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Abdu'l-Bahá : Testimonianze di fedeltà
TESTIMONIANZE
DI FEDELTÁ
di'Abdu’l-Bahá

Traduzione italiana della versione inglese di Mirzaeh Gail

Casa Editrice Bahá'í 1999
© Copyright 1999 Casa Editrice Bahá'í
Titolo Originale: "Memorials of the Faithful"
Bahá’í Publishing Trust, Wilmette, Illinois
1° edizione italiana 1999
CASA EDITRICE BAHÁ'Í
Sede Legale: 00197 Roma - Via Stoppani, 10
Tel. 06-8079647
Deposito e amm.ne: 00040 Ariccia (Roma)
Via Turati, 9 - Tel. 06-9334334
ISBN 88-7214-070-6
Questa traduzione è dedicata a
Shoghi Effendi
Custode della Fede Bahá’í
L’amore non muta nelle sue brevi ore
INDICE
Nabíl-i-Akbar…………………………………….….….1
Ismu'lláhu'l-Asdaq……………………………….….…..5
Mullá ‘Alí-Akbar……………………………….….……8
Shaykh Salmán………………………………….….….12
Mirza Muhammad-’Alí, l’Afnán……..………..….…...15
Hájí Mirza Hasan, l'Afnán…………………………..…19
Muhammad-‘Alíy-i-Isfáhání…………………….….….22
'Abdu's-Sálih, il Giardiniere…………………….….…..24
Ustád Ismá'íl………………………………..……….….27
Nabíl-i-Zarandí………………………………….……...30
Darvísh Sidq-‘Alí……………………………….……....34
Áqá Mirza Mahmúd e Áqá Ridá………………….….…36
Pidar-Ján di Qazvín……………………………….….…39
Shaykh Sádiq-i-Yazdí…………………………….….…40
Sháh-Muhammad-Amín……………………….…….…42
Mashhadí Fattáh……………………………….…….….44
Nabíl di Qá'in………………………………….………..45
Siyyid Muhammad-Taqí Manshádí……………….…....50
Muhammad-’Alí Sabbáq di Yazd………………….…...53
'Abdu'l-Ghaffár di Isfáhán……………………….……..55
'Alí Najaf-Ábádí………………………………….…….57
Mashhadí Husayn
e Mashhadí Muhammad-i-Ádhirbáyjání………...……..58
Hájí 'Abdu'r-Rahím-i-Yazdí…………………….……...60
Hájí 'Abdu’lláh Najaf-Ábádí…………………………...62
Muhammad-Hádíy-i-Sahháf……………………….…...63
Mirza Muhammad-Qulí……………………….….…….65
Ustád Báqir e Ustád Ahmad…………………………..67
Muhammad Haná-Sáb………………………………...68
Hájí Faraju'lláh Tafríshí……………………………….70

Áqá Ibráhím-i-Isfáhání e i suoi fratelli………………..71

Áqá Muhammad-Ibráhím……………………………..75
Zaynu'l-'Ábidín Yazdí ………………………………...76
Hájí Mullá Mihdíy-i-Yazdí……………………………78
Sua Eminenza Kalím (Mirza Músá)…………………..80
Hájí Muhammad Khán………………………………..84
Áqá Muhammad-Ibráhím Amír……………………….87
Mirza Mihdíy-i-Káshání………………………………88
Mishkín-Qalam………………………………………..90
Ustád 'Alí-Akbar-i-Najjár……………………………..94
Shaykh 'Alí-Akbar-i-Mázgání ………………………...96
Mirza Muhammad, Servitore
nell'Ostello dei Viaggiatori…………………………..98
Mirza Muhammad-i-Vakíl…………………………...100
Hájí Muhammad-Ridáy-i-Shírází……………………108
Husayn Effendi Tabrízí………………………………109
Jamshíd-i-Gurjí……………………………………….111

Hájí Ja'far-i-Tabrízí e i suoi fratelli…………………..113

Hájí Mirza Muhammad-Taqí, l'Afnán………………..116
'Abdu'lláh-i-Baghdádí………………………………...119
Muhammad-Mustafá Baghdádí………………………121
Sulaymán Khán-i-Tunukábání………………………..124
'Abdu'r-Rahmán, il Calderaio………………………...128
Muhammad-Ibráhím-i-Tabrízí…………………….….129
Muhammad-'Alíy-i-Ardikání…………………………130
Hájí Áqáy-i-Tabrízí……………………………….…..131
Ustád Qulám-'Alí-y-i-Najjár………………………….132
Jináb-i-Muníb…………………………………………133
Mirza Mustafá Naráqí………………………………...136
Zaynu'l-Muqarribín………………………………...…138
'Azím-i-Tafríshí………………………………………..141
Mirza Ja'far-i-Yazdí……………………………………143
Husayn-Áqáy-i-Tabrízí………………………………...146
Hájí 'Alí-'Askar-i-Tabrízí………………………………148
Áqá 'Alíy-i-Qazvíní…………………………………….151
Áqá Muhammad-Báqir
e Áqá Muhammad-Ismá'íl, il Sarto…………………...153
Áqá Abu'l-Qásim di Sultán-Ábád……………………...156
Áqá Faraj……………………………………………….157
La consorte del Re dei martiri ………………………….158
Shams-i-Duhá…………………………………………..161
Táhirih ………………………………………………….174
Guida alla pronuncia persiana …………….……………187
Glossario………………………………….…………….189
RINGRAZIAMENTI

Si ringraziano vivamente Ali-Kuli Khan, Nabílu'd-Dawlih, la signora Bahia Gulick e Allah K. Kalantar per i loro consigli su alcuni termini persiani e arabi, nonché il dottor Amín Bánaní per aver confrontato l'originale persiano con questo testo.

Citazioni dal Corano

La numerazione delle sure e dei versetti è quella di Il Corano, Introduzione, traduzione e commento di Alessandro Bausani, Sansoni, Firenze 1961, di cui si è altresí di solito seguito anche il testo.

PREFAZIONE DELL'EDIZIONE INGLESE

Questo libro parla di uomini e donne che cercarono di andare in prigione invece che di fuggirne, perché erano prigionieri di un grande amore. Amavano Bahá'u'lláh, Che il mondo del XIX secolo mise in catene e cercò di far tacere relegandoLo, alla fine, nella roccaforte crociata di 'Akká. Come l'occhio del ciclone, Egli è il centro di questi racconti, ma vi appare a mala pena, rimanendo, come il Custode Lo descrisse, "trascendente nella Sua maestá, sereno, soggiogante, inarrivabilmente glorioso

Il lettore potrebbe riconoscersi, in queste pagine, nel gioielliere di Baghdád, o in uno degli sguatteri, o nel professore che non riuscí a sopportare l'arroganza dei suoi pari. V’incontrerá mistici, femministe, preti, artigiani, mercanti, principi. Vi troverá anche i giovani occidentali moderni, per esempio nel capitolo sui dervisci. Perché questa è più che una breve storia dei primi discepoli bahá'í; è, per cosí dire, un libro di prototipi ed è una sorta di testamento di valori sottoscritta e lasciataci in ereditá dall'Esemplare Bahá’í, valori ora derisi, ma indispensabili, se vogliamo che il pianeta sia sicuro per l'umanitá. Sono racconti semplici e brevi, ma costituiscono un manuale su come vivere e morire.

Il compito di tradurre in inglese queste biografie mi fu affidato dal Custode molti anni fa, mentre mi trovavo in pellegrinaggio al centro mondiale Bahá'í a Haifa. Poco dopo il Custode mi inviò a Tihrán il volume che ho poi utilizzato per la traduzione. Secondo il frontespizio del testo persiano, si tratta del primo libro Bahá'í stampato a Haifa durante il Custodiato. L'introduzione in persiano dice che 'Abdu’l-Bahá scrisse il libro nel 1915 e dette a M.A. Kahrubá'í il permesso di pubblicarlo. Il testo datato 1924 porta il sigillo dell'Assem-blea Bahá’í di Haifa. Un secondo frontespizio in inglese descrive l'opera come "Il racconto, scritto da 'Abdu’l-Bahá, della vita di alcuni dei primi credenti Bahá'í che morirono nel corso della Sua vita", ma in realtá l'opera è una trascrizione delle Sue parole.

Ecco dunque che, quasi mezzo secolo dopo il Suo trapasso, 'Abdu’l-Bahá dona al mondo un altro libro.

Ci chiediamo quanti di noi, alla fine di un periodo incredibilmente doloroso e difficile, dedicherebbero il tempo fuggente non alle proprie memorie ma alla vita di settanta compagni, molti dei quali defunti da lungo tempo, per salvarli dall'oblio. 'Abdu’l-Bahá fu personalmente presente a molti di questi episodi, eppure più di una volta Egli Si cancella per concentrarSi su un compagno, spesso tanto modesto che il trascorrere degli anni gli avrebbe sicuramente negato un cenno storico. E se ai cinici, questi credenti sembrano migliori di uomini comuni, dobbiamo ricordare che tali li rende la presenza della Manifestazione e che li guardiamo attraverso gli occhi del Maestro, il Quale disse che l'occhio imperfetto vede le imperfezioni e che è più facile piacere a Dio che agli uomini.

Perciò questo libro è un ulteriore segno della predilezione di 'Abdu’l-Bahá per la razza umana. L'amore che Egli personificò non era cieco ma osservatore, non impersonale ma caldo e tenero; era un continuo atteggiamento di sollecitudine discreta. Un simile amore, da siffatto Essere, non finisce con la vita. Egli ha lasciato il mondo mezzo secolo fa e molti di coloro che Lo amavano tanto che gli ostili dissero non erano Bahá’í ma 'Abdu'l-Bahá'í, sono ora scomparsi. Ma il Suo amore è ancora qui fra noi, perché altri milioni di persone lo possano trovare.

LA TRADUTTRICE
Keene, New Hampshire, dicembre 1969
NABÍL-I-AKBAR

Nella città di Najaf , tra i discepoli del celebre mujtahid

Shaykh Murtadá, c'era un uomo unico e impareggiabile. Il suo nome era Áqá Muhammad-i-Qá'iní, ma poi ricevette dalla Manifestazione il titolo di Nabíl-i-Akbar1 Quest'anima illustre divenne il primo nella schiera dei discepoli del mujtahid. A lui solo, prescelto fra tutti, fu concesso il rango di mujtahid e infatti il defunto Shaykh Murtadá non era avvezzo a conferire quel titolo.

Nabíl eccelleva non solo in teologia, ma anche in altri rami del sapere, come le discipline umanistiche, la filosofia illuminativa, gli insegnamenti dei mistici e della Scuola Shaykhí. Era un uomo universale, già di per sé una prova convincente. Quando aprì gli occhi alla luce della guida divina e respirò le fragranze del Cielo, divenne una fiamma di Dio. Poi il cuore gli balzò nel petto e, in un'estasi di gioia e d'amore, ruggì come il leviatano degli abissi.

Ricevette dal mujtahid il nuovo rango, con una profusione di elogi. Poi lasciò Najaf e venne a Baghdád. Qui ebbe l'onore d'incontrare Bahá'u'lláh, qui mirò la luce che rifulse sul Sinai nell'Albero Santo. Ben presto si ritrovò in uno stato tale che non riusciva a riposare né di giorno né di notte.

Un giorno l'onorato Nabíl stava genuflettendosi con reverenza alla presenza di Bahá'u'lláh, sul pavimento degli appartamenti esterni riservati agli uomini. In quel momento entrò

Hájí Mirza Hasan-'Amú, stimato confratello dei mujtahid di Karbilá, assieme a Zaynu'l-Ábidín Khán il Fakhru'd-Dawlih. Lo Hájí rimase attonito nel vedere con quali umiltà e deferenza Nabíl si inginocchiava.

"Signore! Cosa fate in questo luogo?" sussurrò.

"Sono venuto per la stessa ragione per cui siete venuto voi rispose Nabíl.

I due visitatori non riuscivano a riprendersi dalla sorpresa, perché era risaputo che quel personaggio era unico fra i mujtahid, discepolo prediletto del famoso Shaykh Murtadá.

In seguito, Nabíl-i-Akbar partì per la Persia e andò nel Khurásán. All'inizio l'Amír di Qá’in, Mír 'Alam Khán lo colmò di gentilezze e apprezzò molto la sua compagnia. Tutto ciò era così palese che la gente capì che Nabíl l'aveva conquistato; e in verità l'Amír era soggiogato dall'eloquenza, dal sapere e dalle doti di quel sapiente. Da questo si può giudicare quali onori gli altri gli accordassero, perché "gli uomini seguono la fede dei sovrani".

Nabíl visse così per qualche tempo stimato e molto considerato; ma il suo amore per Dio era al di là di ogni dissimula-zione. Eruppe dal suo cuore, divampò e ne consumò gli involucri.

In mille modi cercai
l'amor mio di celare,
ma come non avvampare
su quel rogo infocato!

Egli portò luce nella zona di Qá’in e convertì un gran numero di persone. E quando fu conosciuto dappertutto con questo nuovo nome, il clero, invidioso e malevolo, insorse a denunziarlo, inoltrando le sue calunnie fino a Tihrán, cosicché

Násiri’d-Dín Sháh andò in collera. Atterrito dallo Sciá, l'Amír attaccò Nabíl con tutta la sua forza. Ben presto l'intera città fu in tumulto e la popolazione infuriata si scagliò contro di lui.

Quel rapito amante di Dio non cedette mai, resistette a tutti. Ma alla fine lo cacciarono via, cacciarono via quell'uomo che vedeva ciò che essi non vedevano ed egli andò a Tihrán, fuggiasco e senza tetto.

Qui i suoi nemici cercarono ancora di distruggerlo. Le guardie lo inseguirono, i gendarmi lo cercarono dappertutto, chiesero di lui in ogni strada e in ogni vicolo, dandogli la caccia per catturarlo e torturarlo. Ma egli passava furtivo accanto a loro e, come il sospiro dell'oppresso, saliva su per le colline o, come le lagrime del perseguitato, scendeva lungo le vallate. Non poté più portare il turbante, insegna del suo rango; si travestì, indossando un cappello da laico, perché non lo riconoscessero e lo lasciassero in pace.

Continuò in segreto a diffondere la Fede e a esporre le sue prove con tutte le sue forze e fu lampada di guida per molte anime. Continuamente esposto al pericolo, fu sempre prudente e circospetto. Il Governo non rinunziò mai a ricercarlo, né mai la gente cessò di discutere il suo caso.

Poi, partì per Bukhárá e 'Ishqábád, seguitando a insegnare la Fede in quelle regioni. Consumava la vita come un cero; tuttavia, nonostante le sofferenze, non si perse mai d'animo, anzi, con l'andar del tempo, il suo ardore e la sua gioia crebbero. Uomo eloquente, fu medico provetto rimedio per ogni malanno, balsamo per ogni piaga. Guidava gli Illuminati per mezzo dei loro principi filosofici e ai mistici dimostrava l'Avvento Divino in termini di “ispirazione” e “visione celeste”. Convinceva i maestri shaykhí citando le parole dei loro defunti Capiscuola, Shaykh Ahmad e Siyyid Kázim, e convertiva i teologi musulmani citando i testi del Corano e le tradizioni degli Imám, che guidano l’umanità sulla retta via. Fu, così, medicamento istantaneo per i sofferenti e, per i poveri, ricca elargizione.

A Bukhárá rimase senza un soldo e fu vittima di molte sventure, finché da ultimo morì lontano dalla sua terra, involandosi verso quel Regno in cui non esiste povertà.

Nabíl-i-Akbar è autore di un saggio magistrale che dimostra la verità della Causa, ma per il momento non è a disposizione degli amici. Spero che venga alla luce e serva da monito ai sapienti. È vero che in questo mondo effimero fu bersagliato da un’infinità di pene, eppure tutte quelle generazioni di potenti prelati, quegli Shaykh come Murtadá e Mirza Habíbu'lláh e Áyatu'lláh-i-Khurásání e Mullá Asadu'lláh-i-Mázandarání, scompariranno tutti senza lasciare traccia. Non lasceranno dietro di sé né nome, né segno, né frutto. Nessuno ne tramanderà sia pure una parola; nessuno più ne parlerà. Ma la stella di Nabíl risplenderà per sempre dall'orizzonte della luce eterna, perché restò incrollabile in questa santa Fede, guidò le anime, servì questa Causa e ne sparse la fama.

È chiaro che qualunque gloria conquistata al di fuori della Causa di Dio alla fine si trasforma in umiliazione e qualsiasi agio e benessere non s’incontri sul sentiero di Dio è da ultimo solamente affanno e dolore, tutta quella ricchezza è miseria e nulla più.

Egli fu segnacolo di guida, emblema di timor di Dio. Sacrificò la vita per la Fede e, morendo, trionfò. Passò incurante accanto al mondo e alle sue ricompense; distolse lo sguardo da rango e ricchezza; si liberò da tutte queste catene e questi ceppi e rinunciò a ogni pensiero mondano. Uomo di vasta cultura, mujtahid, filosofo e mistico ad un tempo, dotato d'intuito, fu anche uomo di lettere e oratore senza pari. Aveva una mente grande e universale.

Sia lodato Iddio, alla fine divenne ricettacolo della grazia celeste. Su di lui sia la gloria di Dio, il Gloriosissimo. Iddio effonda il fulgore del Regno di Abhá sulla sua tomba. Lo accolga Iddio nel Paradiso del ricongiungimento e lo ospiti per sempre nel regno dei giusti, sommerso in un oceano di luci.

ISMU'LLÁHU'L-ASDAQ

Tra le Mani della Causa di Dio che hanno abbandonato questa vita e sono ascesi al Supremo Orizzonte, vi è Jináb-i-Ismu'lláhu'l-Asdaq. Un altro è Jináb-i-Nabil-i-Akbar. Altri ancora sono Jináb-i-Mullá 'Alí-Akbar e Jináb-i-Shaykh Muhammad-Ridáy-i-Yazdí. E, fra gli altri, vi è anche il venerato martire, Áqá Mirza Varqá.

Dall'inizio dei suoi giorni fino all'ultimo respiro, Ismu’lláhu’l-Asdaq fu un vero servo del Signore. Da giovane, aderì al cenacolo del defunto Siyyid Kázim e divenne suo discepolo. Ben noto in Persia per la purezza di vita, acquistò fama come Mullá Sádiq, il pio. Era un uomo benedetto, raffinato, colto e molto onorato. La gente del Khurásán gli era molto devota, perché era un grande studioso, uno dei più rino-mati tra gli ineguagliabili e incomparabili teologi. Come insegnante della Fede, parlava con tale eloquenza, con forza tanto straordinaria che i suoi ascoltatori ne venivano molto facilmente conquistati.

Giunto a Baghdád e pervenuto alla presenza di Bahá’u’l-láh, sedeva, un giorno, nel cortile degli appartamenti degli uo-mini, vicino al giardinetto. Io mi trovavo di sopra in una delle stanze prospicienti sul cortile. In quel momento arrivò a casa un principe persiano, nipote di Fath-'Alí Sháh. Il principe gli chiese: "Chi sei?". "Un servo di questa Soglia, uno dei guar-

diani di questa porta" rispose Ismu'lláh. E incominciò a insegnare la Fede, mentre io ascoltavo da sopra. All'inizio il Principe sollevò violente obiezioni; ma in un quarto d'ora, con gentilezza e benignità, Jináb-i-Ismu'lláh lo aveva ammansito. Da principio il principe aveva smentito seccamente quello ch'egli diceva e il suo volto rispecchiava chiaramente la sua furia; ora, trasformatasi l'ira in un sorriso, esprimeva la massima soddisfazione per aver incontrato Ismu'lláh e sentito ciò che aveva da dire.

Anche se il suo interlocutore lo aggrediva con rabbia veemente, egli insegnava sempre con letizia e allegria e rispondeva con arguzia e garbo. Il suo modo d'insegnare era eccellente. Era veramente Ismu'lláh, il Nome di Dio, non per la sua fama, ma perché era uno spirito eletto.

Ismu'lláh aveva imparato a memoria numerose tradizioni islamiche e aveva appreso perfettamente le dottrine di Shaykh Ahmad e Siyyid Kázim. Divenne credente a Shiráz nei primi giorni della Fede e come tale fu ben presto largamente conosciuto. E poiché incominciò a insegnare apertamente e coraggiosamente, gli legarono una corda al collo e lo trascinarono per le strade e i bazar della città. Ma anche in quello stato continuò, composto e sorridente, a parlare alla gente. Non cedette, non fu messo a tacere. Quando lo liberarono lasciò Shiráz e andò nel Khurásán, e anche lì incominciò a divulgare la Fede. Dopo di che si recò al Forte Tabarsí in compagnia del Bábu'l- Báb. Qui, come componente di quella schiera di vittime espiatorie, patì grandi sofferenze. Lo fecero prigioniero nel Forte e lo consegnarono ai notabili del Mázindarán, perché lo portassero attorno e infine lo uccidessero in un certo distretto della provincia. Ma quando Ismu'lláh, incatenato, fu condotto nel luogo stabilito, Iddio infuse nel cuore di un uomo l'idea di liberarlo dalla prigione nel bel mezzo della notte e di condurlo in un luogo dove fosse al sicuro. In tutte queste angosciose prove egli rimase incrollabile nella sua fede.

Pensate per esempio che i nemici avevano completamente

accerchiato il Forte e lo martellavano incessantemente con colpi di mortaio dei loro cannoni d'assedio. Per diciotto giorni i credenti, e tra loro anche Ismu'lláh, rimasero senza cibo. Vissero nutrendosi del cuoio delle scarpe. Anche questo fu ben presto consumato e non rimase altro che acqua. Ne bevevano un sorso ogni mattina e languivano nel Forte esausti e affamati. Ma quando venivano attaccati, balzavano immediatamente in piedi e, davanti al nemico, mostravano un magnifico coraggio e una straordinaria resistenza e respingevano l'esercito dalle mura. La fame durò diciotto giorni. Fu una terribile ordalia. Tanto per incominciare, erano lontani da casa, assediati dal nemico e isolati da tutto; inoltre stavano morendo di fame e infine c’erano i repentini attacchi dell'esercito e le palle di cannone che piovevano esplodendo nel cuore del Forte. In simili circostanze mantenere fede e pazienza incrollabili è estremamente difficile e sopportare afflizioni così terribili è un raro fenomeno.2

Ismu'lláh non si perse d'animo sotto il fuoco. Una volta libero, insegnò più che mai. Spese ogni attimo di veglia per invitare la gente al Regno di Dio. Fu ammesso alla presenza di Bahá’u’lláh in 'Iráq e poi nella Più Grande Prigione, ricevendo da Lui grazia e favore.

Era come un mare spumeggiante, come un falco che si libra alto nel cielo. Il suo volto risplendeva, la sua lingua era eloquente, la sua forza e fermezza erano strabilianti. Quando apriva bocca per insegnare, ne scaturivano le prove; allorché cantava o pregava, i suoi occhi versavano lacrime come nuvola di primavera. Il suo viso era luminoso, spirituale la sua vita; la sua sapienza, acquisita e innata, e celestiali il suo ardore, il suo distacco dal mondo, la sua giustizia, la sua devozione e il suo timor di Dio.

La tomba di Ismu'lláh si trova in Hamadán. Molte sono le Tavole che la Penna Suprema di Bahá’u’lláh rivelò per lui,

compresa, dopo il suo trapasso, una speciale Tavola di Visitazione. Fu un grande personaggio, perfetto in ogni cosa.

Questi esseri benedetti hanno ora lasciato questo mondo. Grazie a Dio non si sono soffermati tanto da vedere i dolori, le intense afflizioni, che seguirono l'ascensione di Bahá’u’lláh, perché a causa loro solide montagne vacilleranno e tremeranno e alture torreggianti si piegheranno.

Fu veramente Ismu'lláh, il Nome di Dio. Fortunato chi cammina attorno a quella tomba, chi si segna con le polveri di quel sepolcro. A lui saluti e lode nel Regno di Abhá.

MULLÁ ‘ALÍ-AKBAR

Un'altra Mano della Causa fu il riverito Mullá 'Alí-Akbar, su di lui sia la gloria di Dio, il Gloriosissimo. Presto nella vita, quest'illustre uomo frequentò istituti di istruzione superiore e lavorò diligentemente, giorno e notte, finché non divenne profondamente versato nel sapere del tempo, negli studi secolari, nella filosofia e nella giurisprudenza religiosa. Frequentò i convegni dei filosofi, dei mistici e degli shaykhí percorrendo pensosamente quelle regioni del sapere, della saggezza intuitiva e dell'illuminazione; ma aveva sete della fonte della verità e fame del pane che discende dal Cielo. Per quanto si sforzasse di perfezionarsi in quelle branche della mente, non fu mai soddisfatto, né mai raggiunse la meta dei suoi desideri; le sue labbra rimasero asciutte; era confuso e perplesso e capiva di aver smarrito la strada. Il motivo era che in tutti quei cenacoli non aveva rinvenuto né passione, né gioia, né estasi, né la più vaga fragranza d'amore. E mentre si approfondiva nell'essenza di quelle svariate credenze, scoprì che dal giorno dell'avvento del profeta Muhammad fino ai nostri giorni erano sorte un’infinità di sette: credi differenti, opinioni disparate, mete divergenti, innumerevoli vie e strade. E trovò che ciascuna, con un pretesto o con l'altro, pretendeva di rivelare la verità spirituale, che ciascuna credeva d'essere la sola a seguire la retta via, benché il mare di Muhammad potesse sollevarsi in un'unica grande ondata e mandarle tutte a fondo. "Ne senti tu ancora un sol uomo, ne puoi udire un bisbiglio".3

Chiunque rifletta sulle lezioni della storia impara che questo mare si è sollevato in un’infinità di onde, ma tutte alla fine si sono dissolte e sono svanite come ombra fugace. Le onde sono morte, ma il mare sopravvive. Ecco perché 'Alí Qabl-i-Akbar non placò mai la sua sete, fino al giorno in cui arrivato sulla spiaggia della Verità, esclamò:

Ecco un mare rigurgitante tesori;

sotto la sferza del grande vento, perle depongono i suoi

flutti. Getta via la veste e immergiti, ma non cercar di

nuotare, se nuoti, non dartene vanto - tuffati a capofitto.

Il suo cuore sprizzò e zampillò come una fonte; come limpide acque dolcemente scorrenti, significato e verità presero a fluire dalle sue labbra. Dapprima raccolse la nuova luce con umiltà e povertà di spirito e solo in seguito si accinse a diffonderla tutt'intorno. Ben fu detto:

Potrà mai ad altri il dono della vita porgere
chi della vita il dono non ha mai posseduto?

Il maestro così deve fare: ammaestrare prima se stesso e dopo gli altri. Se ancora percorre la via degli appetiti e dei desideri carnali come potrà guidare un altro ai "segni evidenti"4 di Dio?

Quest'uomo onorato riuscì a convertire una moltitudine. Per amor di Dio trascurò ogni prudenza, mentre s'affrettava sulle vie dell'amore. Divenne come un forsennato, un vagabondo, un pazzo riconosciuto. Nobili e plebei a Tihrán lo schernirono a causa della sua nuova Fede. Quando camminava per le strade e i bazar, la gente lo mostrava a dito, chiamandolo bahá’í. Ogni qual volta scoppiava un tumulto, era il primo a essere arrestato. Perciò si teneva sempre pronto e aspettava, perché ciò avveniva immancabilmente.

Più volte fu messo in catene, imprigionato e minacciato con la spada. La fotografia di quest'uomo benedetto, assieme a quella del grande Amín, fatta mentre erano in catene, servirà da esempio a chiunque abbia occhi per vedere. Eccoli quei due uomini illustri, legati, incatenati, eppure composti, rassegnati, imperturbati.

Le cose giunsero a tal punto che alla fine, ogni qual volta v'era una sommossa, Mullá 'Alí metteva il turbante, si avvolgeva nell’abá, si sedeva e aspettava che i suoi nemici si muovessero, i farrásh facessero irruzione e i gendarmi lo portassero in prigione. Ma pensate al potere di Dio! Nonostante tutto, egli si salvò. "Segno del saggio e dell'amante è che lo trovi arido nel mare". Ecco com'era: la vita appesa a un filo da un momento all'altro, i malevoli in agguato, conosciuto dappertutto come bahá’í, eppure protetto da ogni danno. Fino al giorno in cui morì, rimase arido negli abissi del mare, freddo e incolume in mezzo al fuoco.

Dopo l'ascensione di Bahá’u’lláh, Mullá 'Alí perseverò, leale al Testamento della Luce del Mondo, fermo nel Patto che servì e proclamò. Durante la vita della Manifestazione, la

sua brama lo spinse a correre da Bahá’u’lláh, Che lo accolse con benevolenza e favore e lo coprì di benedizioni. Quindi ritornò in Írán, dove dedicò tutto il suo tempo al servizio della Causa. In aperto contrasto con i suoi dispotici oppressori, per quanto spesso essi lo minacciassero, li sconfisse sempre. Non fu mai battuto. Tutto quello che aveva da dire, lo disse. Fu una delle Mani della Causa di Dio, saldo, incrollabile, inamovibile.

Lo amavo moltissimo, perché conversare con lui era una gioia e come compagno non era secondo a nessuno. Non molto tempo fa, una notte lo vidi nel mondo dei sogni. Benché fosse di corporatura massiccia, nel sogno mi apparve ancor più grosso e corpulento. Pareva che fosse ritornato da un viaggio. “Jináb" gli dissi "siete diventato sano e robusto". "Si, grazie a Dio!" rispose. "Sono stato in luoghi dove l'aria era fresca e dolce, l'acqua pura cristallina, i paesaggi ameni e i cibi deliziosi. Tutto mi si confaceva, naturalmente, e per questo ora sono più forte che mai e ho riacquistato il vigore della prima giovinezza. Le brezze del Misericordiosissimo hanno spirato su di me e ho trascorso tutto il tempo a parlare di Dio. Ho esposto le Sue prove e insegnato la Sua Fede". (Nell'altro mondo, insegnare la Fede significa esalare i dolci aromi della santità: ciò equivale all'insegnamento). Conversammo ancora un po', poi sopraggiunsero altre persone ed egli disparve.

La sua estrema dimora è a Tihrán. Anche se il suo corpo giace sotto terra, il suo spirito puro sopravvive "in seggio di verità presso un Re potentissimo.5 Se solo fosse possibile, desidererei molto visitare le tombe degli amici di Dio. Essi sono i servitori della Bellezza Benedetta; sulla Sua via furono afflitti, incontrarono fatiche e dolori, patirono oltraggi e subirono danno. Su loro sia la gloria di Dio, il Gloriosissimo. A loro salute e lode. Su loro siano la tenera misericordia e il perdono di Dio.

SHAYKH SALMÁN

Nel 1266 A.H.6 il fido messaggero, Shaykh Salmán, udì per la prima volta l'appello divino e il suo cuore palpitò di gioia. Si trovava allora a Hindíyán. Irresistibilmente attratto, percorse a piedi il lungo cammino fino a Tihrán, dove con amore ardente si unì segretamente ai credenti. Un giorno, mentre passava per il bazar con Áqá Muhammad Taqíy-i-Káshání, i farrásh lo pedinarono e scoprirono il luogo dove abitava. L'indomani, polizia e farrásh andarono a prenderlo e lo condussero davanti al capo della polizia.

"Chi sei?" chiese costui.

"Sono di Hindíyán" ripose Salmán. "Sono venuto a Tihrán e sono diretto nel Khurásán, per un pellegrinaggio al Santuario dell’Imám Ridá".

"Che cosa facevi ieri con quell'uomo dalla veste bianca?" l'interrogò il capo.

Salmán rispose: "Il giorno prima gli avevo venduto un 'abá e ieri doveva pagarmi.

"Sei forestiero qui" disse l'altro. "Come mai ti sei fidato di lui?".

"Ha fatto da garante un cambiavalute" ribatté Salmán. Pensava allo stimato credente, Áqá Muhammad-i-Sarráf (cambiavalute).

Il capo si rivolse a uno dei farrásh e gli ordinò: "Conducilo dal cambiavalute e fa' un'indagine".

