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Bahá'u'lláh : Le Sette Valli e le Quattro Valli
LE SETTE VALLI
e
LE QUATTRO VALLI
di
Bahá’u’lláh

Le Sette Valli e le Quattro Valli devono essere considerate due Tavole indipendenti, poiché furono rivelate a persone differenti.

Shoghi Effendi
Casa Editrice Bahá’í
2001
@ Copyright 2001 Casa Editrice Bahá’í - Ariccia

Titolo originale: The Seven Valleys and The Four Valleys

1a edizione italiana 1949
3a edizione riveduta 2001
CASA EDITRICE BAHÁ’Í

Sede legale: 00197 Roma – Via Stoppani, 10 - Tel. 06 8079647

Deposito e amm.ne: 00040 Ariccia (Roma)
Via F. Turati, 9- Tel. 06 9334334
ISBN 88-7214-061-7
INDICE DEL CONTENUTO
LE SETTE VALLI
Pagina
Introduzione vii
Preambolo 3
La valle della ricerca 7
La valle dell’amore 10
La valle della gnosi 15
La valle dell’unità 21
La città dell’appagamento 35
La valle della meraviglia 37
La valle della povertà vera e del
radicale Annientamento 42
LE QUATTRO VALLI
Preambolo 55
La prima valle 58
La seconda valle 60
La terza valle 66
La quarta valle 71
INTRODUZIONE

Le Sette Valli e le Quattro Valli sono due brevi, ma profonde trattazioni mistiche rivelate da Bahá’u’lláh, il fondatore della religione bahá’í (1817-1892) durante il periodo del Suo esilio in Iráq (1853-1863) e antecedentemente alla dichiarazione della Sua missione fatta ai Suoi più vicini seguaci nel giardino di Ridvan, presso Baghdád, nel 1863.

Esse sono concepite in forma di epistole, dirette a due differenti persone, ambedue autorevoli capi spirituali del sufismo (misticismo musulmano) iracheno di quel periodo. Le Sette Valli che Shoghi Effendi, il Custode della Fede Bahá’í (1921-1957) chiama «la Sua maggiore composizione mistica» (Dio passa nel mondo, Roma, 1968, p. 142) furono scritte in risposte a domande poste a Bahá’u’lláh dal qádí (cadì, giudice dei tribunali tradizionali musulmani) di Khániqayn (città dell’Iráq al confine con la Persia), Shaykh Muhyi’i-Dín, e in esse, per usare ancora le parole di Shoghi Effendi, «Egli descrive i sette stadi che l’anima del ricercatore deve necessariamente attraversare prima di raggiungere lo scopo della sua esistenza» (ibidem).

Le Quattro Valli sono invece la risposta a una richiesta di Shaykh ‘Abdu’r-Rahmán-i-Karkúkí, capo della confraternita mistica Qádiriyyih del Kurdistán. Bahá’u’lláh lo aveva conosciuto durante il Suo volontario ritiro di due anni (1854-1856) nelle impervie zone del Kurdistán iracheno, a Sulaymániyyih. Di lui Shoghi Effendi dice che era il capo fedelmente obbedito «di almeno centomila devoti seguaci» (ivi, p. 123). Nel Suo breve periodo di permanenza nel Kurdistán, Bahá’u’lláh aveva preso contatto sia con questo Shaykh della Qádiriyyih, sia con altri due capi di confraternite mistiche del luogo, cioè Shaykh ‘Uthmán, dell’ordine Naqshbandiyyih, e Shaykh ‘Ismá’íl, dell’ordine Khálidiyyih, e ben presto era riuscito «a conquistare completamente i loro cuori e stabilire il Suo ascendente su di essi» (Shoghi Effendi, ivi, p. 123).

Le due opere, composte dunque in un periodo posteriore al 1856 e anteriore al 1863, sono scritte in uno stile che, dato il loro scopo, non poteva essere che quello tradizionale della mistica islamica o sufismo. Così il motivo delle affascinanti e pur terribili «valli» (generalmente in numero di sette) da attraversare nel viaggio mistico dell’anima, spesso rappresentata da un uccello, verso l’Assoluto, è molto diffuso in tutta la letteratura persiana e si ritrova, per esempio, sia in un’epistola del grande filosofo musulmano persiano Avicenna (Ibn Síná, 980-1037) sia nel famosissimo poema Il Linguaggio degli uccelli (Mantiqu’t-Tayr) di Farídu’d-Dín ‘Attár (circa 1117-1230) e in molte altre opere. Generalmente queste opere erano da alcuni falsamente interpretate in senso panteistico, mentre il panteismo rappresenta solo una delle numerose tendenze della mistica musulmana, la quale conosce anche concezioni nettamente teistiche. Proprio l’opera appena nominata di ‘Attár sembra dare un esempio di tendenze panteistiche nella sua stessa trama. Si tratta di trenta uccelli (in persiano sí murgh) che rappresentano le anime umane e che superano sette terribili valli, alla ricerca del loro sovrano e unico Amato, il mitico uccello Símurgh. Giunti alla fine del viaggio si accorgono che la loro mèta, il Símurgh, non era che loro stessi (cioè i «trenta uccelli» sí murgh), ed in essa si annientano e fondono. Ma proprio poco dopo questa chiusa, l’Autore parla di «eterna permanenza» in Dio delle singole anime. Un’al-tra tendenza di certo sufismo era quella di coloro che, in parole più o meno chiare, affermavano che colui che è giunto a determinati alti gradi dell’esperienza mistica non ha più bisogno di seguire la legge religiosa esteriore, la preghiera canonica, le leggi dell’abluzione, e così via. Altri ancora, in minor numero, giungevano persino a pretendere che il mistico, negli stadi più alti, è libero persino dalla legge morale stessa.

La dottrina esposta da Bahá’u’lláh in questi libretti è invece, malgrado, come dicemmo, alcune forme stilistiche simili, nella sostanza ben diversa. Basti vedere quanto Bahá’u’lláh dice alla pagina 40 delle Sette Valli sulla necessità permanente delle legge religiosa anche per il mistico. È importante anche il passo contenuto nella pagina 66 delle Quattro Valli, dove Bahá’u’lláh velatamente allude alla prossima dichiarazione della Sua missione di Manifestazione divina. In altre parole, nella dottrina bahá’í le esperienze mistiche mantengono il loro valore soltanto se non sono scisse dalla precisa obbedienza a quelle leggi che sono l’ossatura della società divina per questo mondo, l’Amministrazione bahá’í, base essa stessa del futuro ordine mondiale bahá’í, e se non sono disgiunte dalla fede nella sorgente divina di tali leggi, la Manifestazione del Logos eterno, per la nostra epoca, nella persona di Bahá’u’lláh.

Infatti la dottrina bahá’í implica tre piani di esistenza: quello divino, quello della Manifestazione e quello umano, paragonabili rispettivamente al sole, ai suoi raggi e alle cose della terra. L’uomo pertanto è infinitamente perfettibile anche dopo la morte, ma non può passare su piani sovrumani di esistenza.

Così, sia pure in forma allusiva, queste due preziose operette mistiche ci ripropongono i due fondamentali insegnamenti della religione bahá’í: 1) evoluzione nel tempo, 2) unità nel-l’ora presente. Cioè: 1) ininterrotta successione delle Manifestazioni divine, dalle inconoscibili origini fino a Bahá’u’lláh attraverso Abramo, Mosè, Zarathushtra, Cristo, Muhammad, il Báb (1819-1850) e Bahá’u’lláh e, ancora, fra oltre mille anni, attraverso Manifestazioni ancora a venire, e unità sostanziale di quel Logos eterno che in tutte quelle si manifesta, 2) missione specifica della Manifestazione divina di questa Era, consistente nella realizzazione, sia spirituale sia pratica, dell’unità del genere umano, non mediante vecchi schemi sacerdotali e sacramentali, ma attraverso l’obbedienza ai semplici principi amministrativi, fondamentali dati divinamente da Bahá’u’lláh.

Tutto questo forse non fu chiaramente compreso dai destinatari musulmani delle due epistole, il cadì Muhyi’i-Dín e lo shaykh ‘Abdu’r-Rahmán, ma ben possiamo comprenderlo noi, ora che l’ossatura amministrativa della fede bahá’í si è saldamente impiantata in tutti i paesi del mondo e che, dal 1963, è coronata, all’apice, dall’Assemblea, elettiva, ma dai bahá’í considerata divinamente ispirata, nota come «Casa Universale di Giustizia». Essa siede permanentemente a Haifa, sulle pendici del Monte Carmelo, presso le Tombe del precursore della Fede bahá’í, il Báb, del suo fondatore, Bahá’u’lláh e di Suo figlio ‘Abdu’l-Bahá, il «Maestro», il perfetto modello di vita bahá’í (1844-1921).

In questa luce dunque vanno, anche, considerate le antiche espressioni mistiche, qui ripetute da Bahá’u’lláh, di «unione con l’A-mato» ed «eterna vita in Dio».

Nel nome di Dio, Clemente, Misericordioso!

Sia lode a Dio, Che dal nulla trasse l’esisten-za, Che incise sulla tavola dell’uomo i segreti della preesistenza, insegnandogli dai misteri della favella divina quello che non sapeva, Che ne fece un Libro Luminoso per coloro che credettero e s’arresero, Che fornì in questa tetra e rovinosa età la testimonianza della creazione di tutte le cose (kullu shay’) e le fe’ parlare dall’inizio dell’eternità con voce meravigliosa nel Magnifico Tempio,i allo scopo che ogni uomo possa attestare, in se stesso e da se stesso, nello stadio della Manifestazione del suo Signore, che in verità non v’è altro dio all’infuori di Lui e affinché ogni uomo possa perciò conquistare la propria via verso la cima delle realtà, fino a che non contempli cosa alcuna senza vedervi Iddio.

Ed Io lodo e glorifico il primo mare che fluì dall’oceano della divina Personalità, e la prima alba che s’irradiò dall’Orizzonte della Unicità, e il primo sole che s’innalzò nel Cielo dell’Eternità, e il primo fuoco che la Fiaccola della Preesistenza accese nella Lanterna della Singolarità: Colui Che fu Ahmad nel regno degli Eccelsi, e Muhammad fra le schiere dei Vicini, e Mahmúd nel regno dei Sinceri.ii «…comunque Lo invochiate, a Lui appartengono i nomi più belli»iii nei cuori di coloro che sanno. E sulla Sua famiglia e i Suoi compagni sia pace abbondante, stabile ed eterna!

Dunque abbiamo teso l’orecchio a ciò che l’usignolo del sapere cantò sui rami dell’al-bero del tuo essere e abbiamo appreso ciò che la colomba della certezza gridò dai rami del roseto del tuo cuore. Credo, invero, d’avere aspirato le pure fragranze del manto del tuo amore e d’essere arrivato a contemplarti intiero leggendo la tua lettera. E dacché ho notato che fai cenno del tuo annientamento in Dio, e del tuo permanere in Lui, e del tuo amore per i prediletti da Dio, e per le Manifestazioni dei Suoi Nomi, e per le Albe dei Suoi attributi, ti rivelo i risplendenti e sacri pegni dalle sfere della Gloria per attrarti alla corte della Santità, della Vicinanza e della Beltà e avvicinarti a uno stadio nel quale non vedrai nella creazione altro che la sublime presenza del tuo Amatissimo e mirerai tutte le cose create soltanto come nel giorno nel quale nessuna sarà menzionata.

Di ciò cantò l’usignolo dell’Unicità nel giardino del Ghawthíyyih.iv Egli disse: «E appariranno sulla tavola del tuo cuore vergati i sottili misteri di “Temete dunque Iddio e Dio vi istruirà”v e l’uccello della tua anima si rammenterà dei sacri recinti della preesistenza, e s’innalzerà sulle ali del desio nei cieli del “percorri sommessa le vie che il Signore ti dice”,vi e coglierà i frutti dell’intimità nei giardini del “E mangia di tutti i frutti”».vii

Per la Mia vita, o amico, se potessi gustare di questi frutti di fra la verzura di questi boccioli che crebbero nelle terre della gnosi al-l’apparir delle luci dell’Essenza, riflessa negli specchi dei nomi e degli attributi, la brama ti toglierebbe di mano le redini della riser-vatezza e della pazienza, e farebbe vibrare il tuo spirito di barbagli di luce, e dalla tua patria terrena ti trarrebbe alla primordiale patria divina nel Polo delle Realtà, e t’innalzerebbe a un piano nel quale potresti librarti nell’aria così come ora cammini sulla terra e muoverti sull’acqua così come corri sul suolo. Felice Me, e te, e chiunque ascenda ai cieli della gnosi e ne abbia avvivato il cuore per lo zefiro della certezza spirante sul giardino del suo intimo essere dalla Sabaviii del Misericordioso!

