprimente senso di desolazione prodotti dalla perdita del Custode danno un significato ancor più grande al trionfo del Piano da lui concepito e ispirato. Il 21 aprile 1963, i voti dei delegati di cinquantasei Assemblee Spirituali Nazionali, comprese le nuove quarantaquattro istituzioni previste e felicemente formate durante la Crociata decennale, portarono in vita la Casa Universale di Giustizia, l’istituzione concepita da Bahá’u’lláh per governare la Causa, alla quale Egli assicurò inequivocabilmente la guida divina nell’esercizio delle sue funzioni:
Incombe ai Fiduciari della Casa di Giustizia di consultarsi sulle cose che non sono state esplicitamente rivelate nel Libro e di far valere ciò che è loro gradito. In verità Iddio ispirerà loro tutto ciò che vorrà ed Egli, in verità, è il Provvido, l’Onnisciente.101
Sembrò particolarmente adatto che l’elezione – fatta dai delegati riuniti e da quelli che votarono per posta – si svolgesse nella casa del Maestro, il quale aveva descritto quasi sessant’anni prima nelle Sue Ultime Volontà e Testamento l’intento e lo scopo dell’autorità conferita dalle parole di Bahá’u’lláh:
Tutti dovranno fare riferimento al Libro Più Sacro (il Kitáb-i-Aqdas) e tutto ciò che non vi è specificamente annotato deve essere riferito alla Casa di Universale Giustizia. Tutto ciò che questo consesso deciderà, sia all’unanimità, sia a maggioranza, sarà in verità la verità e il fine di Dio. Chiunque devia da esso appartiene invero a coloro che amano la discordia, danno prova di malizia e volgono le spalle al Signore del Patto.102
Nel 1951 Shoghi Effendi aveva compiuto un importante passo preliminare all’elezione, nominando i membri del Consiglio Internazionale che dovevano assisterlo nel suo lavoro. Nel 1961, come egli aveva spiegato che doveva essere, era stato compiuto il secondo passo del processo quando l’istituzione si trasformò in un Consiglio di nove membri, eletti dai membri delle Assemblee Spirituali Nazionali. Di conseguenza, nel 1963 quando la Crociata decennale si concluse vittoriosamente, il mondo bahá’í aveva già compiuto un’importante esperienza per il difficile atto che era ora chiamato a compiere.
Gli storici non esiteranno a riconoscere il merito di aver mobilitato lo sforzo che ha reso possibile quel momento alle Mani della Causa, le quali provvidero al coordinamento che la perdita della guida del Custode aveva tolto al mondo bahá’í. Viaggiando infaticabilmente per il mondo per promuovere il Piano di Shoghi Effendi, riunendosi in conclavi annuali per dare incoraggiamento e informazioni, ispirando le imprese dei loro rappresentanti da poco creati e parando i colpi di una nuova banda di violatori del Patto intenzionati a indebolire l’unità della Fede, questo piccolo gruppo di uomini e donne addolorati riuscirono a ottenere che gli ambiziosi obiettivi della Crociata fossero conseguiti nel tempo previsto e che fossero poste le necessarie basi per l’erezione dell’unità che doveva coronare l’Ordine Amministrativo. Chiedendo di non essere eletti alla Casa Universale di Giustizia per poter svolgere i servizi loro assegnati dal Custode, le Mani lasciarono un secondo grande patrimonio al mondo bahá’í, una distinzione spirituale che non ha riscontri nella storia umana. Non era mai successo che delle persone nelle cui mani era giunto il potere supremo di una grande religione e che godevano nella comunità di una considerazione che non aveva eguali chiedessero di non essere considerati per la partecipazione all’esercizio del potere supremo, mettendosi a completa disposizione dell’Istituzione eletta dalla comunità dei loro compagni di fede per svolgere quel ruolo.103
VIIPER QUANTO GRANDE SIA LA DISTANZA fra il Custodiato e il rango impareggiabile del Centro del Patto, il ruolo svolto da Shoghi Effendi dopo il trapasso del Maestro resta ineguagliato nella storia della Causa. Continuerà a occupare questa posizione centrale nella vita della Fede per tutti i secoli avvenire. Sotto importanti aspetti si può dire che Shoghi Effendi abbia protratto per altri trentasei critici anni l’influenza della mano direttrice del Maestro nella costruzione dell’Ordine Amministrativo e nell’espansione e nel consolidamento della Fede di Bahá’u’lláh. Si deve solo fare lo straordinario sforzo d’immaginare quale sarebbe stato il destino della giovanissima Causa di Dio se la persona che era stata a questo preparata da ‘Abdu’l-Bahá e che accettò di servire – nel vero senso della parola – come suo Custode non l’avesse tenuta fermamente in pugno, nel periodo della sua massima vulnerabilità.
Pur sottolineando al corpo dei suoi compagni di fede che i due Successori del Maestro erano «inseparabili» e «complementari» nelle funzioni che erano individualmente designati a svolgere, è chiaro che Shoghi Effendi accettò ben presto le conseguenze del fatto che la Casa Universale di Giustizia non sarebbe venuta all’esistenza prima che un lungo processo di sviluppo amministrativo avesse creato la necessaria struttura di supporto di Assemblee Spirituali Nazionali e Locali. Fu molto franco con la comunità bahá’í sulle implicazioni del fatto che egli era chiamato a esercitare la sua suprema responsabilità da solo. Nelle sue parole:
Separato dall’istituzione non meno essenziale della Casa Universale di Giustizia, il Sistema stesso del Testamento di ‘Abdu’l-Bahá si troverebbe ad essere paralizzato nella sua azione e quindi impotente a colmare i vuoti che l’Autore del Kitáb-i-Aqdas ha deliberatamente lasciato nell’insieme dei Suoi ordinamenti legislativi e amministrativi.104
Consapevole di questa verità, Shoghi Effendi agì con scrupoloso riguardo verso i limiti che le circostanze gli imponevano, una fedeltà che sarà motivo di orgoglio per i seguaci di Bahá’u’lláh per tutte le ere avvenire. La documentazione dei suoi trentasei anni di servizio alla Fede – una documentazione che, come quella di suo Nonno, è accessibile all’esame e alla valutazione della posterità – non contiene, come egli assicurò alla comunità bahá’í che avrebbe dovuto essere, alcuna azione da parte sua che in qualche modo abbia violato «il sacro dominio assegnato» alla Casa Universale di Giustizia. Shoghi Effendi non si limitò semplicemente a evitare di legiferare, egli riuscì a svolgere il suo mandato limitandosi a introdurre ordinanze provvisorie e lasciando ogni decisione su quei temi alla Casa Universale di Giustizia.
Questo riserbo è più evidente che mai nel tema centrale della successione nel Custodiato. Shoghi Effendi non ebbe eredi e gli altri rami della Santa Famiglia avevano violato il Patto. Gli Scritti bahá’í non contengono istruzioni per tale eventualità, ma le Ultime Volontà e Testamento spiegano esplicitamente come risolvere tutte le questioni che non siano chiare:
Questi membri (della Casa Universale di Giustizia) hanno l’obbligo di riunirsi in un determinato luogo e deliberare su tutti i problemi che siano stati causa di dissensi, su questioni che siano oscure e su argomenti che non siano espressamente menzionati nel Libro. Qualsiasi cosa essi decidano ha lo stesso effetto del testo stesso.105
Conformemente alle istruzioni della penna del Centro del Patto, Shoghi Effendi non si pronunziò, lasciando la questione del suo o dei suoi successori nelle mani dell’unica istituzione autorizzata a decidere in merito. La Casa Universale di Giustizia, cinque mesi dopo la sua elezione, chiarì l’argomento in un messaggio del 6 ottobre 1963, indirizzato a tutte le Assemblee spirituali nazionali:
Dopo devoto e attento studio dei Sacri Testi… e dopo lunghe considerazioni… la Casa Universale di Giustizia è giunta alla conclusione che non c’è modo di nominare un secondo Custode quale successore di Shoghi Effendi, o di legiferare per renderlo possibile.106
Nell’affrontare una missione per la quale la storia non gli offriva alcun precedente, Shoghi Effendi poteva cercare solo negli Scritti dei Fondatori della Fede e nell’esempio del Maestro la guida che il suo lavoro richiedeva. Non c’era un corpo di consiglieri ad aiutarlo a stabilire il significato dei Testi che egli doveva interpretare per una comunità bahá’í che aveva riposto in lui tutta la propria fiducia. Sebbene egli abbia letto molte delle opere pubblicate degli storici, degli economisti e dei pensatori politici, le sue ricerche poterono solo fornirgli la materia prima che la sua ispirata visione della Causa dovette poi organizzare. La fiducia e il coraggio necessari a indurre un’eterogenea comunità di credenti a intraprendere compiti che erano, obiettivamente, molto superiori alle loro capacità, si potevano trovare solo nelle risorse spirituali del suo cuore. Nessun osservatore spassionato del Novecento, per quanto scettico egli sia sulle pretese delle religioni, può non ammettere che l’integrità con cui un giovane poco più che ventenne accettò una responsabilità così onerosa – e la grandezza della vittoria che conseguì – sono una prova dell’immenso potere spirituale inerente nella Causa che egli difese.
Ammettere questo significa riconoscere che le capacità che il Patto aveva conferito al Custodiato non erano una sorta di magia. Il loro successo comportò, nelle commoventi parole di Rú?íyyih Khánum, un interminabile processo di verifiche, valutazioni e perfezionamenti. La precisione con cui Shoghi Effendi analizzò i processi politici e sociali nei primi stadi del loro sviluppo lascia senza parole e così la padronanza con cui la sua mente incamerò un caleidoscopio di eventi, della cronaca e della storia, collegandone le implicazioni allo sviluppo della Volontà della Provvidenza. Che quest’opera dell’intelletto sia stata eseguita su un piano di gran lunga superiore a quello sul quale la mente umana abitualmente agisce non rende lo sforzo meno reale o stressante. Anzi, data la comprensione della natura e della motivazione umana che era una caratteristica inseparabile dell’istituzione che Shoghi Effendi rappresentava, è vero proprio il contrario.107
A oltre quarant’anni dal trapasso di Shoghi Effendi, il significato a lungo termine della sua opera nell’evoluzione dell’Ordine Amministrativo ha incominciato a emergere con luminosa chiarezza. Se le circostanze fossero state diverse, le Ultime Volontà e il Testamento del Maestro avevano previsto la possibilità che uno o più successori seguissero nell’istituzione che Shoghi Effendi personificava. Ovviamente non possiamo entrare nella mente di Dio. Ma quello che è chiaro e innegabile è che, grazie alla sua autorità di interprete, eseguendo completamente – in ogni minimo aspetto e nel modo più ampio che si possa immaginare – il mandato che gli era stato affidato dal Maestro, Shoghi Effendi ha permanentemente fissato la struttura dell’Ordine Amministrativo, nonché il corso del suo futuro sviluppo. Altrettanto chiaro e innegabile è che la struttura e il corso rappresentano entrambi la Volontà di Dio.
VIIICOME SHOGHI EFFENDI AVEVA PROFETICAMENTE PREVISTO, le forze che indebolivano ogni genere di sistema e di convinzione ereditati dal passato continuarono ad avanzare parallelamente ai processi integrativi in atto nel mondo. Non è dunque una sorpresa che l’euforia generata dal ritorno della pace in Europa e in Oriente fu solo di breve durata. Le ostilità erano appena cessate che le divisioni ideologiche fra il marxismo e la liberal-democrazia esplosero in continui tentativi di assicurarsi il predominio da parte dei due blocchi di nazioni ad essi ispirate. Il fenomeno della «guerra fredda», per cui la lotta per la supremazia si fermava a un passo dal conflitto militare, fu il paradigma politico prevalente per parecchi decenni.
La minaccia rappresentata da una nuova crisi dell’ordine internazionale divenne ancor più grave per le innovazioni nella tecnologia nucleare e perché i due blocchi di nazioni erano riusciti a procurarsi un crescente spiegamento di ordigni di distruzione di massa. Le orribili immagini di Hiroshima e Nagasaki avevano rivelato a tutti la spaventosa possibilità che una serie di incidenti relativamente insignificanti, imprevisti come il processo messo in moto dall’episodio del 1914 a Sarajevo, potessero questa volta comportare l’annientamento di una parte considerevole della popolazione mondiale e rendere inabitabili vaste zone del globo. Ai bahá’í la prospettiva poté solo ricordare vividamente il cupo ammonimento pronunciato da Bahá’u’lláh qualche decennio prima: «Nel mondo esistono cose strane e stupefacenti, che sono celate alle menti e alla comprensione umana. Esse hanno il potere di modificare l’intera atmosfera terrestre e la loro contaminazione sarebbe esiziale».108
Ma di gran lunga la peggiore delle tragedie prodotte da questa recente contesa per il dominio del mondo fu la sventura che portò alle speranze con cui popolazioni un tempo assoggettate avevano accolto l’occasione che esse credevano fosse stata loro offerta di costruirsi una nuova vita secondo i loro progetti. L’ostinata determinazione di alcune delle potenze coloniali superstiti di reprimere quelle speranze, pur destinata al fallimento agli occhi di ogni osservatore obiettivo, non aveva lasciato al bisogno di libertà di molti paesi altra risorsa che trasformarsi in una lotta rivoluzionaria. Nel 1960, i movimenti di questo tipo, che erano già stati una caratteristica del panorama politico dei primi decenni del secolo, incominciarono a rappresentare la principale forma di attività politica indigena in molte nazioni assoggettate.
Poiché la forza motrice del colonialismo era lo sfruttamento economico, fu forse inevitabile che i movimenti di liberazione assumessero perlopiù un colore ideologico grossolanamente socialista. In pochissimi anni, queste circostanze avevano creato un fertile terreno di sfruttamento per le superpotenze mondiali. All’Unione Sovietica sembrò che la situazione le offrisse l’occasione per produrre uno spostamento nell’esistente allineamento delle nazioni ottenendo un’influenza preponderante in quello che da allora s’incominciò a chiamare «terzo mondo». La reazione dell’Occiden-te, ogniqualvolta gli aiuti per lo sviluppo non riuscivano a mantenere la lealtà delle popolazioni che li ricevevano, fu il ricorso all’incoraggiamento e al sostegno militare di tutta una serie di regimi autoritari.
Mentre i nuovi governi erano manipolati da forze esterne, l’attenzione si distolse sempre più dalla considerazione obiettiva dei bisogni dello sviluppo per orientarsi verso lotte ideologiche e politiche che avevano poco o punto a che fare con la realtà sociale ed economica. I risultati furono invariabilmente devastanti. Fallimenti economici, gravi violazioni dei diritti umani, insuccessi delle amministrazioni civili e lo sviluppo di elite di opportunisti che nelle sofferenze dei propri paesi vedevano solo un’occasio-ne per arricchirsi – questo fu il doloroso destino che colpì l’una dopo l’al-tra le nuove nazioni le quali, solo pochi anni prima, avevano incominciato la loro vita con così grandi promesse.
Queste crisi politiche, sociali ed economiche furono ispirate dalla crescita e dal consolidamento inesorabile di un morbo dell’anima umana infinitamente più distruttivo delle sue specifiche manifestazioni. Il suo trionfo segnò un nuovo, funesto stadio nel processo della degenerazione sociale e spirituale che Shoghi Effendi aveva scoperto. Generato dal pensiero europeo dell’Ottocento, giunto ad acquisire enorme influenza grazie alle realizzazioni della cultura capitalistica americana e rivestito dal marxismo della falsa credibilità tipica di quel sistema, il materialismo emerse in piena fioritura nella seconda metà del Novecento sotto forma di una sorta di religione universale che pretendeva l’autorità assoluta sulla vita personale e sociale dell’umanità. Il suo credo era semplicissimo. La realtà – compresa la realtà dell’uomo e il processo con cui essa evolve – è essenzialmente materiale. Lo scopo della vita umana è, o dovrebbe essere, la soddisfazione dei bisogni e dei desideri materiali. La società esiste per facilitare questa ricerca e l’impegno collettivo del genere umano dev’essere un continuo perfezionamento del sistema, nell’intento di renderlo sempre più efficiente ai fini dello svolgimento del compito che gli è stato assegnato.
Con la caduta dell’Unione Sovietica, la formulazione e la promozione di un formale sistema di credenze materialistico ha perso ogni impulso. D’altronde, gli sforzi in questo senso non sarebbero stati di alcuna utilità, perché ben presto e nella maggior parte dei paesi del mondo il materialismo non avrebbe dovuto affrontare alcuna sfida importante. La religione, quando non fu semplicemente ricondotta al fanatismo e a un irragionevole rifiuto del progresso, si ridusse progressivamente a una sorta di preferenza personale, una predilezione, un impegno inteso a soddisfare i bisogni spirituali ed emotivi delle persone. Il senso della missione storica che aveva caratterizzato le grandi Fedi imparò ad accontentarsi di dare un imprimatur religioso a campagne per il cambiamento sociale organizzate da movimenti secolari. Il mondo accademico, un tempo teatro delle grandi imprese della mente e dello spirito, si trasformò in una sorta di industria scolastica, preoccupata di gestire il proprio meccanismo di dissertazioni, simposi, finanziamenti e borse di studio per pubblicazioni.
Si presenti nella forma di una visione del mondo o di un semplice appetito, il materialismo riesce a eliminare dalle motivazioni – e perfino dagli interessi – umani gli impulsi spirituali che caratterizzano l’anima razionale. ‘Abdu’l-Bahá aveva detto: «Dato che l’egoismo è impastato nell’argilla dell’uomo, se non v’è la speranza di una sostanziosa ricompensa, è impossibile che egli trascuri il proprio attuale benessere materiale».109 In assenza della fede nella natura spirituale della realtà e nella realizzazione che solo questa convinzione può dare, non è una sorpresa scoprire nel cuore dell’attuale crisi della civiltà un culto dell’individualismo che sempre meno accetta freni e che innalza l’acquisizione e il progresso personale al livello dei grandi valori della cultura. La conseguente parcellizzazione della società ha segnato un nuovo stadio del processo di disintegrazione del quale gli scritti di Shoghi Effendi parlano con tanta insistenza.
Essere disposti ad accettare la rottura di tutti gli elementi, uno dopo l’altro, della struttura morale che guida e disciplina la vita personale in un sistema sociale è un modo frustrante di affrontare la realtà. Se gli uomini di pensiero volessero valutare con franchezza i segni prontamente disponibili, è qui che si trova la causa fondamentale di problemi apparentemente privi di reciproci rapporti come l’inquinamento ambientale, la crisi economica, la violenza etnica, la crescente apatia generale, il massiccio incremento della delinquenza e le epidemie che devastano intere popolazioni. Malgrado l’indiscussa importanza dell’uso di competenze legali, sociologiche o tecnologiche in questi problemi, non sarebbe realistico aspettarsi che questo tipo di tentativi possa produrre un’importante ripresa senza un fondamentale cambiamento della coscienza morale e dei comportamenti.
(I risultati che il mondo bahá’í ottenne in quegli stessi anni assumono una luce più brillante sullo sfondo di questo buio orizzonte. È impossibile esagerare il significato della realizzazione che portò all’esistenza la Casa Universale di Giustizia. Per quasi seimila anni l’umanità aveva sperimentato una pressoché illimitata varietà di metodi decisionali collettivi. Alla luce dell’esperienza del Novecento, la storia politica del mondo si presenta come una sempre mutevole scena nella quale non c’è stata possibilità che l’ingegno umano non abbia colto. Sistemi fondati sui principi più disparati come la teocrazia, la monarchia, l’aristocrazia, l’oligarchia, la repubblica, la democrazia e la quasi anarchia sono liberamente proliferati, accanto a infinite innovazioni che hanno cercato di combinare le più diverse caratteristiche positive di queste possibilità. Sebbene molte delle opzioni si siano prestate ad abusi di vario genere, la maggior parte di esse ha indubbiamente contribuito in varia misura a realizzare le speranze di coloro i cui interessi si presupponeva che avrebbero servito.