Quando furono arrivati il farrásh andò avanti. "Cos'è questa storia che un ' abá è stato venduto e che tu ne hai garantito il pagamento? Spiegati" disse.

"Non ne so niente" protestò il cambiavalute.

"Andiamo" disse allora il farrásh rivolgendosi a Salmán "è tutto chiaro finalmente; tu sei Bábí".

Accadde che il turbante che Salmán aveva in testa assomigliasse a quelli che si usavano a Shúshtar. Mentre attraversavano un crocevia, un uomo di Shúshtar uscì dalla sua bottega. Abbracciò Salmán esclamando: "Dove sei stato Khájih Muhammad-'Alí? Quando sei arrivato? Benvenuto!".

Salmán rispose: "Sono arrivato pochi giorni fa e ora la polizia mi ha arrestato".

"Che cosa vuoi da lui?" il mercante chiese al farrásh. "Che cosa vai cercando?".

"È Bábí" fu la risposta.

"Dio ce ne guardi!" gridò l'uomo di Shúshtar "Lo conosco bene. Khájih Muhammad-'Alí è un musulmano timorato di Dio, sciita, devoto seguace dell’Imám 'Alí". Detto questo, offrì al farrásh una somma di denaro e Salmán fu liberato.

Entrarono in negozio e il mercante incominciò a chiedere a Salmán come gli andavano le cose. Salmán gli disse: "Io non sono Khájih Muhammad-'Alí".

L'uomo di Shúshtar rimase di stucco. "Sembri proprio lui!" esclamò. "Siete identici. Ma se non sei lui, restituiscimi i soldi che ho pagato al farrásh".

Salmán gli porse subito il denaro, se ne andò, uscì dalla porta della città e s'incammino verso Hindíyán.

Quando Bahá’u’lláh arrivò in 'Iráq, il primo messo che giunse alla sua santa presenza fu Salmán, il quale tornò poi indietro con alcune Tavole indirizzate agli amici di Hindíyán. Una volta l'anno quell'uomo benedetto si metteva in marcia per andare dal suo Benamato; dopo di che ritornava sui suoi

passi, portando Tavole in molte città: Isfáhán, Shiráz Káshán Tihrán e altre.

Dall'anno '69 fino all'ascensione di Bahá’u’lláh nel 1309 A.H.,7 una volta l'anno Salmán arrivava carico di posta, ripartendone poi con le Tavole, che consegnava fedelmente, una per una, ai rispettivi destinatari. Tutti gli anni, durante tutto quel lungo periodo, egli venne a piedi dalla Persia fino in 'Iráq o Adrianopoli o la Più Grande Prigione ad 'Akká; giungeva con grandissimo entusiasmo e amore e poi tornava indietro.

Era dotato di straordinaria capacità di resistenza. Viaggiava a piedi e di regola non mangiava altro che pane e cipolla, e in tutto quel periodo fece la spola senza che mai nulla lo facesse ritardare, senza mai perdere una lettera o una Tavola. Ogni missiva fu debitamente recapitata, ogni Tavola arrivò al destinatario. A Isfáhán, fu sottoposto ripetutamente ad ardue prove, ma, sempre paziente e grato, si guadagnò dai non bahá’í il titolo di "angelo Gabriele dei Bábí".

Per tutta la vita, Salmán rese alla Causa di Dio questo importantissimo servigio, diventando strumento per la sua diffusione; e contribuì alla felicità dei credenti, recando ogni anno nelle città e nei villaggi di Persia le liete novelle di Dio. Era vicino al cuore di Bahá’u’lláh, Che lo guardava con favore e grazia speciali. Nelle Sacre Scritture vi sono alcune Tavole rivelate in suo nome.

Dopo l'ascensione di Bahá’u’lláh, Salmán rimase fedele al Patto, servendo la Causa con tutte le sue forze. Anche allora, come in passato, ogni anno veniva nella Più Grande Prigione, consegnava la posta che i credenti gli avevano affidato e poi ritornava in Persia con le risposte. Alla fine, a Shíráz, spiccò il volo verso il Regno della gloria.

Dagli albori della storia fino ad oggi, non è mai esistito messaggero così degno di fiducia, né mai è vissuto corriere paragonabile a Salmán. Ha lasciato a Isfáhán onorati supersti-

ti, che si trovano attualmente in ristrettezze a causa delle difficoltà esistenti in Persia. È certo che gli amici provvederanno alle loro necessità. A lui la gloria di Dio, il Gloriosissimo; a lui salute e lode.

Mirza MUHAMMAD-‘ALÍ, L’AFNÁN

Ai tempi di Bahá’u’lláh, nei peggiori momenti nella Più Grande Prigione, nessuno degli amici aveva il permesso di lasciare la Fortezza o di entrarvi dall'esterno. "Berretta Sghemba"8 e il Siyyid,9 che abitavano nei pressi della seconda porta della città, erano sempre lì a spiare, giorno e notte. Non appena scoprivano un viaggiatore bahá’í, si precipitavano dal Governatore e gli dicevano che portava lettere e sarebbe ripartito con le risposte. Il Governatore allora lo arrestava, requisi-va gli incartamenti, lo gettava in prigione e lo cacciava via. Questa pratica divenne abituale per le autorità e durò a lungo, precisamente per nove anni, finché a poco a poco fu abbandonata.

Fu in quel periodo che l'Afnán, Hájí Mirza Muhammad’Alí, quel grande ramo dell'Albero Santo,10 si mise in viaggio verso 'Akká: dall'India andò in Egitto e dall'Egitto a Marsiglia.

Mi trovavo un giorno sul tetto del caravanserraglio. Con me c'era un gruppo di amici e stavo passeggiando avanti e indietro. Era il tramonto. In quel momento, guardando verso la spiaggia in lontananza, scorsi un veicolo che si avvicinava. "Signori" dissi "sento che su quella carrozza c'è un sant'uomo". Era ancora così distante, che si vedeva a malapena.

"Andiamo alla porta" soggiunsi. "Certo, non ci lasceranno passare, ma possiamo almeno star lì finché non arriva". Presi con me una o due persone e c'incamminammo.

Alla porta andai dalla sentinella e, presala in disparte, le detti qualcosa e dissi: "Sta arrivando una carrozza e penso che porti un nostro amico. Quando sarà qui, non fermarla e non riferire la cosa al Governatore". Egli mi porse una sedia e io mi misi a sedere.

Nel frattempo era calato il sole. Avevano chiuso il portone principale, ma il portello era aperto. Il custode era all'esterno; la carrozza si fermò: l'amico era arrivato. Che volto radioso! Era tutto luce da capo a piedi. Il solo vedere quel viso rendeva felici; era così fiducioso, sicuro, radicato nella fede e aveva un'aria così gioiosa. Era davvero un essere benedetto, un uomo che migliorava giorno dopo giorno e ogni giorno cresceva in certezza, fede, qualità luminose e amore ardente. Nel breve periodo che trascorse nella Più Grande Prigione, fece progressi straordinari. Pensate: la sua carrozza aveva percorso solo una parte della strada fra Haifa e 'Akká e già se ne potevano percepire lo spirito e la luce.

Dopo che ebbe ricevuto gl'infiniti favori elargitigli da Bahá’u’lláh, ebbe licenza di partire e andò in Cina. Là per lungo tempo trascorse i suoi giorni memore di Dio e conformandosi al compiacimento divino. In seguito si trasferì in India, dove morì.

L'altro riverito Afnán e gli amici in India ritennero opportuno mandare le sue spoglie benedette in 'Iráq, ostensibilmente a Najaf, per tumularle vicino alla Città Santa, perché i Musulmani si erano rifiutati di accoglierle nel cimitero e la

salma era stata provvisoriamente custodita in un deposito. Áqá Siyyid Asadu'lláh, che a quel tempo si trovava a Bombay, fu incaricato di trasportare quei resti in 'Iráq con la dovuta reverenza. Sul piroscafo c'erano alcuni Persiani ostili, i quali, giunti a Búshihr riferirono che si stava portando il feretro di Mirza Muhammad-’Alí, il Bábí, a Najaf, per seppellirlo nella Valle della Pace, presso i sacri recinti del Santuario, e che una cosa del genere era intollerabile. Tentarono di far sbarcare i sacri resti, ma non ci riuscirono; guardate cosa possono fare i misteriosi decreti di Dio.

La salma arrivò a Basra. Ma essendo quello un periodo nel quale gli amici erano costretti a restare nascosti, Siyyid Asadu’lláh fu obbligato a proseguire come se dovesse vera-mente tumulare la bara a Najaf, pur sperando nel frattempo di riuscire in un modo o nell'altro a inumarla vicino a Baghdád. Infatti, per quanto Najaf sia e sempre sarà una città santa, tuttavia gli amici avevano scelto un altro luogo. Perciò Iddio istigò i nostri nemici affinché impedissero la sepoltura a Najaf Arrivarono a frotte, attaccarono il lazzaretto per impadronirsi della salma e sotterrarla a Basra, o gettarla in mare, o abbandonarla fra le sabbie del deserto.

Il caso assunse tali proporzioni che alla fine fu impossibile trasportare le spoglie a Najaf e Siyyid Asadu'lláh dovette trasferirle a Baghdád. Ma anche qui non c'era luogo dove il corpo dell'Afnán potesse essere sepolto al sicuro da molestie di mani nemiche. Alla fine il Siyyid decise di portarlo al santuario del persiano Salmán, il Puro,11 circa cinque farsakh fuori Baghdád e di tumularle a Ctesifonte, vicino alla tomba di Salmán, nei pressi della reggia dei sovrani sasanidi. Fu trasportato lì e quel pegno di Dio fu deposto con grande reverenza in una tomba sicura vicino al palazzo di Nawshíraván.

Era destino che mille trecento anni dopo che la città del trono degli antichi re persiani era stata calpestata, ora che,

oltre a ruderi e a cumuli di sabbia, non ne restava traccia e perfino il tetto della reggia era diroccato e per metà crollato al suolo, questo edificio dovesse riacquistare il fasto e lo splendore regale dei giorni passati. È davvero un'arcata possente. La sua luce è di cinquantadue passi e torreggia altissima.

Così, la grazia e il favore di Dio si riversarono sui Persiani di un'epoca da lungo tempo trascorsa, affinché la loro capitale diroccata fosse ricostruita e rifiorisse. Per questo scopo, con l'aiuto di Dio, le cose si misero in modo che l'Afnán vi fosse sepolto; e in quel luogo sorgerà sicuramente una superba città. Scrissi molte lettere a questo proposito, finché da ultimo si poté tumularvi le sacre ceneri. Siyyid Asadu'lláh mi scriveva da Basra e io gli rispondevo. Un funzionario pubblico del luogo ci era completamente devoto e lo sollecitai a fare tutto il possibile. Siyyid Asadu'lláh mi informò da Baghdád che non sapeva più cosa fare e che non aveva la minima idea sul luogo in cui dare sepoltura a quella salma. "Dovunque la sotterri" mi comunicò "la disseppelliranno".

Alla fine, sia lodato Iddio, fu deposta proprio là dove più volte la Bellezza Benedetta Si era rifugiata, in quel sito onorato dai Suoi passi, dove aveva rivelato tante Tavole e i credenti di Baghdád erano stati in Sua compagnia, proprio là dove il Più Grande Nome soleva recarSi a passeggiare. Come mai avvenne tutto questo? Per la purezza di cuore dell'Afnán; senza di essa, tutti questi mezzi e queste strade non sarebbero mai stati disponibili. In verità, Dio muove la terra e i cieli.

Amavo moltissimo l'Afnán. A causa sua, gioivo. Composi per lui una lunga Tavola di visitazione che inviai in Persia assieme ad altre carte. La sua sepoltura è uno dei sacri luoghi dove si dovrà erigere un magnifico Mashriqu'l-Adhkár. Potendo, l'attuale arcata della reggia dovrà essere restaurata e diventare un Tempio. Sarebbe anche opportuno costruirvi gli edifici ausiliari: l'ospedale, le scuole e l’università, la scuola elementare, il ricovero per i poveri e i bisognosi, l'asilo per gli orfani e i derelitti, l'ostello dei viaggiatori.

Benevolo Iddio! Un tempo quella reggia era bella e splendidamente decorata. Ma là dove pendevano tendaggi di broccato d'oro, oggi vi sono ragnatele e dove rullavano i tamburi del re e i suoi musici suonavano, l'unico suono è uno sgraziato crocidare di corvi e di cornacchie. "In verità, questa è la capitale del regno dei gufi, dove non udrai altro suono, fuorché l'eco delle loro incessanti strida". Così era la caserma quando giungemmo ad 'Akká. Dentro le mura c'erano solo pochi alberi e sui loro rami, come sui bastioni, tutta la notte gemevano i gufi. Com'è desolante il loro grido! Come stringe il cuore!

Dalla prima giovinezza fino a quando non divenne debole e vecchio, quel sacro ramo dell'Albero Santo, col suo volto sorridente, brillò come una lampada in mezzo a tutti. Poi si lanciò e spiccò il volo verso la gloria imperitura e si tuffò nell'oceano di luce. Su di lui siano le brezze del suo Signore, il Misericordiosissimo. Su di lui, avvolto dalle acque della grazia e del perdono, siano la misericordia e il favore di Dio.

HÁJÍ Mirza HASAN, L’AFNÁN

Uno dei più eminenti fra coloro che abbandonarono la terra natale per raggiungere Bahá’u’lláh fu Mirza Hasan, il grande Afnán, che negli ultimi tempi ebbe l'onore di emigra-re e di essere favorito e compagno del suo Signore. L'Afnán, che era imparentato con il Báb, fu chiamato specificamente

dalla Penna Suprema germoglio dell'Albero Santo. Ancor bambino, ricevette dal Báb la sua porzione di grazia e dette prova di straordinario attaccamento a quell'abbagliante Beltà. Non ancora adolescente, frequentò la compagnia dei dotti e incominciò a studiare scienze e arti. Rifletteva giorno e notte sui problemi spirituali più difficili e guardava con stupore i possenti segni di Dio scritti nel Libro della Vita. Divenne profondamente versato anche nelle scienze materiali, come la matematica, la geometria e la geografia: in breve, era assai colto in molti campi, conosceva bene il pensiero dei tempi antichi e moderni.

Mercante di professione, si occupava di affari solo durante un breve periodo del giorno e della sera, dedicando la maggior parte del suo tempo alla discussione e alla ricerca. Era un vero erudito, motivo di grande vanto per la Causa di Dio fra i più eminenti uomini di cultura. Con poche succinte frasi, risolveva intricati problemi; il suo eloquio era conciso, ma in sé quasi un miracolo.

Sebbene fosse divenuto credente ai tempi del Báb, s'infiammò davvero durante i giorni di Bahá’u’lláh. Fu allora che il suo amor di Dio bruciò ogni ingombrante velo e ogni futile pensiero. Fece tutto il possibile per divulgare la Fede di Dio, acquistando fama dappertutto per il suo amore ardente verso Bahá’u’lláh.

O Amore, smarrito Son io, abbagliato e posseduto zimbello d'Amore in tutte le contrade,

Principe dei folli, mi chiamano,
ma un tempo primeggiavo per meriti ed ingegno...

Dopo l'ascensione del Báb, ebbe l'altissimo onore di servire e vegliare sulla riverita e santa consorte del Signore benedetto. Si trovava in Persia, desolato per la separazione da Bahá’u’lláh, quando il suo illustre figlio, sposandosi, divenne membro della Sacra Famiglia. L'Afnán se ne rallegrò. Lasciò

la Persia e corse a rifugiarsi al riparo del favore del suo Benamato. Era uomo di aspetto straordinario, il volto così luminoso che perfino i non credenti solevano dire che dalla sua fronte emanava una luce celestiale.

Per un certo periodo, andò ad abitare a Beirut, dove incontrò il noto studioso Khájih Findík. Questa importante persona in vari circoli lodò calorosamente l'erudizione del grande Afnán, affermando che individui di così profondo e vasto sapere erano rari in tutto l'oriente. In seguito l'Afnán ritornò in Terra Santa, sistemandosi nei pressi della magione di Bahjí e concentrando ogni pensiero sugli aspetti della cultura umana. Dedicava quasi tutto il tempo a svelare i segreti dei cieli, a osservare nei dettagli i moti delle stelle. Aveva un telescopio con cui ogni notte eseguiva i suoi rilevamenti. Viveva una vita felice, spensierata e gaia. Vicino a Bahá’u’lláh, i suoi giorni erano beati e le sue notti chiare come il far del mattino in pri-mavera.

Ma poi l'Amato Si dipartì da questo mondo. La pace dell'Afnán ne fu infranta e trasformata in dolore la sua gioia. La Suprema Afflizione ci sopravvenne, la separazione ci consunse, i giorni un tempo luminosi si fecero cupi come notte: ormai tutte le rose delle ore trascorse erano macerie e polvere. Sopravvisse per qualche tempo, il cuore bruciante, inondati di lacrime gli occhi. Ma non poté sopportare la nostalgia per il Benamato e ben presto la sua anima rinunziò a questa vita e si rifugiò in quella eterna; passò nel Cielo del perenne ricongiungimento e fu immersa in un oceano di luce. A lui somma misericordia, abbondante munificenza e ogni benedizione nel trascorrere dei cicli e delle età. La sua tomba onorata è ad 'Akká nel Manshíyyih.

MUHAMMAD-‘ALÍY-I-ISFÁHÁNÍ

Muhammad-’Alí di Isfáhán fu tra quei primissimi credenti che vennero guidati alla Fede fin dal suo esordio. Era un mistico e la sua casa era luogo di riunione per mistici e filosofi. Nobile e magnanimo, era uno dei più onorati cittadini di Isfáhán, ospite e santuario per ogni forestiero, ricco o povero. Uomo brioso, di indole eccellente, tollerante, affabile, generoso e gioviale, nella sua città tutti sapevano che gli piaceva divertirsi.

Poi, fu spinto ad abbracciare la Fede e s'infiammò dall'Albero Sinaico. La sua casa divenne un centro d'insegnamento, dedicato alla gloria di Dio. I fedeli vi affluivano notte e giorno, come a una lampada accesa da celestiale amore. Per lungo tempo, in quella casa si cantarono i sacri versetti e si esposero le chiare prove. Sebbene ciò fosse risaputo, Muhammad-’Alí non fu molestato, essendo parente dell'Imám-Jum'ih di Isfáhán. Alla fine, però, le cose giunsero a un punto tale che lo stesso Imám-Jum'ih lo allontanò dicendogli: "Non posso proteggerti oltre. Sei in grave pericolo. È meglio che tu lasci la città e ti metta in viaggio".

Egli abbandonò allora la sua casa, si recò in 'Iráq e giunse alla presenza del Desiato del mondo. Vi s'intrattenne per qualche tempo, facendo progressi quotidiani; aveva ben poco per vivere, ma era felice e contento. Uomo di indole eccellente,

andava ugualmente a genio tanto ai credenti quanto agli altri.

Allorché Bahá’u’lláh lasciò col Suo seguito Baghdád diretto a Costantinopoli, Muhammad-’Alí Lo accompagnò e proseguì con Lui fino alla Terra del Mistero, Adrianopoli. Non avvezzo all'incostanza, sempre conservò la sua tipica immutabilità di cuore. Qualsiasi cosa accadesse, rimaneva imperturbato. Anche in Adrianopoli i suoi giorni trascorsero felicemente, sotto la protezione di Bahá’u’lláh. Si occupava di affari dai quali, per quanto insignificanti fossero, traeva sempre frutti sorprendentemente generosi.

Da Adrianopoli, Muhammad-’Alí accompagnò Bahá’u’lláh fino alla fortezza di 'Akká, dove fu rinchiuso in carcere e rimase tra i Suoi compagni di prigionia per il resto dei suoi giorni, conseguendo così il sommo fra tutti gli onori: essere in prigione con la Bellezza Benedetta.

Trascorse i suoi giorni in perfetta beatitudine. Anche qui aveva il suo piccolo giro d'affari, che lo teneva occupato dalla mattina fino a mezzogiorno. Nel pomeriggio, prendeva il samovar, lo riponeva in una borsa scura ricavata da una bisaccia e usciva, recandosi in un giardino, o nei prati, o nei campi, e lì beveva il tè. Talvolta lo si trovava nella fattoria di Mazrá'ih, talaltra nel giardino di Ridvan, oppure nella Magione, dove aveva l'onore di servire Bahá'u'lláh.

Muhammad-’Alí teneva accuratamente conto di ogni benedizione nella quale s'imbatteva. "Com'è delizioso oggi il mio tè!" esclamava. "Che aroma, che colore! Ameno davvero questo prato e che fiori variopinti!". Diceva sempre che ogni cosa ha un profumo speciale, persino l'aria e l'acqua. Per lui i giorni trascorrevano in indescrivibile letizia. Neppure i sovrani erano felici come questo vecchio, commentava la gente. "È completamente libero dal mondo" dicevano "vive nella gioia". Si dava il caso che il suo cibo fosse sempre fra i migliori e che la sua casa si trovasse nella parte più bella di 'Akká. Benevolo Iddio! Era lì prigioniero, eppure si sentiva agiato, tranquillo e gioioso.

Quando alfine s'involò verso l'eterna luce, Muhammad-'Alí aveva superato gli ottant'anni. Da Bahá’u’lláh aveva ricevuto molte Tavole e, in ogni circostanza, infinita grazia. Su di lui sia la gloria di Dio, il Gloriosissimo. Su di lui miriadi di celesti benedizioni; Iddio gli conceda letizia sempiterna. La sua luminosa tomba è ad 'Akká.

‘ABDU’S-SÁLIH, IL GIARDINIERE

Fra coloro che emigrarono e furono compagni nella Più Grande Prigione, vi fu Áqá 'Abdu's.-Sálih. Questo spirito eletto, figlio di vecchi credenti, proveniva da Isfáhán. Il suo magnanimo padre morì e il fanciullo crebbe orfano. Non c'era nessuno che lo educasse, che si prendesse cura di lui; era alla mercé di chiunque volesse fargli male. Alfine adolescente, ormai cresciuto, si mise alla ricerca del suo Benamato. Emigrò presso la Più Grande Prigione e qui ebbe l'onore di essere nominato giardiniere del giardino di Ridvan. In questo lavoro non era secondo a nessuno. Incrollabile nella fede, leale, degno di fiducia, quanto a carattere, incarnava il sacro versetto "E certo l'indole tua è nobilissima".12 Ecco come meritò il privilegio di accudire al giardino di Ridvan e di ricevere così la più grande delle grazie: essere ammesso alla presenza di Bahá’u’lláh quasi tutti i giorni.

Il Più Grande Nome fu tenuto prigioniero e relegato nella cittadella di 'Akká per nove anni; e polizia e farrásh Lo tennero sempre sotto costante sorveglianza, tanto nella caserma quanto più tardi dall'esterno della casa. La Bellezza Benedetta abitava in una casa piccolissima e non metteva mai piede fuori da quell'angusto alloggio, perché i Suoi oppressori vigilavano ininterrottamente alla sua porta. Ma quando furono trascorsi nove anni e il numero dei giorni fissato e destinato fu compiuto, allora, a dispetto dell'astioso volere del tiranno 'Abdu'l-Hamíd e di tutti i suoi servili cortigiani, Bahá’u’lláh uscì dalla fortezza con autorità e possanza e Si insediò in una residenza regale fuori città.

Benché la politica del sultano 'Abdu'l-Hamíd fosse sempre più intransigente, sebbene egli insistesse incessantemente sul rigoroso isolamento del Prigioniero, ciò nonostante la Bellezza Benedetta viveva ora, come tutti sanno, nel pieno del potere e della gloria. Bahá’u’lláh trascorreva parte del tempo nella Magione, oppure nel borgo agreste di Mazrá'ih; per brevi periodi soggiornava a Haifa e occasionalmente la Sua tenda veniva piantata sulle pendici del monte Carmelo. Amici di ogni regione si presentavano e ottenevano udienza. Popolo e autorità governative vedevano tutto, ma nessuno ne fece mai parola. Ecco uno dei più grandi prodigi di Bahá’u’lláh: che, prigioniero, Si circondasse di gloria ed esercitasse il potere. La prigione divenne una reggia, il carcere un Giardino dell'Eden. Mai nella storia è accaduto tanto, nessuna èra trascorsa ha visto una cosa simile: che un uomo relegato in prigione, abbia potuto muoversi con autorità e potenza e, costretto in catene, abbia potuto innalzare fino al sommo cielo la fama della Causa di Dio, riportare splendide vittorie in oriente e in occidente e soggiogare il mondo con la Sua Penna onnipossente. Ecco ciò che contraddistingue questa suprema Teofania.

Un giorno i notabili del governo, colonne del paese, gli 'ulamá della città, i più importanti mistici e intellettuali si recarono alla Magione. La Bellezza Benedetta non prestò loro

attenzione alcuna. Non li ammise alla Sua presenza, non chiese notizia di nessuno. Mi misi a sedere e tenni loro compagnia per qualche ora, dopo di che se ne tornarono là donde erano venuti. Sebbene il farmán imperiale decretasse specificamente che Bahá’u’lláh fosse tenuto in solitario confino nella fortezza di 'Akká, in una cella perennemente sorvegliata, che mai ne mettesse fuori un piede e mai vedesse un credente, malgrado questo farmán, questo drastico ordine, la Sua tenda fu drizzata con maestà sulle pendici del monte Carmelo. Quale manifestazione di potere maggiore di questa: che proprio da una prigione il vessillo del Signore sia stato issato e dispiegato al vento, sì che tutto il mondo lo vedesse! Lode al Possessore di tale maestà e possanza, lode a Lui, armato di forza e gloria, lode a Lui Che rinchiuso nella prigione di 'Akká debellò i nemici!

In conclusione: 'Abdu’s-Sálih visse sotto una buona stella, poiché era regolarmente ammesso alla presenza di Bahá’u’lláh. Ebbe il privilegio di servire per lunghi anni in qualità di giardiniere e fu sempre leale, sincero e forte nella fede. Umile dinanzi a ogni credente, in tutto quel tempo non ferì né offese mai nessuno. E da ultimo abbandonò il suo giardino e si affrettò verso l'abbraccio della misericordia di Dio.

L'Antica Bellezza era compiaciuta di 'Abdu's-Sálih e, dopo la sua ascensione, rivelò una Tavola di Visitazione in suo onore, pronunziando per lui anche un discorso che fu poi trascritto e pubblicato assieme ad altri Scritti.

Su di lui sia la gloria del Gloriosissimo! Su di lui la gentilezza e il favore di Dio nell'Eccelso Reame.

USTÁD ISMÁ’ÍL

Un altro ancora di quella schiera benedetta fu Ustád Ismá’íl, il costruttore. Era il sovrintendente edile di Farrukh Khán (Amínu'd-Dawlih) a Tihrán e viveva ricco e felice, uomo d'alto rango, onorato da tutti. Ma perse la testa per la Fede e ne fu estasiato, finché la sua sacra passione non consumò ogni ingombrante velo. Mise da parte allora ogni prudenza e divenne noto in tutta Tihrán come una colonna dei bahá’í.

Dapprima Farrukh Khán lo difese abilmente. Ma, dopo qualche tempo, lo convocò e gli disse: "Ustád, mi sei molto caro, e ti ho dato protezione, e ti sono rimasto accanto, meglio che ho potuto. Ma lo Sciá ha scoperto tutto sul tuo conto e sai bene quale sanguinario tiranno sia. Temo che ti catturerà di sorpresa e t’impiccherà. La cosa migliore che tu possa fare è partire. Lascia il paese, va' altrove, fuggi da questo pericolo".

Composto e sereno, Ustád abbandonò il lavoro, distolse lo sguardo dai suoi possedimenti e partì per l'Iráq, dove visse in povertà. Aveva preso moglie da poco e l'amava moltissimo. Venne la madre di lei e con un sotterfugio ottenne il suo consenso a che riconducesse la figlia a Tihrán, apparentemente per una visita. Ma, appena giunta a Kirmansháh andò dal mujtahid e gli disse che, avendo il genero rinnegato la propria religione, sua figlia non poteva più rimanerne la legittima consorte. Il mujtahid celebrò il divorzio e maritò la fanciulla a

un altro uomo. Quando a Baghdád giunse notizia dell'accaduto, Ismá’íl più incrollabile che mai si limitò a ridere e disse: "Sia lodato Iddio! Nulla mi resta su questa via. Ho perduto tutto, anche la sposa. Ho potuto darGli tutto ciò che possedevo".

Quando Bahá’u’lláh partì da Baghdád, mettendoSi in viaggio verso la Rumelia, gli amici rimasero indietro. Gli abitanti della città insorsero contro quegl'inermi credenti, inviandoli prigionieri a Mosul. Ustád era vecchio e stanco, ma partì a piedi senza provviste per il viaggio, valicò monti e deserti, alture e vallate e alla fine raggiunse la Più Grande Prigione. Una volta Bahá’u’lláh aveva trascritto per lui un'ode di Rúmí e gli aveva detto di rivolgere il viso verso il Báb e di cantarne le parole, secondo una certa melodia. E così Ustád, mentre vagava nel buio delle lunghe notti, cantava questi versi:

O amore, smarrito son io abbagliato e posseduto
zimbello d'amore, in tutto il mondo.
Principe dei folli mi chiamano
ma un tempo primeggiavo per meriti ed ingegno.
O Amore, che mi vendi questo vino,13
o Amore, per cui sanguino e ardo,
amore, per cui mi struggo e piango
tu sei Sonatore e io zampogna.
Se vuoi ch'io viva
insufflami l'alito Tuo santo.
il tocco di Gesù Tu mi darai
sebbene giacqui una vita nella morte.
Tu Fine e Principio
Tu Occulto e Palese
Da ogni occhio Ti nascondi
eppure in ogni occhio Tu dimori.

Era come un uccello dalle ali spezzate, ma aveva questo canto ed esso lo fece proseguire verso il suo unico vero Amore. Si avvicinò furtivamente alla fortezza e vi entrò, ma era esausto, sfinito. Vi sostò per alcuni giorni e giunse alla presenza di Bahá’u’lláh; dopo di che gli fu detto di cercare alloggio a Haifa. Vi si recò ma non vi trovò rifugio, né nido né caverna, né acqua né chicco di grano. Finalmente si sistemò in una grotta fuori città. Comperò un piccolo vassoio e vi dispose bracciali d'argilla, ditali, spille e altri ninnoli. Ogni giorno, dal mattino fino a mezzogiorno, girovagava per vendere questi oggetti. A volte guadagnava venti para,14 altre volte trenta, nei giorni migliori quaranta. Poi ritornava a casa nella sua caverna e si accontentava di un tozzo di pane. Rendeva sempre grazie, dicendo: "Sia lodato Iddio, ho ottenuto questo favore e questa grazia; sono stato separato da conoscenti e sconosciuti e mi sono rifugiato in questa grotta. Ora sono tra coloro che hanno dato tutto per comperare il Divino Giuseppe nella piazza del mercato. Esiste grazia più grande di questa?!".

Così si trovava, allorché morì. Assai sovente udirono Bahá’u’lláh dirSi soddisfatto di Ustád Ismá’íl. Fu circondato di benedizioni e l'occhio di Dio era su di lui. Saluti a lui e lode. A lui la gloria del Gloriosissimo.

NABÍL-I-ZARANDÍ

Un altro ancora di coloro che emigrarono dalla patria per essere vicini a Bahá’u’lláh fu il grande Nabíl.15 Nel fiore della giovinezza si congedò dalla famiglia a Zarand e, con l'aiuto di Dio, incominciò a insegnare la Fede. Divenne condottiero dell'esercito degli amanti e, nella sua ricerca, lasciò l'Iráq persiano diretto in Mesopotamia, ma non riuscì a trovare Colui Che cercava. Il Benamato, infatti, Si trovava allora nel Kurdistán e viveva in una grotta a Sar-Galú; e lì, tutto solo in quelle balze desolate, senza compagni, senza amici, senza anima che lo ascoltasse, comunicava con la bellezza che albergava nel Suo cuore. Di Lui mancava ogni notizia; l'Iráq era oscurato, e in gramaglie.