La pace scenda su colui che segue il Retto Sentiero!

E ancora, le tappe che segnano il viaggio del viandante dalla dimora della polvere alla patria celeste si sa che sono sette. Alcuni le hanno chiamate le Sette Valli ed altri le Sette Città. E si dice che fino a che il viandante non si sia separato dall’io e non abbia oltrepassato queste tappe, non giungerà mai all’oceano della vicinanza e dell’unione, né berrà l’in-comparabile Vino. La prima è

LA VALLE DELLA RICERCA

Il destriero di questa Valle è la pazienza. Senza pazienza il viandante non arriverà in alcun luogo né raggiungerà alcuna mèta. Né dovrà egli mai scoraggiarsi: se pur dovesse lottare per centomila anni e non riuscisse a mirare la beltà dell’Amico, non dovrebbe attristarsi, poiché coloro che cercano la Ka-‘bihix del «per Noi» gioiscono in questa lieta novella: «Noi li guideremo per le Nostre vie».x Nella loro ricerca, essi si sono generosamente posti a servire e cercano ad ogni momento di recarsi dal piano dell’ignavia al regno dell’esistenza. Nessun legame potrà trattenerli, nessun consiglio distoglierli.

È dovere di questi servi di purificare il cuore – che è la fonte dei tesori divini – da ogni immagine, e di allontanarsi dalle imitazioni, che consistono nel seguire le orme degli antenati, e di chiudere sia la porta dell’amici-zia sia quella dell’inimicizia di fronte a tutti gli uomini della terra.

In questo viaggio il ricercatore raggiunge uno stadio nel quale vede tutte le cose create affaccendate alla ricerca dell’Amico. Quanti Giacobbe vedrà vagabondare in cerca del proprio Giuseppe!xi Vedrà tanti amanti affrettarsi alla ricerca del Benamato, constaterà un mondo di desiderosi in cerca del Desiderato. In ogni momento farà una scoperta, in ogni ora sarà conscio di un nuovo mistero, poiché il suo cuore s’è distaccato da entrambi i mondi dirigendosi verso la Ka‘bih del Benamato. Ad ogni passo un aiuto dal Regno Invisibile lo avvolgerà e l’ardore della sua ricerca aumenterà.

Bisogna giudicare la ricerca secondo le norme del Majnúnxii dell’Amore. Si narra che un giorno Majnún fu visto, tutto in lacrime, stacciare polvere. Alcuni gli dissero: «Che fai?». Egli rispose: «Cerco Laylí». Essi esclamarono: «Ahimè, povero te! Laylí è uno spirito puro e tu la cerchi nella polvere!». Egli disse: «La cerco ovunque, a che, forse, in qualche luogo possa trovarla!».

Sì, sebbene possa esser vergognoso pel saggio cercare nella polvere il Signore dei Signori, pure quest’è la prova d’un ardore intenso nella ricerca. «Colui che cerca una cosa con zelo la troverà».xiii

Il vero ricercatore non cerca altro che giungere alla mèta e l’amante non desidera altro che unirsi all’amata. Ma il ricercatore potrà giungere alla mèta solo a patto che sacrifichi tutto, cioè a dire tutto ciò che ha visto, e udito, e capito, tutto dovrà annullare per poter entrare nel regno dell’anima che è la Città dell’Unico Oggetto. C’è bisogno di sforzo se vogliamo cercare Lui, è necessario l’ardore, se vogliamo gustare il miele dell’unione con Lui, e se gusteremo di questa coppa dimenticheremo un intero mondo.

In questo viaggio il viandante soggiornerà in ogni paese e dimorerà in ogni regione. In ogni viso cercherà la beltà dell’Amico, in ogni paese cercherà il Benamato. S’unirà a ogni compagnia e cercherà comunione con ogni anima, pensando se per caso in qualche mente possa scoprire il segreto dell’Amico o in qualche viso contemplare la beltà dell’Amato.

E se, con l’aiuto di Dio, troverà in questo viaggio una traccia dell’invisibile Amico e aspirerà dal Messaggero dell’Unità la fragranza del perduto Giuseppe, passerà immediatamente ne

LA VALLE DELL’AMORE

e sarà liquefatto dal fuoco dell’amore. In questa città s’erge sublime il cielo dell’estasi, e il sole del desiderio, che illumina il mondo, brilla, e il fuoco dell’amore divampa. E quando divampa, il fuoco d’amore riduce in cenere la messe della ragione.

Adesso il viandante è inconscio di se stesso e degli altri. Non conosce né ignoranza né scienza, né dubbio né certezza, non sa distinguere fra l’alba che guida e la sera dell’errore. Rifugge tanto la miscredenza quanto la fede e il veleno mortale gli è gradito. Epperciò ‘Attárxiv disse:

L’empietà all’empio, al credente la fede,

ma pel cuore di ‘Attár basti un atomo di dolorosa passione per Te!

Il destriero di questa valle è la sofferenza e, se non vi sarà il soffrire, questo viaggio non avrà mai fine. In questo stadio l’amante non vede altra immagine che quella dell’Amato, non cerca altro rifugio che quello dell’Amico. Ad ogni istante offrirà cento vite sul sentiero del-l’Amato, ad ogni passo getterà mille teste ai piedi dell’Amico.

Fratello Mio! Fino a quando non entrerai nell’Egitto dell’Amore, non potrai mai giungere al Giuseppe della Beltà dell’Amico, e fino a che, come Giacobbe, non trascurerai l’occhio esteriore,xv non dischiuderai mai l’occhio del tuo essere interiore, e fino a che non arderai del fuoco dell’amore, non potrai mai entrare in comunione con l’Amante del Desio.

Un amante non teme e nessun male può accadergli: lo vedi frigido nel fuoco e arido nel mare.

Segno dell’amante è che lo vedi freddo nel fuoco d’inferno,

segno del saggio è che lo vedi arido nel mare!xvi

L’amore non accetta l’esistenza né desidera la vita: cerca la vita nella morte e nella vergogna cerca la gloria. Per meritare la follia dell’amore l’uomo deve abbondar di saggezza e ci vogliono molte teste per meritare il laccio dell’Amico! Benedetto il collo preso nel Suo laccio, felice la testa caduta nella polvere sul sentiero del Suo amore! Epperciò, o amico, divieni estraneo a te stesso, acciocché tu possa trovare l’Incomparabile, staccati da questa terra mortale, acciocché tu possa trovare dimora nel nido divino. Sii un niente, se vuoi attizzare il fuoco dell’esistenza e renderti atto al sentiero dell’amore.

L’amore non accetta un’anima vivente,
il falco non preda un topo morto!xvii

L’amore pone un mondo in fiamme ad ogni istante e fa deserto ogni paese dove porta il suo vessillo. L’essere non esiste nel suo regno, gli intelligenti non valgon nulla entro il suo reame. Il leviathan dell’amore inghiotte il maestro della ragione e preda il genio della scienza. Beve i sette mari, ma la sua sete non è ancora estinta e dice: «c’è dell’altro?».xviii Esso rifugge da se stesso e si stacca da tutto sulla terra.

L’amore è estraneo alla terra e al cielo
in esso vi sono settantadue pazzie.xix

Esso ha legato miriadi di vittime al suo laccio e ferito migliaia d’uomini saggi con la sua saetta. Sappi che ogni rossore nel mondo viene dalla sua collera e ogni pallore sulle guance degli uomini viene dal suo veleno. Non offre alcun rimedio tranne la morte e non cammina che nella valle dell’annientamento. Eppure più dolce del miele è il suo veleno al palato dell’amante e agli occhi del cercatore il suo nulla è più affascinante di centomila eternità.

Pertanto i veli dell’ioxx diabolico debbono essere bruciati dal fuoco dell’amore affinché lo spirito, purificato e reso sottile, possa percepire il rango del Signore della Manifestazione.xxi

Accendi un fuoco d’amore e con esso brucia gli esseri tutti,

indi alza il piede e ponilo nella via degli amanti.xxii

E se, con le confermazioni del Creatore, l’amante sfugge sano e salvo agli artigli del falco dell’amore, entrerà ne

LA VALLE DELLA GNOSI

e uscirà da ogni dubbio per entrare nella certezza, e abbandonerà le tenebre del traviamento della passione per la luminosa guida del timor di Dio. Gli occhi interiori gli si schiuderanno e sarà in intima comunione col suo Amato, spalancherà le porte della verità e della pietà e sbarrerà le porte delle vane fantasie. In questo stadio egli è pago del decreto di Dio, e vede nella guerra la pace, e scopre nella morte i segreti della vita eterna. Con gli occhi del corpo e dello spirito scorge i misteri della resurrezione nei regni della creazione e nelle anime degli uomini e con cuore spirituale diviene consapevole della divina saggezza nelle infinite Manifestazioni di Dio. Nell’oceano vede la goccia, nella goccia scorge i segreti del mare.

Spacca il cuore dell’atomo
e dentro vi troverai un sole!xxiii

In questa Valle il viandante dotato di vista assoluta non vede contrasti e differenze nell’opera modellatrice dell’Unico Vero e dice ad ogni istante: «E non puoi scorgere nella creazione del Misericordioso ineguaglianza alcuna. Volgi in alto la vista: vedi tu fenditure?»xxiv Vede la giustizia nell’ingiustizia e nella giustizia la grazia di Dio. Nell’ignoranza trova celato molto sapere e nel sapere una miriade di saggezze palesi. Spezza i ceppi del corpo e delle passioni e prende dimestichezza con la gente del Regno immortale. Ascende le scale dell’intima verità e s’affretta verso il cielo del significato recondito. Naviga sull’arca di «Mostreremo loro i Segni Nostri sugli orizzonti del mondo e fra di essi» e viaggia sul mare di «finché non sia chiaro per loro che esso (questo Libro) è la Verità».xxv Se s’imbatterà in un’ingiustizia avrà sopportazione e se sarà affrontato dall’ira manifesterà amore.

Si narra di un innamorato che si struggeva l’anima da lunghi anni per la separazione dalla sua amata e s’era consumato al fuoco della lontananza. Per l’eccesso d’amore il suo cuore aveva perso ogni pazienza e il suo corpo aveva preso in odio lo spirito. Considerava la vita senza di lei una beffa e aveva il mondo intero in gran dispetto. Oh, quanti giorni non aveva trovato pace nell’ardente desiderio di lei, oh, quante notti il soffrir per lei non gli aveva concesso riposo! Il suo corpo era ridotto, per debolezza, a un sospiro e la ferita del suo cuore era un grido di dolore. Avrebbe donato mille esistenze per gustare un sorso della coppa della sua presenza, ma a nulla valeva. I medici non sapevano come curarlo e gli amici schivavano la sua compagnia. Sì, ché i medici non hanno medicine per l’ammalato d’amore, a meno che il favore dell’amata non lo salvi!

L’albero della sua brama produsse alfine il frutto della disperazione e il fuoco della sua speranza cadde in cenere. Una notte, sentendo di non poter più vivere, uscì di casa dirigendosi verso il mercato. A un tratto una guardia notturna cominciò a seguirlo. Egli allora si mise a correre con la guardia alle calcagna. Presto altre guardie sopraggiunsero ostruendo ogni via di scampo al giovane sfinito. E il misero piangeva di cuore e correva qua e là dicendo: «Certamente questa guardia è ‘Azrá’íl, il mio angelo della morte, che m’incalza così d’appresso, oppure è un tiranno di questa terra che odia i servi di Dio». Così quel sanguinante per lo strale d’amore correva col piede e col cuore gemeva. Giunto presso il muro d’un giardino, con indicibili sofferenze lo scalò, perché era veramente alto, e, dimentico della vita, si gettò nel giardino sottostante.