Durante questo lungo processo evolutivo, mentre popolazioni sempre più vaste e diverse venivano sotto il controllo dell’uno o dell’altro di questi sistemi di governo, la tentazione di un impero universale s’impadronì ripetutamente della mente dei Cesari e dei Napoleoni che ne dirigevano l’espansione. La conseguente serie di disastrosi fallimenti che hanno dato alla storia tanto della sua capacità di affascinare e spaventare, sembrerebbe essere una prova persuasiva del fatto che la realizzazione di quell’ambi-zione è al di sopra delle possibilità di ogni strumento umano, indipendentemente dalla misura delle risorse di cui esso disponga o della sua fiducia nel genio della propria particolare cultura.
Eppure è chiaro che l’unificazione dell’umanità in un sistema di governo che possa pienamente sprigionare le potenzialità latenti nella natura umana e consentirne l’espressione in programmi che giovino a tutti è il prossimo stadio dell’evoluzione della civiltà. L’unificazione fisica del pianeta nei nostri giorni e le nascenti aspirazioni delle masse dei suoi abitanti hanno finalmente prodotto le condizioni che permettono la realizzazione di questo ideale, sia pure in un modo ben diverso da quello che i sognatori imperiali del passato avevano immaginato. A questo sforzo i governi del mondo hanno offerto la fondazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, con tutti i suoi vantaggi, tutte le sue deplorevoli limitazioni.
In qualche punto del futuro si trovano gli ulteriori grandi cambiamenti che alla fine imporranno di accettare il principio del governo mondiale. Le Nazioni Unite non hanno questo mandato e negli attuali discorsi dei leader politici non c’è nulla che faccia seriamente prevedere una così radicale ristrutturazione dell’amministrazione degli affari del pianeta. Che essa si realizzerà a tempo debito, Bahá’u’lláh lo ha detto chiaramente. Che occorrano sofferenze e delusioni ancor più grandi perché l’umanità sia costretta a compiere questo grande balzo avanti appare purtroppo altrettanto chiaro. La sua instaurazione richiederà che i governi nazionali e gli altri centri di potere cedano incondizionatamente e irreversibilmente a un potere decisionale internazionale tutta la principale autorità implicita nella parola «governo».
Questo è il contesto nel quale i bahá’í devono cercare di capire la straordinaria vittoria riportata dalla Causa nel 1963 e consolidatasi negli anni successivi. Una piena comprensione del suo significato è al di sopra delle possibilità delle presenti e forse anche di molte delle future generazioni di credenti. Nella misura in cui si renderanno conto di questo significato, i bahá’í non si risparmieranno nella propria determinazione di servire al suo sbocciante scopo.
Il processo che è sfociato nell’elezione della Casa Universale di Giustizia – reso possibile dal vittorioso completamento dei primi tre stadi iniziali del Piano Divino del Maestro sotto la guida di Shoghi Effendi – costituisce probabilmente la prima elezione globale democratica. Ogni successiva elezione è stata condotta da un sempre più vasto e diversificato corpo di delegati eletti dalla comunità, fino a giungere al punto da rappresentare incontestabilmente la volontà di uno spaccato dell’intera razza umana. Non esiste nulla – e nessun gruppo di persone prevede qualcosa – che in qualche modo assomigli a questa realizzazione.
Se poi si pensa all’atmosfera spirituale che caratterizza le elezioni bahá’í e al comportamento basato sui principi che si richiede in ciascuna delle sue più semplici operazioni, si consegue una maggiore consapevolezza. Nella formazione della suprema istituzione di governo della nostra Fede, si assiste a un immane sforzo della capacità umana nell’intento di ottenere il compiacimento di Dio, una determinazione unita e ardente di non permettere che nulla, né i condizionamenti culturali, né gli impulsi del desiderio personale, macchi la purezza di questo atto finale collettivo. Oltre a questo l’uomo non può far altro. Con questo atto, l’umanità ha letteralmente fatto tutto ciò di cui è capace e Dio, nell’accettare questo sforzo consacrato da parte di coloro che hanno abbracciato la Sua Causa, conferisce all’istituzione così portata all’esistenza i poteri promessi nel Kitáb-i-Aqdas e nelle Ultime Volontà e Testamento di ‘Abdu’l-Bahá. Nessuna meraviglia dunque che ‘Abdu’l-Bahá abbia visto nel processo che avrebbe portato al momento storico culminante cui si giunse nel 1963, il centenario della dichiarazione della missione di Bahá’u’lláh, la realizzazione della visione del profeta Daniele: «Beato colui che sa aspettare e raggiunge i milletrecentotrentacinque giorni». Nelle parole del Maestro:
Poiché, secondo questo calcolo, un secolo passerà dall’alba del Sole della Verità, quindi gli insegnamenti di Dio saranno fermamente consolidati sulla terra e la luce divina si spanderà dall’oriente all’occiden-te. Allora, in questo giorno, il credente gioirà.110
Con l’instaurazione della Casa Universale di Giustizia, era apparsa la seconda delle due istituzioni della successione che ‘Abdu’l-Bahá aveva definito garanti dell’integrità della Causa. Il vasto corpo degli scritti del Custode e il modello della vita amministrativa da lui creato e indelebilmente impresso nella coscienza dei bahá’í avevano fornito al mondo bahá’í gli strumenti per assicurare un’intesa universale quanto all’intento della Rivelazione di Dio. Nella Casa Universale di Giustizia il mondo bahá’í aveva ora anche la massima autorità concepita da Bahá’u’lláh per l’esercizio delle funzioni decisionali dell’Ordine Amministrativo. Come spiegano le Ultime Volontà e Testamento, le due istituzioni sono congiuntamente oggetto della divina promessa di un’infallibile guida.
Il sacro e giovane ramo, il custode della Causa di Dio, e la Casa Universale di Giustizia, che sarà stabilita ed eletta universalmente, sono entrambi sotto la tutela e la protezione della Bellezza di Abhá, al riparo e sotto la guida infallibile dell’Eccelso (possa la mia vita essere offerta in olocausto per entrambi). Quel che essi decidono emana da Dio.111
Il rapporto fra questi due centri di autorità, Shoghi Effendi spiegò inoltre, è un rapporto di complementarità, per cui alcune funzioni sono condivise e altre sono specificamente assegnate all’una o all’altro. Ciò nonostante, egli si dette la pena di sottolineare che:
È… necessario che ogni credente comprenda chiaramente che l’i-stituzione del Custode non abroga in nessun caso né può minimamente diminuire i poteri da Bahá’u’lláh accordati nel Kitáb-i-Aqdas alla Casa Universale di Giustizia e più volte solennemente confermati da ‘Abdu’l-Bahá nel Suo Testamento. Non contraddice essa affatto alle Sue Ultime Volontà e agli Scritti di Bahá’u’lláh, né abroga alcuno dei Suoi ordini rivelati.112
Comprendere l’unicità di quello che Bahá’u’lláh ha creato significa aprire l’immaginazione al contributo che la Causa può offrire all’unificazione dell’umanità e alla costruzione di una società globale. La diretta responsabilità di instaurare un governo mondiale grava sulle spalle degli stati nazionali. Quello che ci si aspetta dalla comunità bahá’í in questo stadio dell’evo-luzione sociale e politica dell’umanità è che contribuisca con ogni strumento in suo potere alla creazione di condizioni che incoraggino e facilitino questa impresa di immane difficoltà. Come Bahá’u’lláh rassicurò i monarchi del Suo tempo che « Non è Nostro desiderio di mettere le mani sui vostri regni»,113 così la comunità bahá’í non ha programmi politici, si astiene dal partecipare ad attività di parte e accetta incondizionatamente l’autorità del governo civile nella cosa pubblica. Qualsiasi interesse bahá’í per le attuali condizioni o per i bisogni dei loro membri si esprime attraverso i canali costituzionali.
Il potere della Causa d’influenzare il corso della storia dipende non solo dalla potenza spirituale del suo messaggio ma anche dall’esempio che dà. «Tanto potente è la luce dell’unità», afferma Bahá’u’lláh, «che può illuminare il mondo intero».114 L’unità organica del corpo dei credenti personificata nella Fede non è, come evidenzia Shoghi Effendi, «un mero scoppio di inconsapevole emotività… espressione di vaghe e pie speranze». L’unità organica del corpo dei credenti e l’Ordine Amministrativo che la rende possibile sono segni di quella che Shoghi Effendi definì «il potere che la loro fede ha di riedificare la società».115 Espandendosi e diventando sempre più evidenti le capacità latenti nel suo Ordine Amministrativo, la Causa attrarrà sempre più l’attenzione degli uomini di pensiero, ispirando nelle menti progressiste la fiducia che i loro ideali si possono finalmente realizzare. Nelle parole di Shoghi Effendi:
Capi religiosi, esponenti di teorie politiche, dirigenti di istituzioni umane, oggi perplessi e sgomenti testimoni del fallimento delle loro idee e dello sgretolamento della loro opera, farebbero bene a rivolgere lo sguardo alla Rivelazione di Bahá’u’lláh e a riflettere su quell’Ordine Mondiale che, racchiuso nei Suoi insegnamenti, sta lentamente e impercettibilmente sorgendo frammezzo alla confusione e al disordine dell’odierna civiltà.116
Il loro esame si concentrerà sul potere che ha permesso che l’unità bahá’í fosse conseguita, consolidata e mantenuta. «Luce dell’uomo», dice Bahá’u’lláh, «è la Giustizia». Suo scopo, aggiunge, è «l’apparizione dell’unità fra gli uomini. L’oceano della saggezza divina spumeggia in questa sublime parola».117 Il nome di «Case di Giustizia» dato alle istituzioni che governeranno a livello locale, nazionale e internazionale l’Ordine Mondiale da Lui concepito rispecchia la centralità di questo principio negli insegnamenti della Rivelazione e della vita della Causa. Diventando la comunità bahá’í un elemento sempre più familiare della vita della società, la sua esperienza sarà una dimostrazione sempre più incoraggiante di questa legge cruciale nel risanamento degli innumerevoli malanni che, in ultima analisi, sono la conseguenza della mancanza di unità che affligge la famiglia umana. «Sappi in verità», spiega Bahá’u’lláh, «che queste grandi oppressioni che si sono verificate nel mondo lo preparano all’avvento della Suprema Giustizia».118 È chiaro che lo stadio culminante dell’evoluzione della società umana avrà luogo in un mondo assai diverso di quello che oggi conosciamo.
IXL’EFFETTO IMEDIATO della vittoria della Crociata decennale e dell’instaurazione della Casa Universale di Giustizia fu di impartire un potente impulso al progresso della Causa. Questa volta il progresso – che si ebbe praticamente in tutti gli aspetti della vita bahá’í – si presentò sotto forma di sviluppi ad ampio raggio che si possono meglio valutare considerando nel suo insieme l’intero periodo successivo al 1963. In questi cruciali trentasette anni il lavoro procedette velocemente su due binari paralleli: l’espansione e il consolidamento della comunità bahá’í e contemporaneamente una straordinaria crescita dell’influenza che la Fede incominciò a esercitare sulla vita della società. Malgrado la grande varietà delle attività bahá’í, la maggior parte di esse tesero a contribuire direttamente all’uno o all’altro di questi due grandi sviluppi.
Una decisione presa dalla Casa Universale di Giustizia agli inizi di questo periodo si dimostrò assai importante in tutti gli aspetti della crescita dell’insegnamento e dell’amministrazione. Quando ci si rese conto che Shoghi Effendi non avrebbe avuto successori, si comprese anche che non sarebbe più stato possibile nominare Mani della Causa. La grande importanza delle funzioni di questa istituzione ai fini del progresso della Fede era stata dimostrata con forza memorabile durante i sei inquieti anni fra il 1957 e il 1963. Di conseguenza nel giugno del 1968, in base al mandato che l’autorizzava a creare nuove istituzioni bahá’í119 a seconda delle necessità della Causa, la Casa di Giustizia creò i Corpi Continentali dei Consiglieri. Investita dell’autorità di protrarre nel futuro le funzioni di protezione e propagazione della Fede assegnate alle Mani della Causa, la nuova istituzione assunse il compito di guidare il lavoro dei già esistenti Consigli Ausiliari e si affiancò alle Assemblee Nazionali nell’as-sumersi le responsabilità relative alla promozione della Fede. Le grandi vittorie celebrate nel 1973 alla fine del Piano novennale, splendide già di per sé, rispecchiarono la straordinaria facilità con cui il nuovo ente amministrativo si era fatto carico dei propri doveri e il trasporto con cui era stato accolto dai credenti e dalle Assemblee. Quel momento vide un altro grande sviluppo dell’Ordine Amministrativo, la creazione del Centro Internazionale per l’Insegnamento, l’Ente che doveva protrarre nel futuro alcuni compiti svolti dal gruppo delle «Mani della Causa residenti in Terra Santa» e da qui coordinare il lavoro dei Corpi dei Consiglieri di tutto il mondo.
Nel delineare il corso che la crescita della Causa avrebbe seguito, Shoghi Effendi aveva descritto «il lancio di imprese mondiali che la Casa Universale di Giustizia intraprenderà, nelle future epoche della stessa Età [formativa] e che saranno il simbolo dell’unità e coordineranno e unificheranno le attività delle… Assemblee Nazionali».120 Queste imprese globali ebbero inizio nel 1964 con il Piano novennale, cui seguirono un Piano quinquennale (1974), un Piano settennale (1979), un Piano di sei anni (1986), un Piano triennale (1993), un Piano quadriennale (1996) e un Piano di dodici mesi che concluse il secolo. Lo spostamento degli accenti che differenziò l’una dall’altra questa serie di imprese costituisce un indice della crescita della Causa in quei decenni e delle nuove occasioni e sfide da essa prodotte. Ben più importante delle reciproche differenze è però il fatto che le attività prescritte dai vari Piani erano estensioni di iniziative messe in moto da Shoghi Effendi, il quale a sua volta aveva ripreso ed elaborato elementi forgiati dai Fondatori della Fede – la formazione delle Assemblee Spirituali, la traduzione, produzione e distribuzione della letteratura, l’incoraggiamento degli amici alla partecipazione universale, l’attenzione all’arricchimento spirituale della vita bahá’í, lo sforzo di coinvolgere la comunità bahá’í nella vita della società, il rafforzamento della vita familiare bahá’í e l’educazione dei bambini e dei giovani. Mentre questi vari processi continueranno a sviluppare indefinitamente nuove possibilità, il fatto che ciascuno di essi tragga origine dall’impulso creativo della Rivelazione conferisce a qualunque cosa la comunità bahá’í faccia una forza unificante che è il segreto e la garanzia del suo successo finale.
I primi due decenni del processo furono uno dei più fecondi periodi che la comunità bahá’í abbia conosciuto. In un periodo di tempo sorprendentemente breve, il numero delle Assemblee Spirituali Locali si moltiplicò e la diversificazione etnica e culturale dei suoi membri divenne una caratteristica sempre più tipica della vita bahá’í. Sebbene il disfacimento della società abbia creato alcuni problemi alle istituzioni amministrative bahá’í, esso produsse anche un maggior interesse nei confronti del messaggio della Causa. All’inizio, la comunità si trovò davanti alla sfida dell’«insegnamento alle masse». Nel 1967, fu invitata a «lanciare, su scala globale e ad ogni strato della società, una durevole e massiccia proclamazione del messaggio risanatore che il Promesso è venuto…».121
Nell’impegnarsi in lunghe campagne intese a raggiungere le masse delle popolazioni del mondo residenti nei villaggi e nelle zone rurali, i credenti incontrarono una recettività al messaggio di Bahá’u’lláh di gran lunga superiore a ogni aspettativa. Anche se la risposta assunse forme assai diverse da quelle cui gli insegnanti erano abituati, i nuovi dichiarati furono accolti con entusiasmo. In Africa, in Asia e nell’America Latina decine di migliaia di nuovi bahá’í si riversarono nella Causa e spesso erano la maggioranza degli abitanti di un villaggio agricolo. Gli anni ’60 e ’70 furono giorni entusiasmanti per una comunità bahá’í la cui crescita al di fuori dell’Iran era stata per lo più lenta e limitata. Agli amici nel Pacifico toccò il grande privilegio di attrarre nella Causa il primo capo di stato, Sua Altezza Malietoa Tanumafili II di Samoa, un privilegio al quale solo futuri eventi daranno un’adeguata cornice.
Alla radice dello sviluppo, com’era successo nella vita della Causa sin dall’inizio, ci fu la dedizione personale dei credenti. Già durante il ministero di Shoghi Effendi, in paesi come l’Uganda, la Bolivia e l’In-donesia lungimiranti personaggi avevano preso l’iniziativa di raggiungere popolazioni indigene. Durante il Piano novennale, si misero all’opera molti altri insegnati come loro, soprattutto in India, in parecchi paesi dell’Africa e in molte regioni dell’America Latina, nonché nelle isole del Pacifico, in Alaska e fra i nativi del Canada e le popolazioni rurali di colore nel Sud degli Stati Uniti. Il pionierismo dette a questo lavoro un sostegno vitale, incoraggiando la formazione di gruppi di insegnanti fra gli stessi credenti indigeni.
E tuttavia fu presto evidente che la sola iniziativa personale, sia pure ispirata ed energica, non era una risposta adeguata alle occasioni che si presentavano. Il risultato fu di lanciare le comunità bahá’í in una vasta serie di progetti di insegnamento e proclamazione collettivi come negli eroici giorni degli araldi dell’aurora. Squadre di insegnanti entusiasti scoprirono che era ora possibile presentare il messaggio della Fede non soltanto a un susseguirsi di ricercatori, ma a interi gruppi o perfino comunità. Le decine di migliaia divennero centinaia di migliaia. La crescita della Fede significò che membri di Assemblee Spirituali, la cui esperienza si limitava a confermare che aspiranti cresciuti in culture di dubbio o di fanatismo religioso avevano compreso la Fede, dovettero adattarsi alle espressioni di fede di interi gruppi di persone per le quali la consapevolezza e la risposta religiosa erano aspetti normali della vita quotidiana.
Nessun segmento della comunità offrì a questo sensazionale processo di crescita un contributo più energico e significativo dei giovani bahá’í. Nelle loro imprese durante questi cruciali decenni – come era sempre successo in tutta la storia dei cento cinquant’anni passati – torna sempre a mente che la grande maggioranza del gruppo di eroi che lanciò la Causa sul suo cammino a metà dell’Ottocento erano giovani. Il Báb dichiarò la Sua missione a venticinque anni e Anís, che ottenne la gloria imperitura di morire con il suo Signore, era solo un ragazzo. Quddús rispose alla Rivelazione a ventidue anni. Zaynab, la cui età non fu mai scritta, era giovanissima. Shaykh ‘Alí, tanto amato da Quddús e Mullá ?usayn, fu martirizzato a vent’anni e Mu?ammad-i-Báqir offrì la vita a soli quattordici anni. ?áhirih abbracciò la Causa del Báb appena ventenne.
Seguendo la strada aperta da questi straordinari personaggi, migliaia di giovani bahá’í incominciarono gli anni successivi a proclamare il messaggio della Fede nei cinque continenti e nelle isole sparse del globo. Alla fine degli anni ’60 e negli anni ’70, quando la cultura internazionale giovanile fece i suoi primi esordi nella società, alcuni credenti dotati di talenti musicali, teatrali e artistici dimostrarono una parte di ciò che Shoghi Effendi intendeva quando aveva detto: «La Causa si espanderà in un baleno il giorno in cui il suo spirito e i suoi insegnamenti saranno presentati sulle scene o nell’arte e nella letteratura...».122 Lo zelo e l’entusiasmo che caratterizza i giovani hanno inoltre costantemente sfidato l’intero corpo della comunità a esplorare con crescente audacia le più rivoluzionarie implicazioni sociali degli insegnamenti di Bahá’u’lláh.