Quando Nabíl s'avvide che la fiamma, un tempo lì accesa e alimentata, era quasi spenta, che ben pochi erano i fedeli, che Yahyá16 si era rintanato in un covo segreto dove languiva apatico e inerte e che era sopraggiunto un freddo inverno, con sommo rammarico, si vide costretto a partire per Karbilá. Qui s'intrattenne finché la Bellezza Benedetta non ritornò dal Kurdistán, recandoSi a Baghdád. In quel tempo vi fu sconfinata gioia; tutti i credenti del paese rinacquero alla vita e tra loro Nabíl, che accorse alla presenza di Bahá’u’lláh e divenne oggetto di grandi elargizioni. Trascorreva i suoi giorni in letizia, ora, scrivendo odi per celebrare le lodi del suo Signore. Era poeta di talento, uomo facondo, di forte tempra, ardente di appassionato amore.

Dopo qualche tempo si trasferì a Karbilá, poi ritornò a Baghdád e quindi andò in Persia. Frequentando Siyyid Muhammad, fu indotto in errore e gravemente afflitto e provato; ma, a somiglianza delle meteore, sfrecciò come un dardo, scacciando via le fantasie sataniche,17 respinse i sussurratori maligni e ritornò a Baghdád, dove trovò riposo all'ombra dell'Albero Santo. In seguito gli fu ordinato di visitare Kirmánsháh. Quindi fece nuovamente ritorno e in ogni viaggio gli fu permesso di rendere un servizio.

Poi, Bahá’u’lláh e il Suo seguito lasciarono Baghdád, "Dimora della Pace", per Costantinopoli, la "Città dell'Islam". Dopo la Sua partenza, Nabíl indossò l'abito del derviscio e si mise in cammino, raggiungendo la carovana per la strada. A Costantinopoli ebbe l'ordine di ritornare in Persia e di insegnarvi la Causa di Dio, di viaggiare per il paese e di comunicare ai credenti nelle città e nei villaggi tutto quello che era successo. Allorché la missione fu compiuta e rullarono i tamburi del "Non sono Io il vostro Signore?" - perché era l'anno ottanta18 - Nabíl accorse ad Adrianopoli, gridando per via: "Sì, in verità, lo sei! In verità, lo sei!" e "Signore, Signore, eccomi".

Fu introdotto alla presenza di Bahá’u’lláh e bevve il vino vermiglio dell'obbedienza e dell'omaggio. Gli furono poi dati

ordini precisi di viaggiare dappertutto e di proclamare in ogni regione che Dio Si era palesato: divulgare la lieta novella che il Sole della Verità era sorto. Era veramente infiammato, trascinato da amore impaziente. Attraversò con grande fervore i paesi, portando il più bello di tutti i messaggi e vivificando i cuori. Ardeva come una fiaccola in ogni compagnia, era la stella di ogni assemblea, a ogni venuto porgeva l'inebriante coppa. Marciò come guidato da un rullo di tamburi e infine raggiunse la fortezza di ‘Akká.

In quei giorni le restrizioni erano eccezionalmente rigorose. Le porte erano sbarrate, chiuse le strade. Nabíl arrivò travestito alla porta di 'Akká. Ma Siyyid Muhammad e il suo sciagurato complice si precipitarono immediatamente al Governatorato a denunziare il viaggiatore. "È un persiano e non un uomo di Bukhárá, come sembra" riferirono. È venuto qui per avere notizie di Bahá’u’lláh". Le autorità lo espulsero all'istante.

Nabíl disperato si rifugiò nella cittadina di Safad. Poi venne a Haifa, dove si sistemò in una grotta sul monte Carmelo. Viveva appartato da estranei e conoscenti, gemendo notte e giorno, piangendo e cantando preghiere. Qui rimase come un recluso e aspettò che si aprissero le porte. E quando fu scaduto il tempo predestinato della cattività, e si spalancarono le porte, e il Vilipeso ne uscì in bellezza, maestà e gloria, Nabíl corse da Lui con cuore gioioso. Poi si consumò come un cero, lasciandosi bruciare dall'amor di Dio. Giorno e notte cantò le lodi dell'Amato dei due mondi e di coloro che stavano presso la sua Soglia, scrivendo esametri e pentametri, componendo liriche e lunghe odi. Quasi tutti i giorni era ammesso alla presenza della Manifestazione.19

Così continuò fino al giorno in cui Bahá’u’lláh ascese. In quella suprema afflizione, quella devastante calamità, Nabíl singhiozzò e tremò e levò alte grida al Cielo. Scoprì che il valore numerico della parola "shidád", l'anno del travaglio, è 309, mostrando così che Bahá’u’lláh aveva predetto ciò che era accaduto ora.20

Completamente distrutto, disperato per questa separazione da Bahá’u’lláh, febbricitante, piangente, Nabíl era così angosciato che tutti coloro che lo vedevano se ne meravigliavano. Cercò di lottare, ma il suo unico desiderio era quello di abbandonare la vita. Non poté soffrire oltre; la brama era accesa in lui; non seppe più resistere al cocente dolore. E così divenne monarca delle coorti dell'amore e si gettò in mare.

Prima del giorno in cui si immolò, scrisse l'anno della propria morte in una parola sola: "Annegato".21 Poi gettò via la vita per il Benamato e, libero dalla disperazione, non fu più separato.

Quest'uomo illustre era erudito, saggio ed eloquente. Il suo genio naturale era pura ispirazione, la sua musa un rivo cristallino. In particolare la sua ode "Bahá! Bahá!" fu scritta in un momento di pura estasi. Per tutta la vita, dalla prima giovinezza finché non fu debole e vecchio, dedicò il suo tempo a servire e adorare il Signore. Sopportò privazioni, superò sventure, patì afflizioni. Dalle labbra della Manifestazione udì meraviglie. Gli furono mostrate le luci del Paradiso; il suo voto più ardente fu appagato. E alla fine, quando l'Astro del mondo tramontò, non resse più e si lanciò nel mare. Le acque del sacrificio si richiusero su di lui e, annegato, finalmente andò presso l'Altissimo.

A lui copiose benedizioni; a lui tenere misericordie. Conquisti una grande vittoria e una grazia palese nel Regno di Dio.

DARVÍSH SIDQ-‘ALÍ

Áqá Sidq-’Alí fu un altro di coloro che lasciarono la terra natia, si recarono presso Bahá’u’lláh e furono rinchiusi nella Prigione. Era derviscio, un uomo che viveva libero e distaccato da amici e sconosciuti. Apparteneva all'ambiente dei mistici ed era uomo di lettere. Per un po' di tempo indossò l'abito della povertà, bevve il vino della Regola e calcò la Via;22 ma a differenza degli altri súfí non dedicò la vita al sordido hashish al contrario, si forbì dalle loro vane fantasie e cercò soltanto Dio, parlò solo di Dio e seguì soltanto la via di Dio.

Poeta di raffinata vena, scrisse odi per cantare le lodi di Colui Che il mondo ha vilipeso e respinto. Tra queste un poema che compose mentre era prigioniero nella caserma di 'Akká, il cui distico principale dice:

Cento cuori irretiscono i Tuoi inanellati ricci
e, allorché scuoti le chiome, piovono cuori.

A Baghdád quell'anima libera e indipendente scoprì una traccia dell'introvabile Amico. Vide l'Astro albeggiare all'orizzonte dell’Iráq e beneficiò della grazia di quell'aurora. Cadde sotto il fascino di Bahá’u’lláh e fu ammaliato da quel tenero Compagno. Sebbene fosse un uomo tranquillo e taciturno, le membra del suo corpo erano come molte bocche che mandavano messaggi. Quando il seguito di Bahá’u’lláh fu in procinto di partire da Baghdád, implorò il permesso di farne parte come stalliere. Tutto il giorno marciava a fianco del convoglio e, calata la notte, accudiva ai cavalli. Lavorava con tutto il cuore. Solo passata la mezzanotte andava a letto e si coricava per riposare. Ma suo giaciglio era un mantello, suo cuscino un mattone cotto al sole.

Durante il viaggio, traboccante d'amorosa brama, cantava poemi. Piaceva molto agli amici. In lui il nome23 diceva la persona: era puro candore e verità, amore personificato, il cuore casto, innamorato di Bahá’u’lláh. Nel suo alto rango di stalliere, regnava come un re; anzi, la sua gloria sopravanzava quella dei sovrani della terra. Era assiduo nel servire Bahá’u’lláh, in ogni cosa retto e sincero.

La carovana degli amanti proseguì; raggiunse Costantinopoli, passò ad Adrianopoli e infine alla prigione di 'Akká. Sidq-'Alí, era sempre presente, servendone fedelmente il Condottiero.

Nella caserma, Bahá’u’lláh scelse una notte speciale e la dedicò a Darvísh Sidq-’Alí. Scrisse che ogni anno, in quella notte, i dervisci approntassero un luogo d'incontro, che fosse in un giardino di fiori, e vi si riunissero per menzionare Iddio. Proseguì spiegando che "derviscio" non significa chi se ne va alla ventura, consumando notti e giorni in lotte e follie; ma, disse, questa parola indica coloro che sono completamente distaccati da tutto fuorché Dio, si attengono alle Sue leggi, sono solidi nella Sua Fede, fedeli al Suo Patto e assidui nell'a-

dorazione. Non è nome per coloro che, come dicono i Persiani, se ne vanno in giro come vagabondi, confusi, la mente turbata, un peso per gli altri e, tra tutti gli uomini, i più rozzi e volgari.

Per tutta la vita questo eminente derviscio visse nell'asilo del favore di Dio. Era completamente distaccato dalle cose del mondo. Premuroso nel servire, assistette i credenti con tutto il cuore. Per tutti loro fu un servitore, fedele alla Santa Soglia.

Poi giunse l'ora in cui, non lontano dal suo Signore, depose il manto della vita e per gli occhi del corpo entrò nell'ombra, ma per l'occhio della mente si portò là dove è chiaro come giorno e là fu insediato su un trono di gloria duratura. Fuggì dal carcere di questo mondo e piantò la tenda in una vasta e spaziosa contrada. Iddio lo tenga sempre vicino a Sé e gli conceda in quel mistico reame la benedizione del perpetuo ricongiungimento e della visione beatifica; sia ravvolto in cortine di luce. A lui la gloria di Dio, il Gloriosissimo. La sua tomba è ad 'Akká.

ÁQÁ Mirza MAHMÚD E ÁQÁ RIDÁ

Queste due anime benedette, Mirza Mahmúd di Káshán e Áqá Ridá di Shíráz erano come due lampade, accese d'amor di Dio dall'olio della Sua conoscenza. Circondati, sin dalla fanciullezza, da divine elargizioni, per cinquantacinque anni riuscirono a svolgere innumerevoli, indescrivibili servizi d'ogni sorta.

Quando il seguito di Bahá’u’lláh lasciò Baghdád alla volta di Costantinopoli, lo accompagnò una gran folla di persone. Lungo il cammino, s'imbatterono in una carestia. Queste due anime marciavano di buon passo, davanti alla howdah montata da Bahá’u’lláh, e ogni giorno percorrevano un tragitto di sette o otto farsakh. Esausti e indeboliti, arrivavano al luogo della sosta; eppure, stanchi com'erano, si mettevano subito a preparare e cucinare il cibo e a provvedere al ristoro dei credenti. Gli sforzi che fecero erano veramente più di quanto la carne possa sopportare. Talvolta in ventiquattro ore non avevano più di due o tre ore di sonno, perché, dopo che gli amici avevano consumato il pasto, toccava loro sparecchiare e rigovernare i piatti e gli utensili da cucina; questo li teneva occupati fino a mezzanotte; solo allora andavano a riposare. All'alba si alzavano, impacchettavano ogni cosa e ripartivano, davanti all'howdah di Bahá’u’lláh. Ecco l'importantissimo servizio che poterono svolgere, ecco per quale grazia furono prescelti: dal principio del viaggio a Baghdád fino all'arrivo a Costantinopoli, marciarono accanto a Bahá’u’lláh; resero felici tutti gli amici; procurarono riposo e agio a tutti; prepararono qualunque cosa chiunque chiedesse.

Áqá Ridá e Mirza Mahmúd furono la quintessenza dell'amor di Dio, completamente distaccati da ogni cosa fuorché Dio. In tutto quel tempo nessuno li udì mai alzare la voce. Non ferirono né offesero mai nessuno. Furono sempre fidati, leali, sinceri. Bahá’u’lláh elargì loro copiose grazie. Essi avevano continuo accesso alla Sua presenza ed Egli esprimeva loro la Sua soddisfazione.

Quando giunse a Baghdád da Káshán Mirza Mahmúd era un giovanotto. Áqá Ridá divenne credente a Baghdád. La condizione spirituale dei due era indescrivibile. C'era a Baghdád un gruppo di sette illustri credenti che, essendo poveri, abitavano in un'unica stanzetta. Si reggevano a malapena in piedi, ma erano così spirituali, così beati, che pensavano di essere in Paradiso. Talvolta cantavano preghiere tutta la notte fino al

levar del mattino. Di giorno si recavano al lavoro e la sera chi aveva guadagnato dieci para, chi forse venti, chi quaranta o cinquanta. L'intera somma veniva spesa per il pasto serale. Una volta uno di loro racimolò venti para, ma gli altri non avevano nulla. L'amico che aveva il denaro comperò un po' di datteri e li condivise con gli altri e quella fu la cena per sette persone. Eppure erano perfettamente soddisfatti della loro vita frugale, sommamente felici.

Questi due uomini onorati dedicarono i loro giorni a tutto ciò che v'è di meglio nella vita umana: avevano occhi veggenti, erano memori e consapevoli; avevano orecchie attente, erano equi nel parlare. Il loro unico desiderio era quello di compiacere Bahá’u’lláh. Nulla era per loro un dono, tranne il servizio alla Santa Soglia. Dopo il tempo della Suprema Afflizione, furono consumati dal dolore, come ceri che si van sMirzando; anelarono alla morte e rimasero incrollabili nel Patto e lavorarono duramente e bene per divulgare la Fede di quell'Astro. Furono intimi e fidi compagni di 'Abdu’l-Bahá, si poteva sempre contare su di loro. Furono sempre modesti, umili, senza pretese, delicati. Per tutto quel lungo periodo non pronunziarono mai una sola parola che avesse a che fare con l'io.

E alla fine, durante l'assenza di 'Abdu’l-Bahá spiccarono il volo verso il Reame di gloria imperitura. Mi rammaricai molto di non essere con loro, quando morirono. Sia pur assente nel corpo, nel cuore ero lì e li piansi; ma alle apparenze non mi congedai da loro; ecco perché mi dolgo.

A entrambi saluti e lode; a loro pietà e gloria. Conceda loro Iddio una dimora in Paradiso, all'ombra dell'Albero di Loto. Siano immersi in cortine di luce, vicini al loro Signore, il Possente, l'Onnipotente.

PIDAR-JÁN DI QAZVÍN

Fra i credenti che emigrarono fa Baghdád c'era il defunto Pidar-Ján. Era un vecchio devoto innamorato del Diletto, nel giardino del divino amore era come una rosa in pieno fiore. Giunse a Baghdád e vi trascorse i suoi giorni e le sue notti, volgendo lo spirito a Dio e cantando preghiere; e sebbene camminasse sulla terra, si muoveva nelle altezze dei Cieli.

Per obbedire alla legge di Dio, non avendo nulla, si mise nel commercio. Infagottava alcune paia di calze, le poneva sotto il braccio e le offriva in vendita mentre girava per le strade e i bazar e a volte i ladri gli rubavano la merce. Alla fine fu obbligato a camminare tenendo le calze sulle palme tese. Ma si mise a recitare preghiere e un giorno ebbe la sorpresa di accorgersi che gli avevano rubato sotto gli occhi le calze che teneva stese sulle mani. La sua consapevolezza di questo mondo era offuscata, perché viaggiava nell'altro. Era in estasi, un uomo ebbro, abbagliato.

Ecco come visse in 'Iráq per qualche tempo. Quasi tutti i giorni veniva ammesso alla presenza di Bahá’u’lláh. Il suo nome era 'Abdu’lláh, ma gli amici lo soprannominarono Pidar-Ján, Padre Caro, perché, per tutti loro, era un padre affettuoso. Infine, nella cura protettrice di Bahá’u’lláh, spiccò il volo verso il "seggio di verità, al cospetto del potente re".24

Iddio renda fragrante il suo sepolcro con le scroscianti piogge della Sua misericordia e lo guardi con l'occhio della compassione divina. A lui saluti e lode.

SHAYKH SÁDIQ-I-YAZDÍ

Un altro di coloro che emigrarono a Baghdád fu Shaykh Sádiq di Yazd, uomo stimato e giusto, proprio come dice il suo nome Sádiq.25 Era una palma svettante nei boschi del Cielo, una stella fiammeggiante nei cieli dell'amor di Dio.

Fu durante il periodo iracheno ch'egli corse anelante alla presenza di Bahá’u’lláh. Il suo distacco dalle cose di questo mondo e il suo attaccamento alla vita dello spirito sono indescrivibili. Era amore incarnato, tenerezza personificata. Notte e giorno celebrava Iddio. Completamente inconsapevole di questo mondo e di ciò che vi si trova, pensava sempre a Dio, rimanendo immerso in suppliche e preghiere. Il più delle volte gli scorrevano lacrime dagli occhi. La Bellezza Benedetta lo scelse per concedergli una speciale benevolenza e ogni qual volta rivolgeva la Sua attenzione a Sádiq, la Sua tenerezza era palese.

Un giorno vennero a dirci che Sádiq era in punto di morte. Andai al suo capezzale e lo trovai che stava per esalare l'ultimo respiro. Soffriva di ileo, un tipo di dolore e gonfiore

addominale. Corsi da Bahá’u’lláh e Gli descrissi il suo stato.

“ Va’ ” mi disse “ imponi la mano sull'enfiagione e pronuncia le parole ‘Tu il Sanatore!’ ”.26

Tornai indietro. Vidi che la parte colpita si era tumefatta assumendo le dimensioni di una mela; dura come pietra, in continuo movimento, si contorceva e si attorcigliava su se stessa come una serpe. Imposi la mano, mi rivolsi a Dio e, supplicandoLo umilmente, ripetei le parole: “ Tu Risanatore! ”. Immediatamente il malato si rialzò. L'ileo scomparve, il gonfiore era rimosso.

Quello spirito personificato visse contento in 'Iráq fino al giorno in cui il corteo di Bahá’u’lláh si mosse da Baghdád. Com'era stato comandato, Sádiq rimase in città. Ma il desiderio palpitava in lui tanto appassionato che, dopo l'arrivo di Bahá’u’lláh a Mosul, egli non fu più capace di sopportare la separazione. Senza scarpe e copricapo, corse accanto al corriere diretto a Mosul; corse e corse finché, su quella pianura desolata, la misericordia tutto attorno a lui, trovò eterno riposo.

Gli dia da bere Iddio da " una coppa, il cui licore sarà miscelato di Canfora "27 e riversi sulla sua tomba acque cristalline; Iddio profumi di muschio le sue ceneri in quel deserto e vi effonda luce schiera a schiera.

SHÁH-MUHAMMAD-AMÍN

Sháh-Muhammad, soprannominato Amín, il Fido, fu tra i primi credenti e tra i più profondamente innamorati. Nel fiore della giovinezza, aveva udito l'appello divino e volto il viso verso il Regno. Si era strappato dagli occhi i veli delle vane supposizioni e aveva ottenuto ciò che il suo cuore desiderava. Non lo distolsero né le fantasticherie in voga fra la gente né le rampogne cui fu fatto segno. Imperturbato, resistette e affrontò un mare di tribolazioni; incrollabile per la forza del giorno dell'Avvento, affrontò coloro che cercavano di ostacolarlo e di sbarrargli la via. Più dubbi cercavano d'insinuargli nella mente, più forte diventava; maggiori i tormenti, maggiore il suo progresso. Era prigioniero del volto di Dio, asservito dalla beltà del Gloriosissimo, fiamma d'amor di Dio, fonte zampillante del Suo sapere.

Nel suo cuore bruciava l'amore, sì che non aveva pace; e quando non poté sopportare oltre l'assenza dell'Amato, lasciò la terra natia, la provincia di Yazd. Trovò le sabbie del deserto quali seta sotto i piedi; lieve come alito di vento, valicò montagne e attraversò pianure sconfinate, finché non si fermò alla soglia del suo Amore. Si era liberato dalla trappola della separazione e, in 'Iráq, ebbe accesso alla presenza di Bahá’u’lláh.

Una volta giunto nella casa del Diletto dell’umanità, fu svuotato da ogni pensiero, liberato da ogni cura e divenne

oggetto di favori e grazie sconfinati. Trascorse alcuni giorni in 'Iráq e gli fu detto di ritornare in Persia. Vi rimase per un certo tempo, frequentando i credenti e il suo puro alito li ridestò tutti uno per uno, sì che ciascuno anelò alla Fede e divenne sempre più irrequieto e impaziente.

Arrivò poi alla Più Grande Prigione con Mirza Abu'l-Hasan, il secondo Amín. Durante il viaggio, incontrò grandi difficoltà, perché era assai difficile entrare nella prigione. Alla fine, fu ricevuto da Bahá’u’lláh nei bagni pubblici. Ma Mirza Abu’l-Hasan fu così sopraffatto dalla maestosa presenza del suo Signore, che vacillò, incespicò e stramazzò al suolo, si ferì al capo e ne uscì sangue.

Amín cioè Sháh-Muhammad, ebbe l'onore d'essere soprannominato il Fido e gli furono elargiti abbondanti doni. Pieno di amore e zelo, portando con sé alcune Tavole di Bahá’u’lláh, fece ritorno in Persia, dove, meritevole sempre di fiducia, lavorò per la Causa. I suoi servigi furono importanti e fu una vera consolazione per il cuore dei credenti. Non c'era nessuno che potesse essergli paragonato per energia, entusiasmo e ardore e nessuno rese servigi che potessero eguagliare i suoi. Era porto sicuro fra la gente, noto in ogni luogo per la sua devozione alla Santa Soglia, acclamato dappertutto dagli amici.

Non si concesse un solo istante di riposo. Non trascorse neppure una notte su comodo giaciglio, né pose mai la testa su un soffice cuscino. Andava sempre di volata veleggiava come gli uccelli, correva come un daino, dimorava nel deserto dell’unità, solo e veloce. A tutti i credenti portava gioia, lieta novella per tutti era il suo arrivo; per ogni ricercatore era segno e pegno. Era innamorato di Dio, vagabondo nel deserto dell'amor di Dio. Come il vento sfiorava le pianure e in cima alle alture era irrequieto. Ogni giorno era in un paese diverso e al calar della sera in un'altra terra ancora. Non riposò mai, né mai sostò. Si levò sempre pronto a servire.

Ma poi fu preso prigioniero nell'Ádhirbáyján, nella città di Míyándu'áb. Cadde nelle mani di certi curdi crudeli, una banda ostile che non fece domande a quell'uomo innocente e indifeso. Persuasi che quello straniero, come altri forestieri, osteggiasse il popolo curdo, e non ravvisando in lui valore alcuno, lo uccisero.

Quando la notizia del suo martirio raggiunse la Prigione, tutti i prigionieri si dolsero e lo piansero, rassegnato a Dio e indifeso qual era nella sua ultima ora. Persino sul volto di Bahá’u’lláh erano evidenti i segni del dolore. Una Tavola d'infinita tenerezza fu rivelata dalla Penna Suprema, per commemorare l'uomo che morì su quella pianura funesta e per lui furono poi inviate molte altre Tavole.

Oggi, egli dimora nei fulgidi Cieli, all'ombra della misericordia di Dio. Conversa con gli uccelli della santità e nell'assemblea degli splendori è immerso nella luce. Il ricordo e la lode di lui rimarranno sino alla fine dei tempi nelle pagine dei libri e sulle lingue e sulle labbra degli uomini.

A lui saluti e lode, a lui la gloria del Gloriosissimo, a lui la suprema misericordia di Dio.

MASHHADÍ FATTÁH

Mashhadí Fattáh era spirito personificato, pura devozione. Fratello di Hájí 'Alí-'Askar, dello stesso puro lignaggio, giunse alla Fede tramite lui. Come i gemelli, Castore e Polluce, i due erano sempre assieme, entrambi illuminati dalla luce della fede.

Erano uniti in tutto come una coppia; condividevano cer-tezza e fede, la medesima coscienza e lasciarono

l'Ádhirbáyján per Adrianopoli, emigrando contemporanea-mente. In ogni circostanza della loro vita vissero come una persona sola: indole, mete, religione, carattere, comporta-mento, fede, certezza, conoscenza - in tutto erano uniti. Anche nella Più Grande Prigione stavano sempre assieme.

Mashhadí Fattáh possedeva un po' di merce: era tutto ciò che aveva al mondo. L'aveva affidata a certe persone di Adrianopoli; e poi quei malvagi se ne disfecero. Così, sulla via di Dio, egli perse tutto ciò che aveva. Trascorse i suoi giorni nella Più Grande Prigione perfettamente soddisfatto. Era pura abnegazione; da lui nessuno mai udì una sola sillaba che indicasse ch'esisteva. Se ne stava sempre in un canto della prigione, a meditare in silenzio, occupato nella rimembranza di Dio, lo spirito sempre vigile e attento, in atteggiamento di preghiera.

Poi sopravvenne la Suprema Afflizione. Egli non poté sopportare l'angoscia della separazione da Bahá’u’lláh e dopo il Suo trapasso morì di dolore. Benedetto e ancora benedetto. Liete novelle e ancora liete novelle per lui. A lui la gloria del Gloriosissimo.

NABÍL DI QÁ’IN

Quest'illustre uomo, Mullá Muhammad-'Alí28 fu di coloro i cui cuori furono attratti a Bahá’u’lláh prima della Dichiarazione del Báb; fu allora che bevve il rosso vino del

sapere dalle mani del Coppiere della grazia. Accadde che un principe, figlio di Mír Asadu'lláh Khán, principe di Qá’in, ebbe l'ordine di rimanere a Tihrán come ostaggio politico. Era giovane, lontano dal suo amorevole padre e Mullá Muhammad-’Alí fu suo tutore e custode. Poiché il giovane era forestiero a Tihrán, la Bellezza Benedetta gli mostrò una speciale gentilezza. Molte notti il giovane principe fu ospite di Bahá’u’lláh nella magione e Mullá Muhammad-'Alí soleva accompagnarlo. Questo avvenne prima della Dichiarazione del Báb.

Fu allora che questo monarca di tutti gli amici fidati fu conquistato da Bahá’u’lláh e, dovunque andasse, Ne tesseva amorevoli elogi. Secondo il costume dell'Islam, raccontava anche i grandi miracoli che aveva visto con i suoi stessi occhi compiere da Bahá’u’lláh e le meraviglie che aveva udito. Era in estasi, infiammato d'amore. In quella condizione fece ritorno a Qá’in con il principe.

Successivamente, Áqá Muhammad di Qá’in, l'eminente studioso, (il cui titolo era Nabíl-i-Akbar) fu fatto mujtahid, dottore della legge religiosa, dal defunto Shaykh Murtadá; poi parti per Baghdád, divenne ardente seguace di Bahá’u’lláh e fece subito ritorno in Persia. I più grandi teologi e mujtahid conoscevano e riconoscevano i suoi grandi talenti di studioso, la vastità della sua cultura e il suo alto rango. Giunto a Qá’in, incominciò a divulgare apertamente la nuova Fede. Appena udì il nome della Bellezza Benedetta, Mullá Muhammad-’Alí accettò immediatamente il Báb. "Ho avuto l'onore d'incontrare la Bellezza Benedetta a Tihrán" disse. "Dall'istante in cui Lo vidi, Ne divenni schiavo".

Quest'uomo di grande talento e nobili sentimenti incominciò a insegnare la Fede nel suo villaggio Sar-Cháh. Convertì la sua famiglia e provvide anche ad altri, portando una grande moltitudine sotto la legge dell'amor di Dio, conducendo tutti sulla via della salvezza.

Fino a quel momento era sempre stato intimo amico di Mir

'Alam Khán il Governatore di Qá’in, gli aveva reso importanti servizi e aveva goduto del suo rispetto e della sua fiducia. Ora quel principe impudente si scagliò furibondo contro di lui a causa della sua religione, confiscò e depredò le sue proprietà, perché l'Amír aveva terrore di Násiri’d-Dín Sháh. Bandì Nabíl-i-Akbar e mandò in rovina Nabíl di Qá’in. Dopo averlo gettato in prigione e torturato, lo scacciò, vagabondo e senza tetto.

Per Nabíl quella calamità improvvisa fu una benedizione, il saccheggio del suoi beni terreni, l'espulsione nel deserto furono corona di re e il massimo favore che Dio potesse concedergli. Per qualche tempo rimase a Tihrán, povero all'apparenza, senza fissa dimora, ma gioioso nell'intimo, perché questa è la caratteristica delle anime salde nel Patto.

Era introdotto nella società dei grandi e conosceva la condizione dei vari principi. Pertanto ne frequentò alcuni e annunziò loro il messaggio. Fu consolazione per il cuore dei credenti e spada sguainata per i nemici di Bahá’u’lláh. Fu uno di coloro dei quali leggiamo nel Corano: "Combattenti sulla via di Dio, impavidi di fronte ad ogni biasimo".29 Giorno e notte si affaticò per promuovere la Fede e con tutta la sua forza divulgò dappertutto i chiari segni di Dio. Bevve ripetutamente il vino dell'amor di Dio, fu rumoreggiante come nubi tempestose, sempre in moto come le onde del mare.

Gli giunse poi il permesso di visitare la Più Grande Prigione, perché a Tihrán, in quanto credente, era ormai un uomo segnato. Tutti sapevano della sua conversione. Non era né cauto né paziente né riservato; non si curava di reticenza né di dissimulazione. Era del tutto intrepido e in grave pericolo.

Quando arrivò nella Più Grande Prigione, le sentinelle osti-li lo cacciarono via e per quanto cercasse non trovò modo di entrare. Fu costretto a partire per Nazareth, dove visse per qualche tempo straniero, solo coi suoi due figli, Áqá Qulám-Husayn e Áqá 'Alí-Akbar, dolendosi e pregando. Alla fine fu

preparato un piano per introdurlo nella fortezza ed egli fu convocato nella prigione dove avevano rinchiuso gli innocenti. Venne in un'estasi tale da non potersi descrivere e fu ammesso alla presenza di Bahá’u’lláh. Quando entrò e alzò gli occhi verso la Bellezza Benedetta, tremò e vacillò e cadde esanime al suolo. Bahá’u’lláh gli rivolse parole di tenera benevolenza ed egli si rialzò. Trascorse alcuni giorni nascosto nella caserma, poi ritornò a Nazareth.

Gli abitanti di Nazareth si meravigliavano molto di lui. Correva voce che nel suo paese egli fosse ovviamente un uomo grande e illustre, un notabile d'alto rango e la gente si chiedeva perché mai avesse scelto un remoto angolo del mondo come Nazareth e come facesse ad accontentarsi di tale povertà e ristrettezza.

Quando, in adempimento della promessa del Più Grande Nome, le porte della Prigione si spalancarono e tutti gli amici e i viaggiatori poterono entrare e uscire dalla cittadella in pace e rispettati, Nabíl di Qá’in si metteva in viaggio per vedere Bahá’u’lláh una volta al mese. Ma, come Egli aveva comandato, continuò a vivere a Nazareth, dove converti alla Fede un certo numero di Cristiani, e lì piangeva, giorno e notte, per i torti fatti a Bahá’u’lláh.

I suoi mezzi di sostentamento erano la sua società in affari con me. Cioè io gli detti un capitale di tre kran,30 egli acquistò un po' di aghi e questa era la sua merce. Le donne di Nazareth in cambio degli aghi gli davano uova e così ricavava trenta o quaranta uova al giorno: tre aghi per un uovo. Poi vendeva le uova e viveva del ricavato. Poiché tra 'Akká e Nazareth c'era tutti i giorni una carovana, ogni giorno si rivolgeva ad Áqá Ridá per avere altri aghi. Gloria a Dio! Sopravvisse per due anni con quel capitale iniziale e ringraziava sempre. È possibile dire quanto fosse distaccato da questo solo fatto: i Nazareni dicevano che dalle sue maniere e dal suo contegno era facile

accorgersi che quel vecchio era molto ricco e che, se viveva così modestamente, era solo perché era straniero in terra straniera. Vivendo come venditore ambulante di aghi, nascondeva la sua ricchezza.