E là vide la sua amata con in mano una lampada in cerca di un anello che aveva smarrito. Quando l’amante dal cuore conquistato ebbe posato lo sguardo sul suo incantevole amore, tirò un gran sospiro e levò le mani in atto di preghiera esclamando: «O Dio! Concedi gloria, ricchezza e lunga vita alla guardia. Poiché la guardia era Gabriele, che guidò questo debole essere, o era Isráfíl,xxvi che portò vita a questo misero!».

Certamente le sue parole erano veritiere, perché s’è visto quanta giustizia latente v’era nell’apparente tirannia della guardia e quanta misericordia era celata al di là dei veli. Con un atto di collera la guardia aveva guidato colui che si trovava assetato nel deserto dell’amore al mare della sua diletta e aveva illuminato la tenebrosa notte della separazione con la luce dell’incontro. Aveva condotto colui ch’era lontano al giardino della vicinanza e guidato un’anima inferma verso il medico del cuore.

Orbene, se l’innamorato avesse potuto vedere la fine, avrebbe benedetto la guardia fin dall’inizio, pregando per lui, e avrebbe visto quella tirannia esser giustizia, ma siccome la fine gli era nascosta, al principio si lamentò e gemette. Eppure coloro che viaggiano per la terra fiorita della gnosi, poiché vedono la fine nel principio, vedono la pace nella guerra e l’amicizia nella collera.

Tale è la condizione dei viandanti di questa Valle, ma il popolo delle Valli superiori vede la fine e il principio come un’unica cosa. Anzi non vede né principio né fine e non contempla né «primo» né «ultimo».xxvii Anzi gli abitanti della città immortale, che dimorano nei verdeggianti giardini, non vedono nemmeno né «primo» né «ultimo», rifuggono da tutto ciò che è primo e respingono tutto ciò che è ultimo. Poiché hanno sorpassato i mondi dei nomi e sono fuggiti al di là dei mondi degli attributi, veloci come il baleno. Così è detto: «La perfezione dell’affermazione dell’Uno è l’esclusione da esso di tutti gli attributi».xxviii Ed essi hanno fissato la loro dimora all’ombra dell’Essenza.

Epperciò, acconciamente Khájih ‘Abdu’-lláhxxix – possa Iddio, l’Altissimo, santificare il suo amato spirito – fece un’analisi acuta e proferì eloquenti parole sul significato della frase «Guidaci per la retta via»,xxx così: «Mostraci la diritta via, cioè onoraci dell’amore per la Tua Essenza, così che possiamo liberarci dal volgerci verso noi stessi e verso chicchessia tranne Te, e possiamo diventare tutti presi di Te, e conoscere solo Te, e vedere solo Te, e non pensare ad altri che a Te».

Anzi costoro s’innalzano financo al di sopra di questo stadio. Epperciò è stato detto:

L’amore è un velo fra l’amante e l’Amato,
più di questo non m’è permesso dire.xxxi

In quest’ora l’alba della gnosi è sorta e le lampade dei mistici viandanti sono spente.

L’immaginazione di Mosè, con tutta la Sua forza e la Sua luce,

fu velata da Lui. Tu non volar senz’ali.xxxii

Se sei uomo pienamente conscio del mistero innalzati sulle ali della spirituale potenza delle Anime Sante,xxxiii acciocché tu possa contemplare i misteri dell’Amico e giungere alle luci del Benamato. «In verità noi siamo di Dio ed a Lui ritorniamo».xxxiv

Dopo aver attraversato la Valle della gnosi, che è l’ultimo stadio delle limitazioni, il viandante giunge al primo stadio della

UNITÀ

e beve alla coppa dell’Assoluto, e mira le manifestazioni dell’Unicità. In questo stadio egli squarcia i veli della molteplicità, rifugge i mondi della carne e ascende al cielo della Singolarità. Con orecchio divino egli ode e con occhio trascendente contempla i misteri della divina creazione. S’inoltra nel Santuario dell’Amico e condivide, da intimo, il Padiglione dell’Amato. Protende la mano della Realtà dalla manica dell’Assoluto e rivela i segreti della Potenza. Non vede in se stesso né nome né fama né rango, bensì descrive se stesso lodando Iddio. Nota nel proprio nome il nome di Dio, per lui «tutte le canzoni vengono dal Re»xxxv e ogni melodia viene da Lui. Si asside sul trono del versetto «Dì, tutto viene da Dio»xxxvi e prende riposo sul tappeto delle sacre parole «Non c’è aiuto né forza se non in Dio».xxxvii Osserva tutte le cose con l’occhio dell’unificazione e vede i raggi luminosi del sole divino risplendere dall’alba dell’Essenza ugualmente su tutte le cose create e le luci dell’Unità riflettersi su tutto il creato.

Ti sia chiaro, eccellente amico, che tutte le varietà che il viandante, nei diversi stadi del suo viaggio, vede nei regni dell’esistenza si originano dal suo proprio modo di vedere. Ne daremo un esempio, affinché il segno di questo possa divenire completamente evidente. Considera il sole: sebbene risplenda con uguale radiosità su tutte le cose e, per ordine del Re della Manifestazione, conferisca luce a tutto il creato, pure, in ogni luogo, esso si manifesta e diffonde la sua munificenza in relazione alla capacità del luogo stesso. Per esempio, in uno specchio, riflette il suo disco e la sua forma e questo è dovuto alla sottigliezza dello specchio, in un cristallo fa apparire il fuoco e in altre cose mostra l’effetto del suo brillare, ma non il suo disco in pieno. Eppure con tali effetti, per ordine del Creatore, esso perfeziona tutte le cose in rapporto alle loro capacità, come puoi bene osservare.

Similmente i colori divengono visibili in ogni oggetto in rapporto alla natura dell’og-getto stesso. Per esempio in un vetro giallo i raggi brillano gialli, in uno bianco i raggi sono bianchi e in uno rosso raggi rossi si manifestano. Pertanto queste variazioni dipendono dall’oggetto e non dalla luce che brilla. E se un luogo sarà impedito da qualcosa come da un muro o da un tetto, esso verrà completamente privato dello splendore della luce, né vi potrà brillare il sole.

E così alcune anime inette hanno il campo della mistica conoscenza limitato entro il muro dell’io e della passione, offuscato dalla negligenza e dalla cecità, sono state separate dalla luce del sole dei significati profondi e dai misteri dell’Eterno Amato, sono restate molto lontane dalla preziosa saggezza della tersa Fede del Signore dei Messaggeri, sono state lasciate fuori del Santuario della suprema Dolcezza e bandite dalla Ka‘bih della sublime Maestà. Tale è lo stadio della gente di questa età!

E se un Usignoloxxxviii dal fango dell’io s’in-vola verso l’alto per dimorare nel rosaio del cuore e in melodie del Hijáz o in dolci canzoni di ‘Iráqxxxix narra i misteri di Dio – una sola parola dei quali suscita a nuova vita i corpi dei morti e conferisce uno spirito di santità alle ossa disfatte di questa esistenza – vedrai mille artigli d’invidia, una miriade di rostri di rancore andare a caccia di Lui, intenti con tutte le forze a procurarGli la morte.

Invero allo scarabeo una dolce fragranza sembra nauseabonda e per un uomo infreddato a nulla servono piacevoli profumi. Epperciò è stato detto per guidare gli ignoranti:

Scaccia il catarro dalla testa e dal naso

se vuoi che ti giunga alle nari l’alito dolce di Dio!xl

Dunque le differenze relative al luogo sono state ora palesate e provate. Quanto poi alla vista del viandante, quando essa cade in luogo limitato, cioè a dire quando egli osserva soltanto i diversi globi colorati, vede il giallo, il rosso e il bianco. È per questo che son sorti conflitti fra le creature e un nembo di polvere, levatosi dalla limitatezza degli «io», ha oscurato il mondo, mentre alcuni mirano il brillare della luce e altri ancora hanno bevuto il nettare dell’Unità e non vedono altro che il sole stesso.

Così, per il fatto che i viandanti mirano a tre diversi piani, la loro comprensione e le loro dichiarazioni si differenziano e quindi i segni del conflitto appaiono continuamente sulla terra. Poiché ve ne sono alcuni che sono consci del piano dell’Unità e parlano di quel mondo, e alcuni abitano nel regno della limitazione, e alcuni mirano ai vari stadi dell’io, mentre altri ancora sono completamente all’oscuro. Così fanno gl’ignoranti d’oggi che non han parte del raggio della Beltà Divina, e accampano certi diritti, e, in ogni età e in ogni ciclo, infliggono alla gente del-l’Abisso dell’Unità quello che loro stessi si meriterebbero. «E se Dio riprendesse gli uomini per la ingiustizia loro, non avrebbe lasciato sulla terra anima viva; ma li rimanda fino a un termine fisso…».xli

O Fratello Mio! Un cuore sottile è come uno specchio. Lucidalo col brunitoio dell’a-more e del distacco da tutto tranne Dio, acciocché il vero sole possa brillarvi dentro e possa sorgervi l’eterno mattino. Allora vedrai chiaramente il significato delle parole: «Né la Mia terra né il Mio cielo Mi contengono, ma Mi contiene il cuore del Mio servo fedele».xlii E prenderai in mano la vita e con infinita brama la getterai innanzi al nuovo Diletto.

Ogni qual volta la luce della manifestazione del Re dell’Unità risplende sul trono del cuore e del pensiero, il suo brillare diviene visibile in ogni arto e in ogni membro. In quell’istante si sprigiona rilucente il mistero della famosa tradizione: «Un servo s'avvicina a Me nella preghiera fino a che Io gli risponda, e quando gli ho risposto Io divengo l’orecchio col quale egli ode…». Poiché così il Padrone di casa è apparso entro la Sua casa e tutte le colonne dell’abitazione risplendono della Sua luce. E l’azione e gli effetti d’essa vengono dal Datore di Luce e perciò tutto si muove per Suo mezzo e agisce per volontà Sua. E questa è la sorgente alla quale bevono coloro che Gli sono vicini, così come è detto: «La fonte alla quale bevono i vicini di Dio…».xliii

Comunque, badate a non interpretare questi detti come affermanti un’incarnazione e a non vedere in essi la discesa dei mondi di Dio nei ranghi delle creature. Mai, egregio amico, essi debbono portarti a un tale dubbio. Poiché Dio, nella Sua Essenza, è santo al di sopra di ogni ascesa e di ogni discesa, di ogni ingresso e di ogni uscita. Per tutta l’eternità, Egli ha fatto a meno di tutti gli attributi delle creature e sarà sempre così. Nessun uomo L’ha mai conosciuto, nessun’anima ha mai trovato il cammino che conduce al Suo Essere. Ogni gnostico s’è smarrito nella valle della conoscenza di Lui, ogni santo s’è perduto nel cercar di comprendere la Sua Essenza. Egli è santificato al di là della comprensione del saggio, esaltato al di sopra del sapere del dotto! «La via è sbarrata, il cercarla empietà. La Sua sola prova sono i Suoi segni e la Sua esistenza la Sua conferma».xliv

Pertanto gli innamorati del volto del Benamato hanno detto: «O Tu Che provi la Tua essenza con la Tua essenza e sei al di là di ogni somiglianza con le Tue creature!»xlv Come può un puro nulla far galoppare il suo destriero sui campi della preesistenza o un’effimera ombra giungere fino al sole eterno? L’Amico ha detto: «Se non fosse per Te, non T’a-vremmo mai conosciuto» e il Benamato ha affermato: «né T’avremmo mai raggiunto».xlvi

Sì, gli accenni che sono stati fatti alle varie fasi del sapere sono inerenti alla sapienza delle Manifestazioni di quel Sole della Realtà che dardeggia la Sua luce negli Specchi. Lo splendore di quella luce è nei cuori, eppure è celato sotto gli schermi dei sensi e delle condizioni accidentali, come una candela racchiusa entro una lanterna di ferro. Solo quando la lanterna è rimossa può brillare la luce della candela.

Similmente, solo quando avrai strappato i veli menzogneri che ti cingono il cuore, le luci dell’Unità saranno palesate.