L’esplosione delle dichiarazioni comportò tuttavia anche grandi problemi. Nell’immediato, le risorse delle comunità bahá’í che vi erano impegnate furono ben presto soverchiate dal compito di provvedere al costante approfondimento di cui le masse dei nuovi credenti avevano bisogno e al consolidamento delle comunità e delle Assemblee Spirituali che ne erano nate. Inoltre, problemi di cultura simili a quelli incontrati dai primi credenti persiani che avevano cercato di introdurre la Fede nei paesi occidentali si ripresentarono ora in tutto il mondo. Principi teologici e amministrativi che potevano essere di profondo interesse per i pionieri e gli insegnanti di rado erano fondamentali per gli interessi dei nuovi dichiarati provenienti da ambienti sociali e culturali assai diversi. Spesso differenze di vedute anche su questioni così elementari come l’uso del tempo o le più semplici convenzioni sociali creavano disparità di comprensione che rendevano le comunicazioni assai difficili.
Inizialmente, i problemi furono stimolanti per le istituzioni bahá’í e per i credenti, che cercarono di trovare nuovi modi di vedere le situazioni – anzi, nuovi modi di comprendere importanti passi degli stessi Scritti bahá’í. Ci si impegnò con determinazione di seguire la guida del Centro Mondiale, secondo il quale l’espansione e il consolidamento sono due processi inseparabili che devono procedere di pari passo. Ma quando i risultati sperati tardarono a presentarsi, subentrò un certo scoraggiamento. In molti paesi la rapida crescita iniziale del tasso delle dichiarazioni rallentò alquanto e alcune istituzioni e comunità bahá’í furono tentate a ritornare ad attività più familiari e a rivolgersi a pubblici più accessibili.
Ma l’effetto principale di queste sconfitte fu che fecero capire alle comunità che le grandi aspettative dei primi anni non erano sotto certi aspetti del tutto realistiche. Per quanto incoraggianti, i facili successi delle prime attività d’insegnamento non bastavano a costruire una vita comunitaria bahá’í capace di rispondere ai bisogni dei suoi nuovi membri e di automantenersi. E invece i pionieri e i nuovi credenti dovettero affrontare problemi per i quali l’esperienza bahá’í nei paesi occidentali, o perfino in Iran, offriva poche risposte. Come istituire Assemblee Spirituali Locali – e, una volta istituite, come far funzionare – in zone nelle quali moltissimi nuovi credenti avevano improvvisamente abbracciato la Fede semplicemente in base alla forza della loro comprensione spirituale della sua verità? Come dare una voce anche alle donne, in società dominate dagli uomini sin dall’alba dei tempi? Come affrontare sistematicamente l’educazione di una grande quantità di bambini, in situazioni culturali di povertà e analfabetismo generali? Quali priorità avrebbero dovuto guidare l’insegnamento morale bahá’í e qual era il modo migliore per correlare questi obiettivi alle convenzioni prevalenti fra gli indigeni? Come coltivare una vivace vita comunitaria capace di stimolare la crescita spirituale dei suoi membri? E inoltre quali erano le priorità nella produzione della letteratura bahá’í, in particolare dopo l’improvvisa esplosione verificatasi nel numero delle lingue rappresentate nella comunità? Come preservare l’integrità dell’istituzione bahá’í della Festa del Diciannovesimo Giorno, pur aprendo questa importantissima attività alla feconda influenza delle diverse culture? E, in tutti questi campi, come raccogliere, costituire in un fondo e coordinare le risorse necessarie?
La pressione di questo intreccio di urgenti sfide spinse il mondo bahá’í verso un processo di apprendimento che si è rivelato altrettanto importante quanto l’espansione. Si può sicuramente affermare che in quegli anni non vi fu praticamente nessun tipo di attività di insegnamento, nessuna combinazione di espansione, consolidamento e proclamazione, nessuna possibilità amministrativa, nessuno sforzo di adattamento culturale che non sia stato energicamente messo alla prova in qualche parte del mondo bahá’í. Il risultato finale dell’esperienza fu un’intensa educazione di gran parte della comunità bahá’í alle implicazioni del lavoro di insegnamento alle masse, un’educazione che non avrebbe potuto verificarsi in nessun altro modo. Per sua stessa natura, il processo perlopiù ebbe espressioni locali e regionali, produsse risultati qualitativi piuttosto che quantitativi e ottenne un progresso incrementale piuttosto che su larga scala. Ma se non fosse stato per lo scrupoloso, sempre difficile e spesso frustrante lavoro di consolidamento perseguito in quegli anni, la successiva strategia dell’organizzazione della promozione dell’entrata in truppe avrebbe avuto ben poco su cui lavorare.
Il fatto che il messaggio bahá’í stesse ora penetrando nella vita non solo di piccoli gruppi di persone ma di intere comunità rinnovò un importantissimo aspetto di un precedente stadio dello sviluppo della Causa. Per la prima volta dopo decenni, le Fede si ritrovò in una situazione nella quale l’insegnamento e il consolidamento erano inseparabilmente collegati allo sviluppo sociale ed economico. Agli inizi del secolo, sotto la guida del Maestro e del Custode, i credenti iraniani – ai quali era negata la possibilità di sfruttare come gli altri i pochi benefici offerti dalla società del tempo – avevano incominciato a costruire diligentemente un’esau-riente vita comunitaria che superava le necessità o le possibilità dei gruppi bahá’í relativamente isolati del Nord America e dell’Europa Occidentale. In Iran, lo sviluppo spirituale e morale, le attività di insegnamento, la creazione di scuole e ambulatori, la costruzione di istituzioni amministrative e l’incoraggiamento delle iniziative con scopi di autarchia e prosperità economica – tutto ciò era stato sin dai primi stadi un aspetto inseparabile di un unico processo di sviluppo organicamente unificato. Ora – in Africa, in America Latina e in alcune parti dell’Asia – si erano ripresentate le stesse sfide e opportunità.
Anche se ormai da tempo esistevano alcune attività per lo sviluppo socio-economico, soprattutto nell’America Latina e in Asia, si trattava di progetti isolati svolti da gruppi di credenti sotto la guida di singole Assemblee Nazionali indipendentemente da qualsiasi piano. Ma nell’otto-bre 1983 le comunità bahá’í di tutto il mondo furono invitate a incominciare a includere queste imprese nei loro regolari programmi di lavoro. Al Centro Mondiale fu creato un Ufficio per lo Sviluppo Socio-economico, con il compito di coordinare l’apprendimento e di favorire il reperimento del sostegno economico.
Il decennio successivo vide una vasta sperimentazione in un campo di lavoro al quale la maggior parte delle istituzioni bahá’í era ben poco preparata. Pur sforzandosi di utilizzare i modelli sperimentati dalle numerose agenzie per lo sviluppo attive in tutto il mondo, le comunità bahá’í affrontarono la sfida di confrontare ciò che trovavano nei vari campi di interesse – educazione, sanità, alfabetizzazione, agricoltura e tecnologia delle comunicazioni – con quello che avevano capito dei principi bahá’í. Data l’entità delle risorse investite da governi e fondazioni e la fiducia riposta in questo sforzo, fu grande la tentazione di limitarsi a copiare i metodi seguiti in quegli anni o di adattare le imprese bahá’í alle teorie più in voga. Ma con lo sviluppo del lavoro le istituzioni bahá’í incominciarono a occuparsi della meta di progettare modelli di sviluppo che amalgamassero ciò che esse osservavano nella società e l’impareggiabile concetto delle potenzialità umane insegnato dalla Fede.
Il paese in cui la strategia dei Piani successivi si affermò con maggior forza fu l’India. La comunità indiana è oggi divenuta un gigante della Causa, contando oltre un milione di anime. Il suo lavoro si estende sui territori di un vasto subcontinente, patria di un’immensa varietà di culture, lingue, gruppi etnici e tradizioni religiose. Sotto molti aspetti l’espe-rienza di questo benedetto corpo di credenti riassume le lotte, gli esperimenti, le sconfitte e le vittorie del mondo bahá’í in questi tre critici decenni. Il sensazionale aumento delle dichiarazioni ha comportato tutti i problemi che si sono dovuti affrontare nelle altre parti del mondo, ma in dimensioni massive. La lunga strada che ha condotto la comunità bahá’í indiana alla sua attuale eminenza è stata cosparsa di dolorosissime difficoltà, alcune delle quali hanno talvolta rischiato di schiacciare le risorse amministrative disponibili. Ma le vittorie conseguite sono un saggio delle confermazioni che a suo tempo benediranno gli sforzi delle comunità bahá’í alle prese con le stesse sfide in altri continenti. Nel 1985, la crescita della Fede in India è giunta al punto per cui i bisogni e le opportunità di tante regioni così diverse richiedevano un’attenzione più focalizzata di quella cui la sola Assemblea Spirituale Nazionale potesse provvedere. Così è nata la nuova istituzione del Consiglio Regionale bahá’í, che ha messo in moto quel processo di decentramento amministrativo che si è poi dimostrato così efficace in molti altri paesi.
Nel 1986, l’espansione e il consolidamento che stavano verificandosi in India furono degnamente coronati dall’inaugurazione del bellissimo «Tempio del loto». Sebbene il progetto abbia suscitato ottimistiche aspettative sull’impatto che il suo completamento avrebbe avuto sul pubblico riconoscimento della Fede, la realtà ha di molto sorpassato le più rosee speranze, Oggi la Casa di culto indiana è divenuta la principale attrattiva turistica del subcontinente, con una media di oltre diecimila visitatori al giorno e con un’ampia copertura di pubblicazioni e produzioni cinematografiche e televisive. L’interesse suscitato nei confronti di una Fede capace di ispirare e di esprimersi in una creazione così bella ha fatto riscoprire il significato della definizione di «insegnanti silenziosi» della Fede che ‘Abdu’l-Bahá ha dato dei Templi bahá’í.
Il progresso della comunità bahá’í indiana nel suo sviluppo interno e nei suoi rapporti con la società è stato illustrato da una pionieristica iniziativa intrapresa nel novembre 2000 nel campo dello sviluppo socio-economico. Approfittando della reputazione che si era meritatamente guadagnata negli ambienti progressisti del paese, l’Assemblea Spirituale Nazionale ha ospitato, in collaborazione con il nuovo Istituto per gli studi sulla prosperità globale della Bahá’í International Community,123 un simposio sul tema «Religione, scienza e sviluppo». Al progetto hanno partecipato oltre cento delle più influenti organizzazioni per lo sviluppo del paese e i mass media gli hanno dato un’ampia copertura. L’evento, che è stato un particolare contributo bahá’í alla promozione del progresso sociale, ha dato il la a simposi dello stesso genere in Africa, nell’A-merica Latina e in altre regioni, nelle quali alcune comunità bahá’í creative possono contribuire a dare forma a quella che potrebbe benissimo diventare una delle storie di grande successo della Fede.
Negli stessi anni, il continente asiatico ha anche visto la comunità bahá’í malese farsi improvvisamente avanti come forza motrice del lavoro di espansione, conquistando le proprie mete con stupefacente rapidità e inviando pionieri e insegnanti viaggianti nei paesi confinanti. Uno dei fatti che hanno permesso questo spettacolare progresso è stato il legame di fratellanza spirituale che si è formato fra i credenti di origine cinese e quelli di origine indiana. Chi aveva visitato la Malesia parlava quasi con reverenza del modo in cui la comunità malese, pur lavorando fra molti limiti e svantaggi, era sembrata personificare le metafore militari con cui gli scritti di Shoghi Effendi cercano di esprimere lo spirito delle imprese di insegnamento bahá’í.
Ma né la crescita mondiale della comunità bahá’í, né il processo di apprendimento che essa stava attraversando bastano a descrivere questi decenni tumultuosi e creativi. Quando si scriverà la storia di questo periodo, uno dei suoi capitoli più brillanti racconterà le vittorie spirituali conseguite dalle comunità bahá’í, soprattutto in Africa, sopravvissute alla guerra, al terrore, all’oppressione politica e ad estreme privazioni e uscite da queste prove con la loro fede intatta, decise a riprendere il lavoro interrotto per costruire una possibile vita collettiva bahá’í. La comunità dell’Etiopia, patria di una delle più antiche e ricche tradizioni culturali del mondo, riuscì a preservare il morale dei suoi membri e la coerenza delle sue strutture amministrative sotto l’implacabile pressione di una brutale dittatura. Degli amici degli altri paesi del continente si può veramente dire che per loro la strada della fedeltà alla Causa è passata attraverso un inferno che ha pochi riscontri nella storia moderna. Gli annali della Fede vantano ben poche testimonianze del sottile potere dello spirito più commoventi delle storie di coraggio e di purezza di cuore che emergono dalla bolgia infernale nella quale si sono trovati gli amici di quello che era allora lo Zaire, storie che ispireranno future generazioni, preziosissimi contributi alla creazione di una cultura globale bahá’í. A queste testimonianze di eroico impegno si aggiungono le indimenticabili realizzazioni di paesi come l’Uganda e il Ruanda.
È ispirante anche la dimostrazione della capacità di rinnovamento inerente nella Causa, emersa nei campi dei rifugiati cambogiani ai confini tailandesi. Grazie agli eroici sforzi di un manipolo di insegnanti, furono formate alcune Assemblee Spirituali Locali fra i sopravvissuti a una campagna di genocidio che il cuore umano non è in grado d’immaginare, gente che aveva perduto moltissime persone care oltre a tutto ciò che possedeva nell’ambito della sicurezza materiale, ma nella quale ancora ardeva l’anelito di verità spirituale che caratterizza l’anima umana. Una straordinaria realizzazione simile a questa fu quella della comunità liberiana. Cacciati in esilio in paesi confinanti, molti di questi intrepidi credenti si sono portati dietro la vita della comunità, hanno formato nuove Assemblee Spirituali Locali, proseguito il lavoro di insegnamento, hanno continuato a educare i loro figli, a usare il loro tempo per imparare nuovi mestieri e hanno trovato nella musica, nella danza e nel teatro i poteri dello spirito che li hanno aiutati a tener viva la speranza fino al momento in cui hanno potuto ritornare a casa.
Mentre si svolgeva il processo dell’educazione ai metodi dell’inse-gnamento alle masse, la composizione della comunità si era trasformata. Nel 1992, il mondo bahá’í celebrò il suo secondo Anno Santo, questa volta in occasione del centenario dell’ascensione di Bahá’u’lláh e della promulgazione del Suo Patto. La diversità etnica, culturale e nazionale dei ventisettemila credenti riuniti nel Javits Convention Center di New York – assieme alle migliaia di persone presenti ai nove convegni ausiliari di Bucarest, Buenos Aires, Mosca, Nairobi, Nuova Delhi, Città di Panama, Singapore, Sydney e Samoa occidentale – diede, più eloquentemente di ogni parola, una convincente prova del successo del lavoro di insegnamento bahá’í in tutto il mondo. Un momento di emozione si ebbe quando la stazione trasmittente televisiva satellitare collegò la riunione moscovita con quella di New York e i bahá’í di tutto il mondo si entusiasmarono davanti ai saluti in russo – la lingua di circa 280 milioni di persone in almeno quindici paesi – che proclamavano una nuova fase nella risposta dell’umanità a Bahá’u’lláh.
Nei convegni di Mosca e di Bucarest si intravide la rinascita di comunità bahá’í che l’oppressione del regime sovietico e dei suoi collaboratori aveva pressoché distrutto. Una delle tre Mani della Causa ancora viventi, l’ottantaseienne ‘Alí-Akbar Furútan, che era stato in Russia, ebbe la grande gioia di ritornare a Mosca per l’elezione inaugurale dell’Assemblea Nazionale del paese. In tutti i paesi recentemente aperti sorsero nuove Assemblee Spirituali Locali e furono elette altre sei Assemblee Spirituali Nazionali. In breve tempo il pionierismo e le attività di insegnamento nei paesi ai confini meridionali dell’ex impero sovietico – dove la Fede era stata ugualmente proscritta – portarono alla formazione di altre Assemblee Locali e di altre otto Assemblee Spirituali Nazionali. La letteratura bahá’í fu tradotta in molte nuove lingue e rappresentanti provenienti dall’Europa Orientale e dai paesi del disciolto blocco sovietico incominciarono a partecipare con i loro compagni di fede al lavoro per gli affari esterni della Fede a livello internazionale.
A poco a poco il messaggio della Fede incominciò ad essere accolto anche in molte parti della Cina e fra popolazioni cinesi all’estero. La letteratura bahá’í fu tradotta in mandarino, in molte città cinesi le università invitarono studiosi bahá’í, un Centro di Studi Bahá’í fu istituito presso il prestigioso Istituto delle Religioni Universali di Pechino,124 che lavora per l’Accademia delle Scienze Sociali, e molti dignitari cinesi furono prodighi di elogi nei confronti dei principi che scoprirono negli Scritti. Alla luce dei grandi elogi del Maestro nei confronti della civiltà cinese e del suo ruolo nel futuro dell’umanità, s’incomincia a pregustare il contributo creativo che i credenti di questa provenienza offriranno alla vita intellettuale e morale della Causa negli anni avvenire.125
Il significato di questi tre decenni di lotta, apprendimento e sacrificio fu evidente quando giunse il momento di progettare un Piano globale che si giovasse delle esperienze e delle risorse acquisite. La comunità bahá’í che nel 1996 dette avvio al Piano quadriennale era assai diversa dall’en-tusiasta, ma nuovo e ancora inesperto corpo di credenti che, nel 1964, si era avventurato nella prima di queste imprese prive del sostegno della mano direttrice di Shoghi Effendi. Nel 1996 fu possibile vedere tutti i vari fili dell’impresa come parti integrali di un unico insieme.
Con questa educazione si era acquisita anche la necessaria comprensione di quello che era già stato fatto. L’espansione della Causa nei tre decenni precedenti era stata la risposta di parecchi milioni di esseri umani, che l’incontro con il messaggio di Bahá’u’lláh aveva influenzato al punto da spingerli a identificarsi in varia misura con la Causa di Dio. Essi sapevano che un nuovo Messaggero del Divino era apparso, avevano colto qualcosa dello spirito di fede ed erano stati fortemente colpiti dal-l’insegnamento bahá’í dell’unità del genere umano. Un’esigua minoranza fra loro era anche capace di andare oltre. Ma per lo più questi amici erano essenzialmente oggetto di programmi di insegnamento condotti da insegnanti e pionieri esterni. Una delle più grandi forze delle masse umane dalle cui file i nuovi dichiarati provenivano consiste in un’apertura del cuore che ha la potenzialità di generare una trasformazione sociale permanente. Il grande svantaggio di queste stesse popolazioni è finora stata una passività appresa da generazioni di esposizione a influenze esterne che, per quanto grandi siano i vantaggi materiali che hanno offerto, hanno seguito programmi che toccavano solo marginalmente, se pure lo facevano, la realtà dei bisogni e della vita quotidiana delle popolazioni indigene.
Il Piano quadriennale, che segnò un grande progresso rispetto ai precedenti, fu progettato per approfittare delle occasioni e delle esperienze che si erano offerte. La meta di promuovere il processo dell’entrata in truppe divenne lo scopo principale dell’impresa. La lezione appresa nei Piani precedenti poneva ora l’accento sullo sviluppo delle capacità dei credenti – dovunque si trovassero – sì che tutti potessero divenire fiduciosi protagonisti della missione della Fede. Lo strumento per raggiungere questo obiettivo era stato costantemente perfezionato nel corso dei Piani precedenti e si era dimostrato efficace.