Ogni qual volta giungeva alla presenza di Bahá’u’lláh, riceveva ulteriori segni di favore e amore. Fu mio intimo amico e compagno di tutte le stagioni. Quando i dispiaceri mi assalivano, lo mandavo a chiamare e allora mi rallegravo al solo rivederlo. Quale meraviglioso eloquio, quale affascinante compagnia. Il volto luminoso, il cuore libero, disciolto da ogni vincolo terreno, sempre sulle ali. Verso la fine prese dimora nella Più Grande Prigione e ogni giorno entrava alla presenza di Bahá’u’lláh.

Un giorno, mentre camminava per il bazar con gli amici, incontrò un necroforo di nome Hájí Ahmad. Quantunque stesse assai bene di salute, gli si rivolse dicendo scherzosamente: "Vieni con me!". Accompagnato dai credenti e dal necroforo si diresse verso Nabíyu'lláh Sálih. Qui disse: "Hájí Ahmad, ho una richiesta da farti: quando me ne andrò da questo mondo nell'altro, scava qui la mia fossa, accanto al Purissimo Ramo.31 Ecco il favore che ti chiedo". Così dicendo, porse all'uomo un regalo in denaro.

La sera stessa, poco dopo il tramonto, giunse la notizia che Nabíl di Qá’in era caduto ammalato. Andai subito a casa sua. Era seduto e stava conversando. Era radioso, sorridente, scherzoso, ma senza nessuna ragione apparente il sudore gli colava dal volto, grondava a profusione. A parte questo non aveva nulla. La traspirazione continuò; s’indebolì, si mise a letto e verso mattina morì.

Bahá’u’lláh parlava di lui con infinita grazia e benevolenza e in suo nome rivelò alcune Tavole. Dopo il trapasso di Nabíl, la Bellezza Benedetta soleva ricordare il suo ardore, la forza

della sua fede e commentava che quell'uomo Lo aveva riconosciuto prima dell'avvento del Báb.

Salute a lui per questa meravigliosa elargizione. "A lui fortuna, a lui ritorno buono ... E Dio trasceglie per la Sua misericordia chi Egli vuole".32

SIYYID MUHAMMAD-TAQÍ MANSHÁDÍ

Muhammad-Taqí proveniva dal villaggio di Manshád. Sentì parlare della Fede di Dio quand'era ancora giovane. In una santa estasi, la sua mente si volse verso il Cielo e il suo cuore fu inondato di luce. La grazia divina discese su di lui; l'appello di Dio lo rapì tanto che gettò al vento la pace di Manshád. Abbandonati parenti e figli, attraversò montagne e pianure deserte, passò di tappa in tappa, raggiunse la costa, attraversò il mare e finalmente arrivò nella città di Haifa. Da qui accorse ad 'Akká ed ebbe accesso alla presenza di Bahá’u’lláh.

In quei primi giorni aprì una botteguccia a Haifa e impiantò un modesto giro d'affari. La grazia di Dio discese su di lui e il suo commercio prosperò. Quell'angoletto divenne un porto di pellegrini. All'arrivo e poi ancora alla partenza erano ospiti del nobile e generoso Muhammad-Taqí. Inoltre aiutava i credenti a gestire i propri affari e racimolava loro il

necessario per il viaggio. Si dimostrò immancabilmente credi-bile, leale, degno di fiducia. Alla fine divenne l'intermediario attraverso il quale era possibile spedire Tavole ai credenti e riceverne la posta. Provvide a questo servizio con perfetta attendibilità, svolgendolo in modo assai soddisfacente, sempre scrupoloso nello spedire e nel ricevere la corrispondenza. Godendo della fiducia di tutti, divenne noto in molte parti del mondo e ricevette infinite elargizioni da Bahá’u’lláh. Era un tesoro di giustizia e probità, completamente libero da ogni attaccamento alle cose del mondo. Si era abituato a una vita molto frugale, incurante del cibo o del sonno, degli agi o della pace. Viveva tutto solo in un'unica stanza, passava la notte su un giaciglio di fronde di palma e dormiva in un cantuccio. Ma per i viaggiatori, era sorgente nel deserto; per loro aveva in serbo i più soffici cuscini e il miglior desco che potesse permettersi. Aveva volto sorridente e natura spirituale e serena.

Tramontato l'Astro delle Schiere Celesti, Siyyid Manshádí rimase leale al Patto, una spada affilata di fronte ai violatori. Essi tentarono ogni stratagemma, ogni inganno, ogni più sottile espediente; è impossibile immaginare i favori che profusero su di lui, gli onori che gli accordarono, le feste che gli prepararono, i piaceri che gli offrirono; tutto per far breccia nella sua fede. Ma egli divenne più forte che mai, continuò a essere incrollabile e sincero, libero da ogni pensiero sconveniente e schivò chiunque si opponesse al Patto di Dio. Quando finalmente persero la speranza di scuotere la sua fede, lo vessarono in ogni possibile maniera e tramarono la sua rovina economica. Ma egli rimase la quintessenza della costanza e della fiducia.

Quando, per istigazione dei violatori, 'Abdu’l-Hamíd incominciò la sua opposizione contro di me, fui obbligato a mandare Manshádí ormai ben noto fra la gente come distributore della nostra posta, a Porto Said. Dovetti dunque fargli pervenire la corrispondenza per mezzo di intermediari che fossero sconosciuti ed egli inoltrava le lettere come prima. In questo

modo gli infidi e gli ostili non riuscirono ad appropriarsene. Durante gli ultimi giorni di 'Abdu’l-Hamíd, allorché si presentò una commissione di inchiesta che, istigata da quegli amici ora nemici, progettava di sradicare l'Albero Sacro; quando decisero di gettarmi in fondo al mare o di esiliarmi nel Fezzan, e tale era la loro precisa intenzione; e quando la commissione, conseguentemente, fece di tutto per impadronirsi di un documento o altro, essi fallirono. In tutto quel trambusto, con tutte le pressioni e le restrizioni e gli infami attacchi di costoro, spietati come Yazíd,33 la posta riuscì a passare ugualmente.

Per lunghi anni, Siyyid Manshádí svolse degnamente questo servizio a Porto Said. Gli amici erano tutti ugualmente contenti di lui. In quella città si guadagnò la gratitudine dei viaggiatori, mise in debito verso di sé coloro che erano emigrati, arrecò gioia ai credenti locali. Poi il gran caldo dell'Egitto fu troppo per lui; si mise a letto e, rovente di febbre, si spogliò del manto della vita. Abbandonò Porto Said per il Regno dei Cieli e assurse alle magioni del Signore.

Siyyid Manshádí fu essenza di virtù e intelletto. Le sue qualità e le sue doti furono tali da stupire le menti più raffinate. Non ebbe altro pensiero fuorché Dio, altra speranza se non quella di ottenere il beneplacito di Dio. Fu la personificazione di “Fa' che tutte le mie canzoni siano un'unica lode di Te; mantienimi perennemente fedele al Tuo servizio”.

Rinfreschi Iddio la sua bruciante pena con la grazia del ricongiungimento nel Regno e guarisca la sua malattia con il balsamo della Sua vicinanza nel Reame del Più Leggiadro. A lui la gloria di Dio, il Più Glorioso.

MUHAMMAD-‘ALÍ SABBÁQ DI YAZD

Muhammad-’Alí Sabbáq divenne credente nella prima giovinezza, mentre era in 'Iráq. Strappò via veli e ingombranti dubbi, sfuggì alle delusioni e si affrettò a raggiungere l'accogliente asilo del Signore dei Signori. Esteriormente uomo privo d'istruzione, infatti non sapeva né leggere né scrivere, fu d'acuto intelletto e amico fidato. Grazie a uno dei credenti fu condotto alla presenza di Bahá’u’lláh e divenne subito arcinoto al pubblico come discepolo. Si trovò un cantuccio in cui vivere, vicino alla casa della Bellezza Benedetta, e la mattina e la sera accedeva alla presenza di Bahá’u’lláh. Per un certo tempo fu estremamente felice.

Quando Bahá’u’lláh e il Suo seguito lasciarono Baghdád per Costantinopoli, Áqá Muhammad-'Alí era nel gruppo e arse della febbre dell'amor di Dio. Arrivammo a Costantinopoli e avendoci il Governo imposto di sistemarci ad Adrianopoli, lasciammo Muhammad-’Alí nella capitale turca per assistere i credenti che andavano e venivano per la città. Ci recammo poi ad Adrianopoli. Quest'uomo rimase solo e soffri grandi dolori, perché non aveva né amico né compagno né alcuno che si curasse di lui.

Trascorsi così due anni, venne ad Adrianopoli cercando asilo nella benevolenza di Bahá’u’lláh. Si mise a lavorare come venditore ambulante e quando incominciò la grande

ribellione34 e gli oppressori trascinarono gli amici agli estremi della sventura, anche lui fu tra i prigionieri e fu esiliato con noi nella cittadella di 'Akká.

Trascorse lungo tempo nella Più Grande Prigione; ma poi Bahá’u’lláh volle ch'egli partisse per Sidone, dove si dedicò al commercio. Talvolta ritornava e Bahá’u’lláh lo riceveva, altrimenti stava a Sidone. Visse rispettato e stimato, un vanto per tutti. Quando ci sopraggiunse la Suprema Afflizione, egli fece ritorno ad 'Akká e trascorse il resto dei suoi giorni presso la Santa Tomba.

Tutti gli amici erano contenti di lui ed egli era benvoluto alla Santa Soglia; in questo stato spiccò il volo verso l'eterna gloria, lasciando i familiari nel cordoglio. Fu un uomo gentile, eccellente, pago di ciò che Dio volle per lui, grato, dignitoso, paziente. A lui la gloria del Gloriosissimo. Mandi Iddio sulla sua fragrante tomba ad 'Akká cortine di luce celestiale.

'ABDU’L-GHAFFÁR DI ISFÁHÁN

Un altro di coloro che lasciarono la patria per diventare nostri vicini e compagni di prigionia fu 'Abdu’l-Ghaffár di Isfáhán. Uomo altamente intuitivo, per molti anni aveva viaggiato in Asia Minore per affari commerciali. Si recò in 'Iráq, dove Áqá Muhammad-'Alí di Sád (Isfáhán) lo introdusse nell'asilo della Fede. Strappò subito via le bende delle illusioni che prima gli avevano accecato gli occhi e si innalzò spiccando il volo verso la salvezza nel Paradiso del divino amore. In lui il velo era stato sottile, quasi trasparente, ecco perché, non appena la prima parola fu detta, immediatamente fu liberato dal mondo del vano immaginare e si aggrappò a Colui Che è chiaro alla vista.

Durante il viaggio dall'Iráq alla Grande Città, Costantinopoli, 'Abdu’l-Ghaffár fu amico intimo e amabile. Giacché parlava un eccellente turco, lingua che nessuno degli amici conosceva bene, fece l'interprete per l'intera compagnia. Il viaggio si concluse pacificamente e poi, nella Grande Città, continuò a essere compagno e amico. Altrettanto fece ad Adrianopoli e anche quando, prigioniero, ci accompagnò nella città di Haifa.

Qui gli oppressori decisero di mandarlo a Cipro. Era atter-

rito e chiese disperatamente aiuto, perché desiderava restare con noi nella Più Grande Prígíone.35 Quando lo portarono via di forza, si gettò in mare dall'alto della nave. Questo non sorti alcun effetto sui brutali ufficiali. Ripescatolo dall'acqua, lo imprigionarono sulla nave, trattenendolo crudelmente e trascinandolo di forza a Cipro. Fu incarcerato a Famagosta, ma in un modo o nell'altro riuscì a fuggire e corse ad 'Akká. Qui per proteggersi dalla malvagità dei nostri oppressori si cambiò il nome in 'Abdu’lláh. Protetto dalla benevolenza di Bahá’u’lláh, trascorse i suoi giorni tranquillo e felice.

Ma quando la grande Luce del mondo tramontò per risplendere per sempre dal Luminosissimo Orizzonte, 'Abdu’l-Ghaffár uscì di senno e cadde in preda all'angoscia. Non aveva più casa. Partì per Damasco e vi rimase per un certo tempo, chiuso nel dolore, giorno e notte in cordoglio. Divenne sempre più debole. Gli mandammo Hájí 'Abbás perché lo nutrisse, accudisse e curasse e ce ne facesse avere notizie ogni giorno. Ma 'Abdu’l-Ghaffár non faceva altro che parlare, incessantemente, tutti i momenti, con il suo infermiere, dicendogli che desiderava andarsene nella misteriosa terra dell’aldilà. E alla fine, lontano da casa, esiliato dal suo Amore, partì verso la Santa Soglia di Bahá’u’lláh.

Fu un uomo veramente paziente e mite, di buon carattere, buone azioni e buone parole. A lui saluti e lode e la gloria del Gloriosissimo. La sua tomba profumata si trova a Damasco.

'ALÍ NAJAF-ÁBÁDÍ

Fra gli emigranti e i vicini vi fu anche Áqá 'Alí Najaf-Ábádí. Questo giovane spirituale, appena senti l'appello di Dio, accostò le labbra alla santa coppa e vide la gloria dell'Interlocutore del Monte. E quando ebbe conseguita, per grazia della luce, la conoscenza positiva, si recò nella Più Grande Prigione, dove vide la sostanza del sapere e conseguì l'alto stadio dell'indubitabile verità.

Si trattenne a lungo nella sacra città o nei suoi pressi; divenne il proverbiale Habíbu’lláh, il Mercante, e trascorse i suoi giorni confidando in Dio, fra suppliche e preghiere. Era uomo mite, tranquillo, paziente, incrollabile, in tutte le cose piacevole, degno di lode. Meritò l'approvazione di tutti gli amici e fu ben voluto e gradito presso la Santa Soglia. Negli ultimi giorni, quando sentì che lo attendeva una fine felice, si ripresentò alla santa città della Più Grande Prigione. Appena arrivato, cadde ammalato, s’indebolì, trascorse le ore supplicando Iddio. Lo spirito della vita cessò dentro di lui, le porte del volo verso il Regno supremo si spalancarono; ed egli distolse gli occhi da questo mondo di polvere e andò avanti verso il Santo Luogo.

'Alí Najaf-Ábádí ebbe cuore tenero e sensibile, ricordò e menzionò sempre Dio e verso la fine della vita fu distaccato, senza macchia, libero dal contagio di questo mondo. Rinunziò

dolcemente al suo angolo terreno e piantò la tenda nel paese dell’aldilà. Gli mandi Iddio i puri aromi del perdono, illumini i suoi occhi con la visione della Bellezza Divina nel Regno degli Splendori e rinfreschi il suo spirito con i venti muschiati che spirano dal Regno di Abhá. A lui saluti e lode. Le sue dolci e sante ceneri riposano ad 'Akká.

MASHHADÍ HUSAYN
E MASHHADÍ MUHAMMAD-I-ÁDHIRBÁYJÁNÍ

Mashhadí Husayn e Mashhadí Muhammad, provenivano entrambi dalla provincia dell'Ádhírbáyján. Erano anime pure e fecero il gran passo nel loro paese: si liberarono da amici ed estranei, rifuggirono le superstizioni che prima li avevano accecati, si rafforzarono nella loro decisione e s'inchinarono dinanzi alla grazia di Dio, il Signore della Vita. Erano anime benedette, leali, di immacolata fede, delicate, sottomesse, poverelle, paghe della volontà di Dio, innamorate della Sua Luce di guida, giubilanti per il grande messaggio. Lasciarono la provincia e si recarono ad Adrianopoli. Qui vissero per un certo tempo nel villaggio di Qumruq-Kilísá, nei pressi della santa città. Di giorno supplicavano Dio e comunicavano con Lui; di notte piangevano lamentando la sorte di Colui Che il mondo ha vilipeso.

Quando arrivò il giorno dell'esilio per 'Akká, non erano in

città e perciò non furono arrestati. Il cuore pesante, rimasero nella zona, piangenti. Appena ebbero notizie precise da 'Akká, lasciarono la Rumelia e vennero qui: due anime eccellenti, leali servitori della Bellezza Benedetta. È impossibile descrivere la trasparenza del loro cuore, la fermezza della loro fede.

Vivevano alla periferia di 'Akká a Bágh-i-Firdaws, facevano i contadini e trascorrevano i giorni rendendo grazie a Dio perché ancora una volta avevano trovato la strada verso la vicinanza della grazia e dell'amore. Ma, nati nell'Ádhirbáyján, erano abituati al fresco e non sopportavano il caldo di quel luogo. Inoltre questo accadeva durante i primi tempi di 'Akká, quando l'aria era malsana e l'acqua molto corrotta. Entrambi contrassero una grave febbre cronica. La sopportarono di buon animo, con straordinaria pazienza. Durante i giorni della malattia, malgrado gli accessi febbrili, la violenza del morbo, la sete ardente, l’impossibilità di riposare, rimasero interiormente in pace, lieti per la divina buona novella. E mentre con tutto il cuore rendevano grazie, se ne andarono da questo mondo ed entrarono nell'altro; fuggirono da questa gabbia e furono liberati nel giardino dell’immortalità. A loro la misericordia di Dio, possa Egli compiacerSi di loro. A loro saluti e lode. Li conduca Iddio nel Regno che sempre permane, alla delizia del ricongiungimento con Lui, a bearsi nel Regno degli Splendori. Le loro due luminose tombe si trovano ad 'Akká.

HÁJÍ ‘ABDU’R-RAHÍM-I-YAZDÍ

Hájí 'Abdu'r-Rahím di Yazd era un'anima preziosa, sin dai primi anni virtuoso e timorato di Dio, noto fra la gente come un sant'uomo, incomparabile nell'osservanza dei doveri religiosi, attento nelle azioni. La sua forte fede religiosa era un fatto indiscutibile. Giorno e notte serviva e adorava Iddio, integro, mite, compassionevole, amico ideale.

Essendo pienamente preparato, nello stesso istante in cui sentì l'appello dall'Orizzonte Supremo - in cui udì il rullio del "Non son Io il vostro Signore?" - immediatamente gridò: "Si, lo sei". S'innamorò con tutto il suo essere degli splendori irradiati dalla Luce del Mondo. Apertamente e coraggiosamente incominciò a confermare la famiglia e gli amici. La cosa fu ben presto risaputa in tutta città; agli occhi dei malvagi 'ulamá era ora oggetto di odio e di disprezzo. Essendo incorso nella loro ira, fu disprezzato da quelle creature delle loro basse passioni. Fu molestato e tormentato; i cittadini tumultuarono e i malvagi 'ulamá tramarono la sua morte. Anche le autorità governative si scagliarono contro di lui, lo braccarono, lo torturarono. Lo bastonarono e lo fustigarono. E tutto ciò continuò giorno e notte.

Fu dunque costretto ad abbandonare la sua casa e ad andarsene dalla città, errabondo, scalando montagne, attraversando pianure, finché non giunse in Terra Santa. Ma era così debole

e consunto che chiunque lo vedesse pensava che fosse in fin di vita; quando arrivò a Haifa, Nabíl di Qá’in corse ad 'Akká e voleva che convocassi lo Hájí immediatamente, perché era agonizzante e presto si sarebbe spento.

"Lasciami andare alla Magione a chiedere licenza" dissi.

"Occorrerebbe troppo tempo" rispose. "E allora 'Abdu'r-Rahím non vedrebbe mai 'Akká. Desidero molto che abbia questa grazia: almeno vedere 'Akká e poi morire. Ti prego, mandalo a chiamare immediatamente!".

Assecondando il suo desiderio, invitai 'Abdu'r-Rahím. Quando arrivò, vi scorsi a malapena un alito di vita. Di tanto in tanto apriva gli occhi, ma non diceva parola. Eppure i dolci aromi della Più Grande Prigione riaccesero la scintilla della vita e la sua brama di incontrare Bahá’u’lláh infuse nuovamente in lui la vita. Lo andai a trovare l'indomani mattina e lo trovai allegro e rinvigorito. Chiese licenza di servire Bahá’u’lláh. "Dipende se te ne concede il permesso" risposi. "Se Dio vorrà, sarai prescelto per questo vagheggiato dono".

Qualche giorno più tardi giunse il permesso ed egli si recò immediatamente alla presenza di Bahá’u’lláh. Quando 'Abdu'r-Rahím entrò, lo spirito della vita fu alitato in lui. Al ritorno, era chiaro che questo Hájí era diventato un Hájí del tutto differente: era nel fiore della salute. Nabíl era stupefatto e disse: "L'aria di questa prigione dona la vita al vero credente!".

Per un certo tempo 'Abdu’r-Rahím visse nelle vicinanze. Trascorreva le ore ricordando e lodando Dio, cantava preghiere e osservava diligentemente gli obblighi religiosi. Perciò vedeva poca gente. Questo servo ebbe una speciale attenzione per le sue necessità e ordinò per lui una dieta leggera. Ma tutto finì con la Suprema Afflizione, l'ascensione di Bahá’u’lláh. Vi fu angoscia allora, e fragore di alti gemiti. Il cuore in fiamme, gli occhi inondati di lagrime, si sforzava debolmente di muoversi; così passarono i giorni ed egli desiderava sempre uscire da questo cumulo di rifiuti che è il mondo. Alla fine si strappò via dal tormento della sua perdita, se ne andò nel Regno di Dio e giunse nell'assemblea dello splendore divino nel Regno delle Luci.

A lui saluti e lode e ineffabile misericordia. Iddio versi sulla sua tomba raggi dal Regno misterioso.

HÁJÍ ‘ABDU’LLÁH NAJAF-ABÁDÍ

Divenuto credente, Hájí 'Abdu’lláh lasciò la natia Persia, accorse in Terra Santa e trovò la pace del cuore nell’asilo della grazia di Bahá’u’lláh. Era uomo fiducioso, incrollabile e saldo, certo delle infinite grazie di Dio, di ottimo temperamento e carattere.

Trascorse i suoi giorni in amichevole sodalizio con gli altri credenti. Poi soggiornò per qualche tempo a Ghawr, nei pressi di Tiberiade, dove fece il contadino, arando i campi e dedicando lungo tempo a supplicare Dio e a comunicare con Lui. Era un uomo eccellente, di nobili sentimenti e senza macchia.

In seguito ritornò da Ghawr, si sistemò vicino a Bahá’u’lláh, a Junayna, e spesso si recò alla Sua presenza. I suoi occhi erano sempre fissi sul Regno di Abhá; talvolta piangeva e gemeva, e di nuovo si rallegrava, lieto di aver realizzato il suo supremo desiderio. Era completamente distaccato da tutto fuorché Dio, felice nella grazia di Dio. Soleva vegliare quasi tutta la notte, immerso in preghiera. Poi all'ora stabilita venne la morte e trapassò al riparo della protezione di Bahá’u’lláh, fuggì da questo mondo di polvere nell'eccelso Firmamento, s'involò verso la segreta landa. A lui saluti, misericordia e lode, vicino al suo eccelso Signore.

MUHAMMAD-HÁDÍY-I-SAHHÁF

Un altro ancora di coloro che emigrarono e vennero a sistemarsi vicino a Bahá’u’lláh fu Muhammad-Hádí, il rilegatore. Questo uomo famoso proveniva da Isfáhán e, quanto a rilegare e miniare libri, non aveva uguali. Quando si abbandonò all'amore di Dio, fu vigile sulla via e intrepido. Lasciò la propria casa e intraprese un terribile viaggio, passando con estrema difficoltà da un paese all'altro finché giunse in Terra Santa e divenne prigioniero. Si sistemò presso la Santa Soglia, spazzandola con cura e facendo la guardia. Grazie ai suoi costanti sforzi, la piazza antistante la casa di Bahá’u’lláh era sempre scopata, inumidita e immacolata.

Bahá’u’lláh guardava spesso quel fazzoletto di terra e poi sorrideva dicendo: "Muhammad-Hádí ha trasformato la piazza antistante questa prigione nella pergola nuziale di una reggia. Ha recato gioia a tutti i vicini e ne ha meritato i ringraziamenti".

Dopo aver spazzato, inumidito e pulito, si metteva al lavoro miniando e rilegando vari libri e Tavole. Così trascorse i suoi giorni, il cuore felice alla presenza dell'Amato dell’umanità. Era un'anima eccellente, proba, sincera, degna della grazia di essere unito al suo Signore e libera dal contagio del mondo.

Un giorno venne da me a lamentarsi di una malattia cronica. "Ho brividi e febbre da due anni" disse. "I medici mi hanno prescritto purganti e chinino. La febbre mi passa per qualche giorno, ma poi ritorna. Allora mi somministrano altro chinino, ma la febbre ricompare. Sono stanco di questa vita e non riesco più a lavorare. Salvami!".

"Quale cibo ti piacerebbe di più?" gli chiesi. "Che cosa mangeresti con grande appetito?".

"Non lo so" rispose.

Elencai scherzosamente diversi piatti. Quando menzionai la minestra d'orzo con siero di latte (ásh-i-kashk), disse: "Benissimo! Ma a patto che vi sia dell'aglio soffritto".

Ordinai che gliela preparassero e me ne andai. L'indomani venne da me e mi disse: “Ho mangiato una scodella piena di minestra. Poi ho messo la testa sul cuscino e ho dormito tranquillo fino al mattino”.

In breve, da quel momento stette perfettamente bene per circa due anni.

Un giorno un credente venne da me e mi disse: "Muhammad-Hádí brucia di febbre". Corsi al suo capezzale e trovai che aveva la febbre a 42 gradi. Era quasi incosciente. "Che cos'ha fatto?" chiesi. "Quando gli è venuta la febbre" rispose-ro "ha detto che sapeva per esperienza che cosa avrebbe dovuto fare. Poi si è mangiato una scodella di minestra d'orzo con siero di latte e aglio soffritto. E questo è il risultato".

Rimasi attonito di fronte alle vie del destino. Dissi loro: "Due anni fa era stato purgato molto bene e aveva l'apparato libero; inoltre ne aveva un grande appetito e soffriva di febbre e brividi: per questo gli ho prescritto la minestra d'orzo. Ma questa volta, con i cibi differenti che aveva mangiato, senza appetito e sopra tutto con la febbre alta, non c'era ragione di diagnosticare la precedente condizione di cronicità. Come poteva mangiarla!". Risposero: "Era destino!". Le cose erano andate troppo oltre; Muhammad-Hádí era irrecuperabile.

Era uomo di statura piccola, ma di alto stadio e intelletto.

Aveva cuore puro, anima luminosa. Durante tutti quei giorni in cui servì la Santa Soglia, fu amato dagli amici e favorito da Dio. Di tanto in tanto, il sorriso sulle labbra, la Bellezza Benedetta gli parlava, esprimendo gentilezza e benevolenza.

Muhammad-Hádí fu sempre leale e reputò tutto ciò che non fosse il compiacimento di Dio invenzioni e fandonie, nient'altro. Benedetto lui per questo dono che gli è stato elargito, liete novelle a lui per il luogo dove sarà condotto; gli giovi questa coppa il cui liquore è miscelato alla fontana di Canfora, ottengano tutti i suoi sforzi gratitudine e siano graditi a Dio.36

Mirza MUHAMMAD-QULÍ

Jináb-i-Mirza Muhammad-Qulí era un fratello leale della Bellezza Benedetta.37 Questo grand'uomo era noto fin dalla fanciullezza per la nobiltà d'animo. Era appena nato quando il suo illustre genitore morì, e fu per questo che dall'inizio alla fine dei suoi giorni visse nell'abbraccio protettore di Bahá’u’lláh. Era distaccato da ogni pensiero egoistico, avverso a ogni discorso che non fosse di cose riguardanti la Santa Causa. In Persia fu allevato sotto la tutela di Bahá’u’lláh e così in 'Iráq, godendo del Suo favore speciale. Presente Bahá’u’lláh, era lui che serviva il tè e ogni momento, giorno e notte, accudì il Fratello. Stava sempre zitto. Si tenne sempre stretto al Patto del "Non son Io il vostro Signore?". Fu circondato dalla tenerezza e dalla generosità; notte e giorno ebbe libero accesso alla presenza di Bahá’u’lláh. Fu invariabilmente paziente e tollerante, finché alla fine non raggiunse le vette del favore e della benevolenza di Dio.

Mantenne sempre il proprio contegno. Viaggiò con il seguito di Bahá’u’lláh; rimase con il convoglio dall'Iráq fino a Costantinopoli e quando si faceva tappa era suo compito piantare le tende. Servì con la massima diligenza e non conobbe il significato dell'indolenza e della stanchezza. Anche a Costantinopoli, e poi nella Terra del Mistero, Adrianopoli, si mantenne sempre nella stessa immutata condizione.

Assieme al suo impareggiabile Signore, fu poi esiliato nella fortezza di 'Akká, condannato per ordine del Sultano a perpetua prigionia.38 E con lo stesso spirito accettò tutto ciò che gli accadde: agi e tormenti, pene e sollievo, malanni e salute; con belle parole, rendeva grazie alla Perfezione Benedetta per i Suoi doni, innalzando lodi con cuore libero e volto radioso come il sole. Ogni mattina e ogni sera, serviva Bahá’u’lláh, deliziandosi della Sua presenza e da essa sostenuto, e per lo più taceva.

Allorché l'Amato dell'intera umanità ascese al Regno degli Splendori, Mirza Muhammad-Qulí rimase incrollabile nel Patto, schivando l'intrigo, la malizia e l'ipocrisia che allora apparvero, dedicandosi interamente a Dio, supplicando e pregando. A chi gli dava ascolto porgeva saggi consigli, e rammentava i giorni della Bellezza Benedetta, e si rammaricava di essere sopravvissuto. Dopo la dipartita di Bahá’u’lláh, non trasse respiro sereno; non stava in compagnia di nessuno, ma rimaneva quasi sempre solo, nel suo piccolo rifugio, arso dai fuochi della separazione. Giorno dopo giorno, divenne sem-

pre più debole, sempre più fragile, finché da ultimo volò via verso il mondo di Dio. A lui pace, a lui lode e misericordia nei giardini del Cielo. La sua luminosa tomba si trova a Naqíb, nei pressi di Tiberiade.

USTÁD BÁQIR E USTÁD AHMAD

Fra coloro che lasciarono la patria vi furono anche due falegnami, Ustád Báqir e Ustád Ahmad. Erano fratelli, di puro lignaggio, nativi di Káshán. Dal momento in cui divennero credenti, si tennero reciprocamente stretti in un abbraccio. Dettero ascolto alla voce di Dio e al Suo grido "Non sono Io il vostro Signore?" risposero: "Sì, lo sei!".

Per un certo tempo rimasero nel loro paese, occupati nel ricordo di Dio, contraddistinti per fede e conoscenza, rispetta-ti da amici ed estranei, noti a tutti per onestà e fidatezza, austerità di vita e timor di Dio. Quando l'oppressore protese la mano contro di loro e li tormentò oltre il limite della sopportazione, emigrarono in 'Iráq, nell'asilo delle cure di Bahá’u’lláh. Erano due anime benedette. Per qualche tempo rimasero in 'Iráq, pregando in tutta umiltà e supplicando Iddio.

Poi Ustád Ahmad parti per Adrianopoli, mentre Ustád Báqir rimase in 'Iráq e fu portato prigioniero a Mosul. Ustád Ahmad andò nella Più Grande Prigione con il gruppo di Bahá’u’lláh e Ustád Báqir emigrò da Mosul ad 'Akká. I due fratelli furono entrambi sotto la protezione di Dio, liberi da ogni legame terreno. Nella prigione si dedicarono alla loro arte, tenendosi in disparte, lontani da amici e sconosciuti. Tranquilli, dignitosi, fiduciosi, forti nella fede, protetti dal Misericordiosissimo, trascorsero felici i loro giorni. Ustád Báqir fu il primo a morire e dopo poco il fratello lo seguì.