È chiaro dunque che anche per i raggi non v’è né ingresso né uscita, tanto meno quindi per quell’Essenza dell’Esistenza e per quel Mistero Agognato. Fratello Mio, attraversa questi piani nello spirito della libera ricerca, non in quello della tradizione. Un viandante vero non sarà trattenuto dall’ostacolo delle parole, né impedito dalla siepe delle allusioni.

Come può un drappo separare l’amante dall’Amato?

Neanche la muraglia d’Alessandro saprebbe separarli e impedirli!xlvii

I segreti sono molti e innumerevoli gli estranei. Interi volumi non sarebbero sufficienti a contenere il mistero del Benamato ed esso non può quindi essere esaurito appieno in queste tavole, sebbene non consista che di una parola, di un sol segno. «La scienza non è che un punto, che gli ignoranti hanno moltiplicato».xlviii

Considera anche la differenza fra i vari mondi da questo stesso punto di vista. Sebbene i mondi divini siano infiniti, alcuni dicono che sono quattro. Il mondo del tempo (zamán), cioè quello che ha sia un principio sia una fine, il mondo della durata (dahr), che ha un principio ma di cui non si scorge la fine, il mondo della perpetuità (sarmad) il cui principio non può vedersi, ma di cui si sa che c’è una fine e il mondo dell’eternità (azal), del quale né un principio né una fine sono visibili. Sebbene vi siano molte varianti riguardo a questi punti, il riferirle in dettaglio apporterebbe stanchezza. Così alcuni hanno detto che il mondo della perpetuità non ha né principio né fine e hanno chiamato il mondo dell’eter-nità «Trascendenza inaccessibile e impercettibile». Altri hanno dato a questi mondi i nomi di: Piano della Divinità (Láhút), Cielo della Potenza (Jabarút), Regno degli Angeli (Malakút), Regno dell’Umanità (Násút).

Le tappe del sentiero d’amore sono ritenute quattro: dalle creature all’Unico Vero, dal-l’Unico Vero alle creature, dalle creature alle creature, dall’Unico Vero all’Unico Vero.

Esistono parecchi detti di mistici sapienti e di dottori del passato di cui non ho fatto cenno, poiché a Me non piacciono le copiose citazioni dei detti del passato, perché il riportare parole d’altri comprova un sapere acquisito e non una largizione divina. Financo quel poco che abbiamo riferito qui è fatto in omaggio ai bisogni degli uomini e per compiacere al gusto degli amici. Inoltre tale materia esula dallo scopo di questa epistola. La Nostra riluttanza a riferire i loro detti non deriva dall’orgoglio, ma piuttosto è una manifestazione di saggezza e una dimostrazione di grazia.

Se Khidr distrusse il vascello sul mare,
pure in questo fallo vi sono mille ragioni.xlix

Ché anzi questo Servo Si considera completamente sperduto e un nulla, anche a paragone d’uno degli amanti di Dio, quanto più, dunque, alla presenza dei Suoi santi! Magnificato sia il Mio Signore, il Supremo! Per di più il Nostro scopo è quello di narrare gli stadi del viaggio del viandante e non di porre in evidenza i detti contradditori dei mistici.

Sebbene un primo esempio sia stato dato circa l’inizio e la fine del mondo relativo, del mondo, cioè, degli attributi, pure una seconda illustrazione è ora da aggiungere, acciocché il pieno significato sia reso evidente in veste allegorica. Per esempio, egregio amico, considera te stesso: sei primo in relazione a tuo figlio, ultimo in relazione a tuo padre. All’e-sterno riveli l’apparenza del potere nei regni della creazione divina, nell’intimo riveli i misteri celati che rappresentano il pegno divino depositato in te. E così inizio e fine, esteriore e interiore sono, nel senso riferito, la tua vera realtà, affinché in questi quattro stati, che ti sono stati conferiti, tu possa comprendere i quattro stati divini, e acciocché l’usignolo del tuo cuore, su tutti i rami del cespuglio di rose dell’esistenza, visibili o celati, possa esclamare: «Egli è il Primo, Egli è l’Ultimo, Egli è il Dispiegato, Egli è l’Intimo…».l

Queste affermazioni sono fatte nella sfera di ciò ch’è relativo. Altrimenti, quei personaggi che con un sol passo hanno scavalcato il mondo relativo e condizionato, e hanno dimorato nel limpido piano dell’Assoluto e piantato la tenda sui mondi dell’autorità e del comando hanno arso questa relatività con un sol fuoco e sradicato queste parole con una sola goccia di rugiada. E nuotano nel mare dello spirito e si librano nell’aria santa della Luce. E che vita possono allora avere in questo piano parole quali «primo» ed «ultimo» o altre che siano lette o pronunciate? In questo regno, Primo non è che Ultimo e Ultimo non è che Primo.

Accendi un fuoco d’amore nell’anima
e brucia del tutto pensieri e parole.li

Amico Mio, considera te stesso. Se non fossi padre e non avessi un figlio, non avresti conosciuto il significato di questi detti. Adesso dimenticali tutti, a che tu possa apprendere dal Maestro dell’Amore sul banco dell’Unità, e ritornare a Dio secondo il versetto «Invero a Lui ritorniamo…»,lii e dimenticare la tua patria apparente per il tuo vero rango, e dimorare all’ombra dell’albero della Conoscenza.

Mio caro! Rendi il tuo io povero, affinché tu possa entrare nell’alta corte della Ricchezza, fa umile il tuo corpo a che tu possa bere dal rivo della gloria e capire appieno il significato dei poemi che chiedesti.

È stato dunque dimostrato che questi stadi dipendono dalla visione del viandante. In ogni città egli vedrà un mondo, in ogni Valle raggiungerà una sorgente, in ogni prato udrà un canto. Ma il Falco che si libra nell’aria spirituale contiene nel suo petto molte meravigliose melodie divine e l’Uccello dell’Iráq racchiude nel suo capo tante dolci melodie dell’Hijáz.liii Eppure esse sono celate, e celate rimarranno.

Se lo dirò apertamente, molte menti si sconvolgeranno

e se lo scriverò, molti calami si spezzeranno!liv

La pace discenda su colui che reca a compimento questo viaggio sublime e segue l’Unico Vero per mezzo delle luci della Sua guida.

Così il viandante, dopo aver oltrepassato i gradini di questo viaggio superno, entra ne

LA CITTÁ DELL’APPAGAMENTO

In questa Valle egli sente spirare i venti dell’appagamento divino dalle distese dello spirito. Arde i veli della povertà e con l’occhio interiore ed esteriore scorge, entro e fuori ogni cosa, il giorno in cui «Dio arricchirà ambedue della Sua abbondanza ampia».lv Passa dal dolore alla somma felicità, dall’an-goscia alla gioia. Il suo travaglio e il suo cordoglio cedono la via alla delizia e all’estasi.

Sebbene apparentemente i viandanti di questa Valle abitino nella polvere, pure intimamente sono elevati al trono eccelso del Significato mistico, son nutriti delle munificenze interminabili dei significati ascosi e libano il delicato nettare dello spirito.

La lingua è incapace di descrivere queste tre Valli e la parola è inadeguata. La penna non penetra questa regione e l’inchiostro lascia soltanto una macchia. In queste sfere l’usignolo del cuore ha altri canti ed altri segreti che fanno fervere il cuore e gridar l’ani-ma, ma il mistero di questo significato recondito può essere soltanto sussurrato da cuore a cuore, confidato da petto a petto.

Lo stato dei mistici solo un cuore può dirlo a un altro cuore

non può farlo un corriere, non può dirlo una missiva.lvi

Di molte cose taccio, impotente a descriverle,

non entrano in un discorso e, se dette, sarebbero manchevoli.lvii

O amico, finché non entrerai nel giardino di tali misteri non potrai portare alle labbra il nettare imperituro di questa Valle. E se ne gusterai, distoglierai gli occhi da qualsiasi altra cosa per bere il nettare dell’appagamento, e ti libererai da tutto, e ti attaccherai a Lui, e darai la vita sul Suo sentiero, e immolerai l’anima tua, per quanto, in questa regione, non v’è altri che tu debba dimenticare: «Iddio era e null’altro v’era all’infuori di Lui».lviii Poiché in questa sfera il viandante vede la bellezza del-l’Amico in tutte le cose. Financo nel fuoco egli vede il volto del Benamato. Nell’illusione discerne il segreto della realtà e negli attributi divini legge l’enigma dell’Essenza. Poiché ha arso i veli con un sospiro e strappato le bende con un solo sguardo, con occhio penetrante ammira la nuova creazione, con cuore terso comprende le opere sottili. Questo è sufficientemente attestato dal detto: «E abbiam reso ora la tua vista acuta».lix

Dopo aver peregrinato attraverso i piani dell’appagamento puro, il viandante giunge a

LA VALLE DELLA MERAVIGLIA

e si tuffa negli oceani della magnificenza e il suo stupore cresce ad ogni istante. Ora vede la forma della ricchezza come sostanziale povertà e l’essenza della libertà come mera impotenza, ora s’annienta al cospetto della beltà del Gloriosissimo, ora la vita lo stanca. Quanti alberi mistici sono stati sradicati da questo turbine di meraviglia, quante anime ha esso esaurite! Perché questa Valle lancia il viandante nello sbigottimento, sebbene, all’occhio di colui che vi è giunto, queste stupefacenti manifestazioni siano apprezzate e ben care. Ad ogni istante mira un mondo portentoso, una creazione nuova, e passa di stupore in stupore, e si smarrisce in reverente timore innanzi all’opera nuovissima del Signore dell’Unità.

Invero, o fratello, se ponderiamo su ogni cosa creata, constateremo una miriade di saggezze perfette e impareremo una miriade di nuove e meravigliose scienze. Uno dei fenomeni creati è il sogno. Guarda quanti segreti vi sono serbati, quante saggezze vi son custodite, quanti mondi vi sono celati! Osserva come, addormentato in un’abitazione le cui porte sono serrate, tutto a un tratto ti trovi in una città lontana, nella quale entri senza muovere i piedi o affaticare il corpo, vedi senza usare gli occhi, odi senza sforzare gli orecchi, parli senza lingua. E può darsi che, quando dieci anni saranno trascorsi, vedrai nel mondo temporale le identiche cose che hai sognato stanotte.

Ora vi sono molteplici saggezze da ponderare nel sogno, ma soltanto la gente di questa Valle può capire la sua vera modalità. Primo: che mondo è questo in cui l’uomo senza né occhi, né orecchie, né mani, né lingua può mettere tutti questi organi in uso? Secondo: com’è che nel mondo sensibile vedi oggi gli effetti di un sogno che vedesti nel mondo del sonno una decina d’anni fa? Considera la differenza fra questi due mondi e i misteri che celano, acciocché tu possa giungere alle divine confermazioni e a scoperte celestiali e penetrare le regioni della santità.

Dio, l’Eccelso, ha posto questi segni nel-l’uomo affinché gli ignari, velati alla Realtà, non possano negare i misteri della vita dell’aldilà, né spregiare quel che è stato loro promesso. Infatti alcuni sono attaccati alla ragione e negano tutto ciò che la ragione non comprende. Eppure la debole ragione non potrà mai afferrare quel che abbiamo riferito, soltanto la Suprema Intelligenza Divina può comprenderlo:

Come può una mente parziale abbracciare il Corano?

Come può un ragno catturar la Fenice?lx

Tutti questi mondi saranno sperimentati nella Valle della Meraviglia, e il viandante ne cercherà sempre di più ad ogni istante, e non sarà stanco. Così il Signore dei Primi e degli Ultimi,lxi parlando dei gradi della contemplazione e accennando alla meraviglia, ha detto: «O Signore! Accresci il mio stupore di Te!»

Similmente rifletti sulla perfezione della creazione dell’uomo e come tutti questi mondi e queste condizioni siano riposti e celati in lui.

Consideri te stesso soltanto una forma meschina,
quando entro di te riposto è l’universo?lxii

Dobbiamo quindi sforzarci di annientare in noi l’«animalità», fino a che il significato di «umanità» venga alla luce.

Così pure Luqmán,lxiii che bevve alla fonte della saggezza e assaporò le acque della misericordia, nel provare al figlio Nathan i piani della resurrezione e della morte, addusse il sogno come prova ed esempio. Lo riferiamo qui, affinché, per mezzo di questo Servo effimero, rimanga duraturo il ricordo di quel giovane della scuola della Divina Unità, Maestro nell’arte dell’insegnamento e del distacco. Egli disse: «O figlio, se sei capace di non dormire, sei capace di non morire. E se sei capace di non svegliarti dal sonno, sarai capace di non risorgere dopo la morte».