Come per la maggior parte degli altri metodi e attività grazie ai quali la Fede stava avanzando, anche questo strumento era stato concepito decenni prima dal Maestro, il quale nelle Tavole del Piano Divino chiede che i credenti approfonditi «riuniscano i giovani amanti di Dio in classi d’insegnamento e insegnino loro tutte le prove divine e gli argomenti irrefutabili, spieghino e illustrino la storia della Causa e interpretino le profezie e le prove sulla manifestazione del Promesso registrate e ancora esistenti nei libri divini e nelle epistole…».126 Un lavoro pionieristico e una formazione organizzata di questo tipo erano già stati realizzati in Iran, nei primi anni del secolo dall’amatissimo ?adru’?-?udúr.127 Con il passare degli anni, le scuole invernali ed estive si erano moltiplicate e i vari Piani avevano incoraggiato la sperimentazione nello sviluppo degli istituti bahá’í.
Il progresso di gran lunga più significativo sotto questo aspetto si ebbe nel corso di oltre due decenni, a partire dagli anni ’70 in Colombia, dove fu ideato un sistematico programma continuativo di educazione agli Scritti che fu ben presto adottato anche in paesi vicini. Influenzata dagli sforzi paralleli della comunità colombiana nel campo dello sviluppo socio-economico, l’innovazione fece tanto più scalpore perché fu introdotta in un ambiente di violenza e criminalità che stavano scardinando la vita della società.
La realizzazione colombiana fu fonte di grande ispirazione ed esempio per altre comunità bahá’í del mondo. Alla fine del Piano quadriennale oltre centomila credenti in tutto il mondo avevano partecipato ai programmi degli oltre trecento istituti permanenti di formazione. Nel realizzare questa meta, la maggior parte degli istituti regionali avevano portato il processo un passo avanti creando una rete di «circoli di studio» che utilizzavano i talenti dei credenti per ripetere a livello locale il lavoro dell’istituto. È già evidente che il successo del lavoro dell’istituto ha notevolmente rafforzato il processo a lungo termine attraverso il quale prenderà forma un sistema universale di educazione bahá’í.128
Sebbene le lotte di questi decenni siano state relativamente modeste – per lo meno a paragone dell’Età eroica – esse danno alla presente generazione di bahá’í un’idea di quello che Shoghi Effendi definisce la natura ciclica della storia della Fede: «una serie di crisi esterne e interne di diversa gravità, devastanti negli effetti immediati, ma ciascuna misteriosamente apportatrice di una corrispondente misura di potere divino, capace di dare nuovo impulso al suo sviluppo».129 Queste parole danno un senso alla serie di sforzi, esperimenti, patemi e vittorie che hanno caratterizzato l’inizio dell’insegnamento su larga scala e preparato la comunità bahá’í alle ben più grandi sfide del futuro.
Nel corso della storia le masse sono state, nella migliore delle ipotesi, spettatrici del progresso della civiltà. Il loro ruolo è stato quello di servire ai disegni delle varie elite che assumevano temporaneamente il controllo del processo. Perfino le Rivelazioni del divino, il cui obiettivo era la liberazione dello spirito umano, caddero l’una dopo l’altra, nel corso del tempo, sotto l’influenza dell’«insistente io», si irrigidirono in dogmi, rituali, privilegi clericali e liti settarie, prodotte dagli uomini, e finirono frustrate nel loro ultimo scopo.
Bahá’u’lláh è venuto per liberare l’umanità da questa antica soggezione e i Suoi seguaci hanno dedicato gli ultimi decenni del Novecento a creative sperimentazioni di strumenti mediante i quali raggiungere il Suo obiettivo. L’esecuzione del Piano Divino comporta il coinvolgimento del-l’intero corpo del genere umano nel lavoro del proprio sviluppo spirituale, sociale e intellettuale. Le tribolazioni incontrate dalla comunità bahá’í nei decenni successivi al 1963 sono necessarie a raffinare lo sforzo e purificare le motivazioni in modo da rendere i partecipanti degni di un così grande impegno. Queste prove sono la dimostrazione più certa del processo di maturazione che ‘Abdu’l-Bahá ha così fiduciosamente descritto:
Alcuni movimenti appaiono, manifestano un breve periodo di attività, poi cessano. Altri mostrano una misura maggiore di crescita e forza, ma prima di conseguire uno sviluppo maturo s’indeboliscono, si disintegrano e vanno perduti nell’oblio… V’è un ulteriore tipo di movimento o causa che da un inizio piccolissimo, inapparente, avanza con progresso sicuro e costante, allargandosi e ampliandosi gradualmente fino ad assumere dimensioni universali. Il Movimento bahá’í è di questa natura.130
XLA MISSIONE DI BAHÁ’U’LLÁH NON È LIMITATA alla costruzione della comunità bahá’í. La Rivelazione di Dio è venuta per tutta l’umanità e conquisterà il sostegno delle istituzioni della società a tal punto che esse trarranno dal suo esempio incoraggiamento e ispirazione per i loro sforzi di costruire le fondamenta di una società giusta. Per comprendere l’importanza di questo impegno parallelo, si devono solo ricordare il tempo e la cura che Bahá’u’lláh dedicò alla coltivazione dei rapporti con i funzionari del governo, con gli uomini di pensiero, con le personalità eminenti dei vari gruppi minoritari e con i rappresentanti diplomatici dei governi esteri assegnati al servizio presso l’impero ottomano. L’effetto spirituale di questo sforzo è evidente negli elogi del Suo carattere e dei Suoi principi fatti perfino da acerrimi nemici come ‘Alí Páshá e Mirza ?usayn Khán, l’ambasciatore persiano a Costantinopoli. Il primo, che condannò il suo Prigioniero al confino nella colonia penale di ‘Akká, fu nondimeno spinto a dire che Egli era «uomo di grande distinzione, esemplare condotta, grande moderazione e dignitosissima figura» e che i Suoi insegnamenti erano «degni di grande stima».131 Il secondo, che con le sue trame aveva avvelenato la mente di ‘Alí Páshá e dei suoi colleghi, alcuni anni dopo ammise francamente il grande contrasto fra la statura morale e intellettuale del suo Nemico e il danno prodotto alle relazioni fra Persia e Turchia dalla nomea di avidità e disonestà che caratterizzava molti dei suoi concittadini residenti a Costantinopoli.
‘Abdu’l-Bahá Si interessò molto sin da principio dei tentativi di creare un nuovo ordine internazionale. È significativo, per esempio, che nel Nord America i Suoi primi accenni pubblici allo scopo della Sua visita dettero un particolare rilievo all’invito a parlare in quella riunione internazionale che Gli era stato rivolto dal Comitato organizzatore della Conferenza della pace di Lake Mohonk. Era stato generoso di incoraggiamenti con l’Orga-nizzazione centrale per una pace durevole dell’Aia. Ma fu molto schietto nei consigli che le diede. Alcune lettere che ricevette durante la guerra dal Comitato esecutivo dell’Aia Gli dettero modo di rispondere richiamando l’attenzione degli organizzatori sul fatto che Bahá’u’lláh avesse enunciato verità spirituali che rappresentano l’unica base per la realizzazione dei loro scopi:
O stimate persone che siete pionieri tra gli amici del mondo dell’umani-tà!… Attualmente la pace universale è questione di grande rilievo, ma l’unità di coscienza è essenziale, sì che le fondamenta di quella possano divenire sicure, il suo insediamento solido e robusto il suo edifizio… Oggi soltanto il potere della Parola di Dio che pervade la realtà delle cose può portare i pensieri, le menti, i cuori e gli spiriti all’ombra di un unico Albero. Egli è potente in tutte le cose, il vivificatore delle anime, colui che preserva e controlla il mondo dell’umanità.132.
Inoltre, l’elenco delle personalità influenti con le quali il Maestro trascorse pazientemente ore e ore nel Nord America e in Europa – in particolare persone ansiose di promuovere la pace mondiale e l’umanitarismo – rispecchia la Sua consapevolezza della responsabilità della Causa verso l’intera umanità. Egli proseguì su questa linea fino alla fine della Sua vita, come testimonia la straordinaria reazione al Suo trapasso.
Quando incominciò il suo ministero, Shoghi Effendi si assunse quasi subito questa eredità. Già nel 1925, egli incoraggiò l’interesse di una credente americana, Jean Standard, all’apertura di un «Bureau Internazionale Bahá’í», indirizzandola verso Ginevra, sede della Società delle Nazioni. Pur non esercitando alcuna autorità amministrativa, il Bureau svolse, nelle parole del Custode, le funzioni di «intermediario fra Haifa e gli altri centri bahá’í» e di «centro di distribuzione» di informazioni nel cuore dell’Eu-ropa e il suo ruolo ottenne un riconoscimento formale quando la casa editrice della Società delle Nazioni chiese un resoconto delle sue attività e lo pubblicò.133
Come è spesso accaduto nella storia della Causa, una crisi inaspettata servì a dare un grande impulso al coinvolgimento bahá’í con la società a livello internazionale. Nel 1928 Shoghi Effendi incoraggiò l’Assemblea Spirituale di Baghdad ad appellarsi alla Commissione Permanente della Società delle Nazioni per i mandati contro la requisizione, da parte di oppositori sciiti, della Casa di Bahá’u’lláh nella città. Nel Mirza 1929, riconoscendo il torto perpetrato, il Consiglio della Società delle Nazioni chiese all’unanimità alle autorità mandatarie britanniche di esercitare pressioni sul governo iracheno «nell’intento di porre immediato riparo all’ingiustizia subita dai postulanti». Ripetute elusioni da parte del governo iracheno, compresa l’inosservanza di una solenne promessa del re in persona, fecero sì che il caso si trascinasse per anni attraverso varie sessioni della Commissione per i mandati, lasciando la Casa nelle mani di coloro che se ne erano impadroniti e la situazione non è stata ancora risanata.134 Imperterrito malgrado il fallimento, Shoghi Effendi diresse l’attenzione della comunità bahá’í verso gli storici benefici che la Causa aveva tratto dalla campagna. Com’era successo in precedenza quando un tribunale musulmano sunnita aveva respinto l’appello di una comunità bahá’í egiziana sulla questione dei matrimoni, il Custode fece notare che:
Basti dire che, malgrado questi interminabili ritardi, proteste e pretesti… la pubblicità fatta alla Fede da questa memorabile vertenza e la difesa della sua causa, la causa della verità e della giustizia, da parte del massimo tribunale del mondo sono state tali da suscitare l’ammirazione dei suoi amici e riempire di costernazione i suoi nemici.135
La nascita delle Nazioni Unite ha aperto alla Fede un forum ben più ampio e più efficace per i suoi sforzi intesi a esercitare un’influenza spirituale sulla vita della società. Già nel 1947, uno speciale «Comitato per la Palestina» delle Nazioni Unite aveva chiesto il parere del Custode sul futuro del territorio del mandato. Nel rispondere alla richiesta, egli colse l’occasione per presentare un’autorevole esposizione della storia e degli insegnamenti della Causa. Lo stesso anno, incoraggiata da Shoghi Effendi, l’Assemblea Spirituale Nazionale dei bahá’í degli Stati Uniti e del Canada presentò all’organismo internazionale un documento intitolato «Dichiarazione bahá’í sui doveri e sui diritti umani» che avrebbe ispirato il lavoro di scrittori e oratori bahá’í nei decenni successivi.136 Un anno dopo, le otto Assemblee Spirituali Nazionali allora esistenti ottennero che l’ente delle Nazioni Unite responsabile accreditasse la Bahá’í International Community come organizzazione internazionale non governativa.
Il Custode non appoggiò soltanto l’emergente rapporto della Fede con il nuovo ordine internazionale. Le pagine di Dio passa nel mondo e le memorie del Custode scritte da Amatu’l-Bahá sono piene di accenni alle reazioni di influenti personaggi e organizzazioni a iniziative prese da Shoghi Effendi e ad eventi in tutto il mondo ai quali rappresentanze bahá’í erano state invitate a partecipare. Da un punto di vista storico, si è colpiti dal divario esistente fra molti di questi eventi relativamente insignificanti e l’attenzione data loro da un personaggio il cui lavoro era di enorme importanza per il futuro dell’umanità e che capiva pienamente il relativo peso degli avvenimenti che si svolgevano attorno a lui. Questa accurata documentazione fornisce alla comunità bahá’í una guida su come cogliere le crescenti occasioni che possano nascere da un modesto inizio.
Non appena fu accreditata, la Bahá’í International Community incominciò a svolgere un energico ruolo negli affari delle Nazioni Unite. Una sua attività che fu molto apprezzata fu un programma che consisteva nel dare al pubblico informazioni sulle Nazioni Unite. Questo programma, svolto attraverso la crescente rete di Assemblee bahá’í, dette un generoso aiuto a emergenti associazioni delle Nazioni Unite in tutto il mondo. Già nel 1970 la Bahá’í International Community aveva ottenuto lo stato consultivo con il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC). Seguirono nel 1974 la concessione dell’associazione formale al programma ambientale delle Nazioni Unite (UNEP) e nel 1976 l’acqui-sizione dello stato consultivo con il Fondo delle Nazioni Unite per l’in-fanzia (UNICEF). L’influenza e l’esperienza acquisite in quegli anni dimostrarono la loro utilità nel 1955 e nel 1962, quando la Bahá’í International Community riuscì a ottenere l’intervento delle Nazioni Unite a favore dei credenti perseguitati in Iran e in Marocco.
(Nel 1980, le pazienti attività per gli affari esterni svolte dalle Assemblee Spirituali Nazionali e dall’Ufficio della Bahá’í International Community presso le Nazioni Unite furono improvvisamente spinte verso un nuovo stadio del loro sviluppo. Il catalizzatore fu il tentativo di sterminare la Causa nel suo paese d’origine compiuto dal clero sciita dell’Iran. Le conseguenze furono inattese sia per i persecutori della Fede sia per i suoi difensori.
Nei lunghi decenni durante i quali i credenti nella culla della Fede subirono intermittenti persecuzioni per il loro credo, i mullá istigatori e conduttori delle aggressioni agirono di concerto con i monarchi che si successero sul trono del paese. Questi sovrani, apparentemente detentori di un’autorità assoluta, erano di fatto limitati da calcoli politici che li rendevano vulnerabili alle pressioni esterne, particolarmente da parte dei governi occidentali. Fu per questo che lo sdegno espresso dalle missioni diplomatiche russe, britanniche e di altre nazionalità aveva costretto Ná?iri’d-Dín Sháh a porre fine, suo malgrado, all’orgia di violenza che nei primi anni ’50 dell’Ottocento costò la vita a tanti credenti e mise in pericolo quella di Bahá’u’lláh. Nel Novecento anche i suoi successori Qajár si erano ugualmente preoccupati di placare l’opinione dei governi esteri. La storia si ripeté nel 1955 quando il secondo scià Pahlaví, che era stato indotto dai mullá ad approvare un’ondata di violenza anti-bahá’í, fu costretto dalle proteste delle Nazioni Unite e dalle obiezioni del governo americano a fermare bruscamente la campagna – due interventi che precorsero altre future azioni.
Questi freni sul comportamento del clero sembrarono essere stati spazzati via dalla rivoluzione islamica del 1979. Tutt’a un tratto i mullá si trovarono al potere, poterono sistemare persone di loro fiducia nelle più alte posizioni della nuova repubblica e infine coprirle direttamente loro. Furono istituiti «tribunali rivoluzionari» che rispondevano solo agli alti prelati. Un esercito di «guardie rivoluzionarie», molto più efficiente della polizia segreta dello scià e altrettanto brutale, assunse il controllo di ogni aspetto della vita quotidiana.
L’attenzione della nuova casta dirigente era rivolta soprattutto verso quelle che essa considerava minacce da parte dei governi esteri, ma al suo interno alcuni elementi influenti pensarono di avere finalmente l’opporti-nità di distruggere la comunità bahá’í iraniana.137 Non interessa qui esaminare gli strazianti dettagli della campagna che seguì. La loro importanza risiede piuttosto nel modo in cui migliaia di bahá’í – uomini, donne e bambini – in tutto il paese risposero a quegli attacchi. Il loro rifiuto di scendere a compromessi con la loro fede, perfino a costo della vita, ispirò nei loro confratelli in tutto il mondo una maggiore dedizione alla Causa per la quale questi sacrifici erano compiuti. E questi eventi non influenzarono solo i membri della Fede. Decenni prima, nel 1889, un illustre commentatore occidentale dell’eroismo degli araldi dell’aurora della Fede aveva profeticamente scritto delle sofferenze dei primi credenti:
Sono la vita e la morte di costoro, la loro speranza che non conosce disperazione, il loro amore che non conosce raffreddamento, la loro fermezza che non conosce esitazione, che conferiscono a questo meraviglioso movimento un carattere tutto suo… Non è cosa facile o di poco conto resistere a ciò cui costoro hanno resistito e vale sicuramente la pena comprendere ciò per cui essi hanno ritenuto valesse la pena dare la vita. Non dirò nulla della grande influenza che la Fede Bábí [sic] eserciterà in futuro, né della nuova vita che probabilmente infonderà in un popolo di morti, perché, riesca o fallisca, lo splendido eroismo dei martiri Bábí è cosa eterna e indistruttibile… Ma quello che non posso sperare di avervi trasmesso è la terribile serietà di questi uomini e l’indescrivibile influenza che questa serietà, unita ad altre qualità, esercita su chiunque sia stato veramente a contatto con loro.138
Queste parole prefigurano la nascita di un analogo sentimento fra gli osservatori non bahá’í durante gli anni della rivoluzione islamica. E questo sentimento doveva diventare una delle più potenti forze motrici dell’emersione della Causa dall’oscurità. Quelle vecchie parole colgono anche la natura fondamentalmente spirituale di ciò che è sempre stato in gioco nella culla della Fede. Al di là della ripugnanza nei confronti dell’insensata brutalità della persecuzione, parti sempre più grandi dell’opinione estera sono state profondamente commosse dalla risposta dei bahá’í iraniani.
Purtroppo il Novecento è stato sommerso dalle sofferenze di innumerevoli vittime dell’oppressione. Ciò che ha reso unica la situazione bahá’í è stato l’atteggiamento di coloro che hanno subito le sofferenze. I credenti iraniani si sono rifiutati di assumere il fin troppo noto ruolo della vittima. Come i Fondatori della Fede prima di loro, essi si presero moralmente cura della grande vertenza fra loro e i loro avversari. Furono loro, e non i tribunali o le guardie della rivoluzione, a stabilire rapidamente i termini del-l’incontro e questo straordinario risultato toccò il cuore e la mente di coloro che vedevano la situazione dall’esterno della Fede bahá’í. La comunità perseguitata non attaccò gli oppressori, non cercò vantaggi politici dalla crisi. I difensori bahá’í di altri paesi non chiesero né lo smantellamento della costituzione iraniana né tanto meno vendetta. Chiesero solo giustizia – il riconoscimento dei diritti garantiti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, approvata dalla comunità delle nazioni, ratificata dal governo iraniano e incorporata, in alcune sue parti, nelle clausole della costituzione islamica.