Essi erano saldi credenti, leali, pazienti, perennemente grati, e supplicarono sempre Dio in umiltà, il viso rivolto verso di Lui. Durante quella lunga permanenza in prigione non furono mai trascurati nel dovere, mai in colpa. Furono costantemente gioiosi, perché avevano vuotato la santa coppa, e quando volarono via dal mondo, gli amici li piansero e chiesero che, per grazia di Bahá’u’lláh, fossero favoriti e perdonati. Furono cullati nella grazia e sorretti da Dio e la Bellezza Benedetta fu compiaciuta di loro; con questo viatico per il viaggio, partirono per il mondo a venire. Su loro scenda la gloria di Dio, il Gloriosissimo; a ciascuno di loro un seggio di veritá39 nel Regno degli Splendori.

MUHAMMAD HANÁ-SÁB

Quest’uomo di dignità e rango, Áqá Muhammad, fu un altro ancora di coloro che abbandonarono il focolare, uno dei primi credenti. Fin dall'aurora, fu conosciuto da tutti come

amante della Più Grande Luce. Era allora ad Isfáhán e chiuse gli occhi a questo mondo e all'altro,40 aprendoli alla bellezza di Colui Che è la personificazione di tutto ciò che è amabile.41

Essendo stato ridestato dai muschiati aliti di Dio, Áqá Muhammad non poté più trovare riposo; il suo cuore era stato infiammato, poteva respirare il santo aroma, aveva occhio veggente, orecchie attente. Guidò alcune anime, rimanendo sincero e leale alla grande Causa. Sopportò terribili persecuzioni e tormenti, ma non vacillò. Poi ottenne favore agli occhi del Re dei martiri e divenne il fido attendente dell'Amato dei martiri, servendoli per qualche anno. Era valido nel lavoro, si che più volte il Re dei martiri42 espresse la propria soddisfazione dicendo: "Quest'uomo è una di quelle anime che sono in pace; in verità, egli è piacente e piaciuto al suo Signore.43 La sua fede è senza macchia, ama Dio, ha un buon carattere e conduce una vita santa. È anche un compagno gradevole ed eloquente".

Dopo che il Re dei martiri fu messo a morte, Áqá Muhammad rimase per qualche tempo ad Isfáhán, consumato dal cordoglio. Infine emigrò nella Più Grande Prigione, dove fu accolto da Bahá’u’lláh e meritò il grande onore di spazzare per terra attorno alla Soglia. Fu paziente, tollerante, vero amico e compagno. Poi ci sopraggiunse la Suprema Afflizione e Áqá Muhammad ne fu così angosciato che non riuscì più a concedersi un attimo di requie. Ogni giorno si alzava all'alba e spazzava per terra attorno alla casa di Bahá’u’lláh, versando lacrime come pioggia, cantando preghiere mentre lavorava.

Che santa persona, che grande uomo! Non poté sopportare molto a lungo la separazione: morì e assurse al mondo delle luci, nell'adunanza dove la beltà di Dio è senza veli. Riversi Dio sulla sua tomba raggi dal reame del perdono e culli il suo spirito nel cuore del Paradiso. Esalti Dio il suo rango nei giardini superni. La sua fulgida tomba si trova ad 'Akká.

HÁJÍ FARAJU’LLÁH TAFRÍSHI

Un altro ancora di coloro che vennero via dalla patria per vivere vicini a Bahá’u’lláh fu Faraju'lláh di Tafrísh. Quest'uomo benedetto servi Bahá’u’lláh sin dalla prima giovinezza e assieme al suo stimato padre Áqá Lutfu'lláh emigrò dalla Persia ad Adrianopoli. Áqá Lutfu'lláh fu credente incrollabile, amorevolmente devoto alla Bellezza Benedetta. Paziente, longanime, completamente indifferente a questo mondo e alle sue vanità, visse contento vicino a Bahá’u’lláh e poi umilmente, presso la Soglia, con cuore contrito abbandonò questa vita fugace e si involò verso gli sconfinati reami dell'oltre. Le sue ceneri fragranti sono ad Adrianopoli.

Quanto a Hájí Faraju'lláh, egli continuò a vivere in quella città fino al giorno in cui oppressori spietati esiliarono Bahá’u’lláh ad 'Akká e, al Suo seguito, lo Hájí venne qui nella Più Grande Prigione. Poi, quando le ristrettezze si mutarono in agio, si dedicò al commercio, divenendo socio di Muhammad-’Alí di Isfáhán. Per qualche tempo visse prospero e felice. In seguito, gli fu data licenza di andarsene e si recò in India, dove trascorse un lungo periodo prima d'involarsi verso i giardini del perdono e di entrare nei recinti dell'ineffabile misericordia.

Questo servitore della Bellezza Benedetta fu unito ai credenti nelle afflizioni e nelle calamità; ebbe la sua parte di sofferenza. I favori di Bahá’u’lláh lo attorniarono e in quella sconfinata grazia egli gioì. Fu un compagno, intimo degli amici, di docile cuore. Sebbene il suo corpo fosse debole e malaticcio, grato e paziente, lo accettò e resistette alle prove della via di Dio. A lui saluti e lode; riceva doni e benedizioni del Cielo; a lui la gloria di Dio, il Gloriosissimo. Il suo puro sepolcro si trova a Bombay in India.

ÁQÁ IBRÁHÍM-I-ISFÁHÁNÍ E I SUOI FRATELLI

E fra coloro che emigrarono e vennero a stabilirsi in Terra Santa vi fu Áqá Ibráhím, uno di quattro onorati fratelli: Muhammad-Sádiq, Muhammad-Ibráhím, Áqá Habíbu'lláh e Muhammad-’Alí. I quattro vivevano a Baghdád con lo zio paterno, Áqá Muhammad-Ridá, conosciuto come 'Aríd. Abitavano tutti nella stessa casa e stavano insieme giorno e notte. Come uccelli, dividevano lo stesso nido; erano sempre freschi e pieni di grazia, come i fiori di un'aiuola.

Quando l'Antica Bellezza giunse in 'Iráq, la loro casa si trovava vicino alla Sua e così avevano la gioia di vederLo andare e venire. A poco a poco il comportamento di quel Signore dei cuori, ciò che faceva e non faceva, e la vista del Suo amabile volto, ebbero effetto: incominciarono ad avere sete della Fede e a cercare la Sua grazia e il Suo favore. Si presentarono alla porta della Sua casa, come fiori che vi sbocciassero, e ben presto s'innamorarono della luce che s'irradiava dalla Sua fronte, prigionieri della bellezza di quel caro Compagno. Non ebbero bisogno di maestro, allora; da soli videro attraverso i veli che prima li accecavano e appagarono il supremo desiderio dei loro cuori.

Per ordine della Bellezza Benedetta, Mirza Javád di Turshíz si recò una notte a casa loro. Mirza Javád aveva appena aperto bocca che essi accettarono la Fede. Non ebbero un attimo di esitazione, perché avevano una sorprendente recettività. Ecco il significato del versetto del Corano: "... il cui olio per poco non brilla anche se non lo tocchi fuoco. È luce su luce".44 Cioè, quest'olio è così ben preparato così pronto a essere acceso, che quasi prende fuoco da sé, anche se non v'è fiamma vicina; il che significa che la capacità di aver fede e di meritarla può essere così grande che la luce si accende senza che sia detta una sola parola. Così accadde a quei puri di cuore; essi erano veramente leali, saldi e devoti a Dio.

Il fratello maggiore, Muhammad-Sádiq, accompagnò Bahá’u’lláh dall'Iráq a Costantinopoli e quindi ad Adrianopoli, dove per qualche tempo visse felice, accanto al suo Signore. Era umile, paziente, grato, aveva costantemente il sorriso sulle labbra, era sereno nel cuore e la sua anima era innamorata di Bahá’u’lláh. Gli fu poi data licenza di ritornare in 'Iráq, dove si trovava la sua famiglia e rimase in quella città per qualche tempo, sognando e ricordando.

Poi in 'Iráq vi fu una grande calamità e i quattro fratelli furono catturati con il loro nobile zio. Perseguitati e prigionieri, furono condotti a Mosul. Lo zio, Áqá Muhammad-Ridá,

era un vecchio dalla mente illuminata e dal cuore spirituale, distaccato da tutte le cose del mondo. In 'Iráq era stato ricchissimo e aveva vissuto nel lusso e nei piaceri, ma ora ad Hadbá, Mosul, fu, tra i prigionieri, la principale vittima e soffrì grandi privazioni. Divenne povero, ma rimase dignitoso, paziente, contento e grato. Stando da solo in un luogo appartato, lodò Dio notte e giorno fino alla morte. Diede il cuore all'Amore del suo cuore, si sciolse dai lacci di questo mondo mutevole e ascese nel Regno che sempre permane. Lo immerga Iddio nelle acque del perdono, lo faccia entrare nel giardino della Sua compassione e del Suo compiacimento e lo tenga in Paradiso fino alla fine del tempo.

Quanto a Muhammad-Sádiq, a Mosul anche lui fu esposto a tribolazioni sulla via di Dio. Anche lui era un’anima tranquilla, paga del suo Signore e a Lui piacente. Alla fine rispose alla voce del Re della Gloria: "Signore, eccomi!" e realizzò i versetti: "E tu, o anima tranquilla, ritorna al Tuo signore, piacente e piaciuta, ed entra fra i Miei servi, entra nel Mio Paradiso!".45

E Muhammad-'Alí, una volta libero dalla prigionia, da Mosul accorse in Terra Santa, nei recinti d'inesauribile grazia. E qui vive ancora. Sebbene si trovi nelle ristrettezze, il suo cuore è in pace. Quanto a suo fratello Ibráhím prima menzionato, anche lui da Mosul venne ad 'Akká, ma in una zona vicina. Là con pazienza, calma e appagamento, ma con difficoltà, si dedicò al commercio, piangendo nel contempo giorno e notte l'ascensione di Bahá’u’lláh. Trascorse la vita umile e contrito, il viso rivolto verso i misteriosi reami di Dio. Alla fine, consumato dagli anni, a mala pena capace di muoversi venne a Haifa dove trovò, nell'ostello dei viaggiatori, un cantuccio dove vivere e trascorse il suo tempo invocando umilmente Iddio, supplicandoLo, innalzando lodi. A poco a poco, consunto dagli anni, il suo corpo incominciò a declinare e alla fine si spogliò della veste di carne e, lo spirito ignudo, volò nel reame del Misericordiosissimo. Fu portato fuori da questa vita oscura nell'aria che risplende e immerso in un mare di luci. Iddio illumini la sua tomba con fulgidi raggi e culli il suo spirito con i soffi della compassione divina. A lui la misericordia e il compiacimento di Dio.

Quanto ad Áqá Habíbu’lláh, anche lui fu fatto prigioniero in 'Iráq ed esiliato a Mosul. Visse a lungo in quella città, esposto a privazioni, ma sempre contento, e la sua fede crebbe giorno dopo giorno. Quando Mosul fu colpita dalla carestia, per i forestieri la vita divenne più dura che mai, ma nel ricordo di Dio i loro cuori erano tranquilli46 e le loro anime si cibavano con il nutrimento del Cielo. Così sopportarono tutto con stupefacente pazienza e la gente guardava con meraviglia quegli stranieri in mezzo a loro che non erano angosciati e atterriti come gli altri e continuavano a rendere grazie notte e giorno. "Quale straordinaria fiducia in Dio!" diceva la gente.

Habíb era uomo con grandi riserve di pazienza e cuore gioioso. Si adattò all'esilio e visse in uno stato di bramoso amore. Dopo la partenza da Baghdád, i prigionieri di Mosul furono costantemente menzionati da Bahá’u’lláh, Che espresse nei loro riguardi il Suo infinito favore. Habíb si affrettò verso l'abbraccio della misericordia di Dio e trovò un nido e un rifugio sui rami dell'Albero celestiale. Là nel Paradiso di tutte le delizie, effuse la sua lode del munifico Signore con mirabili canzoni.

ÁQÁ MUHAMMAD-IBRÁHÍM

Muhammad-Ibráhím, soprannominato Mansúr, il Vittorioso, faceva il calderaio. Quest'uomo di Dio, un altro ancora degli emigranti e residenti, era nativo di Káshán. Nel primo fiore della giovinezza riconobbe la Luce neonata e vuotò la santa coppa "il cui licore è miscelato di Canfora".47 Era d'indole piacevole, pieno di entusiasmo e di gioia di vivere. Appena la luce della fede si accese nel suo cuore, lasciò Káshán, si recò a Baghdád ed ebbe l'onore di giungere alla presenza di Bahá’u’lláh.

Áqá Muhammad aveva una fine vena poetica e componeva versi come vezzi di perle. A Zawrá, cioè Baghdád, la Dimora della Pace, fu in buoni rapporti con amici e sconosciuti, sforzandosi sempre di mostrare benevolenza verso tutti. Portò a Baghdád dalla Persia i fratelli e aprì una bottega d'arti e mestieri, dedicandosi all'altrui benessere. Anch'egli fu fatto prigioniero ed esiliato da Baghdád a Mosul, dopo di che si recò a Haifa, dove giorno e notte, modesto e umile, cantò preghiere e suppliche e concentrò i suoi pensieri su Dio.

A Haifa rimase a lungo, servendo i credenti con successo e provvedendo con grande umiltà e discrezione ai bisogni dei viaggiatori. Si sposò in quella città e fu padre di bei figli. Per

lui ogni giorno recava nuova vita e nuova gioia e tutto il denaro che guadagnava lo spendeva per sconosciuti e amici. Dopo l'uccisione del Re dei martiri, scrisse un'elegia in memoria di quel credente caduto sul campo del dolore e recitò la sua ode alla presenza di Bahá’u’lláh; i versi erano commoventi, tanto che tutti i presenti piansero e si levarono voci di cordoglio.

Áqá Muhammad continuò a vivere la sua vita, nobile negli intenti, costante nell’interiorità, con fervore e amore. Poi accolse la morte, ridendo come una rosa improvvisamente sbocciata ed esclamando: "Eccomi!". Così lasciò Haifa, cambiandola con il mondo superno. Da questa angusta striscia di terra assurse al Benamato, volò via da questo cumulo di polvere per piantare la sua tenda in un luogo ameno e fulgido. Benedizioni a lui e una santa dimora.48 Iddio lo rivesta di misericordie; riposi sotto i tabernacoli del perdono e sia condotto nei giardini del Cielo.

ZAYNU’L-‘ÁBIDÍN YAZDÍ

Zaynu’l-’Ábidín di Yazd fu uno degli emigranti che morì lungo la strada per la Terra Santa. Questo devoto, quando a Manshád udì il grido di Dio, fu ridestato a una vita insonne. Fu infiammato da una santa passione, l'anima rinnovata. La luce della guida divampò dalla lampada del suo cuore; l'a-

more di Dio accese una rivoluzione nel paese del suo intimo essere. Trasportato dall'amore per la bellezza dell'Amato, lasciò la patria che gli era cara e partì per la Terra del Desio.

Mentre viaggiava con i suoi due figli, rallegrato dalle speranze dell'incontro che avrebbe avuto, si fermò in cima ad ogni altura, in ogni pianura, villaggio e borgo per visitare gli amici. Ma la grande distanza che si estendeva di fronte a lui si tramutò in un mare di tribolazioni e sebbene lo spirito desiderasse ardentemente, il corpo s’indebolì e alla fine si ammalò e perse le forze; tutto ciò accadde mentre non aveva nemmeno una casa.

Ammalato com'era, non rinunziò al viaggio, né vacillò nella sua determinazione; aveva una stupefacente forza di volontà ed era ben deciso a proseguire. Ma la malattia peggiorava giorno per giorno, finché da ultimo spiccò il volo verso la misericordia di Dio e rese l'anima in un anelito inappagato.

Benché agli occhi esteriori egli non abbia vuotato la coppa dell'incontro, né mai abbia mirato la bellezza di Bahá’u’lláh, tuttavia ottenne lo spirito della comunione spirituale; è annoverato fra coloro che giunsero alla Sua Presenza e di coloro che giunsero a quella Presenza gli è riservata e assegnata la ricompensa. Era un'anima immacolata, fedele, devota e sincera. Non trasse mai respiro che non fosse nella rettitudine e il suo unico desiderio fu quello di adorare il suo Signore. Percorse le strade dell'amore, fu noto a tutti per incrollabile lealtà e puri intendimenti. Iddio colmi per lui la coppa del ricongiungimento in una bella contrada, lo faccia entrare nell'eterno Reame e consoli i suoi occhi con la visione delle luci di quel Regno misterioso.

HÁJÍ MULLÁ MIHDÍY-I-YAZDÍ

Un altro ancora di coloro che lasciarono la patria fu Mullá Mihdí di Yazd. Sebbene secondo le apparenze questo uomo eccellente non fosse della classe colta, era esperto nel campo delle sacre tradizioni musulmane ed eloquente interprete di testi trasmessi oralmente. Perseverante nelle devozioni, noto per pratiche sante e meditazioni e veglie notturne, il suo cuore era illuminato e aveva mente e anima spirituali. Trascorreva la maggior parte del tempo ripetendo devozioni, recitando le preghiere obbligatorie, confessando le proprie mancanze e supplicando il Signore. Era uno di coloro che penetrano i misteri ed era confidente dei giusti. Come insegnante della Fede non gli mancavano mai le parole, dimenticando, mentre insegnava, ogni ritegno, esponendo l'uno dopo l'altro sacre tradizioni e testi.

Quando in città si seppe di lui e dappertutto principi e poveri lo accusarono di portare questo nuovo nome, egli dichiarò apertamente la sua adesione e, per questo, fu pubblicamente disonorato. Allora i malvagi 'ulamá di Yazd insorsero, promulgando un decreto di morte. Essendosi il mujtahid, Mullá Báqir di Ardikán, rifiutato di confermare la sentenza di quei tenebrosi teologi, Mullá Mihdí sopravvisse, ma fu costretto ad abbandonare la casa natia. Partì per il paese del suo Benamato con i due figli, uno dei grandi futuri martiri, Jináb-i-Varqá, e l'altro, Jináb-i-Husayn. In ogni città e villaggio lungo il cammino, divulgò abilmente la Fede, adducendo chiare argomentazioni e prove, citando e interpretando le sacre tradizioni e i segni evidenti.49 Non riposò un momento; sparse dappertutto l'essenza dell'amore di Dio e diffuse in ogni luogo i soavi aliti della santità. E ispirò gli amici, rendendoli ansiosi di insegnare a loro volta ad altri e di eccellere nel sapere.

Era un'anima eminente, il cuore fisso sulla beltà di Dio. Dal giorno in cui fu creato e venne in questo mondo, dedicò sinceramente tutti i suoi sforzi ad acquisire grazia per il giorno in cui sarebbe nato nell'altro.50 Aveva cuore illuminato, mente spirituale, anima colma di aspirazioni, sua destinazione, il Cielo. Fu imprigionato per strada; e mentre attraversava deserti e si arrampicava e discendeva per i pendii delle montagne sopporto terribili, innumerevoli privazioni. Ma la luce della fede brillava dalla sua fronte e nel suo petto ardeva la brama, e così gioiosamente, lietamente varcò le frontiere finché alla fine giunse a Beirut. In quella città, ammalato, inquieto, persa la pazienza, trascorse alcuni giorni. La sua brama crebbe e la sua agitazione fu tale che debole e malato qual era non poté aspettare oltre.

S'incamminò verso la casa di Bahá’u’lláh. Non avendo scarpe adatte al viaggio, si contuse e ferì i piedi; la sua malattia peggiorò; riusciva a malapena a muoversi, ma andava ancora avanti. In qualche modo giunse al villaggio di Mazra'ih e qui, presso la Magione, morì. Il suo cuore trovò il Benamato, quando non poteva più sopportare la separazione. Gli amanti traggano ammonimento dalla sua storia; sappiano come si è giocata la vita nella sua brama della Luce del Mondo. Nei giardini eterni Iddio gli porga da bere da una coppa traboccante; nell'Accolta Suprema, Iddio riversi raggi di luce sul suo volto. Su di lui sia la gloria del Signore. La sua tomba santificata è a Mazra'ih, vicino ad 'Akká.

SUA EMINENZA KALÍM ( Mirza MÚSÁ )

Jináb-i-Mirza Músá era fratello vero di Bahá’u’lláh e sin dalla prima infanzia fu allevato nell'abbraccio protettore del Più Grande Nome. Bevve nell'amore di Dio con il latte della madre; ancora poppante, mostrò uno straordinario attaccamento verso la Bellezza Benedetta. Fu sempre oggetto della grazia, del favore e della tenera attenzione di Dio. Dopo la morte del loro illustre padre, Mirza Músá fu allevato da Bahá’u’lláh, crescendo fino alla maturità nell'asilo della Sua protezione. Giorno dopo giorno, il giovane divenne più servizievole e devoto. Visse secondo i comandamenti in ogni cosa e fu interamente distaccato da ogni pensiero di questo mondo.

Brillò in quella Famiglia come una lampada fulgente. Non desiderava né rango né ufficio e non aveva alcuna mira mondana. Il suo unico supremo desiderio era di servire Bahá’u’lláh e per questo non si allontanava mai dalla presenza del Fratello. Quali che fossero i tormenti inflitti dagli altri, la sua lealtà fu pari alla loro crudeltà, perché aveva bevuto il vino di un amore incontaminato.

Poi si udì la voce che chiamava da Shiráz e da una sola parola detta da Bahá’u’lláh il suo cuore fu inondato di luce e da un'unica ventata che soffiò sui giardini della fede, egli colse la fragranza. Incominciò subito a servire gli amici. Aveva uno straordinario attaccamento per me e si preoccupava sempre del mio benessere. A Tihrán si dedicò giorno e notte a propagare la Fede e a poco a poco divenne ben noto a tutti; abitualmente trascorreva il tempo in compagnia di anime benedette.

Poi Bahá’u’lláh lasciò Tihrán per l'Iráq e dei Suoi fratelli i due che Lo accompagnarono furono Áqáy-i-Ka1im51 e Mirza Muhammad-Qúlí. Volsero le spalle alla Persia e ai Persiani e distolsero lo sguardo dalle comodità e dalla pace; sulla via dell'Amato con tutto il cuore scelsero di sopportare qualunque calamità fosse loro destinata.

Così arrivarono in 'Iráq. Durante i giorni in cui Bahá’u’lláh era scomparso, cioè durante il Suo viaggio nel Kurdistán, Áqáy-i-Kalím visse sull'orlo di un baratro; la sua vita era costantemente in pericolo e ogni giorno che passava era peggiore di quello precedente; eppure, sopportò tutto e non conobbe paura. Quando finalmente la Bellezza Benedetta ritornò dal Kurdistán, Áqáy-i-Kalím riprese il proprio posto presso la Santa Soglia, prestando ogni possibile servizio. Perciò divenne noto dappertutto. Quando Bahá’u’lláh lasciò Baghdád per Costantinopoli, Áqáy-i-Kalím Gli restò accanto e continuò a servire durante il cammino, come fece anche nell'ulteriore viaggio da Costantinopoli ad Adrianopoli.

Fu durante il soggiorno in questa città che notò in Mirza Yahyá l'odore della ribellione. Giorno e notte cercò di convincerlo a correggersi, ma invano. Al contrario, fu stupefacente come le tentazioni e i suggerimenti satanici di Siyyid Muhammad, simili a un veleno mortale, agissero su Mirza Yahyá, sì che Áqáy-i-Kalím alla fine abbandonò ogni speranza. Ma anche allora non cessò di tentare, pensando che forse in qualche modo avrebbe ancora potuto placare la tempesta e salvare Mirza Yahyá dall'abisso. Il suo cuore fu consumato dalla disperazione e dal dolore. Tentò tutto quello che sapeva. Alla fine dovette ammettere la verità di queste parole di Saná’í:

Se porti allo stolto la mia scienza,
o se pensi che i miei segreti possano
esser detti a colui che saggio non è –
va' allora dal sordo e suona e canta,
oppure sta' davanti al cieco e tienigli
uno specchio innanzi agli occhi.

Quando ogni speranza fu perduta, troncò la relazione dicendo: "Fratello mio, se altri sono in dubbio su questo affare, tu ed io sappiamo bene la verità. Hai dimenticato le tenere attenzioni di Bahá’u’lláh e come ci ha allevati entrambi? Quanta cura Si prese delle tue lezioni e della tua calligrafia; con quale costanza sorvegliò la tua ortografia e la tua composizione e ti incoraggiò a esercitarti nei diversi stili calligrafici; guidò perfino la tua mano con le Sue dita benedette. Chi non sa che Egli ti elargì favori, che ti crebbe nell'asilo del Suo abbraccio. È questo il tuo ringraziamento per tutta la Sua tenerezza: complottare con Siyyid Muhammad e disertare la protezione di Bahá’u’lláh? È questa la tua lealtà? È questa la giusta ricompensa per tutto il Suo amore?". Le parole non ebbero effetto alcuno; al contrario, più passavano i giorni, maggiore la misura delle mire nascoste che Mirza Yahyá palesava. Poi alla fine ebbe luogo la rottura finale.

Da Adrianopoli, Áqáy-i-Kalím proseguì con il convoglio di Bahá’u’lláh fino alla fortezza di 'Akká. Il suo nome fu specificamente elencato nel decreto del Sultano e fu condannato al bando perpetuo.52 Nella Più Grande Prigione egli dedicò tutto il suo tempo a servire Bahá’u’lláh ed ebbe l'onore d'essere continuamente alla presenza del Fratello, restando in compagnia anche dei credenti; finché alla fine lasciò questo mondo di polvere e accorse al santo mondo superno, morendo in umiltà e contrizione, mentre supplicava il Signore.

Accadde che nel periodo di Baghdád, al famoso Ílkhání,

figlio di Músá Khán-i-Qazvíní, grazie a Siyyid Javád-i-Tabátabá'í, fu concessa un'udienza con Bahá’u’lláh. In quell'occasione Siyyid Javád presentò una petizione per conto dell'Ílkhání, dicendo: "Questo Ílkhání, 'Alí-Qulí Khán pur peccatore e da tutta la vita figlio delle sue passioni, si è ora pentito. Sta davanti a Voi rammaricato dei suoi giorni passati e da oggi in poi non trarrà un solo respiro che possa andare contro il Vostro beneplacito. Vi imploro, accettate il suo pentimento; fatelo oggetto della Vostra grazia e del Vostro favore".

Bahá’u’lláh rispose: "Poiché ti ha scelto come intercessore, celerò i suoi peccati e provvederò a recargli conforto e pace di mente".

Ílkhání era stato uomo di sconfinata ricchezza, ma aveva sperperato tutto nei desideri della carne. Ora era in miseria, a un punto tale che non osava neppure uscire di casa, a causa dei creditori che lo aspettavano per piombargli addosso. Bahá’u’lláh gli disse di andare da 'Umar Páshá, il Governatore di Damasco, e di farsi dare da lui una lettera di raccomandazione per Costantinopoli. L'Ílkhání seguì il consiglio e ricevette dal governatore di Baghdád ogni assistenza. Dopo tanta disperazione, incominciò a sperare ancora e partì per Costantinopoli. Giunto a Díyárbakr53 scrisse una lettera per due mercanti armeni. "Questi due stanno per partire per Baghdád" diceva la sua lettera. "Mi hanno usato molte cortesie e mi hanno anche chiesto una presentazione. Non ho avuto rifugio o riparo eccetto la Vostra munificenza; perciò Vi supplico di mostrare loro benevolenza". L'intestazione, cioè l'indirizzo che aveva scritto sulla busta era: "A Sua Eminenza Bahá’u’lláh, Capo dei Bábí". I mercanti la porsero a Bahá’u’lláh in cima al ponte e quando Egli chiese loro della lettera la loro risposta fu: "L'Ílkhání ci ha fornito i particolari su questa Causa a Díyárbakr". Poi Lo accompagnarono a casa.

Quando la Bellezza Benedetta entrò negli appartamenti

della famiglia, Áqáy-i-Kalím era là ad attenderLo. Bahá’u’lláh esclamò: "Kalím, Kalím! La fama della Causa di Dio è già arrivata a Díyárbakr!". E sorrideva giubilante.

Mirza Músá fu in verità un vero fratello per la Bellezza Benedetta; ecco perché rimase incrollabile, in tutte le circostanze, fino alla fine. A lui lode e saluti, e il soffio della vita, e gloria; a lui misericordia e grazia.

HÁJÍ MUHAMMAD KHÁN

Un altro di coloro che abbandonarono il focolare domestico e vennero ad abitare vicino a Bahá’u’lláh fu Hájí Muhammad Khán. Quest'uomo illustre, nativo di Sístán, era balúch. Giovanissimo s'infiammò e divenne un mistico, un 'árif ossia un adepto. Quale derviscio errante, dimentico di ogni egoismo, partì da casa e, secondo la regola derviscia, si mise in viaggio per trovare il suo murshid la perfetta guida. Bramava, come dicono i dervisci qalandar, scoprire il famoso "priore dei magi", ossia la guida spirituale.

Continuò a cercare dappertutto. Parlò a chiunque incontrasse. Ma quello cui anelava era il soave aroma dell'amor di Dio, che tuttavia non trovò mai in nessuno, gnostico o filosofo o adepto della setta shaykhí. Tutto quel che poté vedere nei dervisci furono fluenti barbe arruffate e una religione di mani protese di mendicanti. Costoro erano "dervisci", poveri in tutto fuorché Dio, soltanto di nome; la sola cosa di cui si curassero, così gli parve, era tutto ciò che capitava a portata di mano. Né trovò illuminazione fra gli Illuminati; da loro nulla udì se non fatui argomenti. Osservò che la loro magniloquenza non era eloquenza e che le loro sottigliezze erano nient'altro che verbose figure retoriche. Non c'era verità, mancava l'anima del significato interiore. Perché vera filosofia è quella che produce premi di eccellenza, frutto impossibile a trovarsi fra quei dottori. All'apice della loro dottrina, divenivano schiavi del vizio, vivevano nella noncuranza e cedevano a caratteristiche personali meritevoli di biasimo. Per lui mancavano di tutto ciò che costituisce la nobile, peculiare qualità del genere umano.

Quanto al gruppo shaykhí, svanita l'essenza, era rimasta solo la feccia; l'anima era scomparsa, lasciandosi dietro il guscio; ormai molto della loro dialettica era cianfrusaglie e ridondanza.

Così non appena udì l'appello del Regno di Dio, gridò: "Sì, in verità!" e via come il vento del deserto. Percorse lunghissime distanze, giunse alla Più Grande Prigione e pervenne alla presenza di Bahá’u’lláh. Quando i suoi occhi caddero su quel fulgido Sembiante, ne fu immediatamente soggiogato. Ritornò in Persia per incontrare le persone che affermavano di seguire la Via, gli amici d'un tempo che cercavano la Verità, e occuparsi di loro come la lealtà e il dovere esigevano.

All'andata e al ritorno lo Hájí visitò ciascuno dei suoi amici, si riunì con loro e fece loro ascoltare il nuovo canto del Cielo. Giunto a casa, sistemò gli affari di famiglia, provvedendo a tutti, preoccupandosi della sicurezza, della felicità, dell'agio di tutti. Dopo di che si accomiatò. Ai parenti, alla moglie, ai figli, ai congiunti disse: "Non cercatemi più, non aspettate ch'io ritorni".

Prese un bastone e si mise in cammino; valicò montagne, attraversò pianure, cercando e trovando i mistici, i suoi amici. Nel primo viaggio si recò dal defunto Mirza Yúsuf Khán (Mustawfíyu'l-Mamálik) a Tihrán. Quando gli ebbe detto

tutto, Yúsuf Khán esternò un desiderio e dichiarò che se fosse stato esaudito avrebbe creduto; il voto era di avere un figlio. Se avesse ricevuto la grazia, si sarebbe convinto. Lo Hájí lo riferì a Bahá’u’lláh e Ne ricevette in risposta una ferma promessa. Di conseguenza quando nel secondo viaggio incontrò Yúsuf, lo trovò con un bambino in braccio. "Mirza" gridò lo Hájí "sia lodato Iddio! La tua prova ha dimostrato la Verità. Hai colto la tua occasione di gioia .'Sì" rispose Yúsuf Khán "la prova è chiara. Sono convinto. Quest'anno quando andrai da Bahá’u’lláh, dì che invoco la Sua grazia e il Suo favore su questo fanciullo, che possa essere custodito al sicuro nell'asilo della protezione di Dio".