O amico, il cuore è la dimora dei misteri eterni, non farne l’abitazione di bizzarrie fugaci, non sciupare i tesori della tua preziosa esistenza impiegandoli in questo mondo transitorio. Provieni dal mondo della santità, non legare il cuore alla terra. Sei l’ospite della corte del favore divino, non sceglier la tua dimora nella povere! Insomma, non v’è fine alla descrizione di questi stadi, ma a cagione dei torti inflittiGli dalla gente del mondo questo Servo non Si sente l’umore di continuare:

Queste parole sono rimaste incomplete e manchevoli

Non ho più cuore di parlare: perdona a un senza cuore!lxiv

La penna geme e l’inchiostro versa lacrime e la fiumanalxv del cuore scorre in flutti di sangue. «Dì: non ci capiterà che quel che Dio ha decretato per noi».lxvi La pace discenda su colui che segue il Retto Sentiero!

Dopo avere scalato le cime eccelse della meraviglia il viandante giunge a

LA VALLE DELLA POVERTÁ VERA
E DEL RADICALE ANNIENTAMENTO

Questo stadio consiste nella morte dell’io e nella vita in Dio, nell’essere poveri di sé e ricchi del Desiderato. La povertà, come è intesa qui, significa essere poveri di tutte le cose del mondo creato e ricchi delle cose del mondo di Dio. Poiché quando il vero amoroso, il devoto amico, giunge alla presenza del Benamato, la scintillante bellezza dell’Amato e il fuoco del cuore dell’a-mante accendono una fiamma e bruciano tutti i veli e gl’impedimenti. Invero tutto ciò che possiede, dal cuore alla pelle, andrà in fiamme, cosicché nulla rimarrà tranne l’Amico.

Quando le qualità dell’Increato si manifestarono
Mosè riarse ogni qualità del creato.lxvii

Colui che ha raggiunto questo stadio è purificato da tutto ciò che appartiene al mondo. E pertanto non ha importanza se coloro che sono giunti all’oceano della Sua presenza si trovano a non possedere nessuna delle cose limitate di questo mondo perituro, siano esse ricchezze ovvero opinioni personali. Poiché quel che le creature posseggono è limitato dai loro stessi limiti e quel che l’Unico Vero possiede è oltre ogni limitazione. Questo detto dev’essere profondamente meditato acciocché il suo significato possa divenir chiaro. «E berranno i pii ad una coppa il cui licore sarà miscelato di canfora».lxviii Se si conosce l’interpretazione di «canfora», l’intendimento vero di questo versetto appare evidente. Questo è lo stadio della povertà di cui si dice: «La povertà è la Mia gloria».lxix E della povertà interiore ed esteriore esistono vari stadi e vari significati di cui non ho creduto opportuno far cenno qui, così Mi riservo di farlo un’altra volta, secondo ciò che Dio potrà desiderare o il destino decidere.

Questo è il piano nel quale le molteplicità di tutte le cose (kullu shay’) sono nel viandante distrutte, e all’orizzonte dell’eternità il Volto divino si leva dalle tenebre, e il significato del versetto «E tutto quel che vaga sulla terra perisce, e solo resta il volto del Signore…»lxx è reso evidente.

O amico Mio, ascolta col cuore e con l’anima i canti dello spirito e custodiscili come i tuoi stessi occhi. Poiché la saggezza celestiale, come le nuvole in primavera, non farà cader sempre la sua pioggia sulla terra dei cuori umani e, benché la grazia del Munifico non s’arresti mai, né sia mai interrotta, pure per ogni tempo ed ogni èra c’è una parte destinata e una grazia predisposta in una determinata misura. «E non v’è cosa che non n’abbiamo tesori presso di Noi, ma in misura contata ve la mandiamo».lxxi La nube della misericordia dell’Amato piove soltanto sul giardino dello spirito e fa questa grazia solamente nella primavera. Le altre stagioni non partecipano a questa magnifica grazia, né le lande sterili ricevono parte di questo favore.

O fratello! Non tutti i mari hanno perle, non tutti i rami fioriscono, né vi canta l’usi-gnolo. Quindi, prima che l’usignolo del paradiso mistico ritorni al giardino di Dio e i raggi del mattino celeste ritornino al Sole della Verità, compi uno sforzo a che in questo ricettacolo di polvere che è il mondo mortale tu possa cogliere una fragranza del giardino eterno e vivere per sempre all’ombra della gente di questa città. E quando avrai raggiunto questo elevatissimo stadio e sarai giunto a questo potentissimo piano, allora rimirerai l’Amico e dimenticherai ogni estraneo.

L’Amato senza veli, dalla porta e dal muro
splende, o uomini che avete intelletto!lxxii

Adesso hai abbandonato la goccia dell’a-nima e sei venuto al mare dell’Amato dell’a-nima tua. Questa è la mèta che chiedesti, se sarà volontà di Dio la conquisterai.

In questa città financo i veli di luce sono squarciati e svaniscono. «La Sua bellezza non ha altro velo che la Luce e il Suo volto non è coperto che dalla Sua manifestazione».lxxiii Com’è strano che, mentre il Benamato è visibile come il sole, gli estranei vadano ancora in cerca di ornamenti e danari. Invero l’intensità della Sua rivelazione Lo ha nascosto e la pienezza del Suo splendore Lo ha celato.

L’unico Vero rifulse come il sole radioso,

ma ahimè, ch’è venuto nella città dei ciechi!lxxiv

In questa Valle il viandante lascia dietro di sé gli stadi del panteismo e dell’unità della manifestazionelxxv e giunge ad una unicità sublimata al di sopra di questi due stadi. L’estasi soltanto può abbracciare questo tema, non le spiegazioni e le discussioni. E chiunque è giunto a questa tappa del viaggio o ha aspirato un effluvio di questo giardino sa di che cosa parliamo.

In tutte queste peregrinazioni il viandante non devierà neanche per lo spessore d’un capello dalla «Legge», perché questa è, invero, il segreto della «Via» e il frutto dell’albero della «Realtà».lxxvi E in tutti questi stadi deve aggrapparsi alla veste dell’obbedienza ai comandamenti e tenersi tenacemente alla corda dello schivare tutte le cose proibite, affinché possa esser nutrito dalla coppa della Legge ed edotto dei misteri della Realtà.

Qualora alcuni dei detti di questo Servo non siano compresi o apportino turbamento, bisogna chiedere di nuovo, in maniera che nessun dubbio permanga e il significato sia chiaro come il Volto del Benamato che splende dal «Luogo di Gloria».lxxvii

Questi viaggi non hanno una fine visibile nei regni del tempo, ma il viandante distaccato dal mondo – se un aiuto trascendente discende su di lui e il Custode della Causalxxviii lo assiste – potrà percorrere queste sette tappe in sette passi, anzi in sette respiri, o meglio in un sol respiro se Iddio vuole e lo desidera. E tutto questo proviene dal sacro versetto: «Questo è un Suo favore elargito a chi vuole».lxxix

Coloro che volano nell’aria dell’Unità e raggiungono il profondo mare dell’Assoluto reputano questo stadio – che è la sede dell’e-terna vita in Dio – il più avanzato stato dei sapienti mistici e la più remota patria degli amanti. Ma per questo effimero Essere dell’o-ceano del significato spirituale, questa sede è la prima porta della cittadella del cuore, cioè a dire il primo accesso dell’uomo alla città del cuore, e il cuore è dotato di quattro gradi, che saranno descritti se si troverà un’anima adatta a intenderli.lxxx

Quando la penna s’accinse a descriver questo stadio

s’infranse in pezzi la penna e fu stracciata la carta.lxxxi

Addio!lxxxii

Amico Mio! Molti segugi incalzano questa Gazzella del deserto dell’Unità, molti rostri inseguono questo Usignolo del giardino eterno. Il corvo dell’odio sta in agguato di questo Uccello dei cieli di Dio e il cacciatore dell’invidia insidia questo Capriolo del prato dell’amore.

O Shaykh! Fa’ del tuo retto proposito un globo di vetro che ripari questa fiamma dai venti avversi, sebbene questa face agogni d’essere accesa nella lampada del Signore e risplendere nel globo dello spirito. Poiché il collo che s’è levato per amore di Dio certamente cadrà sotto la spada, e la testa che si leva alta di desiderio sarà sicuramente annientata, e il cuore che sempre menziona l’Amato sicuramente traboccherà di sangue. Com’è ben detto:

Vivi libero d’amore, perché la sua quiete è angoscia,

il suo principio dolore, la sua fine uccisione.lxxxiii

La pace discenda su colui che segue il Retto Sentiero!

* * *

I pensieri peregrini che esprimesti sul significato del nome del ben noto uccello che in persiano si chiama gunjishk (passerotto) sono stati considerati.lxxxiv Tu sembri bene edotto della verità mistica. Infatti, in ogni mondo, ad ogni lettera è dato un significato correlativo a quel mondo. E così il viandante trova un segreto in ogni nome, un mistero in ogni lettera. In un certo senso, queste lettere si riferiscono alla santificazione.

Káf (o Gáf) significa «liberati (kuffi) da quel che la tua passione desidera e quindi avanza verso il tuo Signore».

Nún si riferisce a nazzih («purifica») cioè a dire: «purificati da tutto ciò che non sia Lui, affinché tu possa donare la vita per amor Suo».

Jím è jánib («ritirati») cioè: «ritirati dalla soglia dell’Unico Vero se ancora possiedi caratteristiche terrene».

Shín è ushkúr («ringrazia»), cioè «ringrazia il Signore tuo sulla Sua terra, acciocché Egli possa ringraziarti nel Suo cielo, benché nel mondo dell’Unità questo cielo sia lo stesso che la Sua terra».

Káf si riferisce a kaffir,lxxxv cioè a dire: «strappati di dosso gli involucri delle limitazioni, affinché tu possa giungere a conoscere ciò che non hai conosciuto degli stati della Santità».

Se tendessi l’orecchio alle melodie di questo Uccello effimero,lxxxvi ti daresti alla ricerca dei calici imperituri, trascurando ogni coppa mortale.

La pace discenda su coloro che camminano sul Retto Sentiero!

Egli è il Vivente
O luce di verità, o nobile Hisámu’d-Dín!

Il cielo e gli elementi mai generarono un principe a te pari.lxxxvii

Non so perché tu abbia il nodo d’amore così repentinamente reciso e il saldo patto dell’amicizia infranto. Sarebbe, Dio non voglia, la Mia devozione diminuita o il Mio profondo affetto svanito, così che Mi hai dimenticato e cancellato dai tuoi pensieri?

Quale Mia colpa ti ha indotto a privarMi dei tuoi favori?

Forse perché Noi siamo umili e tu di rango maestoso?lxxxviii

O forse una sola freccia t’ha messo fuori combattimento?lxxxix

Non t’è stato detto che la perseveranza è un obbligo per coloro che seguono la mistica via ed è la prova che si è raggiunta la Sua santa presenza? «In verità coloro che dicono: “Il nostro Signore è Dio!” e su retta via camminano, su loro scenderanno gli angeli…».xc Similmente dice: «Resta quindi sul retto sentiero, come t’è stato ordinato…».xci Pertanto questa condotta è d’obbligo per coloro che dimorano alla presenza di Dio.

Io fo come m’è comandato e reco il messaggio:

se vuoi, prendine consiglio, offenditi, se vuoi.xcii

Sebbene non abbia ricevuto risposta alle Mie lettere e sia contrario alle consuetudini dei saggi esprimere di nuovo i già porti omaggi, pure questo nuovo amore ha abrogato e infranto tutte le vecchie regole e consuetudini.

Non raccontar la storia di Laylí e la tristezza di Majnún,

l’amore per te ha abrogato ogni menzione degli antichi.

Si faceva il tuo nome, gli amanti lo udirono,

e ambedue presero a danzare: narratore e ascoltatore.xciii

E della divina saggezza e celeste esortazione (Rúmí dice):

In capo ad ogni mese, o mio diletto,
per tre giorni senza fallo impazzisco.