La crisi spronò il mondo bahá’í a straordinarie realizzazioni. Assemblee Spirituali Nazionali che avevano poca o punta esperienza nell’instau-rare un rapporto funzionante con i funzionari dei governi dei loro paesi furono chiamate a sollecitare l’appoggio del governo alle risoluzioni dei vari livelli del sistema internazionale dei diritti umani e lo fecero con grande successo. Anno dopo anno, per vent’anni senza interruzione, il caso dei bahá’í iraniani passò attraverso il sistema internazionale dei diritti umani, ottenendo appoggio in varie risoluzioni successive, assicurando alle rimostranze bahá’í l’attenzione delle missioni di relatori nominate dalla Commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani e consolidando questi risultati attraverso le decisioni del Terzo Comitato dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Nessuno dei tentativi compiuti dal governo iraniano per evitare la condanna internazionale del suo trattamento dei cittadini bahá’í del paese riuscì a scuotere il sostegno che la questione bahá’í ricevette da una persistente maggioranza di nazioni amiche rappresentate nella Commissione. La realizzazione fu tanto più ragguardevole nel contesto dei continui cambiamenti della composizione della Commissione e dei suoi impegnativi ordini del giorno che comprendevano violazioni dei diritti umani che riguardavano milioni di vittime in altri paesi.
Contemporaneamente alle pressioni esercitate direttamente sul governo iraniano, il caso ebbe grandissima risonanza in tutto il mondo su giornali e riviste e nei mezzi radiotelevisivi. Giornali letti in tutto il mondo, come The New York Times, Le Monde e Frankfurter Allgemeine Zeitung, dettero ampia copertura alle persecuzioni e in Australia, in Canada, negli Stati Uniti e in diversi paesi europei alcune reti televisive mandarono in onda approfondite trasmissioni formato rivista. Le violazioni furono denunciate in commenti redazionali spesso formulati con parole forti. Oltre a dare manforte agli sforzi per ottenere l’effettivo intervento della Commissione per i diritti umani, questa pubblicità ebbe l’effetto di presentare, di solito per la prima volta e abitualmente a un pubblico di decine di milioni di persone, corrette e lusinghiere informazioni sugli insegnamenti e sulle credenze bahá’í. La pubblicità ottenuta e la campagna svolta attraverso il sistema delle Nazioni Unite dettero a influenti funzionari del mondo l’opportunità di giudicare personalmente gli insegnamenti della Causa e il carattere della comunità bahá’í.
Un problema prodotto dalle persecuzioni fu che parecchie migliaia di bahá’í iraniani si trovarono o confinati senza un passaporto valido nei paesi dove si trovavano pionieri o costretti a fuggire dall’Iran perché loro o le loro famiglie erano stati scelti come bersaglio del pogrom. Nel 1983 un Ufficio internazionale per i rifugiati bahá’í fu aperto in Canada,139 il cui governo era stato particolarmente sensibile alle rimostranze presentate dall’Assemblea Spirituale Nazionale del paese. In pochi anni, con l’assistenza dell’Alta Commissione delle Nazioni Unite per i rifugiati, anche molti altri paesi aprirono le porte a oltre diecimila bahá’í iraniani, molti dei quali coprirono mete di pionierismo nei nuovi paesi di residenza.
(Questa lunga lotta non servì solo alla comunità bahá’í, giovò anche al sistema dei diritti umani delle Nazioni Unite. Inizialmente, dopo la rivoluzione islamica, la comunità dei credenti in Iran era stata minacciata nella sua stessa sopravvivenza. Ma poi, la Commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani, per quanto lente e impacciate ne possano essere apparse le operazioni ad alcuni osservatori esterni, riuscì a costringere il regime iraniano a fermare le persecuzioni più dure. In questo modo il «caso bahá’í» fu un’importante vittoria tanto per la Commissione quanto per la Fede. Fu una sorprendente dimostrazione che la comunità delle nazioni, agendo attraverso il meccanismo appositamente creato, può riuscire a controllare modelli di oppressione che avevano macchiato le pagine della storia documentata di tutti i tempi.
Questa circostanza illustra l’attinenza delle attività della Fede con la vita della società nella quale esse si svolgono. Oltre alla pace mondiale, il bisogno che la comunità internazionale prenda provvedimenti effettivi per realizzare gli ideali della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e dei relativi patti è un’urgente sfida per l’umanità in questo momento della storia. Ben pochi sono i luoghi della terra nei quali alle popolazioni minoritarie non sia ancora negato qualche fondamentale diritto umano, a causa di pregiudizi religiosi, etnici o nazionali. E non c’è gruppo di gente sulla terra che capisca questo problema meglio della comunità bahá’í. Essa ha sopportato, e in alcuni paesi continua a sopportare, maltrattamenti che non hanno alcuna comprensibile giustificazione, legale o morale. Essa ha dato martiri e versato lacrime, ma è rimasta fedele alla sua convinzione che l’odio e la vendetta corrodono l’anima e ha imparato, come pochi altri, a usare il sistema dei diritti umani delle Nazioni Unite, senza ricorrere a partigianerie politiche e tanto meno alla violenza. Approfittando di questa esperienza, essa ha ora avviato un programma per incoraggiare i governi di una dozzina di paesi a istituire programmi di istruzione pubblica sul tema dei diritti umani, offrendo ogni tipo di assistenza pratica nei limiti delle sue possibilità.140 È particolarmente attiva in tutto il mondo anche nella promozione dei diritti delle donne e dei bambini. Ma soprattutto presenta un modello di fratellanza dal quale moltissime persone fuori dalle sue fila traggono coraggio e speranza.
(Nel corso della crisi iraniana, un’iniziativa presa dalla Casa Universale di Giustizia spostò rapidamente il lavoro degli affari esterni della comunità bahá’í su un piano completamente nuovo. Nel 1985 la dichiarazione The Promise of World Peace (La promessa della pace mondiale), indirizzata a tutto il genere umano, fu distribuita attraverso le Assemblee Spirituali Nazionali. La Casa di Giustizia vi affermava in termini concilianti ma decisi la fiducia dei bahá’í nell’avvento della pace internazionale come prossimo stadio dell’evoluzione della società. Vi esponeva inoltre alcuni elementi della forma che questo sviluppo da lungo tempo atteso avrebbe assunto, molti dei quali erano molto lontani dai termini politici nei quali la questione è abitualmente discussa. Concludeva:
L’esperienza della comunità bahá’í può essere considerata un esempio di questa crescente unità [del genere umano]… Se l’espe-rienza bahá’í può contribuire in qualsiasi misura ad accrescere la speranza nell’unità della razza umana, noi siamo felici di offrirla come modello di studio.
Lo scopo immediato di questa pubblicazione era quello di dare alle istituzioni e ai credenti personalmente una linea coerente di discussione nelle loro interazioni con le autorità di governo, le organizzazioni di volontariato, i mass media e i personaggi influenti, ma un effetto collaterale fu quello di mettere in moto un’intensa e costante educazione della comunità bahá’í in molti importanti insegnamenti bahá’í. L’influenza delle idee e dei punti di vista del documento si fece ben presto sentire dappertutto nelle convenzioni, nelle pubblicazioni, nelle scuole estive e invernali e nei discorsi generali dei credenti.
Sotto molti aspetti si può dire che La promessa della pace mondiale abbia stabilito l’ordine del giorno dell’interazione bahá’í con le Nazioni Unite e le sue organizzazioni satelliti negli anni successivi al 1985. Approfittando della reputazione che si era fatta, la Bahá’í International Community divenne, in pochi anni, una delle organizzazioni non governative più influenti. Dato che essa è, ed è considerata, completamente al di sopra delle parti, in ambienti internazionali ci si è sempre più affidati a lei come voce mediatrice nelle complesse discussioni, spesso cariche di tensioni, sui grandi temi del progresso sociale. Questa reputazione è stata rafforzata dal fatto, ben presto notato da tutti, che la Comunità evita, per principio, di approfittarne per promuovere i programmi della propria parte. Già nel 1968 un rappresentante bahá’í era stato eletto fra i membri del Comitato esecutivo delle Organizzazioni non governative, e in seguito ha coperto la carica di presidente e di vice presidente. Da allora in poi i rappresentanti della Bahá’í International Community sono sempre più spesso stati invitati a fungere da convocatori o moderatori di tutta una serie di organismi, unità operative, gruppi di lavoro e comitati consultivi. Negli ultimi anni il Rappresentante principale della Bahá’í International Community è stato nominato segretario esecutivo della Conferenza delle Organizzazioni non governative, l’ente centrale di coordinamento dei gruppi non governativi affiliati alle Nazioni Unite.
La struttura della Bahá’í International Community rispecchia i principi che ne guidano il lavoro. Essa ha evitato l’etichetta di ulteriore gruppo di pressione a favore di speciali interessi. Pur utilizzando pienamente l’espe-rienza e le risorse esecutive del suo Ufficio per le Nazioni Unite e di quello per l’informazione del pubblico, la Bahá’í International Community ha ottenuto che le altre organizzazioni non governative la riconoscessero come «associazione» di «consigli» nazionali democraticamente eletti, rappresentativa di una sezione trasversale del genere umano. Le delegazioni bahá’í agli eventi internazionali abitualmente comprendono membri nominati da varie Assemblee Spirituali Nazionali esperti nelle materie in discussione e in grado di offrire punti di vista regionali.
Questa caratteristica del coinvolgimento della Fede nella vita della società – per cui il principio motivante e il metodo operativo sono due dimensioni di un unico approccio ai problemi – ha dimostrato la propria forza in tutti i vertici mondiali e relativi conferenze organizzati dalle Nazioni Unite fra il 1990 e il 1996. In quei sei anni circa, i leader politici del mondo si sono ripetutamente incontrati sotto l’egida del Segretario generale delle Nazioni Unite per discutere la grandi sfide poste all’umanità alla fine del Novecento. Nessun bahá’í può esaminare questi storici incontri senza essere colpito dal fatto che gli ordini del giorno rispecchiavano assai fedelmente i principali insegnamenti di Bahá’u’lláh. Sembrò adatto che il centenario della Sua ascensione cadesse proprio alla metà di questo processo, cosa che per i bahá’í ha conferito a quegli incontri un significato spirituale ben più importante dei loro scopi dichiarati.
Fra questi incontri la Conferenza mondiale sull’educazione per tutti in Tailandia (1990), il Vertice mondiale per l’infanzia a New York (1990), la Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente a Rio de Janeiro (1992), la dolorosa e caotica Conferenza sui diritti umani a Vienna (1993), la Conferenza internazionale sulla popolazione al Cairo (1994), il Vertice mondiale per lo sviluppo sociale a Copenaghen (1995) e la particolarmente vibrante quarta Conferenza mondiale sulla donna a Pechino (1995)141 segnano i momenti fondamentali di questo processo di discorso globale sui problemi che affliggono i popoli del mondo. Nelle concomitanti conferenze non governative, le delegazioni bahá’í composte da membri provenienti da svariati paesi ebbero modo di mostrare i problemi nei loro aspetti spirituali oltre che sociali. Una prova della fiducia di cui la Bahá’í International Community godeva presso le centinaia di organizzazioni non governative fu il fatto che delegazioni bahá’í furono ripetutamente scelte dai loro pari fra i pochissimi membri dei gruppi ai quali fu accordata l’ambitissima possibilità di parlare alle conferenze dal podio, invece che limitarsi a distribuire copie stampate della propria presentazione.
(Negli ultimi anni del secolo molte Assemblee Spirituali Nazionali riportarono notevoli vittorie nel campo degli affari esterni. Due illustri esempi danno l’idea della natura e dell’importanza di questi successi. La prima è stata conseguita dall’Assemblea Spirituale Nazionale della Germania, dove autorità locali avevano affermato che la natura delle istituzioni bahá’í elette è tecnicamente incompatibile con i requisiti della legge civile del paese. L’Alta Corte Costituzionale della Germania accolse il ricorso del-l’Assemblea Spirituale Locale dei bahá’í di Tubinga, concludendo che l’Ordine Amministrativo bahá’í è parte integrante della Fede e come tale inseparabile dal credo bahá’í. L’Alta Corte giustificò il proprio diritto di giurisdizione sul caso adducendo a sostegno il fatto che la Fede bahá’í è una religione, un giudizio destinato ad avere importanti conseguenze in una società nella quale oppositori ecclesiastici hanno per lungo tempo cercato di mistificare la Fede come un «culto» o una «setta». Le precise parole della sentenza meritano di essere riportate:
…che la Fede bahá’í sia una religione e la comunità bahá’í una comunità religiosa, è evidente nella vita pratica di tutti i giorni, nella tradizione culturale e nella comprensione del pubblico nonché della scienza della religione comparata.142
Toccò alla comunità bahá’í brasiliana conseguire una vittoria nel campo degli affari esterni che finora non ha riscontri nella storia bahá’í. Il 28 maggio 1992 la suprema istituzione legislativa del paese, la Camera dei Deputati, tenne una sessione speciale per rendere onore a Bahá’u’lláh in occasione del centenario della Sua ascensione. Il Presidente della Camera lesse un messaggio della Casa Universale di Giustizia e i rappresentanti di tutti i partiti si alzarono uno per uno per riconoscere il contributo della Fede e del suo Fondatore al miglioramento dell’uomo. Un toccante discorso di un eminente deputato definì gli insegnamenti bahá’í «la più colossale opera religiosa che sia mai stata scritta dalla Penna di un solo Uomo».143
Queste espressioni di stima nei confronti della natura della Causa e del lavoro che essa cerca di svolgere – provenendo dai più alti livelli giudiziari e legislativi, rispettivamente, di due delle più grandi nazioni del mondo – furono vittorie dello spirito a loro modo tanto importanti quanto quelle conseguite nel campo dell’insegnamento. Contribuiscono ad aprire quelle porte attraverso le quali l’influenza risanatrice di Bahá’u’lláh incomincia a toccare la vita della società.
XIL’IMMAGINE USATA DA ‘ABDU’L-Bahá per indicare ai Suoi ascoltatori l’imminente trasformazione della società fu quella della luce. L’unità, dichiarò, è la forza che illumina e promuove tutte le forme del-l’impegno umano. In futuro l’era che stava incominciando sarebbe stata considerata come «il secolo di luce», perché nel suo corso l’unità del genere umano avrebbe ottenuto un riconoscimento universale. Una volta posta questa base, avrebbe avuto inizio il processo della costruzione di una società globale che avrebbe incorporato i principi della giustizia.
Questa visione fu enunciata dal Maestro in molte Tavole e in numerosi discorsi. La sua espressione più completa si trova in una Sua Tavola a Jane Elizabeth Whyte, moglie dell’ex moderatore della Libera Chiesa di Scozia. La signora Whyte, che era una fervente ammiratrice degli insegnamenti bahá’í, aveva incontrato il Maestro ad ‘Akká e avrebbe in seguito fatto i preparativi per l’accoglienza particolarmente calorosa che Egli ebbe in Edimburgo. Usando la familiare metafora delle «luci». ‘Abdu’l-Bahá scrisse alla signora Whyte:
O onorata signora!… Osservate come il suo [dell’unità] fulgore albeggi ora sull’oscuro orizzonte del mondo. La prima luce è l’unità in campo politico e i primi bagliori già li possiamo discernere. La seconda luce è l’unità di pensiero nelle imprese del mondo, il cui adempimento sarà ben presto testimoniato. La terza luce e l’unità nella libertà che presto si realizzerà. La quarta luce e l’unità della religione che è la pietra angolare di tutto l’edificio e che per il potere di Dio sarà rivelata in tutto il suo fulgore. La quinta luce è l’unità delle nazioni – unità che sarà senza dubbio stabilita in questo secolo, sì che tutti i popoli del mondo si reputeranno come cittadini di una comune patria. La sesta luce è l’unità delle razze, che fa di tutti coloro che dimorano sulla terra popoli e genti della medesima razza. La settima luce è l’unità dell’i-dioma, cioè la scelta di una lingua universale cui tutti i popoli saranno educati e nella quale converseranno. Tutto ciò avverrà inevitabilmente, ché il potere del Regno di Dio presterà aiuto e soccorso.144
Anche se dovranno passare decenni – o forse anche molto di più – prima che la visione contenuta in questo ragguardevole documento sia pienamente realizzata, gli aspetti essenziali delle sue promesse sono già dati di fatto in tutto il mondo. Per molti dei grandi cambiamenti previsti – l’unità delle razze e l’unità delle religioni – l’intento delle parole del Maestro è chiaro e i processi che esse implicano sono molto avanzati, malgrado le grandi resistenze opposte da certi ambienti. Altrettanto dicasi per l’unità delle lingue. La sua necessità è oggi riconosciuta dappertutto, come si deduce dalle circostanze che hanno costretto le Nazioni Unite e molte organizzazioni non governative ad adottare diverse «lingue ufficiali». In attesa di arrivare a una decisione in base a un accordo internazionale, è accaduto che sviluppi come Internet, la gestione del traffico aereo, lo sviluppo dei vari vocabolari tecnologici e l’istruzione universale abbiano consentito all’inglese di colmare, entro certi limiti, la lacuna.
Anche l’«unità di pensiero nelle imprese del mondo», un concetto rispetto al quale le più idealistiche aspirazioni di inizio secolo non avevano alcun punto di riferimento, è evidente dappertutto nei vasti programmi di sviluppo socio-economico, negli aiuti umanitari e nell’impegno per la protezione del pianeta e degli oceani. Quanto all’«unità in campo politico», Shoghi Effendi ha spiegato che questa locuzione si riferisce all’unità che gli stati sovrani conseguiranno fra loro, un processo in via di sviluppo che attualmente è giunto allo stadio dell’istituzione delle Nazioni Unite. La promessa del Maestro quanto all’«unità delle nazioni», invece, si riferiva all’accettazione, oggi assai diffusa fra i popoli del mondo, del fatto che, malgrado le grandi differenze, essi sono gli abitanti di un’unica patria che è il globo terrestre.
«L’unità nella libertà» è oggi sicuramente diventata l’aspirazione universale degli abitanti della terra. Fra i principali sviluppi che le danno sostanza, è possibile che il Maestro abbia avuto in mente la spettacolare fine del colonialismo e la conseguente emersione dell’autodeterminazione fra i principali aspetti dell’identità nazionale di fine secolo.
Malgrado le minacce ancora incombenti sul futuro dell’umanità, gli eventi del Novecento hanno trasformato il mondo. Che le caratteristiche del processo siano state descritte dalla Voce che li previde con tanta fiducia impone a tutte le menti coscienziose un’onesta riflessione.