Hájí Muhammad si recò poi dal beato futuro martire, il Re dei martiri, e gli chiese d'intercedere perché gli fosse concesso di vigilare alla porta della casa di Bahá’u’lláh. Il Re dei martiri inviò la richiesta per lettera; dopo di che Hájí Khán giunse alla Più Grande Prigione e prese casa vicino al suo Amico amoroso. Ebbe quest'onore per lungo tempo e poi, anche nel giardino di Mazra’ih, fu assai di frequente alla presenza di Bahá’u’lláh. Dopo l'ascensione dell'Amato, Hájí Khán rimase fedele al Patto e al Testamento, schivando gli ipocriti. Alla fine, mentre questo servo era assente in viaggio in Europa e in America, lo Hájí si recò all'ostello dei pellegrini nell'Hazíratu'l-Quds e qui, presso il Mausoleo del Báb, s'involò verso il mondo superno.

Iddio rinfreschi il suo spirito con l'aria muschiata del Paradiso di Abhá e con i dolci aromi che spirano dal Paradiso superno. A lui saluti e lode. La sua fulgida tomba è a Haifa.

ÁQÁ MUHAMMAD-IBRÁHÍM AMÍR

Muhammad-Ibráhím Amír proveniva da Nayríz. Era una persona benedetta, quale coppa ricolma del vino vermiglio della fede. Quando cadde prigioniero del tenero Amato, era nel fiore della gioventù. Poi fu preda degli oppressori e dopo i moti di Nayríz e tutte le sofferenze, i suoi persecutori lo catturarono. Tre farrásh gli immobilizzarono le braccia e gli legarono le mani dietro la schiena; ma l'Amír con la sua grande forza spezzò i legami, strappò un pugnale dalla cintura di un farrásh, si mise in salvo e fuggì in 'Iráq. Là si dedicò a trascrivere i sacri versetti e poi meritò l'onore di servire alla Sacra Soglia. Costante e incrollabile, era in servizio giorno e notte. Durante il viaggio da Baghdád a Costantinopoli, quindi ad Adrianopoli e da lì alla Più Grande Prigione, fu sempre pronto a servire. Sposò Habíbih, ancella di Dio, anch'ella serva alla Sacra Soglia e sua figlia Badí'ih divenne la consorte del defunto Husayn-Áqá Qahvih-chí.

Così l'Amír fu incrollabile nel servire per tutta la vita; ma dopo l'ascensione di Bahá’u’lláh la sua salute declinò rapidamente e alfine si lasciò alle spalle questo mondo di polvere e se ne andò nell'immacolato mondo lassù. Iddio illumini con i raggi del Reame eccelso il sito dov'egli riposa. A lui saluti e lode. La sua fulgida tomba è ad 'Akká.

Mirza MIHDÍY-I-KÁSHÁNÍ

Quest'uomo onorato, Mirza Mihdí, proveniva da Káshán. Giovanissimo, sotto la tutela del padre, aveva studiato scienze e arti ed era divenuto maestro di composizione in prosa e in versi nonché eccellente calligrafo nello stile noto come shikastih.54 Emergeva fra i compagni, testa e spalle al di sopra degli altri. Ancor fanciullo, venne a sapere dell'avvento del Signore, s'infiammò d'amore e divenne uno di coloro che "cedettero tutto per comperare Giuseppe". Monarca dei ricercatori ardenti, signore degli amanti, incominciò a insegnare la Fede e a dimostrare con eloquenza la validità della Manifestazione.

Convertì molti e, bramando Dio, divenne lo zimbello di tutti a Káshán disprezzato da conoscenti e sconosciuti, esposto alle beffe dei compagni infedeli. "Ha perso il senno" diceva uno. E l'altro: "È una pubblica disgrazia. La fortuna gli si è rivoltata contro. È spacciato". I bellimbusti lo schernivano senza risparmiargli nulla. Quando la vita diventò insopportabile e la guerra scoppiò apertamente, lasciò la sua terra per andare in 'Iráq, il centro focale della novella luce, dove giunse alla presenza dell'Amato dell’Umanità.

Vi si trattenne per qualche tempo, nella schiera degli amici, componendo versi che cantavano le lodi di Bahá’u’lláh. Poi

ebbe licenza di tornare a casa e andò nuovamente a vivere a Káshán per un po' di tempo. Ma fu ancora afflitto da amorosa brama e non poté sopportare oltre la separazione. Perciò si recò nuovamente a Baghdád, portando con sé la sua rispettata sorella, la terza consorte.

Qui si fermò, sotto la munifica protezione di Bahá’u’lláh, finché la carovana non lasciò l'Iráq alla volta di Costantinopoli, circostanza in cui gli fu data istruzione di fermarsi a custodire la Santa Casa. Irrequieto, roso dalla nostalgia, restò. Quando gli amici furono esiliati da Baghdád a Mosul, fu tra i prigionieri, vittima assieme agli altri. Dopo grandissime peripezie, giunse a Mosul e qui nuove tribolazioni l'attendevano; fu quasi sempre malato, esule e indigente. Eppure sopportò per lungo tempo, fu paziente, conservò la dignità e rese sempre grazie. Alla fine non poté tollerare oltre l'assenza di Bahá’u’lláh. Chiese il permesso, gli fu concesso di venire e così parti per la Più Grande Prigione.

Poiché la strada era lunga e difficile e durante il viaggio soffrì crudelmente, quando alla fine giunse alla prigione di 'Akká era quasi stremato e sfinito. A quel tempo la Bellezza Benedetta era prigioniero nella cittadella, al centro della caserma. Malgrado le terribili traversie, Mirza Mihdí vi trascorse alcuni giorni in grande gioia. Per lui le calamità erano favori, le tribolazioni Divina Provvidenza, il castigo abbondante grazia, poiché pativa tutto questo sulla via di Dio, nell'intento di ottenerNe il compiacimento. Le sue infermità si aggravarono, giorno per giorno s’indebolì, poi alla fine, nel rifugio della grazia, s'involò verso l'indefettibile misericordia del Signore.

Questo nobile personaggio era stato onorato fra gli uomini, ma per amore di Dio aveva perduto reputazione e fama. Sopportò infinite sventure senza un lamento. Fu pago dei decreti di Dio e percorse le vie della rassegnazione. Lo sguardo del favore di Bahá’u’lláh fu su di lui; fu vicino alla Soglia Divina. Così dal principio alla fine della vita, rimase sempre interiormente uguale: immerso in un oceano di sottomissione

e consenso. "O mio Signore, prendimi, prendimi!" gridava; finché alla fine volò nel mondo che a nessuno è dato scorgere.

Possa Dio fargli aspirare il dolce aroma della santità nel sommo Paradiso e lo rinfreschi con una coppa di limpido licore, miscelato di Canfora.55 A lui saluti e lode. La sua tomba fragrante si trova ad 'Akká.

MISHKÍN-QALAM

Fra gli esuli, vicini e prigionieri vi fu anche un secondo Mír 'Imád,56 l'eminente calligrafo Mishkín-Qalam.57 Impugnava una nera penna muschiata e la sua fronte risplendeva di fede. Fu mistico fra i più noti ed ebbe mente arguta e sottile. La fama di questo viandante dello spirito giunse in ogni terra. Era il primo calligrafo di Persia e ben noto a tutti i grandi; godeva di una speciale posizione fra i ministri della corte di Tihrán e presso di loro era solidamente insediato.58 Era famoso in tutta l'Asia Minore; la sua penna era la meraviglia di tutti i calligrafi, perché era versato in ogni stile calligrafico. Era anche astronomo provetto.

Questo coltissimo uomo sentì parlare della Fede per la prima volta in Isfáhán e il risultato fu che partì per trovare Bahá’u’lláh. Attraversò grandi distanze, percorse miglia e miglia, scalando montagne, superando deserti e mari, finché alla fine giunse ad Adrianopoli. Là toccò le vette della fede e della sicurezza; là bevve il vino della certezza. Rispose agli inviti di Dio, giunse alla presenza di Bahá’u’lláh, ascese all'apogeo di essere ricevuto e accettato. Da allora barcollò come un ubriaco nel suo amore per Dio, e a causa del violento desiderio e della brama, la sua mente sembrò smarrirsi. Veniva sollevato e poi ributtato giù; era come impazzito. Trascorse un certo tempo sotto la grazia protettrice di Bahá’u’lláh e ogni giorno su di lui venivano riversate nuove benedizioni. Nel frattempo produceva le sue splendide opere di calligrafia; scriveva il Più Grande Nome, Yá Bahá'u'l-Abhá, O Tu Gloria del Gloriosissimo, con meravigliosa perizia, in molte differenti fogge, e le mandava dappertutto.59

Ebbe poi istruzioni di andare a Costantinopoli e parti con Jináb-i-Sayyáh. Quando giunse nella Grande Città, in un primo momento i maggiorenti persiani e turchi lo accolsero con tutti gli onori e furono affascinati dal nero ebano della sua arte calligrafica. Ma incominciò a insegnare la Fede con coraggio ed eloquenza. L'ambasciatore persiano era in agguato; recatosi dai visir del Sultano, calunniò Mishkín-Qalam. "Quest'uomo è un agitatore" disse loro l'ambasciatore "inviato qui da Bahá’u’lláh per suscitare disordini e mettere zizzania in questa Grande Città. Ha già conquistato una vasta schiera e intende soggiogarne molti altri ancora. Questi bahá’í hanno sconvolto la Persia; ora hanno incominciato nella capitale turca. Il governo persiano ne ha passati per la spada ventimila, sperando con questa tattica di spegnere i fuochi della sedizione. Dovete rendervi conto del pericolo; presto questa cosa perversa divamperà anche qui. Consumerà il frutto della vostra vita; brucerà tutto il mondo. Allora non potrete più far nulla, perché sarà troppo tardi".

In realtà quell'uomo mite e sottomesso, nella città del trono dell'Asia Minore, si occupava solo della sua calligrafia e di adorare Dio. Non cercava di portare sedizione, ma amicizia e pace. Si sforzava di riconciliare i credenti di diverse fedi, e non di allontanarli ulteriormente. Serviva gli stranieri e aiutava a educare la gente del luogo. Era un rifugio per gli indifesi e una cornucopia per i poveri. Invitava chiunque venisse, all’unità del genere umano; si teneva lontano dall’ostilità e dalla malizia.

Ma l'ambasciatore persiano aveva molto potere e aveva mantenuto per lungo tempo stretti legami coi ministri. Convinse un certo numero di persone a insinuarsi in varie riunioni e a sollevarvi ogni sorta di false accuse contro i credenti. Incitate dagli oppressori, le spie incominciarono a circondare Mishkín-Qalam. Poi, secondo le istruzioni dell'ambasciatore, presentarono rapporti al Primo Ministro, affermando che la persona in questione seminava zizzania giorno e notte, che era un mestatore, un ribelle e un criminale. Il risultato fu che lo misero in prigione e lo mandarono a Gallipoli, dove egli si unì

alla nostra compagnia di vittime. Mandarono lui a Cipro e noi nella prigione di 'Akká. Nell'isola di Cipro, Jináb-i-Mishkín fu internato nella cittadella a Famagosta e in questa città rimase prigioniero dall’ ‘85 fino al ‘94.

Quando Cipro uscì dal dominio turco Mishkín-Qalam fu liberato e si recò dal suo Benamato nella città di 'Akká e qui visse avvolto dalla grazia di Bahá’u’lláh, producendo meravigliose opere calligrafiche e inviandole dappertutto. Era sempre gioioso di spirito, splendente d'amore di Dio, come una candela che brucia la propria vita, una consolazione per tutti i credenti.

Dopo l'ascensione di Bahá’u’lláh Mishkín-Qalam rimase leale, solidamente insediato nel Patto. Si erse di fronte ai violatori come una spada sguainata. Non ebbe mai mezze misure con loro; non temeva altro che Dio; non esitò neppure un istante, né venne mai meno al servizio.

Dopo l'ascensione si recò in India, dove frequentò gli amanti della verità. Vi trascorse un po' di tempo, facendo nuovi sforzi ogni giorno. Quando seppi che stava declinando, lo mandai subito a chiamare ed egli ritornò nella Più Grande Prigione, con gioia dei credenti, che si sentirono benedetti di riaverlo qui. Fu sempre mio intimo compagno. Aveva uno straordinario brio, un intenso amore. Era un compendio di perfezioni: credente, fiducioso, sereno, distaccato dal mondo, compagno incomparabile, arguto, e il suo carattere era come un giardino in pieno fiore. Per amore di Dio, rinunciò a tutte le buone cose; chiuse gli occhi al successo, non volle né comodità né riposo, non cercò ricchezza, desiderò solo di essere libero dalla contaminazione del mondo. Non aveva legami con questa vita, ma trascorreva i giorni e le notti supplicando Dio e volgendo lo spirito a Lui. Era sempre sorridente, effervescente; era spirito personificato, amore incarnato. Per sincerità e lealtà non aveva rivali, e neppure per pazienza e calma interiore. Era abnegazione personificata, vivendo degli aliti dello spirito.

Se non fosse stato innamorato della Bellezza Benedetta, se non avesse messo il cuore sul Reame della Gloria, avrebbe potuto avere tutti i piaceri del mondo. Dovunque andasse, i suoi numerosi stili calligrafici erano un sostanzioso capitale e la sua grande perizia gli procurava l'attenzione e il rispetto di ricchi e poveri. Ma era perdutamente innamorato del vero Amore dell'uomo e perciò era libero da altri legami e poté veleggiare e librarsi nello sconfinato cielo dello spirito.

Infine, mentre ero assente, lasciò questo mondo oscuro, angusto e se ne andò nella terra delle luci. Là, nel porto della sconfinata misericordia di Dio, trovò infinite ricompense. A lui lode e saluti e la tenera grazia del Compagno Supremo.

USTÁD ‘ALÍ-AKBAR-I-NAJJÁR

Ustád 'Alí-Akbar, l'Ebanista,60 fu annoverato fra i giusti, un principe dei giusti. Fu uno dei primi credenti persiani e un maggiorente di quella schiera. Dall'inizio della Causa confidente fidato, sciolse la lingua per proclamare la Fede. S'informò delle sue prove e si approfondì nelle sue Scritture. Fu anche poeta di talento e scrisse odi in elogio di Bahá’u’lláh. Eccezionalmente capace nel suo mestiere, Ustád produsse opere molto ingegnose, costruendo ebanisteria che, per complessità e precisione, sembrava mosaico intarsiato. Era esperto anche in matematica e sapeva risolvere e spiegare difficili problemi.

Da Yazd, quest'uomo riverito si recò in 'Iráq, dove ebbe l'onore di entrare alla presenza di Bahá’u’lláh e ricevette abbondante grazia. La Bellezza Benedetta elargì favori a Ustád 'Alí, che ebbe accesso alla Sua presenza quasi tutti i giorni. Fu uno di coloro che vennero esiliati da Baghdád a Mosul e vi sopportò dure privazioni. Rimase a lungo a Mosul, in circostanze di estrema ristrettezza ma rassegnato al volere di Dio, sempre in preghiera e supplice e con lingua grata.

Infine da Mosul venne al Santo Mausoleo e qui presso la tomba di Bahá’u’lláh meditava e pregava. Nel buio della notte, inquieto e turbato, si lamentava e piangeva; quando supplicava Dio, il cuore gli bruciava in petto; i suoi occhi versavano lacrime e levava la voce e cantava. Era completamente distaccato da questa manciata di polvere, questo mondo mortale. Lo evitava, chiedeva una cosa soltanto: volare via; e sperava che la ricompensa promessa arrivasse. Non riusciva a sopportare che la Luce del Mondo fosse scomparsa e quello che cercava era il paradiso del ricongiungimento con Lui, e quello che i suoi occhi bramavano vedere era la gloria del Reame di Abhá. Alla fine la sua preghiera fu esaudita e assurse nel mondo di Dio nel luogo di incontro degli splendori del Signore dei Signori.

A lui benedizione e lode di Dio, lo porti Iddio nella dimora della pace, come ha scritto nel Suo libro: "Per questi è la Dimora di Pace presso il loro Signore .61 “... Dio è gentile con coloro che lo servono”.62

SHAYKH ‘ALÍ-AKBAR-I-MÁZGÁNÍ

Questo monarca di anime libere, di erranti per amor di Dio, era solo un infante quando, a Mázgán, fu allattato al petto della grazia. Era figlio dell'eminente studioso Shaykh-iMázgání; il suo nobile padre era uno dei primi cittadini di Qamsar, presso Káshán e per devozione, santità e timor di Dio non aveva pari. Questo padre incarnava tutte le qualità che sono degne di lode; inoltre i suoi modi erano piacevoli, la sua indole buona ed era un eccellente compagno e per tutte queste cose era molto conosciuto. Quando si liberò da ogni riserbo e si dichiarò apertamente credente, gli infedeli, amici o estranei, gli voltarono le spalle e incominciarono a tramare la sua morte. Ma egli continuò a promuovere la Causa, a risvegliare il cuore della gente e ad accogliere i nuovi arrivati con la sua abituale generosità. Perciò a Káshán la fama della sua fede ardente giunse fino alla Via Lattea. Poi gli spietati aggressori insorsero, saccheggiarono i suoi possedimenti e lo uccisero.

'Alí-Akbar, il figlio di colui che aveva dato la vita sulla via di Dio, non poté più vivere in quel luogo. Se fosse rimasto, anche lui sarebbe stato ucciso con la spada come il padre. Trascorse un certo tempo in 'Iráq e ricevette l'onore di essere alla presenza di Bahá’u’lláh. Poi ritornò in Persia, ma desiderava rivedere Bahá’u’lláh e, assieme alla moglie, si mise in viaggio per deserti e montagne, talvolta a cavallo, talvolta a piedi, percorrendo miglia e miglia, passando da un lido all'altro, finché alla fine raggiunse il Santo Luogo e trovò sicurezza e pace all'ombra del divino Albero di Loto.

Quando la bellezza del Desiato svanì dal mondo, 'Alí-Akbar rimase leale al Patto e prosperò al riparo della grazia di Dio. Per indole e per l'intenso amore del suo cuore, desiderava scrivere poesie, comporre odi e ghazal, ma gli mancavano metrica e rima:

Ho pensato a un poema, ma l'Amato mi ha detto:

“A questo solo pensa, che Mi vedano i tuoi occhi”.

Con rapita brama, il suo cuore desiderava i regni del compassionevole Signore; consumato da amore ardente, lasciò alla fine questo mondo e piantò la sua tenda nel mondo superno. Mandi Iddio sulla sua tomba, dal Regno del Suo perdono, una grande pioggia di benedizioni,63 gli conferisca grande vittoria e gli conceda misericordie, fitte e traboccanti, nei recessi del Cielo.

Mirza MUHAMMAD, SERVITORE
NELL’OSTELLO DEI VIAGGIATORI

Questo giovane di Dio proveniva da Isfáhán e sin dai primi anni fu noto ai grandi teologi della città per la sua mente eccellente. Era di nobili origini, la sua famiglia era conosciuta e rispettata ed egli era uno studioso raffinato. Aveva imparato filosofia e storia, scienze e arti, ma era assetato del segreto della realtà e anelava alla conoscenza di Dio. La sua sete febbrile non fu placata dalle arti e dalle scienze, per quanto limpide fossero le loro acque. Continuò a cercare, a cercare, discutendo in dotti cenacoli finché alla fine scoprì il significato del suo sogno bramoso e l'enigma, il segreto inviolabile, fu dischiuso di fronte a lui. D'un tratto colse la fragranza di fiori freschi dai giardini dello splendore di Dio e il suo cuore fu illuminato da un raggio del Sole della Verità. Mentre prima era come un pesce fuor d'acqua, ora era giunto alla fonte della vita eterna; prima era una falena alla ricerca; ora aveva trovato la fiamma della candela. Vero ricercatore della verità, fu all'istante vivificato dalla suprema Lieta Novella; l'occhio del suo cuore fu rischiarato dalla nuova alba della guida. Così accecante era il fuoco del divino amore ch'egli distolse il viso dalla vita, dalla pace, dai suoi doni e parti per la Più Grande Prigione.

A Isfáhán aveva goduto ogni conforto e il mondo era buono con lui. Ora il suo anelito per Bahá’u’lláh lo liberò da ogni altro legame. Percorse lunghe miglia, patì duri stenti, scambiò una reggia con una prigione e nella fortezza di 'Akká aiutò i credenti e assistette e servì Bahá’u’lláh. Colui che era stato servito, ora serviva gli altri; colui che era stato il padrone, ora era il servo; colui che un tempo era stato un capo, era ora prigioniero. Non aveva né riposo, né agio, di giorno o di notte. Per i viaggiatori fu rifugio fidato; per i residenti, compagno ineguagliabile. Servì al di sopra delle sue forze, perché era pieno d'amore per gli amici. I viaggiatori gli erano devoti e i residenti grati. E poiché era continuamente occupato, stava sempre zitto.

Poi ci sopraggiunse la Suprema Afflizione e l'assenza di Bahá’u’lláh fu insopportabile. Mirza Muhammad non riusciva a star tranquillo, né giorno né notte. Si consumava, come una candela che brucia; la dolorosa angoscia gli infiammò il fegato e il cuore e il suo corpo non resistette più. Pianse e supplicò giorno e notte, anelando di spiccare il volo verso quel paese inesplorato. "Signore, liberami, liberami da questa assenza gridava "fammi bere la coppa del ricongiungimento, trovami un alloggio al riparo della Tua misericordia, Signore dei Signori!".

Alla fine lasciò questa manciata di polvere, la terra, e volò nel mondo che non ha fine. Lo benefichi quella coppa traboccante grazia di Dio, mangi con gusto salutare quel cibo che dà vita al cuore e all'anima. Iddio lo conduca alla conclusione di quel felice viaggio e gli conceda una parte abbondante dei doni che saranno allora elargiti.64

Mirza MUHAMMAD-I-VAKÍL

Uno dei prigionieri che furono mandati da Baghdád a Mosul fu Mirza Muhammad-i-Vakíl. Quest'anima retta era tra coloro che divennero credenti a Baghdád. Fu là che bevve dalla coppa della rassegnazione al volere di Dio e cercò riposo all'ombra dell'Albero celestiale. Era uomo di nobili sentimenti e degno di fiducia. Era anche capacissimo ed energico amministratore di importanti affari, famoso in 'Iráq per i suoi saggi consigli. Divenuto credente, fu insignito del titolo di Vakíl, fiduciario. Accadde in questo modo.

C'era a Baghdád un notabile di nome Hájí Mirza Hádí, gioielliere. Questi aveva un illustre figlio, Áqá Mirza Músá, che aveva ricevuto da Bahá’u’lláh il titolo di "Lettera dell’Eternità". Questo figlio era divenuto un saldo credente. Quanto al padre, lo Hájí, era un nobile individuo noto per la prodiga liberalità non solo in Persia e in 'Iráq ma perfino in India. Per incominciare era stato visir in Persia; ma quando vide come il defunto Fath-’Alí Sháh adocchiava le ricchezze terrene, specialmente quelle dei visir persiani, e come cercava di agguantare tutto quello che essi avevano accumulato e come, non contento di confiscare le loro costose vanità e cianfrusaglie, li puniva e li torturava a destra e a manca, chiamando tutto questo penalità legale - lo Hájí temette di essere anche lui scagliato nell'abisso. Abbandonò l'ufficio di visir e la sua residenza e fuggì a Baghdád. Fath-’Alí chiese che il Governatore di Baghdád, Dávúd Páshá lo rimandasse indietro, ma il Páshá era uomo coraggioso e lo Hájí era molto conosciuto per le sue capacità intellettuali. Di conseguenza il Páshá lo rispettava e lo aiutò e lo Hájí si mise in affari come gioielliere. Viveva nel lusso e nello sfarzo, come un gran principe. Era uno dei più ragguardevoli uomini del tempo, perché nel suo palazzo conduceva una vita di gratificazione e opulenza, ma abbandonati lusso, stile e seguito, si occupò di affari e realizzò grandi profitti.

La porta della sua casa era sempre aperta. Turchi e Persiani, vicini, stranieri di luoghi lontani, tutti erano suoi ospiti onorati. Molti grandi di Persia, quando si recavano in pellegrinaggio alle Sante Tombe, si fermavano nella sua casa, dove trovavano un banchetto imbandito e ogni lusso pronto a disposizione. In verità, lo Hájí era più illustre del Gran Visir di Persia; eclissava tutti i visir per magnificenza e col passare dei giorni dispensava ancor maggiori munificenze a tutti coloro che andavano e venivano. Era l'orgoglio dei Persiani in tutto l'Iráq, la gloria dei suoi concittadini. Anche ai visir e ai ministri turchi e ai grandi di Baghdád elargiva doni e favori, e per intelligenza e percettività non aveva eguali.

Verso la fine dei suoi giorni, per l’età avanzata, il suo giro di affari declinò. Eppure non apportò cambiamenti al suo stile di vita. Continuò a vivere con eleganza esattamente come prima. I prominenti prendevano da lui grossi prestiti e non lo rifondevano mai. Una di loro, la madre di Áqá Khán Mahallátí, prese a prestito da lui centomila túmán65 e non restituì un solo centesimo, perché morì subito dopo. Un altro debitore fu l'Íl-Khán, 'Alí-Qulí Khán; un altro Sayfu'd-Dawlih, figlio di Fath-’Alí Sháh; un altro, Valíyyih, figlia di Fath-’Alí Sháh sono solo pochi esempi fra molti, fra gli amír turchi e i grandi persiani e iracheni. Tutti questi debiti rimasero insoluti e irrecuperabili. Nondimeno, quell'uomo eminente e principesco continuò a vivere esattamente come prima.

Verso la fine della vita concepì un notevole amore per Bahá’u’lláh e entrava alla Sua presenza con grande umiltà. Ricordo che un giorno disse alla Bellezza Benedetta che nell'anno 1250 e poco più Mirza Mawkab, il famoso astrologo, visitò i Santuari. "Un giorno mi disse" proseguì lo Hájí: "'Mirza, vedo una strana, unica, congiunzione di stelle. Non si è mai verificata prima. Dimostra che sta per accadere un evento importantissimo e sono certo che quest'evento non può essere altro che l'Avvento del Qá'im promesso

Tale era la situazione di quell'illustre principe quando trapassò, lasciando eredi un figlio e due figlie. Pensando che egli fosse ricco come sempre, la gente credeva che i suoi successori avrebbero ereditato milioni, perché tutti conoscevano il suo stile di vita. Il rappresentante diplomatico persiano, i mujtahid dell'ultima ora e l'infido giudice arrotarono i denti. Suscitarono una lite fra gli eredi, sì che nella confusione che ne sarebbe seguita essi avrebbero potuto fare sostanziosi guadagni. Con questo proposito fecero tutto il possibile per rovinare gli eredi, con l'intenzione di spogliarli completamente, mentre il diplomatico persiano, i mujtahid e il giudice avrebbero accumulato le spoglie.

Mirza Músá era un saldo credente; ma le sue sorelle erano di madre diversa e non sapevano nulla della Causa. Un giorno le due sorelle vennero nella casa di Bahá’u’lláh accompagnate dal genero del defunto Mirza Siyyid Ridá. Esse entrarono negli appartamenti della famiglia, mentre il genero si accomodò nelle sale di ricevimento. Allora le due ragazze dissero a Bahá'u'lláh: "L'inviato persiano, il giudice e gli infidi mujtahid ci hanno distrutti. Verso la fine della sua vita, il defunto Hájí non si fidava di nessuno fuorché di Voi. Siamo stati negligenti e avremmo dovuto cercare prima la Vostra protezione; comunque veniamo ora a implorare il Vostro perdono e il Vostro aiuto. La nostra speranza è che Voi non ci mandiate via disperate e che, col Vostro favore e sostegno, saremo salve. DegnateVi dunque di esaminare quest'affare e di dimenticare i nostri errori passati".

Di rimando, la Bellezza Benedetta dichiarò con fermezza che detestava intervenire in affari di questo genere. Ma esse continuarono a insistere. Rimasero per un'intera settimana negli appartamenti della famiglia, reclamando ogni mattina e ogni sera benevolenza e grazia. "Non solleveremo il capo da questa Soglia" dicevano "cercheremo asilo qui in questa casa; rimarremo qui, presso la porta di Colui Che custodisce gli angeli, finché non Si degnerà di esaminare i nostri interessi e di salvarci dai nostri oppressori".

Ogni giorno Bahá’u’lláh le consigliava dicendo: "Questioni di questo genere sono nelle mani dei mujtahid e delle autorità governative. Non ci immischiamo in questi affari". Ma esse continuavano a importunare, a insistere, a supplicare, a implorare aiuto. La casa di Bahá’u’lláh era sfornita di beni terreni e queste signore, abituate al meglio di ogni cosa, non si accontentavano di pane e acqua. Si doveva così procurare loro il cibo a credito. In breve c'erano problemi da tutte le parti.

Finalmente un giorno Bahá’u’lláh mi convocò alla Sua presenza. "Queste stimate signore" disse "con tutte le loro esigenze, Ci hanno procurato notevoli inconvenienti. Non c'è nulla da fare, dovrai occuparti del caso. Ma devi risolvere tutta questa complicata faccenda in un giorno solo".

La mattina successiva mi recai nella casa del defunto Hájí accompagnato da Áqáy-i-Kalím. Chiamammo i periti ed essi raccolsero tutti i gioielli in un appartamento del piano superiore; i registri e i libri contabili che avevano a che fare con le proprietà furono sistemati in una seconda stanza; i mobili costosi e gli oggetti d'arte della casa in una terza. Un gruppo di gioiellieri si mise poi al lavoro e valutò le gemme. Altri esperti stimarono la casa, i negozi, i giardini, i bagni. Appena si misero al lavoro, uscii e misi qualcuno in ogni stanza così che i periti potessero portare debitamente a termine il loro compito. A quel punto era già quasi mezzogiorno. Facemmo allora colazione, dopo di che fu dato ordine ai periti di dividere ogni cosa in due parti uguali, così che si potesse tirare a sorte; una parte sarebbe andata alle figlie e l'altra al figlio, Mirza Músá.66 Poi andai a letto, perché ero indisposto. Nel pomeriggio mi alzai, presi un tè e mi recai negli appartamenti della famiglia nella magione. Qui vidi che i beni erano stati divisi in tre parti. Dissi: "Le mie istruzioni erano di dividere tutto in due parti. Com'è che ce ne sono tre?". Gli eredi e gli altri parenti risposero all'unisono: "Certamente se ne deve mettere da parte una terza. Ecco perché abbiamo diviso tutto in tre. Una parte è per Mirza Músá, una per le due figlie e la terza la mettiamo a Vostra disposizione; è la parte del defunto e dovete spenderla come ritenete opportuno”.

Molto contrariato, dicemmo loro: "La cosa è fuori questione. Non dovete chiederlo, perché non è possibile accettare. Abbiamo dato a Bahá’u’lláh la parola che non sarebbe stato accettato nemmeno un centesimo". Ma anche loro giurarono che si doveva fare come volevano loro, che non avrebbero accettato nient'altro. Questo servo rispose: "Per il momento lasciamo stare. V'è fra voi qualche disaccordo?". "Si" disse Mirza Músá, "che cos'è successo del denaro che è stato lasciato?". Interrogato sull'ammontare, egli rispose: "Trecentomila túmán". Le figlie dissero: "Ci sono due possibilità: o questo denaro è in casa, in uno scrigno o sepolto da qualche parte, oppure è in altre mani. Cederemo la casa e tutto il contenuto a Mirza Músá. La lasceremo con il solo velo addosso. Se si trova qualcosa, ora, liberamente gliela concediamo. Se il denaro si trova altrove, è stato indubbiamente affidato alle cure di qualcuno; e quella persona, ben consapevole di venir meno alla fiducia, non si farà avanti, non agirà onorevolmente verso di noi, e non la restituirà, al contrario, se la prenderà tutta. Mirza Músá deve dare una prova soddisfacente di quello che dice; da sola la sua parola non è una prova". Mirza Músá rispose: "Tutta la proprietà era in mano loro; non sapevo niente di quello che accadeva, non ne avevo la minima idea. Facevano tutto quello che volevano”.