Oggi è il primo di questi tre giorni: giorno fausto dunque,

giorno di gemme e diamanti!xciv

Abbiamo saputo che ti sei recato a Tabríz e a Tiflís a disseminar la sapienza e che qualche altro grande scopo ti ha condotto a Sanandaj.xcv

O Mio signore! Coloro che ascendono nei cieli della mistica via sono di quattro specie. Descriverò brevemente ogni specie affinché i gradi e le qualità di ciascuna ti siano chiari.

LA PRIMA VALLE

Se i viandanti hanno per mèta l’Inteso (maqsúd),xcvi questo stadio appartiene all’io, ma «l’Io di Dio che sta in lui con le leggi».xcvii

In questo stadio l’io non è ripudiato, ma amato, è accetto, non soggiogato. Sebbene al principio di questo stadio vi sia luogo di lotta, la sua fine però è l’insediamento sul trono dello splendore. Così com’è stato detto:

O Abramo del tempo, o Abramo dell’in-telletto!
Uccidi questi quattro uccelli rapaci!xcviii

così che dopo la morte l’enigma della vita sia chiarito.

Questo è lo stadio dell’«io che piace (a Dio)». Riferisciti infatti al versetto: «E tu anima tranquilla, ritorna al tuo Signore piacente e piaciuta…», che finisce «…ed entra fra i Miei servi, entra nel Mio paradiso».xcix

Questo stadio ha molti segni e innumerevoli testimonianze. Perciò è detto: «Mostreremo loro i segni Nostri sugli orizzonti del mondo e fra di essi finché non sia chiaro per loro che esso (questo Libro) è la Verità»c e che non v’è altro Dio eccetto Lui.

È evidente quindi che si deve leggere il libro del proprio io piuttosto che qualche trattato di grammatica. Perciò Egli ha detto: «Leggi il tuo rotolo: basterai tu stesso, oggi, a computare contro di te e le tue azioni!».ci

Si narra la storia di un mistico sapiente che intraprese un viaggio in compagnia di un colto grammatico. Essi giunsero alla sponda del mare della grandiosità. Il sapiente si tuffò immediatamente nelle onde, mentre il grammatico rimase assorto e annientato come disegno sull’acqua. Il sapiente lo chiamò dicendogli: «Perché hai legato le briglie?». Il grammatico rispose: «Fratello, che fare, se non ho il piede per avanzare? Meglio sarà ch’io torni indietro!». Allora il sapiente gridò: «Getta via quel che leggesti nei libri di Síbavayh e Qawlavayh, di Ibn-i-Hájib e di Ibn-i-Málikcii e fendi l’acqua!».

Annientamento qui ci vuole, e non grammatica.

Annullati, dunque, e cammina senza pericolo sull’onda!ciii

Similmente è scritto: «E non siate come coloro che dimenticarono Iddio, e ai quali Iddio fece dimenticare se stessi: quelli sono i perversi!».civ

LA SECONDA VALLE

Se poi i viandanti son di coloro che dimorano nella stanza del Lodato (mahmúd),cv questo è lo stadio dell’Intelletto Primo conosciuto come Profeta e Pilastro Massimo.cvi Ma qui per Intelletto s’intende l’intelletto divino, universale, la cui sovranità illumina in questo stadio tutte le cose contingenti, e non ogni debole e insensato cervello. Poiché è come il saggio Saná’ícvii ha scritto:

Come può una mente parziale abbracciare il Corano?

Come può un ragno catturar la Fenice?

Se vuoi che l’intelletto non ti prenda in trappola

prendilo per l’orecchio e portalo alla scuola del Misericordioso!

In questo stadio il viandante subisce molte scosse e molti sconvolgimenti. Ora è innalzato fino al cielo, ora è gettato negli abissi. Com’è stato detto: «Ora mi attiri fino al trono dell’assoluto, ora mi distruggi col fuoco dell’annientamento».cviii Il mistero custodito in questo stadio è divulgato in questo santo versetto della Sura della Caverna: «E avresti visto il sole, al sorgere, deviare dalla loro caverna verso destra e sfiorarli a sinistra al tramonto, mentre essi si trovavano in un’ampia volta nel centro. Questo è uno dei Segni di Dio: e colui che Dio guida, egli è il Guidato, e Colui che Dio travia non troverà patrono che l’ammaestri».cix

Se qualcuno potesse conoscere gli accenni contenuti in questo solo versetto, gli sarebbe sufficiente. Per questo, in lode di costoro, Egli ha detto: «Uomini che né commerci né vendite distolgono dalla menzione di Dio…».cx

Questo stadio è bilancia e fine della prova. In questo regno la ricerca del sapere non è necessaria, poiché Egli ha detto riguardo all’in-segnamento dei viandanti in questo abisso: «Temete dunque Iddio e Dio v’istruirà».cxi E inoltre: «La sapienza è una luce che Dio getta nel cuore di chiunque Egli vuole».cxii

E per questo l’uomo deve preparare il cuore ad esser degno della discesa in esso del favore celeste, sì che il Coppiere della Sufficienza possa dargli da bere il vino della Grazia dalla coppa della Misericordia. «Per ottenere tal cosa, operino gli operanti!»cxiii

E ora Io dico: «In verità noi siamo di Dio ed a Lui ritorniamo!».cxiv

LA TERZA VALLE

Se gli amanti sono i devoti del Santuario dell’Attratto (majdhúb),cxv nessuna anima può insediarsi su questo Trono Reale tranne la bella forma dell’amore. Questo regno non posso dipingerlo né descriverlo con parole.

L’amore è estraneo alla terra e al cielo
in esso vi sono settantadue pazzie.cxvi

Il menestrello d’amore questo ripete al tempo del mistico canto:

la servitù è un legame, comandare un tormento.cxvii

Questo stadio richiede amore puro e l’acqua limpida dell’affetto. Nel narrare di questi compagni, Egli disse: «Coloro che non parlano prima ch’Egli abbia parlato e al Suo comando operano».cxviii

In questo piano né il regno dell’intelletto, né l’autorità dell’io sono sufficienti. Perciò uno dei Profeti di Dio ha chiesto: «O mio Signore, come potremo giungere a Te?». E la risposta fu: «Getta via te stesso e poi avvicinati a Me».

Questi sono esseri che giudicano il posto più infimo eguale al trono della gloria. Per loro una pergola fiorita non differisce dal campo della battaglia combattuta per la causa del Diletto.

Gli abitanti di questo Santuario non conoscono argomenti di discorso, ma galoppano sui loro corsieri. Essi non vedono che l’ inti-ma realtà del Diletto. Considerano tutte le parole come insensate e pur usano tutte le insensatezze. Non sanno distinguere la testa dal piede e il braccio dalla gamba. Per loro il miraggio è vera acqua, l’andare è ritornare. Perciò è stato detto:

Un sol cenno della bellezza del Tuo volto ha raggiunto la cella dell’eremita.

Impazzito, egli cercò la Taverna dove il vino si compra e si vende.

L’amore per Te ha raso al suolo il castello della pazienza,

la Tua crudeltà ha solidamente barricato la porta della speranza.cxix

In questo regno l’apprendere e l’insegnare non hanno certo alcun valore.

Maestro dell’amante è la beltà dell’Amato,

il Suo volto la loro lezione e il loro unico libro.

Imparar meraviglie e bramoso amore è il loro compito,

non ridondanze e catene di parole.

La catena che li unisce sono i Suoi capelli odorosi di muschio,

il loro problema è il Circolo, ma il Circolo dell’Amico!cxx

Ed ecco una supplica a Dio, l’Eccelso, il Glorificato:

O Signore! O Tu la Cui munificenza appaga i desideri!

O Tu, assieme al Cui nome nessun altro è degno d’esser menzionato!

Concedi che l’atomo di sapienza del mio spirito
sfugga alla passione e alla vile creta.
E la goccia di saggezza che un dì mi donasti,
uniscila per sempre ai Tuoi oceani!cxxi

Così Io dico: «Non c’è aiuto né forza che in Dio, il Protettore, Che esiste da Sé».cxxii

LA QUARTA VALLE

Se i mistici sapienti sono fra coloro che hanno raggiunto la graziosa Figura dell’A-matissimo (mahbúb),cxxiii questo stadio è il trono dell’intimo cuore e il segreto della Profezia. Questo è il centro del mistero: «Egli fa ciò che vuole», «decreta come Gli piace».cxxiv

Se tutti gli abitanti della terra e del cielo si affaccendassero a decifrare questo sublime simbolo, questo enigma sottile, fino al giorno che la Tromba squillasse, pure non riuscirebbero a capire il significato di una sola lettera né potrebbero calcolarlo, poiché questo è lo stadio del divino Decreto, il mistero della predestinazione. Perciò quando i ricercatori indagarono, Egli rispose: «É un mare profondo che mai riuscirai a penetrare».cxxv Chiesero di nuovo ed Egli rispose: «É notte tenebrosa dove non potrai trovare la strada».

Chiunque conosca questo segreto sicuramente lo celerà, e se ne rivelasse la più lieve goccia lo inchioderebbero sulla croce. Eppure, in nome del Dio Vivente, se esistesse un vero indagatore gli sarebbe palesato, poiché fu detto: «L’amore è una luce che non dimora mai in un cuore posseduto dalla paura».

Invero il viandante che va verso Dio, sul Pilastro Cremisi, sul sentiero bianco come la neve, non arriverà mai alla mèta celeste a meno che non abbandoni tutto ciò che gli uomini posseggono. «Chi non teme Iddio, Iddio gli farà temere tutte le cose, ma chi teme Dio, di lui temono tutte le cose».cxxvi

Parla in lingua persiana benché più dolce sia l’arabo,

l’amore del resto possiede cento altre lingue!cxxvii

Com’è bello questo verso a tal proposito:

S’Ei dona perle, ecco, s’aprono i cuori come conchiglie

e se piove dardi di dolore, ecco l’anime pronte a far da bersaglio!cxxviii

E se non fosse contrario alla Legge del Libro, invero, legherei una parte dei Miei possessi a colui che Mi uccidesse e lo nominerei Mio erede. Sì, gli lascerei una parte, e lo ringrazierei, e cercherei di rinfrescare i Miei occhi col tocco della sua mano. Ma che posso fare? Non ho possessi né potere e questo è ciò che Dio ha disposto.

Mi pare in questo momento di sentire fragranza di muschio venire dalla veste di Há, dal Giuseppe della Gloria (Bahá).cxxix È come se lo trovassi vicino, mentre voicxxx Lo trovate lontano.

Un profumo d’anima perviene all’anima Mia,
è profumo dolce d’Amico che fino a Me giunge.
In pegno dei lunghi anni d’amicizia trascorsi
narraMi ancora di quelle estasi dolci,
affinché ridan di gioia il cielo e la terra

e mente, spirito e occhio si faccian cento volte felici.cxxxi

Questo è il reame della piena consapevolezza, del completo annientamento dell’io. Neppure l’amore ha accesso in questa regione e l’affetto non ha qui dimora. Perciò è stato detto: «L’amore è un velo fra l’amante e l’Amato». Qui l’amore diviene un impedi-mento e una barriera e tutto, tranne Lui, è d’ostacolo. Il saggio Saná’í ha scritto:

Verso quel rubacuori nessuno s’avanza col desiderio,

con un tal volto di rosa nessuno dorme con la camicia.cxxxii

Poiché questo è il mondo di Dio e trascende tutti i segni e le indicazioni terrene.