(I cambiamenti introdotti nella vita morale e sociale dell’umanità ricevettero un energico avvallo in una serie di riunioni internazionali convocate sotto l’egida delle Nazioni Unite per segnare l’imminente fine di un «millennio» e l’inizio di quello nuovo. Fra il 22 e il 26 maggio 2000, i rappresentanti di oltre mille organizzazioni non governative si riunirono a New York per invito di Kofi Annan, segretario generale delle Nazioni Unite. Nella dichiarazione scaturita da questo incontro, i portavoce della società civile impegnarono le loro organizzazioni a rispettare l’ideale che «…siamo una sola famiglia, in tutta la nostra diversità, e condividiamo la stessa patria e un mondo giusto, sostenibile e pacifico, guidato da principi universali di democrazia…».145
Poco tempo dopo, dal 28 al 31 agosto, un secondo incontro radunò i capi della maggior parte delle comunità religiose del mondo, anch’essi riuniti nel Quartier generale delle Nazioni Unite. La Bahá’í International Community fu rappresentata dal suo Segretario generale che prese la parola durante una delle sessioni plenarie. Nessun osservatore avrebbe potuto non essere colpito dall’appello che i capi religiosi del mondo rivolsero formalmente alle loro comunità di «rispettare il diritto alla libertà religiosa, di cercare la riconciliazione e di impegnarsi per ottenere il reciproco perdono e risanamento…».146
I due eventi preliminari prepararono la strada a quello che era stato chiamato Vertice del Millennio e che si riunì nel Quartier generale delle Nazioni Unite dal 6 all’8 settembre 2000. La consultazione, cui parteciparono centoquarantanove capi di stato e di governo, cercò di dare speranza e rassicurazione alle popolazioni delle nazioni rappresentate. Il Vertice prese l’importante decisione di chiedere a un portavoce del Forum delle organizzazioni non governative di comunicare gli impegni che erano stati identificati nel loro incontro di preparazione. Ai bahá’í sembrò tanto importante quanto gratificante che la persona alla quale fu concesso questo grande onore sia stato il Rappresentante principale della Bahá’í International Community presso le Nazioni Unite, in qualità di Co-presidente del Forum. Nulla può illustrare in modo più sensazionale la differenza fra il mondo del 1900 e quello del 2000 del testo della Risoluzione del Vertice, firmata da tutti i partecipanti e da loro presentata all’Assemblea generale delle Nazioni Unite:
Riaffermiamo solennemente, in questa storica occasione, che le Nazioni Unite sono l’indispensabile casa comune di tutta la famiglia umana, attraverso la quale cercheremo di realizzare le nostre universali aspirazioni di pace, di collaborazione e di sviluppo. Pertanto promettiamo il nostro incondizionato appoggio a questi obiettivi comuni e confermiamo la nostra ferma volontà di conseguirli.147
Nel chiudere questa serie di storici incontri, Kofi Annan rivolse ai capi del mondo riuniti parole sorprendentemente schiette – parole che, per molti bahá’í, contenevano l’eco del severo ammonimento rivolto da Bahá’u’lláh agli ora scomparsi re e imperatori che erano stati i predecessori di questi capi: «È in vostro potere, e perciò è vostra responsabilità, raggiungere le mete che avete definito. Soltanto voi potete decidere se le Nazioni Unite saranno all’altezza della sfida».148
(Malgrado la storica importanza degli incontri e la partecipazione della maggior parte della leadership politica, civile e religiosa dell’umanità, in molti paesi il Vertice del Millennio fece ben poca impressione sulla mente del pubblico. Certi eventi ebbero grande risonanza sui mass media, ma a pochi lettori o ascoltatori poté sfuggire l’espressione di scetticismo che caratterizzò gli articoli di fondo sul tema o l’aria di dubbio, e perfino di cinismo, che s’insinuò anche in molti degli articoli di cronaca. Questo netto divario fra un evento che si sarebbero avute tutte le ragioni per considerare una grande svolta nella storia umana, da una parte, e la mancanza di entusiasmo o perfino di interesse che esso suscitò fra le popolazioni che ne erano le presunte beneficiarie, dall’altra, fu forse il tratto più sorprendente delle note sul millennio. Evidenziò la profondità della crisi che il mondo stava attraversando alla fine del secolo, quando i processi di integrazione e disintegrazione che si erano avviati negli ultimi cent’anni sembravano accelerare di giorno in giorno.
E anche coloro che vogliono credere alle idealistiche dichiarazioni dei capi del mondo si trovano alle prese con due fenomeni che ne indeboliscono la fiducia. Il primo è già stato esaurientemente esaminato in queste pagine. Il crollo delle basi morali della società ha lasciato la maggior parte degli esseri umani alla deriva senza punti di riferimento in un mondo che diviene di giorno in giorno più minaccioso e imprevedibile. Suggerire che il processo è quasi giunto alla fine significherebbe alimentare false speranze. È possibile vedere che si sono fatti grandi sforzi politici, che sono stati compiuti ragguardevoli progressi scientifici e che si sono realizzati miglioramenti economici per una parte del genere umano, senza peraltro vedere in questi passi avanti nulla che rassomigli alla speranza di una vita sicura per se stessi o, quel che più conta, per i propri figli. Il senso di delusione che, come Shoghi Effendi avvertì, il dilagare della corruzione politica avrebbe creato nella mente delle masse è ora assai diffuso. Gli atti di delinquenza sono divenuti pandemici nella vita urbana e rurale di molti paesi. Il fallimento dei controlli sociali, lo sforzo di giustificare le forme più estreme di comportamento aberrante principalmente come problemi di diritti civili e la quasi universale celebrazione nelle arti e nei mass media della degenerazione e della violenza – queste e altre analoghe manifestazioni di una condizione che sfiora l’anarchia morale fanno pensare a un futuro che paralizza l’immaginazione. Nella cornice di questo panorama di desolazione la moda intellettuale del momento, cercando di fare della dura necessità virtù, ha adottato il nome e la missione del «decostruttivismo».
Il secondo dei due fenomeni che indeboliscono la fede nel futuro è stato il tema di alcuni dei più dolorosi dibattiti del Vertice del Millennio. La rivoluzione informatica esplosa nell’ultimo decennio del secolo con l’in-venzione della Rete ha irreversibilmente trasformato gran parte delle attività umane. Il processo di «globalizzazione» che per un periodo di molti secoli ha seguito una lunga curva ascendente è stato stimolato da nuove possibilità per molte persone inimmaginabili. Nell’ultimo decennio del secolo, le forze economiche, svincolate dai limiti tradizionali, hanno creato un nuovo ordine globale nella progettazione, produzione e distribuzione delle ricchezze. Il sapere è diventato una merce assai più preziosa del capitale economico e delle risorse materiali. In un periodo di tempo incredibilmente breve, i confini nazionali, già sotto tiro, sono divenuti permeabili, con il risultato che attualmente ingenti somme di denaro li attraversano in un soffio al comando del tasto di un computer. Complesse operazioni produttive sono state riconfigurate in modo tale da integrare e massimizzare i risparmi disponibili provenienti dal contributo di tutta una serie di partecipanti in fase di specializzazione indipendentemente dalle loro ubicazioni nazionali. Se si abbassano i propri orizzonti a considerazioni puramente materiali, la terra ha già assunto il carattere di «un solo paese» e gli abitanti dei vari paesi ne sono i «cittadini» consumatori.
Ma la trasformazione non è soltanto economica. La globalizzazione assume sempre più dimensioni politiche, sociali e culturali. È chiaro che i poteri dell’istituzione dello stato nazionale, un tempo arbitro e protettore delle sorti umane, sono stati drasticamente ridotti. Sebbene i governi nazionali continuino a svolgere un ruolo cruciale, essi devono ora far posto ai nascenti centri di potere delle corporazioni multinazionali, delle agenzie delle Nazioni Unite, di organizzazioni non governative di tutti i generi e di enormi conglomerati di mezzi di comunicazione, la cui collaborazione è vitale ai fini del successo della maggior parte dei programmi che si prefiggano importanti scopi economici e sociali. Come lo spostamento di denaro o di corporazioni incontra ben pochi ostacoli dai confini nazionali, così questi confini non esercitano più un effettivo controllo sulla disseminazione del sapere. Internet , che ha la capacità di trasmettere in pochi secondi il contenuto di intere biblioteche per accumulare le quali un tempo occorrevano secoli, arricchisce di molto la vita intellettuale di chiunque sia capace di servirsene, oltre a fornire sofisticate formazioni in svariati campi professionali. Il sistema, così profeticamente previsto sessant’anni fa da Shoghi Effendi, crea fra gli utenti un senso di comunità che supera tutte le distanze geografiche o culturali.
I benefici per milioni di persone sono ovvi e imponenti. Il coordinamento di operazioni un tempo concorrenti ha ottimizzato i costi mettendo merci e servizi alla portata di popolazioni che prima non potevano sperare di approfittarne. L’enorme incremento dei fondi disponibili per la ricerca e per lo sviluppo estende la varietà e migliora la qualità di questi benefici. Un certo effetto livellante nella distribuzione delle possibilità di lavoro è visibile nella facilità con cui operazioni d’affari possono spostare la propria base operativa da una parte all’altra del mondo. L’abbattimento delle barriere al commercio internazionale riduce ulteriormente il costo delle merci per i consumatori. Dal punto di vista bahá’í, non è difficile vedere le potenzialità di queste trasformazioni ai fini della costruzione delle fondamenta della società globale prevista negli Scritti di Bahá’u’lláh.
Eppure, lungi dall’infondere fiducia nel futuro, la globalizzazione è vista da un crescente numero di persone in tutto il mondo come la principale minaccia per quel futuro. La violenza dei tumulti scatenati negli ultimi due anni dagli incontri dell’Organizzazione Mondiale per il Commercio, della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale attesta l’entità delle paure e dei risentimenti suscitati dalla nascita della globalizzazione. La copertura dei mezzi d’informazione su questi inattesi episodi ha fatto convergere l’attenzione del pubblico sulle proteste contro le enormi disparità nella distribuzione dei benefici e delle opportunità, che la globalizzazione sembrerebbe aumentare, e sugli avvertimenti che, se non si imporranno rapidamente controlli effettivi, le conseguenze saranno catastrofiche in termini socio-politici, economici e ambientali.
Le preoccupazioni sembrano fondate. Le sole statistiche economiche rivelano un quadro assai inquietante delle attuali condizioni globali. Il crescente solco fra il quinto della popolazione mondiale che vive nei paesi a reddito più alto e il quinto che vive nei paesi a reddito più basso è una brutta storia. Secondo il Rapporto sullo sviluppo umano del 1999 pubblicato dal Programma per lo sviluppo delle Nazioni Unite, questo divario nel 1990 era di sessanta a uno. Ciò significa che un segmento del genere umano aveva accesso al sessanta per cento delle ricchezze del mondo, mentre un’altra popolazione, di entità equivalente, lottava per sopravvivere con il solo un per cento di quella ricchezza. Nel 1997, sull’onda del rapido progresso della globalizzazione, il solco si era allargato in soli sette anni fino a una proporzione di settantaquattro a uno. E questo sconvolgente fatto non tiene in considerazione il costante impoverimento della maggioranza dei restanti miliardi di esseri umani intrappolati nell’istmo, che va inesorabilmente restringendosi, fra questi due estremi. Lungi dall’esse-re messa sotto controllo, la crisi sta evidentemente accelerando. Le conseguenze per il futuro dell’umanità, in termini delle privazioni e della disperazione che stanno per travolgere oltre due terzi della popolazione della terra, hanno contribuito a spiegare l’apatia che ha accolto la celebrazione da parte del Vertice del Millennio di realizzazioni che erano, in base a ogni ragionevole criterio, veramente storiche.
La globalizzazione è di per sé una caratteristica intrinseca dell’evolu-zione della società umana. Essa ha creato una cultura socio-economica che, in pratica, costituisce il mondo nel quale le aspirazioni della razza umana saranno perseguite nel secolo che ha ora inizio. Nessun osservatore obiettivo, se giudica con equità, può negare che le due contraddittorie reazioni che ha prodotto sono entrambe, in larga misura, giustificate. L’uni-ficazione della società umana, forgiata dai fuochi del Novecento, è una realtà che apre di giorno in giorno nuove entusiasmanti possibilità. Un’altra realtà che si sta imponendo alle menti più coscienziose dappertutto è l’af-fermazione che la giustizia sia l’unico strumento capace di utilizzare queste grandi potenzialità per il progresso della civiltà. Non occorre più avere il dono della profezia per capire che il destino dell’umanità nel secolo che sta ora incominciando sarà deciso dal rapporto che si instaurerà fra queste due fondamentali forze del processo storico, i principi inseparabili dell’unità e della giustizia.
(Nella prospettiva degli insegnamenti di Bahá’u’lláh, il massimo pericolo insito nella crisi morale e nelle ingiustizie associate alla globalizzazione nella sua attuale forma è un inveterato atteggiamento filosofico che cerca di giustificare e scusare questi insuccessi. L’abbattimento dei sistemi totalitari del Novecento non ha messo fine all’ideologia. Tutt’altro. Non c’è stata società nella storia del mondo, per quanto pragmatica, sperimentalista e multiforme sia stata, che non abbia preso forza da una propria fondamentale interpretazione della realtà. Questo sistema di pensiero regna oggi praticamente incontrastato su tutto il pianeta sotto il nome di «civiltà occidentale». Esso si presenta filosoficamente e politicamente come una forma di relativismo liberale, economicamente e socialmente come capitalismo e questi due sistemi si sono così bene adattati l’uno all’altro e vicendevolmente spalleggiati da costituire praticamente un’unica, esaustiva visione del mondo.
Apprezzarne i benefici – nei termini della libertà personale, della prosperità sociale e del progresso scientifico di cui gode un’importante minoranza della popolazione della terra – non impedisce a chi sappia pensare di riconoscere che il sistema è moralmente e intellettualmente fallimentare. Esso ha dato il meglio di sé al progresso della civiltà, come tutti i suoi predecessori, e, come loro, non è all’altezza dei bisogni di un mondo che i profeti del Settecento che hanno concepito la maggior parte degli elementi che lo compongono non avrebbero mai immaginato. Quando pose la penetrante domanda: «Perché, in un mondo soggetto all’immutabile legge del cambiamento e del declino, dovrebbero essi andar esenti dal deterioramento che coglie ogni istituzione umana?»,149 Shoghi Effendi non alludeva solo alle monarchie fondate sul diritto divino, alle chiese istituzionali o alle ideologie totalitarie.
Bahá’u’lláh esorta coloro che credono in Lui a «discernere coi tuoi occhi e non con quelli degli altri» e «apprendere per cognizione tua e non del tuo vicino». Tragicamente, quello che i bahá’í vedono nella società moderna è un incontrollato sfruttamento delle masse da parte di un’avidità che si giustifica presentandosi come l’azione di «forze impersonali del mercato». Quello che essi hanno dappertutto sotto gli occhi è la distruzione di fondamenta morali che sono vitali per il futuro dell’umanità, a causa di una vistosa egoistica intemperanza mascherata da «libertà di parola». Quello contro il quale essi si trovano quotidianamente a lottare è la pressione di un materialismo dogmatico, che pretende di essere la voce della «scienza», che cerca di escludere sistematicamente dalla vita intellettuale qualunque impulso sorga dal livello spirituale della coscienza umana.
Ma per i bahá’í i problemi di fondo sono spirituali. La Causa non è né un partito politico né un’ideologia, tanto meno una promotrice di agitazioni politiche contro questa o quella ingiustizia sociale. Il processo di trasformazione che essa ha messo in moto procede inducendo un fondamentale cambiamento della coscienza e la sfida che essa pone a chiunque voglia servirla è di liberarsi dall’attaccamento a presupposti e preferenze ereditati che siano inconciliabili con il Volere di Dio per l’età della maturità del genere umano. Paradossalmente, anche il dolore prodotto da un prevalente stato di cose che offende la coscienza è di aiuto in questo processo di liberazione spirituale. In ultima analisi, questa delusione spinge i bahá’í ad affrontare una verità ripetutamente sottolineata negli Scritti della Fede:
Egli ha scelto fra tutte le cose del mondo i cuori dei Suoi servi e di ognuno di essi ha fatto un seggio per la rivelazione della Sua gloria. Perciò purificateli da ogni contaminazione, perché possano esservi incise le cose per cui essi sono stati creati.150
XIILE PAROLE INIZIALI DEL VANGELO attribuito al discepolo di Gesù, Giovanni – «All’inizio era la Parola…» – hanno affascinato i lettori per duemila anni. Il passo prosegue affermando con disarmante semplicità e chiarezza una verità spirituale che è stata fondamentale in tutte le religioni rivelate, ripetutamente confermata in una serie di civiltà nel corso dei tempi: «Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto da lui…». La promessa Manifestazione di Dio appare. Attorno a questo centro focale di vita e autorità spirituale si forma una comunità. Un nuovo sistema di valori incomincia a riordinare le coscienze e i comportamenti. Le arti e le scienze rispondono. Si ha una ristrutturazione delle leggi e dell’ammini-strazione delle cose sociali. Lentamente, ma irresistibilmente, emerge una nuova civiltà, una civiltà che realizza gli ideali e impegna le capacità di milioni di esseri umani a tal punto da costituire un nuovo mondo, un mondo molto più vero per coloro che in esso «vivono, si muovono ed esistono»151 delle fondamenta terrene sulle quali esso posa. Nei secoli successivi, la coesione e la fiducia della società continuano a dipendere soprattutto dall’impulso spirituale che le ha dato origine.
Con l’apparizione di Bahá’u’lláh il fenomeno si è ripetuto – questa volta in dimensioni tali da abbracciare la totalità degli abitanti della terra. Negli eventi del Novecento sono visibili i primi stadi della trasformazione universale della società messa in moto dalla Rivelazione di cui Bahá’u’lláh scrisse:
Attesto che non appena, mediante la potenza del Tuo volere e del Tuo scopo, la Prima Parola uscì dalla Sua bocca… l’intera creazione fu rivoluzionata e tutti coloro che sono nei cieli e tutti coloro che sono sulla terra furono sconvolti nel più profondo. Mediante quella Parola le realtà di tutte le cose create furono scosse, divise, separate, disperse, combinate e ricongiunte, svelando nel mondo contingente e nel regno celestiale le entità di una nuova creazione e rivelando nei reami invisibili i segni e i pegni della Tua unità e della Tua unicità.152
Shoghi Effendi definisce questo processo di unificazione del mondo il «Grande Piano» di Dio e dice che le sue operazioni continueranno, acquistando forza e velocità, finché la razza umana non si unisca in una società globale che abbia bandito la guerra e preso nelle proprie mani la cura del proprio destino. Ciò che le lotte del Novecento hanno ottenuto è il fondamentale cambiamento di direzione richiesto dallo scopo divino. Il cambiamento è irreversibile. Non c’è un modo per ritornare al vecchio stato di cose, anche se di tanto in tanto alcuni elementi della società sono tentati di cercarne uno.
L’importanza dello storico passo avanti così compiuto non è assolutamente minimizzata se si riconosce che il processo è a mala pena incominciato. A suo tempo esso porterà, come Shoghi Effendi ha ben chiarito, alla spiritualizzazione della coscienza umana e alla nascita della civiltà globale che incarnerà la Volontà di Dio. Basta solo enunciare la meta per comprendere quale grande distanza l’umanità abbia ancora da percorrere. È malgrado la più accanita resistenza a ogni livello della società, fra governati e governanti, che i cambiamenti politici, sociali e concettuali degli ultimi cent’anni sono stati conseguiti. In definitiva, essi sono stati ottenuti solo a prezzo di terribili sofferenze. Sarebbe utopistico immaginare che le sfide che ci attendono non debbano esigere un pedaggio ancor più pesante da una razza umana che cerca ancora, con ogni mezzo in suo potere, di evitare le implicazioni spirituali dell’esperienza che sta attraversando. Le parole di Shoghi Effendi sulle conseguenze di questa durezza di cuore e di mente sono una realistica lettura:
Calamità inimmaginabili e orrende, crisi e sconvolgimenti impensabili, guerre, carestie e pestilenze potranno ben accumularsi per imprimere nell’anima di codesta disattenta umanità le verità e i principi ch’essa ha disdegnato di riconoscere e seguire.153
(Appena trent’anni del Novecento erano trascorsi quanto il Custode chiamò i seguaci di Bahá’u’lláh a una comprensione della Causa di Bahá’u’lláh ben più profonda di quanto avessero mai conseguito. La Fede era giunta al punto, egli disse, in cui stava «[c]essando di designarsi come un movimento, un’associazione e simili», definizioni che se pure forse appropriate la prima volta che il messaggio fu introdotto in Occidente, ora «infliggevano un grave torto al suo sistema in continua evoluzione». Respingendo come inadeguato perfino il termine di «religione» nel suo abituale significato, egli indicò che la Fede stava già
…palesemente riuscendo a dimostrare i propri diritti e titoli ad essere considerata come una Religione Mondiale il cui destino è conseguire, nella pienezza dei tempi, la posizione di una Confederazione che abbracci l’intero pianeta che sarà nel contempo strumento e tutrice della Più Grande Pace annunciata dal suo Autore.154
Nel corso del secolo, la stessa Forza creativa che stava risvegliando tutti gli esseri umani alla propria unità sprigionò progressivamente i poteri intrinseci della Causa, conferendole un nuovo ruolo nelle cose umane. Nel corso dei primi due decenni del secolo, grazie alle amorevoli cure del Maestro, sono state costruite le fondamenta spirituali e amministrative necessarie agli scopi di Bahá’u’lláh. Sulla base così resa disponibile – durante i trentasei anni del suo ministero e nei successivi sei anni durante i quali la sua Crociata decennale guidò le imprese della comunità – Shoghi Effendi si dedicò al raffinamento degli strumenti amministrativi necessari per portare avanti il Piano Divino. Nel 1963 quando la Casa Universale di Giustizia fu felicemente istituita, i bahá’í del mondo dettero avvio al primo stadio di una missione di lunga durata: infondere nell’intero corpo dell’umanità il potere spirituale necessario per essere protagonisti del proprio progresso. Alla fine del secolo, questa grande impresa aveva creato una comunità che rappresentava le diversità del-l’intera razza umana, unificata nelle credenze e nelle lealtà e impegnata nella costruzione di una società globale che rispecchierà sulla terra la visione spirituale e morale del suo Fondatore.