In breve, Mirza Músá non aveva prove evidenti di quello che affermava. Poteva solo chiedere: "È possibile che il defunto Hájí non avesse liquidi?". Poiché l'affermazione non aveva conferme, pensai che sostenerla oltre avrebbe sollevato uno scandalo senza produrre nulla di utile. Di conseguenza ordinai loro: "Fate il sorteggio". Quanto alla terza parte, la feci sistemare in un appartamento separato, la feci chiudere e feci sigillare la porta. Portai la chiave a Bahá’u’lláh. "Il compito è eseguito" dissi." È stato svolto solo grazie alle Vostre confermazioni. Altrimenti non avrebbe potuto essere portato a termine in un anno. Ma è sorta una difficoltà". Riferii dettagliatamente l'affermazione di Mirza Músá e l'assenza di ogni prova. Poi dissi: "Mirza Músá è fortemente indebitato. Se spendesse tutto quello che ha, ancora non sarebbe in grado di pagare tutti i creditori. È meglio, pertanto, che Voi accettiate la richiesta degli eredi, poiché insistono nell'offerta, e diate la parte a Mirza Músá. Così almeno riuscirebbe a liberarsi dei debiti e gli resterebbe ancora qualcosa".

Il giorno successivo si presentarono gli eredi e implorarono la Bellezza Benedetta di farmi accettare la terza parte. "È fuori questione" disse loro. Essi allora Lo implorarono e Lo suppli-carono di accettare Lui quella parte e di spenderla per scopi caritatevoli di Sua scelta. Rispose: "C'è solo uno scopo per cui potrei spendere quella somma". Dissero: "Non ci riguarda, anche se volete gettarla in mare. Non lasceremo andare l'orlo della Vostra veste e non cesseremo di insistere finché non avrete accettato la nostra richiesta". Allora Egli disse: "Ho accettato ora questa terza parte; e l'ho data a Mirza Músá, vostro fratello, ma a condizione che, da ora in poi, non parli più di pretese contro di voi". Gli eredi si profusero in ringraziamenti. E così questa onerosa e difficile controversia fu sistemata in un solo giorno. Non lasciò strascichi di lagnanze, trambusti, ulteriori liti.

Mirza Músá fece del suo meglio per farmi prendere alcuni gioielli, ma io rifiutai. Infine mi chiese di accettare un unico anello. Era un anello prezioso, con incastonato un costoso rubino color melograno, una sfera senza difetti e unica. Tutto attorno alla pietra centrale, era impreziosito da diamanti. Rifiutai, sebbene non avessi addosso un ‘abá, e non avessi nulla da indossare tranne una tunica di cotone che sembrava antica come il mondo, e non avessi un centesimo. Come diceva Háfiz:

“La borsa vuota, ma nella manica una provvista”.

Grato della grazia ricevuta, Mirza Músá offri a Bahá’u’lláh tutto quello che possedeva: frutteti, terre, possedimenti, ma fu rifiutato. Allora incaricò gli ‘ulamá iracheni di intercedere per lui. Essi andarono da Bahá’u’lláh in massa e Lo implorarono di accettare i doni offerti. Egli rifiutò categoricamente. Gli dissero rispettosamente: "Se non accettate, in breve tempo Mirza Músá getterà tutto al vento. Per il suo stesso bene, non deve avere accesso a questa ricchezza".

Allora Mirza Músá scrisse di suo pugno gli atti di donazione, compilati secondo ciascuno dei cinque credi, in arabo e in persiano; ne fece due copie e prese a testimoni gli ‘ulamá. Li presentò a Bahá’u’lláh tramite certi ‘ulamá di Baghdád, fra i quali il famoso sapiente 'Abdu's-Salám Effendi e l'erudito e noto Siyyid Dávúd Effendi. La Bellezza Benedetta disse loro:

"Nominiamo Nostro fiduciario Mirza Músá".

Dopo la partenza di Bahá’u’lláh per la Rumelia, Mirza Músá acquistò dal governo con una nota promissoria le decime di Hindíyyih, un distretto nei pressi di Karbilá, e subì una grave perdita, quasi centomila túmán. Il Governo confiscò le sue proprietà e le vendette per un'inezia. Quando Gli fu riferito il fatto, Bahá’u’lláh disse: "Non parlatene mai più. Non dite più parola di queste proprietà". Nel frattempo ebbe luogo l'esilio da Adrianopoli ad 'Akká. Mirza Muhammad andò dalle autorità del Governo e disse: "Sono il fiduciario (vakíl) di Bahá’u’lláh. Queste proprietà non appartengono a Mirza Músá. Come mai le avete prese?". Ma non aveva documenti di appoggio, perché i titoli della proprietà erano ad 'Akká e perciò il Governo respinse la sua richiesta. Ma durante il processo egli divenne noto a tutti come Mirza Muhammad, il Fiduciario. Ecco come ricevette il titolo.

Mentre ci trovavamo ad Adrianopoli, Mirza Músá mandò l'anello di rubini, tramite Siyyid 'Alí-Akbar, e la Bellezza Benedetta ci disse di accettarlo. Quando arrivammo ad 'Akká i credenti si ammalarono e giacevano a letto sofferenti. Mandai l'anello in India, a uno degli amici, chiedendogli di venderlo il più rapidamente possibile e di inoltrarci il ricavato ad 'Akká che lo avremmo speso per gli ammalati. Quel benedetto individuo non ci mandò mai un centesimo. Due anni dopo ci scrisse per dire che aveva venduto l'anello per venticinque sterline e che aveva speso la somma per i pellegrini. Questo, mentre l'anello era di un valore tanto grande. Non me ne dolsi. Ma lodai Iddio, ringraziandoLo che di tutta quella ricchezza nemmeno un granello di polvere si era posato sul mio manto.

Mirza Muhammad fu preso prigioniero e mandato da Baghdad a Mosul, dove cadde preda di spaventose malattie. Era stato ricco; ora, sulla via di Dio, era povero. Aveva goduto di agi e comodità; ora, per amor di Dio, sopportava dolore e fatica. Visse per un certo tempo a Mosul, supplice, rassegnato e umile. E poi, distaccato da ogni cosa fuorché Dio, irresistibilmente attratto dagli zefiri gentili del Signore, assurse da questo mondo oscuro alla terra della luce. A lui saluti e lode. Iddio versi su di lui le acque del perdono e apra davanti alla sua tomba le porte del Cielo.

HÁJÍ MUHAMMAD-RIDÁY-I-SHÍRÁZÍ

Hájí Muhammad-Ridá proveniva da Shíráz. Era uomo dalla mente spirituale, umile, contrito, personificazione di serenità e fede. Quando fu elevato l'appello di Dio, quell'anima bisognosa si affrettò nell'asilo della grazia celeste. Appena udì l'invito: "Non son io il vostro Signore?" esclamò: "Sì, lo sei!"67 e divenne come lampada sul cammino della gente.

Per lungo tempo servì l'Afnán, Hájí Mirza Muhammad-’Alí, e fu suo leale e intimo compagno, fidato in tutto. In seguito, dopo un viaggio in paesi lontani, andò in Terra Santa e lì in perfetta sottomissione e umiltà chinò il capo davanti alla Sacra Soglia ed ebbe l'onore di entrare alla presenza di Bahá’u’lláh, dove bevve infinite munificenze da mani a coppa. Per un po’ di tempo rimase colà, servendo Bahá’u’lláh quasi tutti i giorni, circondato da santo favore e grazia. Quanto al carattere era straordinario e viveva secondo i comandamenti di Dio: tranquillo e longanime, nel suo abbandono al volere di Dio era abnegazione personificata. Non aveva mire personali, né sentimenti di attaccamento a questo mondo fuggevole. Il suo solo desiderio era di compiacere il suo Signore, la sua unica speranza camminare sul santo sentiero.

Proseguì poi per Beirut, servendo in quella città l'onorato Afnán. Trascorse un lungo periodo di tempo in questo modo, ritornando più e più volte per entrare alla presenza di Bahá’u’lláh e guardare quella Somma Bellezza. In seguito a Sidone cadde ammalato. Incapace di affrontare il viaggio per 'Akká, in perfetta acquiescenza e appagamento ascese al Regno di Abhá e fu immerso nell'oceano di luci. La Penna Suprema elargì infinita munificenza sulla sua memoria. In verità fu uno dei leali, degli incrollabili, una solida colonna di servizio a Bahá’u’lláh. Più volte udimmo questa lode dalle labbra della Bellezza Benedetta.

A lui saluti e lode e la gloria del Gloriosissimo. A lui la compassione e la massima misericordia dal Signore dei Sommi Cieli. La sua fulgida tomba è a Sidone, vicino al luogo chiamato Stazione di Giovanni il Santo.

HUSAYN EFFENDI TABRÍZÍ

Questo giovane proveniva da Tabríz ed era pieno d'amor di Dio come traboccante coppa, colma di vino vermiglio. Nel fiore della gioventù lasciò la Persia e si recò in Grecia, dove visse facendo il mercante. Finché giunse il giorno in cui, guidato dalla munificenza divina, dalla Grecia andò a Smirne e lì gli fu data la lieta novella di una nuova Manifestazione sulla terra. Gridò forte, divenne frenetico, fu inebriato dalla musica del nuovo messaggio. Fuggì dai suoi debiti e crediti, partì per

incontrare il Signore del suo cuore ed entrò alla presenza di Bahá’u’lláh. Per un po' di tempo, fido attendente e compagno, servi la Bellezza Benedetta. Gli fu poi detto di cercarsi casa nella città di Haifa.

Qui servì fedelmente i credenti e la sua casa era una stazione di passaggio per i viaggiatori bahá’í. Aveva indole eccellente, carattere meraviglioso e alte aspirazioni spirituali. Era amichevole con amici e stranieri, gentile con le genti di tutte le nazioni e augurava loro ogni bene.

Quando la Più Grande Luce ascese alle Schiere superne, Husayn Effendi Gli restò fedele, incrollabile e fermo; e continuò a essere intimo amico degli amici come prima. Così visse a lungo e si senti più ricco dei sovrani della terra. Divenne genero di Mirza Muhammad-Qulí, fratello della Bellezza Benedetta, e fu per qualche tempo pacifico e sereno. Evitò accuratamente ogni occasione d'essere indotto in errore, perché temeva che la tempesta delle afflizioni si scatenasse furiosa, montasse sempre più in alto e travolgesse molte anime nell'insondabile abisso.68 Sospirava e si doleva, perché aveva sempre questo timore. Alla fine non poté più sopportare il mondo e con le sue stesse mani si strappò la veste della vita.

Lode a lui, e saluti, e la misericordia di Dio, e l'accettazione divina. Iddio lo perdoni e lo accolga nell'eccelso Paradiso, il Paradiso che torreggia su tutto. La sua profumata tomba si trova a Haifa.

JAMSHÍD-I-GURJÍ

Un altro ancora degli emigranti e dei residenti fu il valoroso Jamshíd-i-Gurjí, che proveniva dalla Georgia, ma crebbe nella città di Káshán. Era un giovane fine, fedele, fidato, con un alto senso dell'onore. Quando udì di una nuova albeggiante Fede e si risvegliò alla novella che sugli orizzonti di Persia era sorto il Sole della Verità, fu preso da santa estasi e bramò e amò. Il nuovo fuoco arse i veli d'incertezza e dubbio che l'avevano avviluppato; la luce della Verità effuse i suoi raggi, la lampada della guida arse dinanzi a lui.

Rimase in Persia per un po' di tempo, poi partì per la Rumelia, che era territorio ottomano, e nella Terra del Mistero, Adrianopoli, ebbe l'onore di accedere alla presenza di Bahá’u’lláh; fu là che il suo incontro ebbe luogo. La sua gioia e il suo fervore erano sconfinati. In seguito, per ordine di Bahá’u’lláh, si recò a Costantinopoli, con Áqá Muhammad-Báqir e Áqá 'Abdu’l-Ghaffár. In quella città i tiranni lo imprigionarono e lo misero in catene.

L'ambasciatore persiano accusò Jamshíd e Ustád Muhammad-'Alíy-i-Dallák di essere capi nemici e combattenti. Descrisse Jamshíd come un moderno Rustam69 mentre Muhammad-’Alí, secondo lui, era un leone rabbioso. Questi due uomini rispettati furono prima imprigionati e incarcerati, poi, sotto scorta fino al confine persiano, espulsi dal territorio turco. Dovevano essere consegnati al Governo Persiano e crocefissi e la scorta fu minacciata di terribili punizioni se avesse rallentato la sorveglianza lasciandosi sfuggire i prigionieri. Per questa ragione, ad ogni tappa le vittime furono tenute in luoghi quasi inaccessibili. Una volta furono gettati in una fossa, una sorta di pozzo, e patirono tormenti per tutta la notte. La mattina dopo Jamshíd gridò: 'Voi che ci opprimete! Siamo il profeta Giuseppe, che ci avete gettato in un pozzo? Ricordate come dal pozzo Egli Si sia levato in alto come la luna piena? Anche noi percorriamo la via di Dio, anche noi siamo quaggiù per amor Suo e sappiamo che queste profondità sono le altezze del Signore".

Giunti al confine persiano, Jamshíd e Muhammad-’Alí furono consegnati ai capi curdi che li inviassero a Tihrán. I capi curdi si resero conto che i prigionieri erano innocenti, gentili e bendisposti, caduti nelle mani di nemici. Invece di mandarli nella capitale, li lasciarono liberi. Pieni di gioia, i due corsero via a piedi, ritornarono da Bahá’u’lláh e trovarono casa vicino a Lui nella Più Grande Prigione.

Jamshíd trascorse un po' di tempo in perfetta beatitudine, ricevendo la grazia e il favore di Bahá’u’lláh alla Cui presenza fu più volte ammesso. Era tranquillo e in pace. I credenti erano contenti di lui ed egli era contento di Dio. Fu in questa condizione che porse ascolto al comando celeste: "E tu, o anima tranquilla, ritorna al Tuo signore, piacente e piaciuta”.70 E al richiamo di Dio: "Ritorna!", rispose: "Sì, in verità!". Dalla Più Grande Prigione assurse al sommo Cielo; si librò verso un Regno puro e scintillante, lontano da questo mondo di polvere. Lo soccorra Iddio nella schiera celestiale,71 lo porti nel Paradiso degli Splendori e lo faccia vivere per sempre al sicuro nei giardini divini.

Saluti a lui, e lode. La sua tomba, dolce come muschio, è ad 'Akká.

HÁJÍ JA’FAR-I-TABRÍZÍ E I SUOI FRATELLI

C’erano tre fratelli di Tabríz: Hájí Hasan, Hájí Ja'far e Hájí Taqí. I tre erano come aquile in volo; erano tre stelle della Fede, palpitanti di luce d'amor di Dio.

Hájí Hasan era del primo giorno; aveva creduto sin dai primi albori del nuovo Astro. Era pieno di ardore, di mente acuta. Dopo la conversione viaggiò dappertutto, per le città e i villaggi di Persia e il suo respiro commuoveva i cuori delle anime anelanti. Poi parti per l'Iráq e colà durante il primo viaggio dell'Amato giunse alla Sua presenza. Vista quella attraente Luce, fu trasportato nel Regno degli Splendori; era incandescente, divenne schiavo di un bramoso amore. Ebbe allora istruzioni di ritornare in Persia. Faceva l'ambulante, il venditore di piccole terraglie e viaggiava di città in città.

In occasione del secondo viaggio di Bahá’u’lláh in 'Iráq, Hájí Hasan desiderò rivederLo e là a Baghdád fu ancora una volta abbagliato dalla Sua presenza. Tutte le volte che andava in Persia e faceva ritorno, i suoi pensieri erano concentrati sull'insegnamento e sulla promozione della Causa. I suoi affari andarono a rotoli. I ladri gli rubarono la mercanzia e così, come diceva, gli fu tolto il peso, fu liberato. Evitò ogni legame del mondo. Era tenuto avvinto come da un magnete; s'innamorò perdutamente, follemente del tenero Compagno, di

Colui Che è il Prediletto di entrambi i mondi. Conosciuto dappertutto per l'estasi in cui era, provava strane sensazioni; talvolta insegnava la Fede con perfetta eloquenza, adducendo come prove molti sacri versetti e sante tradizioni, e portando a sostegno valide a ragionevoli argomentazioni. Allora i suoi ascoltatori commentavano la forza della sua mente, la sua saggezza e il suo autocontrollo. Ma c'erano altri momenti in cui l'amore d'improvviso lo infiammava, e non riusciva a star fermo un istante. In quei momenti saltava, e danzava, o ancora cantava ad alta voce il verso di un poeta, o una canzone. Alla fine dei suoi giorni divenne amico intimo di Jináb-i-Muníb; i due si scambiarono molte segrete confidenze e ciascuno portava nel petto molte melodie.

In occasione dell'ultimo viaggio degli amici si recò in Ádhirbáyján e là, gettando al vento la prudenza, ruggì il Più Grande Nome "Yá Bahá’u’l-Abha!". Gli infedeli fecero lega con i suoi parenti e attirarono quell'innocente, in estasi, in un giardino. Qui prima lo interrogarono e ne ascoltarono le risposte. Egli parlò; spiegò le sacre verità della Fede e addusse prove conclusive che l'Avvento si era verificato davvero. Recitò versetti del Corano e tradizioni tramandate dal profeta Muhammad e dai Santi Imám. Dopo di che, in una frenesia d'amore e di rapito anelito, incominciò a cantare. Cantò una melodia shahnáz; le parole erano dei poeti, e dicevano che il Signore era venuto. Ed essi l'uccisero; versarono il suo sangue. Dilaniarono e straziarono le sue membra e ne nascosero il corpo sottoterra.

Quanto a Hájí Muhammad-Ja'far, nobile di nascita, anche lui, come il fratello, fu ammaliato dalla Bellezza Benedetta. In 'Iráq entrò alla presenza della Luce del Mondo, e anche lui s'infiammò di divino amore e fu trasportato dai gentili zefiri di Dio. Come il fratello, vendeva piccole mercanzie, sempre in viaggio da un luogo all'altro. Quando Bahá’u’lláh lasciò Baghdád per la capitale dell'islam, Hájí Ja'far si trovava in Persia, e quando la Bellezza Benedetta e il Suo seguito si fer-

marono ad Adrianopoli, Ja’far e suo fratello, Hájí Taqí, vi arrivarono dall'Ádhirbáyján. Trovarono un cantuccio pur che fosse e vi si sistemarono. I nostri oppressori allora protesero arroganti mani per mandare Bahá’u’lláh nella Più Grande Prigione e proibirono ai credenti di accompagnare il vero Amato, perché intendevano portare la Bellezza Benedetta in questa prigione con solo pochi Suoi seguaci. Quando Hájí Ja'far vide che l'avevano escluso dalla schiera degli esuli, prese un rasoio e si tagliò la gola.72 La folla espresse dolore e orrore e allora le autorità permisero a tutti i credenti di partire con Bahá’u’lláh: questo per la benedizione che derivò dall'atto d'amore di Ja'far.

La ferita fu ricucita, ma nessuno pensava che sarebbe guarito. Gli dissero: "Per il momento, dovrai rimanere dove sei. Se la gola ti guarisce, sarai mandato via, con tuo fratello. Siine certo". Anche Bahá’u’lláh dispose che si facesse così. Di conseguenza, lasciammo Ja'far in ospedale e proseguimmo per la prigione di 'Akká. Due mesi dopo, egli e il fratello Hájí Taqí arrivarono alla fortezza e si unirono agli altri prigionieri. Lo Hájí felicemente trasferito divenne più amorevole, più ardente ogni giorno che passava. Dal crepuscolo all'alba vegliava, cantando preghiere, versando lacrime. Poi una notte cadde dal tetto del caravanserraglio e ascese al Regno dei miracoli e dei segni.

Hájí Taqí, nato sotto una buona stella, era in ogni senso un vero fratello di Hájí Ja'far. Viveva nella stessa condizione spirituale, ma era più tranquillo. Dopo la morte di Hájí Ja'far, se ne stava tutto solo in un'unica stanza. Era silenzio personificato. Stava seduto là tutto solo, composto e cortese, anche durante la notte. Una notte salì sul tetto per cantare preghiere. La mattina dopo lo trovarono dov'era caduto, per terra accanto al muro. Era incosciente e non si sapeva se era stato un incidente o se si era gettato giù. Quando rinvenne

disse: "Ero stanco di questa vita e ho cercato di morire. Non voglio fermarmi neppure un attimo in questo mondo. Pregate ch'io me ne possa andare".

Questa dunque è la storia della vita dei tre fratelli. Tutti e tre erano anime tranquille; tutti e tre erano contenti del loro Signore ed egli era contento di loro.73 Erano fiamme; prigionieri della Fede; puri e santi. E perciò morirono, distaccati dal mondo, volgendo il viso verso il Regno Supremo. Iddio li avvolga nel manto della Sua grazia nel regno del perdono e li immerga nelle acque della Sua misericordia per sempre. Saluti a loro, e lode.

HÁJÍ Mirza MUHAMMAD-TAQÍ, L’AFNÁN

Fra le anime giuste, che sono entità luminose e riflessi divini, vi era Jináb-i-Muhammad-Taqí, l'Afnán.74 Il suo titolo era Vakílu'd-Dawlih. Questo eminente Virgulto era un germoglio dell'Albero Santo; in lui un eccellente carattere si alleava con un nobile lignaggio. La sua parentela era una parentela vera. Era una di quelle anime che, dopo una sola lettura del Libro dell'Íqán, divennero credenti, ammaliati dai dolci aromi di Dio, felici di recitare i Suoi versetti. La sua agitazione fu tale

che gridò: "Signore, Signore, eccomi!". Gioiosamente lasciò la Persia e accorse in 'Iráq. Pieno di bramoso amore, veloce superò montagne e lande deserte, senza fermarsi a riposare finché non giunse a Baghdad.

Entrò alla presenza di Bahá’u’lláh e fu accetto ai Suoi occhi. Quale estasi santa, quale fervore, quale distacco dal mondo! Era indescrivibile. Il suo volto benedetto era così avvenente, così luminoso che gli amici in 'Iráq gli dettero un nome: lo chiamarono "l'Afnán di tutte le delizie". Era veramente un’anima benedetta, un uomo degno d'esser riverito. Dall'inizio della vita fino all'ultimo respiro, non trascurò mai il dovere. Quando i suoi giorni erano incominciati, si era innamorato dei dolci aromi di Dio e quando si conclusero, rese un supremo servizio alla Causa di Dio. La sua vita fu giusta, il suo eloquio gradevole, degne le sue azioni. Non mancò mai nel servizio, nella devozione e affrontava grandi imprese con alacrità e gioia. La sua vita, il suo comportamento, quello che faceva, quello che lasciava incompiuto, i suoi rapporti con gli altri - era tutto un modo di insegnare la Fede e serviva da esempio e monito agli altri.

Conseguito a Baghdád l'onore di incontrare Bahá’u’lláh, fece ritorno in Persia, dove incominciò a insegnare la Fede con discorsi eloquenti. Ecco come insegnava: con discorsi eloquenti, penna pronta, buon carattere, parole piacevoli e maniere e azioni rette. Perfino i nemici attestavano la sua nobiltà di pensiero e le sue qualità spirituali, e dicevano: "Non c'è nessuno che si possa paragonare a quest'uomo per parole e atti, rettitudine, fidatezza e forte fede; è incomparabile in tutto; peccato che sia bahá’í!". Cioè: "Peccato non sia come noi, perversi, incuranti, peccatori, dediti alla sensualità creature delle nostre passioni!". Benevolo Iddio! Vedevano coi loro occhi che non appena aveva saputo della Fede si era trasformato, si era distaccato dal mondo, aveva incominciato a emanare raggi del Sole della Verità; eppure non si giovarono del suo esempio.

Mentre si trovava a Yazd in apparenza si dedicava ad affari di commercio, ma in sostanza insegnava la Fede. Suo unico scopo era esaltare la Parola di Dio, suo unico desiderio diffondere i dolci aromi divini, suo unico pensiero avvicinarsi sempre più alle magioni del Signore. Sulle sue labbra non v'era ricordo se non i versetti di Dio. Era una personificazione del compiacimento di Bahá’u’lláh; un oriente della grazia del Più Grande Nome. Moltissime volte Bahá’u’lláh espresse a coloro che Gli erano intorno la Propria estrema soddisfazione dell'Afnán; e di conseguenza tutti erano certi che in futuro egli avrebbe intrapreso qualche importantissimo compito.

Dopo l'ascensione di Bahá’u’lláh, l'Afnán, leale e incrollabile nel Patto, rese ancor più servigi di prima, malgrado i molti ostacoli, uno schiacciante carico di lavoro, e un'infinita varietà di cose che reclamavano la sua attenzione. Rinunciò al benessere, agli affari, alle proprietà, ai beni, alle terre, accorse ad 'Ishqábád e incominciò a costruire il Mashriqu'l-Adhkár, servizio di enorme importanza, perché così egli fu il primo a erigere una Casa di Culto bahá’í, il primo costruttore di una Casa per unificare l'uomo. Con l'aiuto dei credenti di 'Ishqábád, riuscì a ottenere la palma della vittoria. Per lungo tempo colà, non ebbe riposo. Giorno e notte, sollecitò i credenti. Allora anche loro si sforzarono e fecero sacrifici al di sopra e al di là delle loro forze; e l'edificio di Dio sorse, e se ne sparse notizia in oriente e in occidente. Per costruirlo, l'Afnán spese tutto quello che aveva, fuorché una somma insignificante. Ecco come si fa un sacrificio. Ecco che cosa significa essere fedeli.

Poi si recò in Terra Santa e qui vicino al luogo attorno al quale ruotano gli angeli prescelti, al riparo del Mausoleo del Báb, trascorse i suoi giorni, santo e puro, supplicando e invocando il Signore. La lode di Dio era sempre sulle sue labbra e cantava preghiere con la bocca e col cuore. Era meravigliosamente spirituale, straordinariamente luminoso. È una di quelle anime che, prima ancora che risuonasse il rullo di tamburo del "Non son Io il vostro Signore?", rullò di rimando: "Sì, in

verità lo sei!".75 Fu nel periodo iracheno, negli anni fra i settanta e gli ottanta dell'Egira, che per la prima volta s'infiammò e amò la Luce del Mondo, mirò la gloria albeggiante in Bahá’u’lláh e vide la realizzazione delle parole: "Sono Colui Che vive nel Regno di Gloria di Abha!".

L'Afnán fu uomo di non comune felicità. Ogni qual volta ero rattristato, mi incontravo con lui e subito ritornava la gioia. Sia lode a Dio, alla fine, vicino al Mausoleo del Báb, assurse in luce al Reame di Abhá; ma la sua perdita addolorò molto 'Abdu’l-Bahá.

La sua fulgida tomba è a Haifa, vicino all'Hazíratu'l-Quds, presso la grotta di Elia. Vi deve essere costruito un sepolcro, solido e ben fatto. Iddio riversi su di esso raggi dal Paradiso degli Splendori, e lavi quelle sante ceneri con le piogge che cadono dai recessi della Schiera Eccelsa. A lui la gloria del Gloriosissimo.

‘ABDU’LLÁH-I-BAGHDÁDÍ

Quando 'Abdu’lláh Baghdádí era molto giovane, la gente pensava di lui che era un libertino, dedito unicamente ai piaceri. Era considerato da tutti un gaudente dai desideri disordinati, sommerso dal fango delle passioni terrene. Ma nel momento in cui divenne credente, fu trasportato dai dolci

aromi di Dio e tramutato in una nuova creazione. Si ritrovò in uno strano rapimento, completamente trasformato. Era stato del mondo, ora era del Cielo; era vissuto secondo la carne, ora viveva secondo lo spirito; aveva camminato nelle tenebre, ora camminava nella luce. Era stato schiavo dei sensi, ora era servo di Dio. Era stato argilla e coccio prima, ora perla di gran prezzo; un tempo pietra opaca e spenta, ora scintillante rubino.

Anche fra i non credenti la gente era sbalordita da questo cambiamento. Cosa poteva essere accaduto a quel giovane, volevano sapere; cos'era mai successo che all'improvviso si era distaccato dal mondo, diventando ardente e devoto? "Era vizioso e depravato dicevano "e oggi è astemio e casto. Era immerso nelle sue voglie, ma ora è un'anima pura e vive la vita del giusto. Ha dimenticato il mondo. Ha interrotto i festini, licenziato i gaudenti e riposto gli abiti di gala. La sua mente è tutta presa dall'amore".

In breve egli rinunziò ai piaceri e alle ricchezze e s'incamminò verso 'Akká. Il suo volto era divenuto così radioso, così luminosa la sua natura, ch'era una gioia guardarlo. Io gli dice-vo: "Áqá 'Abdu’lláh, come state?", ed egli rispondeva così: "Ero al buio, ora, per grazia della Bellezza Benedetta, sono alla luce. Ero una manciata di polvere; Egli mi ha trasformato in un fertile campo. Ero in continuo tormento; ora sono in pace. Ero innamorato delle mie catene; Egli le ha infrante. Ero avido di questo e di quello; ora mi aggrappo al Signore. Ero un uccello in gabbia; Egli mi ha liberato. Oggi vivo nel deserto e la nuda terra mi serve da letto e da guanciale, ma mi pare seta. Ai vecchi tempi avevo copriletto di raso e l'anima mia era alla ruota. Ora sono senza tetto, e felice”.

Ma quando vide come Bahá’u’lláh era ingiustamente perseguitato, con quanta pazienza sopportava, il suo cuore ardente si spezzò. 'Abdu’lláh desiderò morire per Lui. Fu così che offrì la vita per il suo tenero Compagno e, lasciato questo mondo oscuro, si affrettò verso il paese della luce. La sua tomba luminosa si trova ad 'Akká. A lui la Gloria del Gloriosissimo; a lui misericordia dalla grazia del Signore.

MUHAMMAD-MUSTAFÁ BAGHDÁDÍ

Muhammad-Mustafá era luce fiammeggiante. Era figlio del famoso sapiente Shaykh Muhammad-i-Shibl visse in 'Iráq e dalla prima giovinezza fu chiaramente unico e incomparabile; saggio, coraggioso, meritevole sotto ogni aspetto, conosciuto dappertutto. Sin dall'infanzia, guidato dal padre, aveva acceso la luce della fede nel sacello del suo cuore. Si era liberato dagli ingombranti veli dell'illusione, aveva guardato con occhi percettivi, visto i grandi nuovi segni di Dio e, incurante delle conseguenze, aveva gridato forte: "E scintillerà allora la terra della luce del Signore".76

Benevolo Iddio! L'opposizione era forte, ovvia la punizione, tutti gli amici erano atterriti e, tenendosi in disparte, nascondevano la propria fede; in un simile momento questo intrepido individuo fece coraggiosamente i suoi affari e affrontò da uomo ogni tiranno. L'unico che, nell'anno settanta, fosse noto in 'Iráq per il suo amore verso Bahá’u’lláh fu questa persona onorata. Altri, a Baghdád e dintorni, si erano allora furtivamente rifugiati in cantucci e angolini e, imprigionati nel letargo, vi erano rimasti. Ma questo ammirevole Muhammad-Mustafá andava e veniva arditamente, orgogliosamente, da uomo e i nemici avevano paura di attaccarlo a causa della sua forza fisica e del suo coraggio.

Ritornato Bahá’u’lláh dal viaggio in Kurdistán, la forza e il portamento virile di quel coraggioso si rafforzarono ulteriormente. Ogni qual volta ne aveva il permesso, serviva Bahá’u’lláh e dalle Sue labbra udiva espressioni di favore e benevolenza. Di tutti gli amici in 'Iráq, egli era il primo, e dopo la grande separazione, quando il convoglio dell'Amato partì alla volta di Costantinopoli, rimase leale e incrollabile e resistette al nemico. Si preparò al servizio e insegnò la Fede apertamente, pubblicamente, osservato da tutti.