Gli eccelsi abitatori di questa magione, con gioia e letizia, si proclamano Iddii e Signori su prati d’estasi. Da alti seggi di giustizia emanano ordini e fanno discendere doni secondo il merito di ciascuno. Coloro che bevono da queste coppe dimorano nei padiglioni della Potenza al di sopra del Trono dell’Antico dei Giorni e sono assisi nelle tende della Sublimità sullo sgabello della Magnificenza. «E non vedranno sole, e non vedranno gelo».cxxxiii

In questo stadio gli alti cieli non sono in contrasto con l’umile terra, né se ne differenziano, perché questo è rango di Grazia, non manifestazione di conflitti. Sebbene ad ogni momento queste anime appaiano in una nuova operazione, pure il loro agire è sempre lo stesso. Perciò di questo reame è scritto: «Nessuna opera Gli impedisce di attendere ad altra opera».cxxxiv E di un altro stadio è detto: «Ogni giorno Ei lavora ad opera nuova».cxxxv Questo è il cibo il cui sapore non cambia, il cui colore non si altera. Se ne accetterai un poco, canterai invero questo versetto: «Io volgo la faccia verso Colui Che ha creato i cieli e la terra, in purezza di fede, e nessun compagno a Lui voglio dare».cxxxvi «E così mostravamo ad Abramo il Regno dei Cieli e della Terra perché fosse di quei che solidamente sono convinti».cxxxvii «Premiti ora la mano sul fianco, poi distendila avanti con forza e mira: troverai ch’essa è luce a tutto il mondo».cxxxviii

Com’è cristallina questa fresca acqua che porta il Coppiere gioioso! Com’è luminoso questo puro vino nelle mani dell’Amato inebriato! Com’è squisita questa bevanda della Coppa di Canfora!cxxxix Gloria a coloro che ne bevono e gustano la sua dolcezza e giungono al grado della sua conoscenza!

Non è conveniente ch’io dica più di questo,

ché il letto del ruscello non può contenere il mare!cxl

Infatti il mistero di questo detto è celato nei tesori della Suprema Infallibilitàcxli e riposto nei forzieri della Potenza. Esso è purificato al di sopra delle gemme dell’espressione ed è al di là delle sottigliezze della dichiarazione.

Lo stupore qui è altamente apprezzato e l’assoluta povertà è essenziale. Perciò è stato detto: «La povertà è il Mio vanto».cxlii E inoltre: «Dio possiede un popolo sotto le cupole della Gloria, che ha nascosto, per esaltarlo, sotto il velo della povertà».cxliii Questi son coloro che vedono coi Suoi occhi, odono con i Suoi orecchi, così com’è scritto in una ben nota tradizione.

A proposito di questo regno esistono parecchie tradizioni e parecchi versi metafisici e psicologici, ma due tradizioni saranno sufficienti a far luce agli uomini di mente e a dar gioia agli uomini di cuore.

La prima è la Sua asserzione: «O Mio servo! ObbedisciMi ed Io ti farò simile a Me. Io dico “Sia” ed è, e tu dirai “Sia” e sarà».

Ed ecco la seconda: «O Figlio di Adamo! Non cercare la compagnia di nessuno fino a che tu non Mi abbia trovato e ogni volta che Mi desidererai, Mi troverai vicino».

Tutte le prove luminose e le allusioni meravigliose qui esposte si riferiscono a una sola Lettera, a un sol Punto. «Questo è il costume di Dio… e non troverai al costume di Dio mutamento».cxliv

Iniziai questa epistola tempo fa, in tua memoria, e poiché la tua lettera non era allora pervenuta, l’iniziai con parole di rimprovero. Ora la nuova missiva ha dissipato quel sentimento e Mi spinge a scriverti. Parlare del Mio affetto per l’Eccellenza tua è superfluo. «Ma Dio solo basta a testimoniare».cxlv Per Sua Eccellenza lo Shaykh Muhammadcxlvi – possa Dio, l’Eccelso, benedirlo! – Mi limiterò ai due versi seguenti, che chiedo gli siano consegnati:

Cerco la tua strada, ch’è più bella del Trono Superno

vedo il tuo volto, ch’è più dolce dei giardini del Cielo!cxlvii

Quando affidai questo messaggio d’amore alla Mia penna, essa rifiutò l’incarico e svenne. Poi, tornando in sé, parlò e disse: «Sia gloria a Te! Io a Te mi converto e sono il primo dei credenti».cxlviii Lode sia a Dio, il Signore delle Creature!

Lascia ormai ad altro tempo il racconto

di questo dolore bruciante, di questa separazione lunga.

Più dolce è che il segreto degli amanti
venga narrato con parole d’altri.

Non cercar tumulti, rumori e spargimento di sangue,

non parlar più, ormai, di Shams-i-Tabríz!cxlix

La pace discenda su di te e su coloro che ti stanno intorno e ottengono l’onore di incontrarti!

Quello che ho scritto fin qui è stato succhiato dalle mosche tant’era dolce l’in-chiostro. Come dice Sa‘dì:

Non voglio scrivere altro, poiché le mosche

mi stan tormentando, tanto dolci son le parole che scrivo!

E ora la mano non può più scrivere e supplica: «Basta!». Perciò concludo dicendo: «Gloria al tuo Signore, il Signore della Possanza, oltre le loro empie descrizioni!».cl

NOTE
i La Manifestazione di Dio tra gli uomini.

ii Muhammad, Ahmad e Mahmúd sono nomi e titoli del profeta Muhammad, tutti derivati dal verbo arabo hamada «lodare». Muhammad e Mahmúd significano «lodato», Ahmad «lodatissimo».

iii Corano XVII, 110.

iv ‘Abdu’l-Qádir Jílání, rinomato teologo, predicatore e sufi del XII secolo, comunemente noto con il titolo «Ghawth» (lett. soccorso), fondatore dell’or-dine Qádiriyyih.

v Corano II, 282.

vi Corano XVI, 69. Dio parla, nel Corano, all’ape che vaga nelle vie dell’aria cogliendo da ogni frutto. Qui, ovviamente, si ha un’interpretazione simbolica.

vii Corano XVI, 69. Nella tradizione musulmana, e particolarmente in quella persiana, versetti o parti di versetti del Corano sono usati come emblemi delle realtà spirituali espresse dalle loro prole e volta per volta paragonati a «giardini», «cieli», «mari» ecc.

viii Saba è la famosa regione dell’Arabia meridionale di cui fu regina la leggendaria Bilqís, che visitò il profeta Salomone. Simboleggia luoghi celestiali e profumati.

ix Il Santuario della Mecca, la Kaaba. Qui, e altrove, è usato in senso di «mèta» per antonomasia.

x Corano XXIX, 69. Un altro esempio di uso di versetti coranici in senso emblematico. L’intero versetto suona: «Ma quelli che lotteranno zelanti per Noi, li guideremo per le Nostre vie». «La Ka‘bih del per Noi» significa quindi «la mèta consistente nel fare tutte le cose solo per amor di Dio».

xi Si riferisce alla storia biblica e coranica di Giuseppe e di Giacobbe, il primo simbolo della Bellezza assoluta, il secondo simbolo dell’anima, triste per la separazione da quella e in continua ricerca di lei.

xii Letteralmente majnún significa «pazzo». È il soprannome di un famoso leggendario amante del folklore arabo e persiano, la cui amata era Laylí, figlia di un principe arabo. L’appassionato e infelice amore di Majnún e Laylí è, in tutta la tradizione musulmana, simbolo di amore perfetto e, metaforicamente, dell’amore dell’anima per Dio.

xiii Detto proverbiale arabo.

xiv Farídu’d-Dín ‘Attár (circa 1117-1230) grande poeta mistico persiano.

xv Giacobbe è rappresentato, nella tradizione musulmana, come cieco per il troppo piangere per il perduto Giuseppe.

xvi Citazione di un poema mistico persiano. Bahá’u’lláh cita spesso, in questa sua opera, versi di poeti mistici persiani ed arabi, di cui non è sempre facile rintracciare l’autore.

xvii Citazione di poeta mistico persiano. Per «anima» s’intende qui «le passioni dell’anima egoistica» (vedi nota 20).

xviii Corano L, 30. Il versetto coranico, «In quel giorno diremo alla geenna: “Sei piena?” ed essa chiederà: “C’è dell’altro?”», si riferisce all’Inferno ed è divenuto simbolo di brama disordinata e senza fondo.

xix Verso del grande Poema spirituale (Mathnavíy-i-Ma‘naví) di Mawláná Jalálu’d-Dín Rúmí (1207-1273) il massimo poeta mistico persiano, fondatore della confraternita detta dei Mawlaví dal suo titolo di Mawláná, «nostro signore».

xx Il termine arabo e persiano nafs, «anima», è usato negli scritti mistici spesso in senso deteriore, cioè «anima concupiscibile» che va combattuta e distrutta.

xxi Letteralmente «il Signore del laulák». Laulák, in arabo «se non fosse per Te», è una parola di un famoso detto tradizionale secondo il quale Dio, parlando di Muhammad, avrebbe detto: «Se non fosse per Te, non avremmo creato l’universo». Quindi laulák diventa il simbolo e l’emblema del rango altissimo della Manifestazione divina.

xxii Questa volta Bahá’u’lláh cita un Suo poema.

xxiii Verso di un famoso poema a strofe di Hátif di Isfáhán (morto nel 1783-4) che inneggia all’Unità divina.

xxiv Corano LXVII, 3.

xxv Corano XLI, 53. Ancora due parti di un versetto usate emblematicamente come negli esempi di cui alle note 7, 10 ecc.

xxvi Isráfíl è l’angelo che risusciterà i morti suonando le trombe al Giudizio universale, secondo la tradizione musulmana. Questo episodio dell’innamorato e della guardia è narrato nel Mathnaví di Rúmí.

xxvii Corano LVII, 3. Il versetto intero dice: «Egli (Dio) è il Primo, Egli è l’Ultimo, Egli è il Dispiegato, Egli è l’Intimo, Egli è sovra tutte le cose sapiente».

xxviii Detto tradizionale attribuito ad ‘Alí.

xxix Khájih Abú Ismá‘íl ‘Abdu’lláh Ansárí, di Herát (1006-1088) uno dei primi grandi poeti mistici persiani, autore anche di profondi trattati mistici in prosa.

xxx Corano I, 6. Il primo capitolo del Corano, in cui questa frase ricorre, è il più usato nelle preghiere islamiche.

xxxi Verso di Rúmí (vedi nota 19).

xxxii Verso del Mathnaví di Rúmí. Si riferisce alle parole rivolte da Dio a Mosè, secondo il Corano: «Tu non mi vedrai» (VII, 143).

xxxiii Auliyá, letteralmente «amici di Dio». Il passo accenna alla necessità di una guida spirituale per raggiungere gli alti stadi della via religiosa.

xxxiv Corano II, 156, frase frequentissimamente usata dai musulmani come giaculatoria.

xxxv Da un verso di Rúmí.
xxxvi Corano IV, 78.

xxxvii Corano XVIII, 39, altra frase molto usata come giaculatoria in tutto il mondo islamico.

xxxviii Si riferisce alla Manifestazione di Bahá’u’lláh.

xxxix «Melodia del Hijáz» (regione dell’Arabia) e «melodia dell’‘Iráq» erano termini tecnici della musica tradizionale araba e persiana, indicanti determinati tipi di ritmi melodici.

xl Verso del Mathnaví di Rúmí.
xli Corano XVI, 61.

xlii Hadíth qudsí. Gli hadíth sono tradizioni (detti o fatti) attribuite a Muhammad. Per hadíth qudsí s’intende una tradizione in cui parla Dio stesso in prima persona.

xliii Corano LXXXIII, 28.
xliv Detto attribuito ad ‘Alí.
xlv Detto tradizionale, o hadíth (vedi nota 42).

xlvi Le due parti di questa frase sono anch’esse un detto tradizionale, o hadíth, attribuito al profeta Muhammad.

xlvii Verso del famosissimo lirico persiano Háfiz. di Shíráz (circa 1319-1390). Secondo la leggenda musulmana Alessandro Magno avrebbe costruito agli estremi limiti della terra una muraglia contro Gog e Magog (cfr. Corano XVIII, 94-8).

xlviii Detto tradizionale, o hadíth, attribuito talora a Muhammad, talora ad ‘Alí.

xlix Verso del Mathnaví di Rúmí. Khidr è un misterioso personaggio che, secondo la tradizione, guidò Mosè in un viaggio simbolico, dopo essersi fatto promettere da Mosè di non chiedergli nulla, qualunque cosa avesse fatto. Durante il viaggio, Khidr compì vari atti apparentemente assurdi, ma che avevano una saggezza nascosta. Uno dei quali appunto fu quello di aprire una falla nel vascello nel quale Khidr stesso e Mosè si trovavano. L’episodio è riferito nel Corano (XVIII, 60-82) e ampiamente commentato misticamente nel Mathnaví di Rúmí.