Nel 1992, questo processo fu immensamente rafforzato dalla tanto attesa pubblicazione della traduzione inglese esaurientemente annotata del Kitáb-i-Aqdas, depositario della guida divina per l’era della maturità collettiva del genere umano. Un crescente numero di traduzioni permise ben presto ai seguaci della Fede in tutto il mondo di accedere direttamente a un Libro che il Suo Autore ha definito «l’Alba del sapere divino, se siete di coloro che comprendono, e l’Oriente dei comandamenti di Dio, se siete di coloro che capiscono».155 Se si esclude il riconoscimento di Dio da parte dell’anima, non c’è niente che risvegli nella coscienza umana – personale e collettiva – un così profondo senso di fiducia e di vitalità come la forza della certezza morale. Nel Kitáb-i-Aqdas leggi fondamentali per la vita delle persone e della comunità sono state riformulate nel contesto di una società che abbraccia l’intera gamma delle diversità umane. Nuove leggi e nuovi concetti soddisfano le necessità di una razza umana che sta entrando nella sua maturità collettiva. «O popoli della terra!», dice l’appello di Bahá’u’lláh, «Gettate via ciò che possedete e, sulle ali del distacco, libratevi al di sopra di tutte le cose create. Così vi ordina il Signore del creato, il movimento della Cui Penna ha rivoluzionato l’anima dell’umanità».156
Una caratteristica dei cent’anni di sviluppo della comunità bahá’í appena trascorsi che merita l’attenzione di ogni osservatore è il successo della Fede nel superare gli attacchi mossi contro di lei. Com’è accaduto durante il ministero del Báb e quello di Bahá’u’lláh, alcuni elementi della società infastiditi dalla nascita della nuova religione o timorosi dei principi che essa insegnava cercarono di sopprimerla con ogni mezzo in loro potere. Non ci fu decennio del secolo scorso che non abbia visto tentativi di questo tipo – che spaziarono dalle sanguinose persecuzioni istigate dal clero sciita e dalle vergognose menzogne ideate e diffuse dalle loro controparti cristiane, ai sistematici tentativi di distruzione da parte dei vari regimi totalitari e, infine, alla violazione del loro impegno verso Bahá’u’lláh da parte degli insinceri, degli ambiziosi o dei malevoli fra coloro che si professavano suoi seguaci. Secondo ogni criterio umano, la Causa avrebbe dovuto soccombere a un fuoco di fila di opposizioni che non ha riscontri nella storia recente. Lungi dal soccombere, essa ha prosperato. La sua reputazione è cresciuta, il numero dei suoi membri è molto aumentato, la sua influenza ha superato i sogni delle prime generazioni di seguaci. Le persecuzioni sono servite a infervorare gli sforzi dei suoi sostenitori. Le calunnie hanno spinto i credenti a cercare una comprensione più matura della sua storia e dei suoi insegnamenti. E, come il Maestro e il Custode avevano promesso, la violazione del Patto ha eliminato dalle sue fila persone che con il loro comportamento e con i loro atteggiamenti avevano sMirzato la fede di altri inibendone il progresso. Se la Causa non potesse addurre altre prove o testimonianze a sostenerla, questa serie di trionfi da sola sarebbe sufficiente.
(Tre anni prima del suo trapasso, Shoghi Effendi approfittò dell’acquisi-zione dell’ultimo appezzamento di terreno necessario per l’erezione del-l’Edificio degli Archivi Internazionali per descrivere al mondo bahá’í la natura e il significato del progetto edilizio sulle falde del monte Carmelo che il Maestro aveva inaugurato e che lui stava proseguendo:
Questi Edifici, costruiti in armonia di stile architettonico, formeranno un ampio arco che circonderà il luogo dove riposano la Più Grande Santa Foglia… suo Fratello… e la loro Madre… Il definitivo completamento di questa straordinaria impresa segnerà il culmine dello sviluppo di questo Ordine Amministrativo mondiale voluto da Dio i cui inizi possono farsi risalire agli ultimi anni dell’Età Eroica della Fede.157
Il presente stadio di questa ambiziosa impresa fu portato felicemente a termine nell’ultimo anno del secolo. Un versamento di risorse da parte dei credenti di tutto il mondo aveva risposto alla visione di Bahá’u’lláh per questo sacro luogo, annunciata nella Sua Tavola del Carmelo: «Esulta poiché Dio, in questo Giorno, ha posto il Suo trono su di te, ti ha fatto oriente dei Suoi segni e alba della Sua Rivelazione». Nel complesso di maestosi edifici disseminati lungo l’Arco e nella fuga di giardini a terrazze che si estendono dai piedi fino in cima al monte, la Causa la cui influenza è costantemente cresciuta nel mondo nel secolo di luce è finalmente apparsa come una presenza visibile che merita rispetto. Nelle folle di visitatori di ogni paese che quotidianamente ne affollano le scale e i viali e nel fiume di illustri ospiti che sono accolti nelle sale da ricevimento del Centro Mondiale, le menti perspicaci già intravedono la realizzazione della visione annotata ventitré secoli fa dal profeta Isaia: «Alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà eretto sulla cima dei monti e sarà più alto dei colli; ad esso affluiranno tutte le genti».158
La Causa bahá’í si distingue da ogni altra cosa per la sua natura di complesso organico irriducibile. Incarnando il principio dell’unità che costituisce l’essenza della Rivelazione di Bahá’u’lláh, questa natura è il segno della presenza dello Spirito intrinseco che anima la Fede. Unica fra le religioni della storia – e malgrado i ripetuti sforzi per spezzare quest’unità – la Causa ha felicemente resistito alla ricorrente sciagura dello scisma e della faziosità. Il successo del lavoro di insegnamento della comunità è assicurato dal fatto che gli strumenti che essa usa sono stati creati dalla Rivelazione, che sono stati i Fondatori della Fede a concepire i metodi per l’esecuzione del Piano Divino e che sono stati Loro a guidare, in ogni importante dettaglio, il lancio dell’impresa. Durante il Novecento, grazie agli sforzi di ‘Abdu’l-Bahá e del Custode, anche il monte Carmelo è divenuto un’espressione di quest’unità dell’essere della Fede. A differenza da quanto è accaduto in altre religioni del mondo, il centro spirituale della Causa è inseparabilmente unito a quello amministrativo nello stesso luogo sulla terra e le istituzioni che la guidano gravitano attorno al Mausoleo del suo Profeta martire. Per molti visitatori, perfino l’armonia che si è ottenuta nella varietà dei fiori, degli alberi e degli arbusti dei giardini circostanti sembra proclamare l’ideale dell’unità nella diversità che essi trovano attraente negli insegnamenti della Fede.
Nulla ha segnato in modo altrettanto drammatico la conclusione di cent’anni di realizzazioni come un evento che ha anche costernato i credenti del mondo. Il 19 gennaio 2000 un messaggio della Casa Universale di Giustizia annunciava:
Nelle prime ore di questa mattina, l’anima di Amatu’l-Bahá Rú?íyyh Khánum, amata consorte di Shoghi Effendi e ultimo legame del mondo bahá’í con la famiglia di ‘Abdu’l-Bahá, è stata liberata dalle limitazioni di questa esistenza terrena… I suoi vent’anni di intima associazione con Shoghi Effendi hanno evocato dalla sua penna elogi come «mia compagna», «mio scudo», «mia infaticabile collaboratrice negli ardui compiti che devo sostenere»…
Quando il doloroso colpo iniziale incominciò ad attenuarsi, subentrò la comprensione di un altro degli inesauribili doni di Bahá’u’lláh. A una figura la cui lunga vita aveva accompagnato la maggior parte del secolo – e il cui indomito spirito aveva sostenuto battaglie e sacrifici bahá’í nella sua ultima metà – era stato concesso di vivere e celebrare le magnifiche vittorie alle quale aveva così magnificamente contribuito
(Nel chiedere a coloro che L’hanno riconosciuto di trasmettere agli altri il messaggio del Giorno di Dio, Bahá’u’lláh ricorre ancora una volta al linguaggio della creazione: «Ogni corpo reclama un’anima. Mediante il soffio della Parola di Dio le anime celestiali devono animare i corpi esanimi con un nuovo spirito».159 Il principio vale tanto per la vita collettiva del genere umano, fa notare ‘Abdu’l-Bahá, quanto per la vita dei suoi membri: «La civiltà materiale è come il corpo: ancorché oltremodo avvenente, elegante e bello, è morto. La civiltà divina è come lo spirito, e il corpo trae la vita dallo spirito…».160
In questa avvincente analogia è riassunto il rapporto fra i due sviluppi storici che la Volontà di Dio ha spinto su due binari convergenti durante il secolo di luce. Solo una persona cieca alle capacità intellettuali e sociali latenti nella razza umana e insensibile ai disperati bisogni dell’umani-tà, può non essere profondamente soddisfatta dei progressi compiuti dalla società negli ultimi cent’anni e soprattutto dei processi che stanno legando l’uno all’altro i popoli e le nazioni della terra. E i bahá’í, che vedono in queste realizzazioni lo Scopo di Dio, le apprezzano ancora di più. Ma il Corpo della civiltà materiale dell’umanità reclama a gran voce la propria Anima e ogni giorno che passa la desidera sempre più disperatamente. Come ogni grande civiltà della storia, finché non avrà un’anima e finché le sue facoltà spirituali non saranno risvegliate, essa non troverà né pace, né giustizia, né unità al di là di quelle ottenibili con i negoziati e i compromessi. RivolgendoSi ai «rappresentanti eletti dei popoli in tutte le terre», Bahá’u’lláh scrisse.
Ciò che Dio ha ordinato quale sovrano rimedio e come il più possente istrumento per la guarigione del mondo è l’unione di tutti i suoi popoli in una Causa universale e in una Fede comune.161
Non è dunque nel dare sostegno, o incoraggiamento, o perfino esempio che consiste principalmente il lavoro della Causa. La comunità bahá’í continuerà a contribuire in ogni possibile modo agli sforzi a favore dell’unificazione globale e del miglioramento sociale, ma questi contributi sono secondari al suo scopo. Il suo scopo è di aiutare i popoli del mondo ad aprire la mente e il cuore all’unico Potere che può appagare la loro suprema aspirazione. Nessuno può offrire questo aiuto, tranne coloro che si sono loro stessi risvegliati alla Rivelazione di Dio. Nessuno può offrire una credibile testimonianza di un imminente mondo di pace e giustizia, tranne coloro che comprendono, sia pur vagamente, le parole con cui la Voce di Dio ha intimato a Bahá’u’lláh di alzarSi e svolgere la Sua missione:
Potresti scoprire altri che Me, o Penna, in questo Giorno? Cos’è avvenuto della creazione e delle sue manifestazioni? Cosa dei nomi e del loro regno? Dove sono andate tutte le cose create visibili e invisibili? Cos’è avvenuto dei segreti celati dell’universo e delle sue rivelazioni? Ecco: l’intera creazione è scomparsa! Null’altro rimane se non il Mio Volto, l’Eterno, il Risplendente, il Gloriosissimo.
Questo è il Giorno in cui nulla può vedersi eccetto gli splendori della Luce che si irradia dal volto del Tuo Signore, l’Amabile, il Generosissimo. In verità, abbiamo fatto spirare ogni anima in virtù della Nostra sovranità irresistibile che tutto soggioga e abbiamo, poi, chiamato all’esistenza una nuova creazione quale segno della Nostra grazia verso gli uomini. Io sono, invero, il Generosissimo, l’Antico dei Giorni.162
Note1 Shoghi Effendi, L’Avvento della Giustizia Divina (Casa Editrice Bahá’í, Roma, 1986), p.63.
2 Shoghi Effendi, Il Giorno Promesso (Casa Editrice Bahá’í, Roma, 1978), p.11.
3Eric J. Hobsbawm, Il Secolo breve, trad. Brunello Lotti, 22a ed. (Rizzoli, Milano, 1999), p.674.
4 Leopoldo II, re dei belgi, gestì la colonia come una sua proprietà privata per circa trent’anni (1877-1908). Le atrocità perpetrate sotto il suo malgoverno suscitarono proteste internazionali e nel 1908 egli fu costretto ad affidare il territorio all’amministrazione del governo belga.
5 I processi che hanno prodotto questi cambiamenti sono dettagliatamente esaminati in A.N. Wilson, e altri, God’s Funeral (John Murray, Londra, 1999). Nel 1872 un libro, pubblicato da Winwood Reade con il titolo di The Martyrdom of Man (Pemberton Publishing, Londra, 1968) e divenuto una sorta di «Bibbia» laica nei primi decenni del Novecento, esprimeva la fiducia che «finalmente, l’uomo dominerà le forze della Natura. Diverrà lui stesso un architetto di sistemi, un fabbricante di mondi. Sarà allora perfetto, un creatore, sarà quello che il volgo adora come un dio». Citato in Anne Glyn-Jones, Holding up a Mirror: How Civilizations Decline (Century, Londra, 1996), pp.371-2.
6 ‘Abdu’l-Bahá, Antologia (Casa Editrice Bahá’í, Roma, 1987), pp.38-9, sez. 15.
7 ‘Abdu’l-Bahá, Il Segreto della Civiltà Divina (Casa Editrice Bahá’í, Roma, 1988), p.4.
8 Makátíb-i-‘Abdu’l-Bahá (Tavole di ‘Abdu’l-Bahá), vol. 4 (Iran National Publishing Trust, Teheran, 1965), pp.132-4, traduzione provvisoria.
9 Makátíb, vol. 4, pp.132-4, traduzione provvisoria.
10 Makátíb, vol. 4, pp.132-4, traduzione provvisoria.
11 La scuola fu chiusa nel 1934 per ordine di Reza Shah, perché aveva osservato i giorni sacri bahá’í come festività religiose. Seguì ben presto la chiusura di tutte le altre scuole bahá’í in Iran.
12 Per i dati storici vedi The Bahá’í World, vol. XIV (Bahá’í World Centre, Haifa, 1975), pp.479-81.
13 Shoghi Effendi, L‘Ordine Mondiale di Bahá’u’lláh (Casa Editrice Bahá’í, Roma, 1982), p.158.
14 «Il cerchio più esterno di questo vasto sistema, controparte visibile della posizione centrale conferita all’Araldo della nostra Fede, non è altro che l’intero pianeta. Nel cuore del pianeta si trova la ‘Terra Più Santa’, che ‘Abdu’l-Bahá ha proclamato ‘Nido dei Profeti’ e che dev’essere considerata il centro del mondo e la Qiblih delle nazioni. In questa Terra Più Santa sorge la Montagna di Dio di santità immemorabile, la Vigna del Signore, il Rifugio di Elia, del Cui ritorno il Báb è simbolo. Adagiate sulle alture di questo santo monte si estendono le vaste proprietà permanentemente assegnate al santo Sepolcro del Báb, di cui costituiscono i sacri recinti. In mezzo a queste proprietà, note come proprietà internazionali della Fede, si trova la santissima corte, un appezzamento di terreno che comprende giardini e terrazze che abbelliscono e conferiscono particolare fascino a questi sacri luoghi. Incastonato in questi ameni, verdeggianti dintorni s’innalza in tutta la sua squisita bellezza il mausoleo del Báb, l’involucro destinato a preservare e adornare la struttura originaria edificata da ‘Abdu’l-Bahá per accogliere le spoglie dell’Araldo martire della nostra Fede. Dentro questo involucro è custodita la Perla di gran prezzo, il santo dei santi, le sale costruite da ‘Abdu’l-Bahá che formano la tomba. Nel cuore di questo santo dei santi c’è il tabernacolo, la cripta nella quale è deposto il santissimo feretro. Nella cripta si trova il sarcofago d’alabastro nel quale è custodito il preziosissimo gioiello dei sacri resti del Báb». Shoghi Effendi, Citadel of Faith (Bahá’í Publishing Trust, Wilmette, 1995), pp.95-6.
15 Shoghi Effendi, Citadel of Faith, p.95.16 Shoghi Effendi, Dio passa nel mondo (Edizione del Comitato Bahá’í di Traduzione e Pubblicazione, Roma, 1968), p.284 (parzialmente modificata).
17 Hasan M. Balyuzi, ‘Abdu’l-Bahá: The Centre of the Covenant of Bahá’u’lláh, 2a ed. (George Ronald, Oxford, 1992), p.136.
18 ‘Abdu’l-Bahá, Antologia, pp.229, 230, sez. 200.
19 Shoghi Effendi, Dio passa, p.265 (parzialmente modificata).
20 Shoghi Effendi, Dio passa, p.266 (parzialmente modificata).
21 The Bahá’í Centenary, 1844-1944, compilato dall’Assemblea Spirituale Nazionale dei bahá’í degli Stati Uniti e del Canada (Bahá’í Publishing Committee, Wilmette, 1944), pp.140-1.
22 Shoghi Effendi, Dio passa, p.288 (parzialmente modificata).
23 ‘Abdu’l-Bahá in London: Addresses and Notes of Conversations (Bahá’í Publishing Trust, Londra, 1982), pp.19-20.
24 ‘Abdu’l-Bahá, Tavole del Piano Divino (Casa Editrice Bahá’í, Roma, 1979), p.86.
25 Shoghi Effendi, Dio passa, pp.289-90 (parzialmente modificata).
26 ‘Abdu’l-Bahá, The Promulgation of Universal Peace (Bahá’í Publishing Trust, Wilmette, 1995), p.121 (nuova traduzione inglese provvisoria).
27 ‘Abdu’l-Bahá, Antologia, p.100, sez. 64.30 Juliet Thompson, The Diary of Juliet Thompson (Kalimát Press, Los Angeles, 1983), p.313.
31 Shoghi Effendi, Dio passa, p.251 (parzialmente modificata).
32 Bahá’í World Faith (Bahá’í Publishing Trust, Wilmette, 1976), p.429 (nuova traduzione inglese provvisoria).
33 ‘Abdu’l-Bahá in Canada (National Spiritual Assembly of Canada, Forest, 1962), p.51.
34 ‘Abdu’l-Bahá, La Saggezza di ‘Abdu’l-Bahá, 3a ed. (Edizione del Comitato Bahá’í di Traduzione e Pubblicazione, Roma, 1969), p.80.
35 Eric Hobsbawm, Il Secolo breve, p.35. Il traduttore italiano traduce liberamente «superior technology of death» «micidiale superiorità tecnologica».