l Corano LVII, 3.
li Verso del Mathnaví di Rúmí.

lii Il versetto «Invero a Dio ritorniamo…» è stato già citato precedentemente (vedi nota 34). Nella terminologia simbolica della mistica musulmana si applica spesso l’aggettivo «apparente», «allegorico», a cose che secondo il pensare comune sono invece materiali e concrete. Così «amore apparente» o «allegorico» è l’a-more fra uomo e donna, mentre «amore vero» è l’amor di Dio, «patria apparente» è la terra e la vita fisica, «patria vera» il cielo ecc.

liii Vedi nota 39.

liv Verso del Mathnaví di Rúmí. Qui Bahá’u’lláh Si riferisce alla Sua non ancora dichiarata missione di Manifestazione divina.

lv Corano IV, 130. Nel contesto, «ambedue» si riferisce a «marito e moglie» di cui si parla nei versetti precedenti. Il passo del Corano parla dei rapporti fra coniugi, ma qui è interpretato in senso traslato.

lvi Verso di Háfiz. (vedi nota 47).
lvii Verso di un poema in lingua araba.
lviii Detto tradizionale, o Hadíth.
lix Corano L, 22.

lx Verso di un poema mistico di Saná’í di Ghazna (morto circa il 1141).

lxi Titolo denotante ‘Alí, genero e cugino di Muham-mad e, per i musulmani sciiti, Suo legittimo successore come imám, capo, della comunità musulmana.

lxii Verso attribuito ad ‘Alí.

lxiii Saggio leggendario, menzionato anche nel Corano (XXXI, 12).

lxiv Verso del Mathnaví di Rúmí. «Senza cuore» significa «divenuto come folle per l’estasi mistica».

lxv Letteralmente Jayhún, un fiume del Turkestán attuale (anticamente detto Oxus).

lxvi Corano IX, 51.
lxvii Verso del Mathnaví di Rúmí.
lxviii Corano LXXVI, 5.

lxix Detto tradizionale, o hadíth, attribuito a Muhammad.

lxx Corano LV, 26-7.
lxxi Corano XV, 21.

lxxii Verso di una poesia mistica di Farídu’d-Dín ‘Attár (vedi nota 14).

lxxiii Detto tradizionale, o hadíth, attribuito a Muhammad.

lxxiv Verso del Mathnaví di Rúmí.

lxxv Vahdat-i-vujúd e vahdat-i-shuhúd, rispettivamente, «unità dell’essere» e «unità della manifestazione», o «unità testimoniale», indicano la prima il vero e proprio panteismo (tutto è uno e tutto è Dio), la seconda una specie di panteismo corretto, ambedue rigettati da Bahá’u’lláh.

lxxvi Qui Bahá’u’lláh Si riferisce ai tre stadi della vita religiosa, secondo i sufi: sharí‘at, la «legge religiosa», taríqat, stadio, secondo i sufi, superiore, che indica la «via mistica» e haqíqat, «realtà» o penetrazione nella realtà, mèta della peregrinazione attraverso gli stadi precedenti. Alcuni sufi interpretarono tale peregrinazione come un successivo abbandono dello stadio precedente o inferiore man mano che si procede verso la haqíqat o realtà. Qui invece Bahá’u’lláh non soltanto respinge questa dottrina, ma sostiene che la legge, l’obbedienza anche visibile alla legge religiosa, è il frutto stesso del raggiungimento della realtà suprema e non se ne può fare a meno in nessuno stadio mistico.

lxxvii Maqám-i-mahmúd, letteralmente «luogo lodato» (Corano XVII, 79).

lxxviii Valíy-i-amr. Si noti come, ancora, Bahá’u’lláh insista sul punto che il «viandante», cioè il ricercatore religioso, non può addentrarsi nella via di Dio da solo, senza l’appoggio di una guida e di un Maestro anche visibile.

lxxix Corano II, 90.

lxxx Bahá’u’lláh li descrisse, infatti, nella successiva epistola, le Quattro Valli.

lxxxi Citazione da un poema mistico persiano.

lxxxii Salám! «pace», parola usata generalmente per concludere una tesi.

lxxxiii Citazione da un poema mistico arabo.

lxxxiv Nella grafia araba, usata anche nel persiano, si usa scrivere solo le consonanti. Gunjishk contiene quindi solo cinque lettere: g (identica per forma a k), n, j, sh, k. Ogni lettera è interpretata qui come iniziale di una parola araba. I nomi arabi delle cinque lettere sopra menzionate sono gáf, nún, jím, shín, káf.

lxxxv Imperativo arabo del verbo kaffara, qui in senso di «liberati!»

lxxxvi Riferimento, nello stile tradizionale persiano, a Bahá’u’lláh stesso.

NOTE

lxxxvii Verso del Mathnaví di Jalálu’d-Dín Rúmí. Hisá-mu’d-Dín era il discepolo prediletto di Jalálu’d-Dín, che nel corso del poema spesso lo loda in versi d’encomio. Qui Bahá’u’lláh paragona il Suo interlocutore Shaykh ‘Abdu’r-Rahmán all’antico Hisámu’d-Dín. Tutta questa introduzione alle Quattro Valli è scritta nel tradizionale stile persiano epistolare classico, ricco di iperboli, di metafore e di citazioni poetiche.

lxxxviii Verso di Sa‘dí di Shíráz (1184-1291), famoso autore del Gulistán (Roseto) e di altre opere poetiche, e uno dei più famosi poeti persiani. Bahá’u’lláh accenna qui al fatto che non aveva ricevuto risposta a una sua precedente lettera indirizzata allo Shaykh.

lxxxix Proverbio persiano riferito a un uomo di poca perseveranza.

xc Corano XLI, 30. Le parole «su retta via camminano» hanno la stessa radice della parola, sopra usata, istiqámat, traducibile come «perseveranza».

xci Corano XI, 112.
xcii Verso di Sa‘dí (vedi nota 2).
xciii Verso di Sa‘dí.

xciv Verso del Mathnaví di Rúmí. Si riferisce a uno degli innumerevoli aneddoti simbolici, narrati nel poema.

xcv Sanandaj è un centro del Kurdistán persiano.

xcvi Participio passivo del verbo arabo qasada, «mirare a», maqsúd significa «oggetto», «scopo», «cosa a cui si mira».

xcvii Detto tradizionale, o hadíth, attribuito a Muhammad.

xcviii Verso del Mathnaví di Rúmí, contenuto in un brano che commenta l’episodio coranico di Abramo che uccide quattro uccelli, poi risuscitati da Dio (II, 260). Rúmí vuole simboleggiare negli uccelli quattro qualità cattive dell’uomo, trasformate dalle pratiche mistiche in quattro qualità buone.

xcix Corano LXXXIX, 27-30. L’io o anima, nafs, ha nel Corano tre aspetti, l’«anima appassionata» che spinge al male (XII, 53), l’«anima biasimatrice» (LXXV, 2) quando la coscienza accusa e biasima l’uomo e infine l’«anima tranquilla» nella quale il male tace.

c Corano XLI, 53.

ci Corano XVII, 14. Sono parole di Dio agli uomini il giorno della resa dei conti.

cii Nomi di famosi grammatici arabi.

ciii L’episodio del grammatico insipiente è narrata nel Mathnaví di Rúmí.

civ Corano LIX, 19.

cv Participio passivo del verbo hamada, «lodare». Maqám-i-mahmúd, «stadio lodevole» o «lodato» è il rango dei Profeti fondatori di religioni, o Manifestazioni divine.

cvi I dotti musulmani identificarono l’Intelletto Primo dell’antica filosofia con il Logos che si manifesta in ogni profeta, il Cristo eterno della tradizione cristiana.

cvii Uno dei più antichi fra i grandi poeti mistici persiani, di Ghazna (morto circa il 1141).

cviii Verso mistico arabo.

cix Corano XVIII, 17. La diciottesima sura (capitolo) del Corano racconta l’episodio di alcuni antichi martiri cristiani che, addormentatisi in una caverna presso Efeso, dove Dio li aveva protetti dalla persecuzione degli infedeli, si risvegliano dopo duecento anni credendo di aver dormito un solo giorno. Sono noti nelle leggende agiografiche cristiane come i « sette dormienti di Efeso» e sono oggetto di profonde meditazioni simboliche dei mistici musulmani.

cx Corano XXIV, 37.
cxi Corano II, 282.

cxii Detto tradizionale, o hadíth, attribuito a Muhammad.

cxiii Corano XXXVII, 61.
cxiv Nota giaculatoria coranica (II, 156).

cxv Participio passivo del verbo arabo jadhaba, «attrarre». Letteralmente, quindi, «attratto», usato in senso mistico come «in estasi», «estatico», qui aggettivo di «Santuario», «Santuario dell’estasi».

cxvi Verso del Mathnaví di Rúmí citato anche nelle Sette Valli

cxvii Verso del Mathnaví di Rúmí
cxviii Corano XXI, 27.

cxix Versi di Sa‘dí di Shíráz. «Crudeltà» e «tirannia» verso l’amante sono tradizionalmente attribuite all’A-mato, nella poesia classica persiana.

cxx Versi del Mathnaví di Rúmí. La traduzione è alquanto libera. I versi contengono giochi di parole e di concetti legati agli argomenti di studio delle scuole musulmane del medioevo. L’ultimo verso si riferisce alle teorie cicliche della filosofia di Avicenna.

cxxi Preghiera contenuta nel Mathnaví di Rúmí
cxxii Nota giaculatoria coranica (XVIII, 39).

cxxiii Participio passivo del verbo arabo habba, «amare». La Figura, o la Statura, dell’Amato è immagine simbolica spesso ricorrente nella poesia mistica persiana a indicare l’Amato per eccellenza, cioè Dio.

cxxiv Corano II, 253, V, 1.
cxxv Affermazione attribuita ad ‘Alí.
cxxvi Detto tradizionale, o hadíth, in arabo.
cxxvii Verso del Mathnaví di Rúmí.
cxxviii Citazione di un poema mistico persiano.

cxxix Há è il nome della lettera h, che qui rappresenta Bahá (Gloria). Il passo si riferisce alla Manifestazione divina in Bahá’u’lláh. Non si dimentichi che le Quattro Valli fu scritto prima della Dichiarazione della missione di Bahá’u’lláh a Baghdád.

cxxx «Voi» sono coloro che non aspettavano imminente l’avvento di «Colui Che Dio manifesterà», promesso dal Báb.

cxxxi Versi del Mathnaví di Rúmí.

cxxxii Saná’í è il poeta mistico persiano già citato alla nota 20. Il verso significa che nessun impedimento, sia pure una sottile camicia, deve essere interposto fra l’amante e l’Amato (= Dio). Tali paragoni, traslati misticamente, sono abituali nella lirica persiana tradizionale.

cxxxiii Corano LXXVI, 13.

cxxxivCitazione di un commento al passo coranico che segue.

cxxxv Corano LV, 29.
cxxxvi Corano VI, 79.
cxxxvii Corano VI, 75.

cxxxviii Corano XX, 22, combinato con le parole di un detto tradizionale, o hadíth. Si riferisce al famoso episodio di Mosè e della mano «bianca», miracolo che serve a convincere Faraone della missione profetica di Mosè, e che è menzionato anche nella Bibbia.

cxxxix Sul simbolo della «canfora» si vedano le Sette Valli, p. 37.

cxl Versi del Mathnaví di Rúmí.

cxli Ismat-i-kubrá, l’invariabile attributo della Manifestazione divina.

cxlii Detto tradizionale, o hadíth, attribuito a Muhammad.

cxliii Noto detto tradizionale, o hadíth.
cxliv Corano XLVIII, 23.
cxlv Corano IV, 166.

cxlvi Un compagno dello Shaykh ‘Abdu’r-Rahmán, cui sono indirizzate le Quattro Valli.

cxlvii Versi di Sa‘dí di Shíráz.

cxlviii Corano VII, 143. Sono parole di Mosè, dopo il Suo svenimento sul Sinai, secondo il Corano.

cxlix Versi del Mathnaví di Rúmí. Shams-i-Tabríz, il «Sole di Tabríz», fu il maestro mistico che esercitò una potente influenza su Rúmí.Quasi tutte le sue liriche gli sono dedicate.

cl Corano XXXVII, 180.
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