36 Spigolature dagli Scritti di Bahá’u’lláh, 2a ed. (Casa Editrice Bahá’í, Roma, 1973), p.289, sez. CXXV.
37 Edward R. Kantowicz, The Rage of Nations (William B. Eerdmans Publishing Company, Cambridge, 1999), p.138. Kantowicz aggiunge che la perdita totale di vite in Europa fu di 48 milioni, compresi i 15 milioni «spazzati via» perché la debilitazione li rese vulnerabili alle epidemie influenzali post-belliche e a causa della riduzione prodotta dal crollo del tasso di natalità conseguente a questi disastri. Hobsbawm calcola che la Francia abbia perduto quasi il venti per cento degli uomini in età militare, la Gran Bretagna un quarto dei laureati di Oxford e Cambridge che avevano prestato servizio nell’esercito durante la guerra e la Germania un milione e ottocentomila persone, pari al tredici per cento della popolazione in età militare. Vedi Eric Hobsbawm, Il Secolo breve, pp.38-9.
38 Dopo la morte del presidente Wilson, ne sono state scritte molte biografie. Abbastanza recenti sono: Louis Auchincloss, Woodrow Wilson (Viking Penguin, New York, 2000), A. Clemens Kendrick, Woodrow Wilson: World Statesman (University Press of Kansas, Lawrence, 1987), Thomas J. Knock, To End All Wars: Woodrow Wilson and the Quest for a New World Order (Oxford University Press, Oxford, 1992).
39 ‘Abdu’l-Bahá, Promulgation, p.305.42 Nella formulazione definitiva, l’articolo X del Patto della Società non prevedeva l’intervento militare collettivo nei casi di aggressione, ma si limitava ad affermare: «…il Consiglio si esprimerà sugli strumenti da usare per assolvere questo obbligo».
43 Shoghi Effendi, Ordine Mondiale, pp.30-1.46l Báb, Antologia (Casa Editrice Bahá’í, Roma, 1984), p.48.
47 Il Kitáb-i-Aqdas. Il Libro Più Santo (Casa Editrice Bahá’í, Roma, 1995), § 88.
48 Tavole di Bahá’u’lláh rivelate dopo il Kitáb-i-Aqdas (Casa Editrice Bahá’í, Roma, 1981), p.13.
49 La citazione menzionava il valore dei «consigli» dati dal Maestro alle autorità militari britanniche che cercavano di riorganizzare la vita civile dopo il rovesciamento del regime turco nella zona, aggiungendo che «tutta la sua influenza era stata protesa verso il bene». Vedi Moojan Momen, a cura di, The Bábí and Bahá’í Religions, 1844-1944: Some Contemporary Western Accounts (George Ronald, Oxford, 1981), p. 344.
50 The Bahá’í World, vol. XV (Bahá’í World Centre, Haifa, 1976), p.132.
51Horace Holley, Religion for Mankind (George Ronald, Londra, 1956), pp.243-4.
52 ‘Abdu’l-Bahá, Ultime Volontà e Testamento (Casa Editrice Bahá’í, Roma, 1987), p.16.
53 Shoghi Effendi, Dio passa, p.336 (parzialmente modificata).
54 Shoghi Effendi, Bahá’í Administration (Bahá’í Publishing Trust, Wilmette, 1998), p.15.
55 Rú?íyyih Rabbání, The Priceless Pearl (Bahá’í Publishing Trust, Londra, 1969), pp.121, 123.
56 Shoghi Effendi, Bahá’í Administration, pp.187-8, 194.
57 Caso dopo caso, l’aperta scorrettezza dei fratelli, delle sorelle e dei cugini non lasciò infine a Shoghi Effendi altra alternativa che informare il mondo bahá’í che quegli individui avevano violato il Patto.
58 Shoghi Effendi, Ordine Mondiale, pp.36-7.64 Nabíl-i-A‘?am, Gli Araldi dell’Aurora. La narrazione di Nabíl delle origini della Rivelazione Bahá’í (Casa Editrice Bahá’í, Roma, 1978), pp.86-8.
65 Shoghi Effendi, Bahá’í Administration, p.52.69 Spigolature dagli Scritti di Bahá’u’lláh, p.67, sez. XXV.
70 Shoghi Effendi, Ordine Mondiale, p.19.72 Shoghi Effendi, Dio passa, pp.25-6 (parzialmente modificata).
73 The Bahá’í World, vol. X (Bahá’í Publishing Committee, Wilmette, 1949), pp.142-9 fornisce un esame dettagliato dell’espansione della Causa fino alla fine del primo Piano settennale.
74 Shoghi Effendi, Messages to Canada (Bahá’í Canada Publications, Thornhill, 1999), p.114.
75 Shoghi Effendi, Dio passa, p.376 (parzialmente modificata).
76 Spigolature dagli Scritti di Bahá’u’lláh, p.219, sez. XCIX.
77 Bahá’u’lláh, Il Kitáb-i-Íqán (Casa Editrice Bahá’í, Roma, 1986), § 30.
78 «In Europa all’inizio del Novecento la maggior parte della gente accettava l’autorità della moralità… [In quel tempo] gli europei più riflessivi riuscivano a credere nel progresso morale e a pensare che l’immoralità e la barbarie fossero in recesso. Alla fine del secolo, è difficile aver fiducia nella legge morale o nel progresso morale». Jonathan Glover, Humanity: A Moral History of the Twentieth Century (Jonathan Cape, Londra, 1999), p.1. Lo studio di Glover si occupa in particolare della nascita e dell’influenza delle ideologie del Novecento.
79 Shoghi Effendi, Giorno Promesso, p.118.81 Spigolature dagli Scritti di Bahá’u’lláh, pp.73-4, sez. XXVII.
82 Spigolature dagli Scritti di Bahá’u’lláh, p.46-7, sez. XVII.
83 ‘Abdu’l-Bahá, in La Donna. Compilazione della Casa Universale di Giustizia, a cura del Dipartimento delle Ricerche presso il Centro Mondiale Bahá’í (Casa Editrice Bahá’í, Roma, 1986), p.79.
84 Shoghi Effendi, Messages to America (Bahá’í Publishing Committee, Wilmette, 1947), p.28.
85 Shoghi Effendi, Messages to America, pp.9, 10, 14, 22.
86 Shoghi Effendi, Messages to America, p.28.92 ‘Abdu’l-Bahá, Foundations of World Unity (Bahá’í Publishing Trust, Wilmette, 1998), p.21.
93 Lester Bowles Pearson (1897-1972) fu insignito nel 1957 del Nobel per la pace per la sua formulazione della politica internazionale nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale, in particolare per il suo piano che nel 1956 portò all’invio nella zona del canale di Suez del primo contingente di emergenza delle Nazioni Unite, una reazione alla crisi creata dall’invasione dell’Egitto da parte delle forze militari britanniche e francesi, in accordo con quelle israeliane, dopo che l’Egitto aveva occupato il canale di Suez. Le prime sanzioni internazionali furono formalmente votate nel 1936 dalla Società delle Nazioni, quando l’Italia fascista invase l’Etiopia. Shoghi Effendi le definì «un evento che non ha riscontri nella storia umana». Vedi Shoghi Effendi, Ordine Mondiale, p.195.
94 I tre segretari generali delle Nazioni Unite qui menzionati sono in ordine cronologico il peruviano Javier Pérez de Cuellar (1982-1991), l’egiziano Boutros Boutros-Ghali (1992-96) e il ghaniano Kofi Annan (1997-tuttora).
95 Anna Frank (1929-1945), giovane ebrea, vittima del genocidio nazista, catturata nell’agosto 1944 nel nascondiglio della sua famiglia in Olanda e mandata nel campo di concentramento di Belsen, dove poi morì. Il suo diario, pubblicato nel 1952 con il titolo Il diario di Anna Frank, fu poi soggetto di opere teatrali e cinematografiche. Martin Luther King Jr. (1929-1968), sacerdote americano, Premio Nobel, uno dei principali esponenti del movimento per i diritti civili negli Stati Uniti, assassinato il 4 aprile 1968 a Memphis, Tennessee. Gli Stati Uniti lo commemorano con una giornata di festa nazionale il terzo lunedì di gennaio. Paulo Freire (1921-1997), innovativo pedagogista brasiliano, che ebbe fama internazionale per la sua opera pionieristica nell’educazione degli adulti e per lo stesso motivo fu per due volte imprigionato nel suo paese. Kiri Te Kanawa (1944-), nata in Nuova Zelanda da famiglia maori e oggi una delle più grandi dive dell’opera, nel 1982 insignita da Sua Maestà la regina Elisabetta II dell’Ordine del Dame Commander dell’Impero britannico. Gabriel Garcìa Marquez (1928-), scrittore e romanziere colombiano, vincitore nel 1982 del Nobel per la letteratura, costretto a trascorrere gli anni ‘60 e ‘70 in esilio volontario in Messico e in Spagna per evitare la persecuzione in patria. Ravi Shankar (1920-), compositore e citarista indiano, che con il suo straordinario talento e le sue tournée in Europa e nel Nord America contribuì a risvegliare l’interesse dell’Occidente per la musica indiana. Andrei Dmitriyevich Sakharov (1921-1989), fisico nucleare russo, che abbandonò la ricerca scientifica per diventare il primo portavoce delle libertà civili nell’Unione Sovietica, per cui nel 1975 ebbe il Premio Nobel per la pace e in patria fu condannato al confino. «Madre Teresa» (Agnes Gonxha Borjaxhiu, 1910-1997), albanese, suora cattolica romana, fondatrice delle Missionarie della Carità, vincitrice del Premio Nobel per la pace nel 1979 per la sua abnegazione per i poveri, i senzatetto e i moribondi di Calcutta. Zhang Yimou (1951-), eminente regista cinese della «Quinta generazione», vincitore di molti premi professionali per la sua opera sensibile e visivamente splendida.
96 Le tre nuove Assemblee Spirituali Nazionali erano il Canada, che nel 1948 ebbe un’Assemblea Nazionale separata da quella degli Stati Uniti, l’Assemblea Regionale dell’America Centrale e delle Antille (1953) e quella del Sud America (1953).
97 Shoghi Effendi, Messages to the Bahá’í World, 1950-1957 (Bahá’í Publishing Trust, Wilmette, 1995), p.41.
98 Shoghi Effendi, Messages to the Bahá’í World, pp.38-9.
99 ‘Abdu’l-Bahá, Ultime Volontà, p.19.100 Guidati da Mu?ammad ‘Alí e Badí‘u’lláh, fratellastri di ‘Abdu’l-Bahá, e da Majdi’d-Dín, Suo cugino, il gruppo dei violatori del Patto che dopo la morte di Bahá’u’lláh aveva per lungo tempo occupato la Magione di Bahjí condusse un’insistente campagna di attacchi e macchinazioni contro il Maestro e il Custode. Sotto il Mandato britannico, erano stati costretti a evacuare la Magione a causa dello stato di abbandono nel quale l’avevano lasciata cadere, permettendo così al Custode di restaurare l’edificio e di dimostrare agli occhi delle autorità civili che esso era un Luogo Santo. Successivamente, Shoghi Effendi ottenne dal nuovo governo israeliano l’estensione del riconoscimento di questo privilegio all’intera proprietà. Fu pertanto emessa un’ordinanza ufficiale che ingiungeva agli ultimi violatori del Patto di evacuare lo sgradevole edificio accanto alla Magione che essi ancora occupavano. Quando la Corte suprema respinse il loro appello contro la sentenza, lo sfratto divenne esecutivo e il Custode fece demolire l’edificio, riuscendo così a rimuovere l’ultimo ostacolo all’abbellimento della proprietà.
101 Tavole di Bahá’u’lláh, p.63.103 Per un resoconto completo del ruolo svolto dalle Mani della Causa in questi critici anni vedi Amatu’l-Bahá Rú?íyyih Khánum, Ministry of the Custodians (Bahá’í World Centre, Haifa, 1997).
104 Shoghi Effendi, Ordine Mondiale, p.149.106 La Casa Universale di Giustizia, Messages from the Universal House of Justice, 1963-1986: The Third Epoch of the Formative Age (Bahá’í Publishing Trust, Wilmette, 1990), p.14.
107 Il tema è discusso in numerosi passi di Rú?íyyih Rabbání, The Priceless Pearl. Vedi in particolare pp.79, 85, 90, 128 e 159.
108 Tavole di Bahá’u’lláh, p.64.109 ‘Abdu’l-Bahá, Il Segreto della Civiltà Divina, p.65.
110 J.E. Esslemont, Bahá’u’lláh e la Nuova Era. Una introduzione alla Fede Bahá’í, 7a ed. (Casa Editrice Bahá’í, Roma, 1998), p.338.
111 ‘Abdu’l-Bahá, Ultime Volontà, p.16.114 Bahá’u’lláh, L’Epistola al Figlio del Lupo (Casa Editrice Bahá’í, Roma, 1980), p.10.
115 Shoghi Effendi, Ordine Mondiale, pp.43, 198.119 La Casa Universale di Giustizia. Compilazione della Casa Universale di Giustizia, a cura del Dipartimento delle Ricerche presso il Centro Mondiale Bahá’í (Casa Editrice Bahá’í, Roma, 1987), p.24.
120 La Casa Universale di Giustizia, Messages from the Universal House of Justice, p.52.
121 La Casa Universale di Giustizia, Messages from the Universal House of Justice, p.104.
122 Bahá’í News, n.73, maggio 1933 (Assemblea Spirituale Nazionale dei Bahá’í degli Stati Uniti, Wilmette), p.7.
123 L’Istituto fu creato dalla Casa Universale di Giustizia nel 1998, come agenzia della Bahá’í International Community, alle dipendenze della Casa di Giustizia attraverso l’Ufficio per l’informazione del pubblico. Il suo mandato lo definisce un’agenzia «dedicata all’esame dei supporti spirituali e materiali della conoscenza umana e dei processi del progresso sociale».
124 Lo scopo del Centro è quello di intraprendere «ricerche sistematiche sulla Fede bahá’í, compresi la sua cultura religiosa, il suo spirito umanitario e la sua etica religiosa».
125 Citato in Star of the West, vol. 13, n.7 (ottobre 1922), pp.184-6.
126 ‘Abdu’l-Bahá, Tavole, p.54.127 Attorno al 1904, un dotto credente iraniano noto come ?adru’?-?udúr, incoraggiato da ‘Abdu’l-Bahá, istituì la prima classe di formazione per gli insegnanti per giovani bahá’í a Teheran. Le classi si riunivano quotidianamente e i diplomati, che oltre ai vari aspetti della Fede bahá’í avevano studiato anche le credenze delle altre religioni, dettero un grande contributo all’espansione e al consolidamento della Causa nel loro paese.
128 Il modello in esame è l’«Istituto Ruhi», i cui materiali e metodi sono stati adottati da molte comunità bahá’í di tutto il mondo. La sua filosofia è l’integrazione delle attività del servizio con lo studio tematico degli Scritti bahá’í. Organizzato in una serie di livelli di studio, che formano un «tronco» centrale di comprensione fondamentale dei principi essenziali insegnati da Bahá’u’lláh, il sistema permette alle varie comunità che se ne servono di sviluppare in modo pressoché infinito una serie di rami secondari a seconda delle particolari esigenze.
129 Shoghi Effendi, Dio passa, p. xvii (parzialmente modificata).
130 ‘Abdu’l-Bahá, Promulgation, pp.43-4.131 Moojan Momen, The Bábí and Bahá’í Religions, 1844-1944: Some Contemporary Western Accounts, pp.186-7.
132 The Bahá’í World, vol. XV, pp.29, 36.133 The Bahá’í World, vol. IV (Bahá’í Publishing Committee, New York, 1933), pp.257-61. Contiene una breve storia della fondazione e dei lavori del bureau.
134 The Bahá’í World, vol. III (Bahá’í Publishing Committee, New York, 1930), pp.198-206. Contiene il testo di una petizione formale presentata dai bahá’í dell’Iraq alla Commissione Permanente della Società delle Nazioni per i mandati, che riassume la storia del caso.
135 Shoghi Effendi, Dio passa, p.371 (parzialmente modificata).
136 Il testo completo della Dichiarazione di trova in World Order Magazine, aprile 1947, vol. XIII, n.1.
137 The Bahá’í Question, Iran’s Secret Blueprint for the Destruction of a Religious Community, An Examination of the Persecution of the Bahá’ís in Iran (Bahá’í International Community, New York. 1999), preparato dall’Ufficio presso le Nazioni Unite della Bahá’í International Community per i membri della Commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani.
138 Brani di un discorso di Edward Granville Browne, pubblicati in Religious Systems of the World: A Contribution to the Study of Comparative religion, 3a ed. (Macmillan, New York 1892), pp.352-3.
139 Nei suoi nove anni di vita, l’ufficio provvide a sistemare circa diecimila rifugiati bahá’í iraniani in ventisette paesi.
140 A tutt’oggi hanno ricevuto programmi intensivi di formazione novantanove Assemblee Spirituali Nazionali.
141 La Conferenza di Pechino sulla donna permise a cinquanta delle duemila organizzazioni non governative coinvolte di presentare verbalmente le loro dichiarazioni. Dato che la Bahá’í International Community aveva avuto questo privilegio in altre conferenze, particolarmente in quella di Rio de Janeiro sull’ambiente e in quella di Copenaghen sullo sviluppo socio-economico, i suoi rappresentanti cedettero il posto loro assegnato a favore del Centro moscovita per lo studio del genere.
142 Un resoconto completo, che comprende anche il testo della decisione della Corte Costituzionale Federale tedesca, si trova in The Bahá’í World, vol. XX (Bahá’í World Centre, Haifa, 1998), p.571-606.
143 Sessão Solene da Câmara Federal, Brasiliá, 28 de Maio 1992 (ristampa, con la traduzione inglese a cura dell’Assemblea Spirituale Nazionale dei bahá’í del Brasile, 1992).
144 ‘Abdu’l-Bahá, Antologia, p.39, sez. 15.145 Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Fifty-Fourth Session, Agenda Item 49 (b) United Nations Reform Measures and Proposals: The Millennium Assembly of the United Nations (54a sessione, punto 49 (b) dell’ordine del giorno, Misure e proposte per la riforma delle Nazioni Unite: Assemblea delle Nazioni Unite per il millennio), 8 agosto 2000 (documento n. A/54/959), p.2.
146 Vedi Commitment to Global Peace (Impegno per la pace globale), Dichiarazione sulla pace mondiale del Vertice del Millennio dei capi religiosi e spirituali, presentato al segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, il 29 agosto 2000 durante una sessione del Vertice all’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
147 Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Fifty-Fourth Session, Agenda Item 61 (b) The Millennium Assembly of the United Nations (54a sessione, punto 61 (b) dell’ordine del giorno, Assemblea delle Nazioni Unite per il millennio), 8 settembre 2000 (documento n. A/55/L.2), sez. 32.
148 I rispettivi scopi delle tre riunioni per il millennio e della partecipazione della comunità bahá’í sono riassunti in una lettera scritta dalla Casa Universale di Giustizia il 24 settembre 2000 a tutte le Assemblee Spirituali Nazionali.
149 Shoghi Effendi, Ordine Mondiale, p.43.150 Spigolature dagli Scritti di Bahá’u’lláh, p.325, sez. CXXXVI.
151 Bahá’u’lláh, Kitáb-i-Íqán, § 32.152 Bahá’u’lláh, Preghiere e Meditazioni di Bahá’u’lláh (Edizione del Comitato Bahá’í di Traduzione e Pubblicazione, Roma, 1961) p.278, n. 178 (parzialmente modificata).
153 Shoghi Effendi, Ordine Mondiale, p.197.157 Shoghi Effendi, Messages to the Bahá’í World 1950-1957, p.74.
158 Isaia II, 2.161 La Proclamazione di Bahá’u’lláh ai re e ai governanti del mondo (Edizione del Comitato Bahá’í di Traduzione e Pubblicazione, Roma, 1968), p.81.
162 Spigolature dagli Scritti di Bahá’u’lláh, p.34, sez. XIV.
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