Non appena fu noto dappertutto che Bahá’u’lláh aveva dichiarato di essere "Colui Che Dio manifesterà”,77 Muhammad-Mustafá, che era fra quelle anime che erano divenute credenti prima di questa Dichiarazione e prima che fosse lanciato l'appello, esclamò: "In verità, noi crediamo!". Perché, anche prima di questa Dichiarazione, la luce stessa aveva penetrato i veli che avevano escluso i popoli del mondo, si che ogni occhio veggente mirò lo splendore e ogni anima languente poté guardare il Benamato.

Allora Muhammad-Mustafá si levò a servire la Causa con tutta la sua forza. Non riposò né giorno né notte. Dopo che l'Antica Bellezza fu partita per la Più Grande Prigione, e che gli amici erano stati fatti prigionieri a Baghdád e mandati a Mosul, dopo l’ostilità di eminenti nemici e l'opposizione della popolazione di Baghdád, egli non vacillò, ma continuò a mantenere la propria posizione. Così trascorse lungo tempo. Ma col suo desiderio di Bahá’u’lláh, aveva un tale tumulto nel cuore che partì da solo alla volta della Più Grande Prigione. Vi giunse durante il periodo delle estreme restrizioni ed ebbe l'onore di accedere alla presenza di Bahá’u’lláh.

Chiese allora il permesso di trovare alloggio da qualche parte nelle vicinanze di 'Akká e gli fu concesso d'abitare a Beirut. Vi si recò e servi fedelmente la Causa, assistendo tutti i pellegrini quando arrivavano e ripartivano. Era un eccellente

servitore, un ospite generoso e gentile e si sacrificò per provvedere ai loro affari quando passavano. Per tutto questo fu conosciuto dappertutto.

Tramontato il Sole della Verità e ascesa la Luce dell'Accolta superna, Muhammad-Mustafá rimase fedele al Patto. Restò incrollabile contro i vacillanti, tanto che essi non osarono trarre un respiro. Era come meteora, dardo scagliato contro i demoni;78 contro i violatori, vindice spada. Nessuno dei violatori si azzardava a passare per la strada dove egli viveva e se per caso lo incontravano erano come quelli descritti dal Corano "sordi muti ciechi, non recedono dall'errore".79 Era la personificazione di "Biasimo di biasimatore non lo distoglierà dalla via di Dio e non lo scuoterà terribile possanza di oltraggiatori".

Vivendo come prima, servì i credenti con mente libera e intenzioni pure. Assisté generosamente coloro che si recavano in Terra Santa, coloro che erano venuti per circumambulare quel luogo cui le Schiere superne fanno cerchio. In seguito si trasferì da Beirut a Iskandarún e lì trascorse un periodo di tempo, finché, come attratto da un magnete verso il Signore, distaccato da tutto fuorché Lui, rallegrandosi della Sua lieta novella, afferrata la corda che nessuno può recidere, sulle ali dello spirito ascese al suo Eccelso Compagno.

Lo innalzi Iddio al sommo Cielo, al sodalizio della gloria.80 Lo conduca Iddio nella terra delle luci, il misterioso regno, l'assemblea degli splendori del possente, fortissimo Signore. A lui la gloria del Gloriosissimo.

SULAYMÁN KHÁN-I-TUNUKÁBÁNÍ

Sulaymán Khán era quell'emigrante, quel residente cui fu dato il titolo di Jamáli'd-Dín. Era nato a Tunukábán, da una vecchia famiglia del luogo. Fu allevato nella ricchezza, abituato agli agi, educato nelle comode vie del lusso. Dalla prima infanzia ebbe alte ambizioni e nobili mete, fu onore e aspirazione personificati. Da principio si propose di superare tutti i compagni e di conseguire un altissimo rango. Perciò lasciò la città natale e si recò nella capitale, Tihrán, dove sperava di diventare un capo, sopravanzando il resto della sua generazione.

Ma a Tihrán s'imbatté nella fragranza di Dio e udì l'invito del Benamato. Fu salvato dai turbamenti dell'alto rango, da tutti gli strepiti, gli schiamazzi, le glorie, i fasti e i palazzi di questo pugno di polvere che è il mondo. Si liberò dalle catene e, per grazia di Dio, scoprì la pace. Per lui il seggio d'onore ora non era diverso dal luogo presso la porta dove la gente si toglie i sandali, e le alte cariche erano cosa ormai passata e dimenticata. Fu purificato dalla macchia del vivere, ebbe placato il cuore, perché aveva infranto le catene che lo legavano a questa vita.

Indossato l'abito del pellegrino, partì per trovare l'amorevole Amico e giunse nella Più Grande Prigione. Qui riposò per un certo tempo sotto la protezione dell'Antica Bellezza; qui conseguì l'onore di accedere alla presenza di Bahá’u’lláh e di udire importantissimi insegnamenti dalle Sue sante labbra. Dopo ch'ebbe respirato aria profumata e che i suoi occhi furono illuminati e le sue orecchie intonate alle parole del Signore, gli fu permesso di recarsi in India e ordinato di insegnare ai sinceri ricercatori della verità.

Affidato il cuore a Dio, innamorato dei Suoi dolci aromi, partì per l'India, infiammato d'amore di Dio. Là andò errando, e in ogni città in cui giunse lanciò l'appello del Gran Regno e trasmise la lieta novella che l'Interlocutore del Monte era venuto. Divenne uno dei coloni di Dio e sparse il santo seme degli Insegnamenti. La semina fu feconda. Per suo mezzo molti entrarono nell'Arca della Salvazione. Su quelle anime fu versata la luce della guida divina, i loro occhi furono illuminati dalla visione dei possenti segni di Dio. Divenne il centro focale di ogni adunanza, l'ospite d'onore. Fino ad oggi in India si vedono chiaramente i risultati della sua fausta presenza e ora coloro cui egli insegnò a loro volta guidano altri alla Fede.

Dopo il suo viaggio indiano, Sulaymán Khán ritornò presso Bahá’u’lláh; ma quando giunse, l'ascensione aveva già avuto luogo. Pianse continuamente e il suo cuore fu turibolo di dolore. Ma rimase fedele al Patto radicato nel Cielo.

Non molto tempo prima del Suo trapasso, Bahá’u’lláh aveva detto: "Se qualcuno andrà in Persia e farà in modo di trasmetterlo, dovrà essere consegnato all'Amínu's-Sultán81 questo messaggio: 'Hai preso provvedimenti per aiutare i prigionieri; hai reso loro liberamente un degno servizio, che non sarà dimenticato. Sii certo che ciò ti porterà onore e attirerà una benedizione su tutte le tue cose. O Amínu's-Sultán! Ogni casa costruita un giorno andrà in rovina, eccetto la casa di Dio; questa diverrà più solida e sarà meglio protetta giorno dopo giorno. Quindi servi la Corte di Dio con tutta la tua

potenza, sì che tu possa scoprire la strada verso una casa nel Cielo e trovare un edificio che duri per sempre"'. Dopo la dipartita di Bahá’u’lláh, questo messaggio fu trasmesso all'Amínu's-Sultán.

Nell'Ádhirbáyján il clero turco aveva abbattuto Áqá Siyyid Asadu'lláh; gli avevano dato la caccia in Ardabíl e avevano tramato per spargere il suo sangue; ma il Governatore, con uno stratagemma, fece in modo di salvarlo dall'essere fisicamente percosso e poi assassinato: mandò la vittima incatenata a Tabríz e poi lo fece condurre a Tihrán. L'Amínu's-Sultán venne in aiuto del prigioniero e dette asilo ad Asadu'lláh nel suo ufficio. Un giorno mentre il Primo Ministro era ammalato, Násiri'd-Dín-Sháh venne a fargli visita. Il Ministro allora gli spiegò la situazione e fu a tal punto prodigo di elogi per il prigioniero, che lo Sciá, partendo, mostrò ad Asadu'lláh grande gentilezza e gli disse parole di consolazione. Questo, quando in tempi precedenti lo avrebbe fatto subito appendere a ornare qualche forca o abbattere con un fucile.

Dopo qualche tempo l'Amínu's-Sultán perse il favore del Sovrano. Odiato, in disgrazia, fu bandito nella città di Qum. Allora questo servo mandò Sulayman Khán in Persia, a portare una preghiera e una missiva che avevo scritto. La preghiera invocava l'aiuto, la grazia e il soccorso di Dio sul Ministro decaduto, affinché da quell'angolo di oblio potesse ritornare in favore. Nella lettera si affermava chiaramente: "Preparati a ritornare a Tihrán. Presto arriverà l'aiuto di Dio; la luce della grazia rifulgerà ancora su di te; ti ritroverai libero, di nuovo in piena autorità, e Primo Ministro. Questa è la tua ricompensa per gli sforzi che hai compiuto a favore di un uomo che era oppresso". La lettera e la preghiera sono ora in possesso della famiglia dell'Amínu's-Sultán.

Da Tihrán, Sulaymán Khán si recò a Qum e secondo le sue istruzioni andò a vivere in una cella nel santuario dell'Immacolata.82 I familiari dell'Amínu's-Sultán andarono a

fargli visita; Sulaymán Khán chiese notizie del Ministro decaduto ed espresse il desiderio d'incontrarlo. Quando lo seppe, il Ministro lo mandò a chiamare. Riposta ogni fiducia in Dio, Sulaymán Khán si recò subito a casa sua e, incontratolo in privato, gli consegnò la lettera di 'Abdu’l-Bahá. Il Ministro si alzò e la prese con estremo rispetto. Poi rivoltosi al Khán disse: "Avevo perso ogni speranza. Se questo voto si realizza, mi leverò a servire; salverò e difenderò gli amici di Dio". Poi espresse gratitudine, riconoscenza e gioia e aggiunse: "Sia lodato Iddio, ho ancora speranza; sento che col Suo aiuto il mio sogno si realizzerà,'.

In breve, il Ministro promise di servire gli amici e Sulaymán Khán si congedò. Il Ministro desiderava offrirgli una somma di denaro per rimborsargli le spese di viaggio, ma Sulaymán Khán rifiutò e, malgrado le sue insistenze, non accettò nulla. Il Khán non era ancora giunto di ritorno in Terra Santa che l'Amínu's-Sultán fu richiamato dall'esilio e immediatamente nominato Capo di Gabinetto. Egli assunse l'alto ufficio e operò con piena autorità; dapprima aiutò veramente i credenti, ma verso la fine, nel corso dei martirî di Yazd, fu negligente. Non aiutò né protesse le vittime in alcun modo, non ascoltò i loro ripetuti appelli, finché furono tutti messi a morte. Di conseguenza anche lui fu destituito, un uomo rovinato. Quello stendardo che aveva così orgogliosamente sventolato fu ammainato e quel cuore speranzoso fu gettato della disperazione.

Sulaymán Khán continuò a vivere in Terra Santa, presso la Tomba attorno alla quale ruota l'Eccelsa Assemblea. Rimase in compagnia dei credenti fino all'inevitabile giorno della morte, quando partì per le magioni di Colui Che vive e non perisce. Volse le spalle a questo pugno di polvere che è il mondo e accorse nel paese della luce. Infranse questa gabbia che è l'esistenza contingente e si librò nell'infinito Reame di là dallo spazio. Iddio lo avvolga nelle acque della Sua misericordia, faccia piovere su di lui il Suo perdono e gli conferisca mirabilia di traboccante grazia. A lui saluti e lode.

‘ABDU’R-RAHMÁN, IL CALDERAIO

Era un uomo paziente e rassegnato nativo di Káshán, uno tra i primissimi credenti. Aveva le guance ancora imberbi, quando bevve dall'amor di Dio, e i suoi occhi mirarono la mensa celestiale imbandita di fronte a lui, e ricevette la fede e una porzione di abbondante grazia.

Ben presto lasciò il focolare domestico e partì per quel giardino di rose che era Baghdád, dove ebbe l'onore di accedere alla presenza di Bahá’u’lláh. Rimase un po' di tempo in 'Iráq e vi conquistò una corona di favore imperituro: era ammesso alla presenza di Bahá’u’lláh e più volte Lo scortava a piedi al Santuario dei Due Kázim; ecco la sua grande gioia.

'Abdu'r-Rahmán fu tra i prigionieri esuli a Mosul e poi si trascinò fino alla fortezza di 'Akká. Qui visse benedetto da Bahá’u’lláh. Aveva un suo piccolo commercio, di poco conto, ma ne viveva contento, felice e in pace. Così campò, calcando la via della rettitudine, fino a ottant'anni, quando, con serena pazienza, si librò verso la Soglia di Dio. Il Signore lo avvolga colà nella Sua grazia e compassione e lo abbigli con la veste del perdono. La sua luminosa tomba è ad 'Akká.

MUHAMMAD-IBRÁHÍM-I-TABRÍZÍ

Quest'uomo, nobile e magnanimo, era figlio dell'onorato 'Abdu'l-Fattáh, che si trovava nella prigione di 'Akká. Saputo che suo padre vi era imprigionato, si recò in gran fretta nella fortezza per potere anche lui aver parte di queste crudeli afflizioni. Era un uomo saggio, intelligente, in tumulto per aver bevuto il vino dell'amor di Dio, ma dotato di una meravigliosa, fondamentale calma e serenità.

Aveva ereditato l'indole del padre, un esempio del detto che il figlio è la segreta essenza del genitore. Per questa ragione si deliziò per lungo tempo nelle vicinanze della Presenza Divina, in pace perfetta. Durante il giorno svolgeva il suo commercio e di notte veniva in gran fretta alla porta della casa, per stare con gli amici. Era vicino a tutti coloro che erano incrollabili e sinceri; era pieno di coraggio, grato a Dio, astemio e casto, in attesa della munificenza e della grazia del Signore e in essa fiducioso. Fece risplendere la lampada del padre, dette lustro alla famiglia di 'Abdu'l-Fattáh e lasciò discendenti a restare dopo di lui in questo mondo che passa rapidamente.

Fece sempre tutto quel che poteva per provvedere alla felicità dei credenti e si curò sempre del loro benessere. Era sagace, serio e incrollabile. Per grazia di Dio rimase leale fino alla fine e sano nella fede. Iddio gli porga da bere dalla coppa del perdono; sorseggi dalla fonte della munificenza e del compiacimento di Dio; Iddio lo innalzi alle altezze della divina largizione. La sua tomba fragrante si trova ad 'Akká.

MUHAMMAD-‘ALÍY-I-ARDIKÁNÍ

Nel fiore della tenera gioventù, Muhammad-’Alí, l'illuminato, udì il grido di Dio e perse il cuore per la grazia celeste. Entrò al servizio dell'Afnán, progenie del Santo Albero, e visse felice e contento. Ecco come venne nella città di 'Akká e rimase per un certo tempo presso la Sacra Soglia, conquistando una corona di perenne gloria. L'occhio della grazia e del favore di Bahá’u’lláh fu su di lui. Servì con cuore leale. Aveva indole felice e gioiosa, volto avvenente; credeva, cercava, era un uomo saggiato e provato.

Durante i giorni di Bahá’u’lláh, Muhammad-'Alí perseverò incrollabile e dopo la Suprema Afflizione non si perse d'animo, perché aveva bevuto il vino del Patto e i suoi pensieri erano fissi sulle grazie di Dio. Si trasferì a Haifa dove visse, nei pressi dell'Hazíratu'l-Quds, vicino al Santo Mausoleo sul monte Carmelo, saldo credente, fino all'ultimo respiro, quando sopraggiunse la morte e il tappeto della sua vita terrena fu arrotolato e riposto.

Quest'uomo fu un vero servitore della Soglia, buon amico dei credenti. Tutti erano contenti di lui, trovandolo un eccellente compagno, gentile e mite. Lo soccorra Iddio nel Suo eccelso Reame, gli conceda una dimora nel Regno di Abhá e

gli invii copiosa grazia dai giardini del Paradiso, il luogo dell'incontro, il luogo della mistica contemplazione di Dio. Le sue ambrate ceneri sono a Haifa.

HÁJÍ ÁQÁY-I-TABRÍZÍ

Quest'uomo spirituale, che proveniva da Tabríz, aveva intuito il mistico sapere e bevuto l'inebriante vino di Dio nella prima giovinezza e negli anni dell’età indifesa rimase sempre incrollabile nella Fede.

Visse per un certo tempo nell'Ádhirbáyján, innamorato del Signore. Quando tutti nei dintorni seppero che portava il nome di Dio, la gente gli rovinò la vita. Parenti e amici si rivoltarono contro di lui, trovando ogni giorno un nuovo pretesto per perseguitarlo. Alla fine disfece la casa, prese la famiglia e fuggì ad Adrianopoli. Arrivò sul finire del periodo adrianopolitano e fu preso prigioniero dagli oppressori.

Venne nella Più Grande Prigione assieme a noi raminghi senza tetto e sotto la protezione dell'Antica Bellezza e fu confidente e compagno, condividendo con noi calamità e tribolazioni, umile e tollerante. In seguito, quando bene o male le restrizioni furono minori, si dedicò al commercio e grazie a Bahá’u’lláh fu a proprio agio e in pace. Ma il suo corpo s'era indebolito per gli antichi stenti e tutte le sofferenze e le sue facoltà erano danneggiate; così che finì col cadere ammalato, senza speranza di rimedio; e non lungi da Bahá’u’lláh e al riparo della Sua protezione, fuggì da

questo minimo fra i mondi verso l'eccelso Paradiso, da questo luogo oscuro alla terra delle luci. Iddio lo immerga nelle acque del perdono; lo conduca nei giardini del Paradiso e lì lo tenga per sempre al sicuro. Le sue pure ceneri riposano a 'Akká.

QULÁM-‘ALÍY-I-NAJJÁR

Carpentiere e artigiano esperto, quest'uomo proveniva da Káshán. Era una spada sguainata di fede e certezza. Era conosciutissimo nella sua città come persona retta, sincera e degna di fiducia. Aveva nobili ideali, era astemio e casto. Divenuto credente, la sua imperiosa brama di incontrare Bahá’u’lláh non poté essere placata; traboccante gioioso amore, partì dalla Terra di Káf (Káshán) alla volta dell'Iráq, dove mirò lo splendore del Sol nascente.

Uomo mite, paziente, quieto, se ne stava per lo più in disparte. A Baghdád, si dedicò al suo mestiere, si tenne in contatto con gli amici e fu sorretto dalla presenza di Bahá’u’lláh. Per qualche tempo visse in perfetta pace e felicità. Poi coloro che erano stati fatti prigionieri furono inviati a Mosul ed egli fu fra quelle vittime, anch'egli come loro esposto alla furia degli oppressori. Rimase a lungo in prigionia e quando fu libero venne ad 'Akká. Anche qui fu amico dei prigionieri e nella Fortezza seguitò a esercitare il suo mestiere. Come al solito era incline alla solitudine, portato a isolarsi da conoscenti ed estranei e da solo trascorreva la maggior parte del suo tempo.

Poi ci sopravvenne la suprema ordalia, la grande desolazione. Qulám-'Alí si incaricò del lavoro di falegnameria della Santa Tomba, profondendovi tutte le sue indubbie capacità. La vetrata che ancor oggi ricopre il cortile interno della Tomba di Bahá’u’lláh è frutto del suo talento. Era un uomo dal cuore cristallino. Il volto risplendente, lo stato d'animo invariabile, mai mutevole o incostante, rimase incrollabile, amorevole e sincero fino all'ultimo respiro.

Trascorsi alcuni anni in questi dintorni, assurse nei dintorni del misericordioso abbraccio di Dio e divenne compagno di coloro che dimorano nei sommi Cieli. Ebbe l'onore d'incontrare Bahá’u’lláh in entrambi i mondi. È questa la grazia più preziosa, il dono più sontuoso. A lui saluti e lode. La sua tomba luminosa si trova ad 'Akká.

JINÁB-I-MUNÍB, SU DI LUI
SIA LA GLORIA DEL GLORIOSISSIMO

Si chiamava Mirza Áqá ed era puro spirito; proveniva da Káshán. Fu attratto verso i dolci aromi di Dio ai tempi del Báb: fu allora che s'infiammò. Era un giovane bello, avvenente, pieno di fascino e di grazia. Era calligrafo eccellente, poeta e, quando cantava, aveva una voce straordinaria. Era saggio e sensibile, devoto alla Fede di Dio, una fiamma d'amor di Dio, distaccato da tutto fuorché da Dio.

Durante gli anni in cui Bahá’u’lláh risiedeva in 'Iráq Jináb-

i-Muníb lasciò Káshán recandosi trepidante alla Sua presenza. Andò ad abitare in una modesta casetta e, procuratosi il necessario per tenersi in vita, incominciò a trascrivere le parole di Dio. Sulla sua fronte erano chiaramente visibili i doni della Manifestazione. In questo mondo mortale aveva un unico bene: una figlia; e persino la figlia aveva abbandonato in Persia, quando era accorso in 'Iráq.

Allorché, con gran pompa e cerimonia, Bahá’u’lláh e il Suo seguito partirono da Baghdád, Jináb-i-Muníb accompagnò a piedi la carovana. Quel giovane era noto in Persia per la vita agiata e gaia, per il suo amore del piacere e anche perché era alquanto molle e delicato e avvezzo a ottenere ciò che voleva. Quanto una persona del genere abbia sofferto in quella marcia da Baghdád a Costantinopoli, è facile capire. Eppure, lietamente camminò per miglia e miglia nel deserto e trascorse i suoi giorni e le sue notti recitando preghiere, volgendo lo spirito a Dio e invocandoLo.

Durante quel viaggio mi fu compagno fedele. A volte, la notte camminavamo ai lati dell'howdah di Bahá’u’lláh e sentivamo allora una gioia superiore a qualsiasi descrizione. Certe notti cantava poemi; tra questi, era solito declamare le odi di Háfiz, come quella che incomincia: "Suvvia! spargiamo queste rose,- mesciamo questo vino"83 e l'altra:

Se innanzi al nostro Re il ginocchio pieghiamo
pure siamo re della stella mattutina.
Non abbiamo cangianti colori.
Siamo rossi leoni, neri dragoni!

Nel partire da Costantinopoli, la Bellezza Benedetta ordinò a Jináb-i-Muníb di andare a diffondere la Fede in Persia. Perciò egli tornò indietro e, per lungo tempo, rese importanti servigi, soprattutto a Tihrán. In seguito, ritornato ad Adrianopoli dalla Persia, giunse ancora alla presenza di Bahá’u’lláh ed ebbe il privilegio di servirLo. Al tempo della più grande sventura, cioè l'esilio ad 'Akká, su questa Via fu imprigionato e viaggiò, da quel momento fragile e infermo, al seguito di Bahá’u’lláh.

Era stato colpito da una grave malattia che l'aveva penosa-mente indebolito. Ciò nonostante si rifiutò di restare ad Adrianopoli, dove avrebbe potuto farsi curare, perché voleva immolare la vita e cadere ai piedi del suo Signore. Proseguimmo il nostro viaggio, finché non arrivammo al mare. Si era così debilitato che, per sollevarlo e trasportarlo sulla nave, occorsero tre uomini. Quando fu a bordo, le sue condizioni si aggravarono a tal punto che il comandante insistette perché lo sbarcassimo, e solo per le nostre ripetute suppliche attese che giungessimo a Smirne. Qui, rivolgendosi al colonnello 'Umar Bayk, il rappresentante del Governo che ci scortava, il comandante disse: "Se non lo farete sbarcare voi, lo farò io di forza, perché una nave non può accettare passeggeri in queste condizioni".

Fummo quindi costretti a portare Jináb-i-Muníb all'ospedale di Smirne. Stremato com'era, incapace di dire una parola, si trascinò vicino a Bahá’u’lláh, si accasciò ai Suoi piedi e pianse. Anche dal volto di Bahá’u’lláh traspariva un profondo dolore.

Accompagnammo Jináb-i-Muníb all'ospedale, ma i funzionari non ci concessero più di un'ora. Lo adagiammo sul letto; appoggiammo la sua bella testa sul cuscino; lo abbracciammo e baciammo più volte. Poi, ci obbligarono a venir via. Come ci sentimmo, è facile immaginare. Ogni volta che ripenso a quel momento, mi vengono le lacrime agli occhi; il cuore mi si fa pesante e rievoco il ricordo di ciò ch'egli era: un grande uomo, infinitamente saggio, egli era; forte, modesto e serio e, quanto a fede e certezza, non c'era nessuno pari a lui. In lui si combinavano perfezioni interiori ed esteriori, spirituali e materiali. Ecco perché poté ricevere infiniti doni e grazie.

La sua tomba si trova a Smirne, ma è fuori mano, in disparte e abbandonata. Quando sarà possibile, gli amici devono trovare quelle ceneri neglette e trasformarle in una tomba molto visitata,84 affinché i pellegrini che vi andranno possano respirare le dolci fragranze della sua estrema dimora.

Mirza MUSTAFÁ NARÁQÍ

Nella schiera delle anime pure e buone vi era Mirza Mustafá, illustre cittadino di Naráq, uno dei primissimi credenti. Il suo volto irradiava amor di Dio. La sua mente si occupava degli anemoni dei significati mistici, bella come prati e aiuole in fiore.

Fu nei giorni del Báb che le sue labbra toccarono per la prima volta l'inebriante coppa della verità spirituale ed ebbe uno strano tumulto nel cervello, un fiero anelito nel cuore. Sulla via di Dio gettò via tutto quello che possedeva; si giocò tutto, casa, parenti, benessere materiale, la pace della mente. Come un pesce sulla sabbia, lottava per trovare l'acqua della vita. Venne in 'Iráq, si unì agli amici della sua anima ed entrò alla presenza di Bahá’u’lláh. Per un po' di tempo visse colà, gioioso e contento, ricevendo munificenza infinita. Poi fu rimandato in Persia, dove servì la Fede al massimo delle sue capacità. Era un uomo integro e raffinato, incrollabile, solida-

mente radicato come le colline; sano e degno di fiducia. Per lui, in tutto quel tumulto e quel panico, gli ululanti cani selvaggi erano solo mosche ronzanti; prove e tribolazioni riposavano la sua mente; gettato nel fuoco delle afflizioni, dimostrò di essere oro fiammante.

Il giorno in cui il convoglio di Bahá’u’lláh partì da Costantinopoli per Adrianopoli, Mirza Mustafá arrivò dalla Persia. Non ebbe opportunità di giungere fino a Bahá’u’lláh fuorché una volta; e gli fu allora detto di ritornare in Persia. In tale momento ebbe l'onore di essere ricevuto.

Giunto nell'Ádhirbáyján, incominciò a divulgare la Fede. Giorno e notte rimase in preghiera e a Tabríz bevve da una coppa traboccante. Il suo fervore crebbe, il suo insegnamento suscitò un tumulto. Poi arrivò nell'Ádhirbáyján l'eminente studioso, il rinomato Shaykh Ahmad-i-Khurásání, e i due si allearono. Il risultato fu un fuoco spirituale così travolgente che insegnarono la Fede apertamente e pubblicamente e la gente di Tabríz montò in collera.

I farrásh dettero loro la caccia e catturarono Mirza Mustafá. Ma poi gli oppressori dissero: "Mirza Mustafá aveva due lunghe ciocche di capelli. Non può essere questo l'uomo giusto". Subito Mirza Mustafá si tolse il copricapo e le ciocche di capelli ricaddero. "Guardate!" disse loro "Sono io". Allora lo arrestarono. Torturarono lui e Shaykh Ahmad e alla fine quei due grandi uomini vuotarono a Tabríz la coppa della morte e, martirizzati, assursero al Supremo Orizzonte.

Nel luogo dove furono uccisi, Mirza Mustafá gridò: "Uccidetemi per primo, uccidetemi prima di Shaykh Ahmad, che io non lo veda spargere il suo sangue!".

La loro grandezza è stata registrata per sempre negli Scritti di Bahá’u’lláh. Ricevettero molte Tavole da Lui e dopo la loro morte Egli descrisse, con la Sua Penna eccelsa, l'angoscia che patirono.

Dalla giovinezza alla vecchiaia, quest'illustre uomo, Mirza Mustafá, dedicò tutta la vita al servizio sulla via di Dio. Oggi

dimora nel Reame gloriosissimo, nelle vicinanze dell'ineffabile misericordia di Dio e gioisce di gran letizia e celebra la lode del suo Signore. A lui benedizione e una buona dimora.85 A lui, dal Signore dei Signori, novelle di grande gaudio. Gli conceda Iddio uno stadio esaltato, in quell'eccelsa Schiera.

ZAYNU’L-MUQARRIBÍN

Quest'uomo illustre fu uno dei più grandi fra tutti i compagni del Báb e fra tutti gli amati di Bahá’u’lláh. Quando viveva nell'Islam, era già famoso per purezza e santità di vita. Era uomo di talento e raffinatissimo in molti sensi. Era capo ed esempio spirituale dell'intera popolazione di Najaf-Ábád e gli eminenti della zona gli mostravano illimitato rispetto. Quando parlava, la sua era l'opinione decisiva, quando esprimeva un giudizio, era applicato, perché era conosciuto da tutti come criterio e autorità di ultimo appello.

Appena seppe della Dichiarazione del Báb, gridò dal profondo del cuore: "O nostro Signore! abbiamo in verità udito la voce di uno che chiamava. Ci chiamava alla Fede, 'Credete al vostro Signore', e noi abbiamo creduto".86 Si liberò da ogni velo intralciante; i suoi dubbi si dissiparono incominciò a esaltare e glorificare la Bellezza promessa dall’antichità.

Nella sua casa e a Isfáhán divenne noto perché dichiarava dappertutto che l'avvento di Colui Che era stato lungamente atteso era avvenuto. Gli ipocriti lo beffeggiarono, lo maledissero e lo tormentarono. Quanto alla gente, "la massa, come serpe nel prato", che prima lo aveva venerato, ora insorse a maltrattarlo. Ogni giorno recava una nuova crudeltà un nuovo tormento da parte dei suoi oppressori. Sopportò tutto e continuò a insegnare con grande eloquenza. Rimase incrollabile, impassibile, mentre la loro collera cresceva. Teneva in mano una coppa ricolma di buone novelle divine, offrendo a chiunque venisse l'inebriante bevanda della conoscenza di Dio. Era affatto intemerato, non conosceva pericolo e seguì velocemente la santa via del Signore.

Ma dopo l'attentato contro lo Sciá non vi fu riparo in nessun luogo; né sera, né mattino senza intense afflizioni. E poiché la sua permanenza a Najaf-Ábád in un momento simile era un grande pericolo per i credenti, partì e si recò in 'Iráq. Durante il periodo in cui la Bellezza Benedetta era nel Kurdistán, in cui Si era ritirata in isolamento e viveva nella grotta di Sar-Galú, Jináb-i-Zayn giunse a Baghdád, ma le sue speranze furono infrante, il suo cuore si dolse, perché tutto taceva: non v'era parola della Causa di Dio, né nome né fama di essa; non v'erano riunioni, non si lanciavano appelli. Yahyá, stretto nella morsa del terrore, si era dileguato in un nascondiglio oscuro. Indolente, irresoluto, si era reso irreperibile. Per quanto si sforzasse, Jináb-i-Zayn non riuscì a trovare anima viva. S'incontrò una sola volta con Sua Eminenza Kalím. Ma era un periodo in cui i credenti usavano molta cautela ed egli andò a Karbilá. Vi trascorse qualche tempo e si dedicò a copiare gli Scritti, dopo di che ritornò a Najaf-Ábád. Qui a stento riuscì a sopportare le turpi persecuzioni e gli attacchi dei suoi implacabili nemici.

Ma quando la Tromba squillò per la seconda volta,87 fu

riportato in vita. La sua anima rispose alla notizia dell'avvento di Bahá’u’lláh; al rullo di tamburo del "Non son Io il vostro Signore?" il suo cuore rullò di rimando' "Sì, lo sei!".88 Insegnò ancora con eloquenza, usando prove razionali e storiche per dimostrare che Colui Che Dio manifesterà, il Promesso del Báb, era veramente apparso. Era come acqua rinfrescante per gli assetati e per i ricercatori una chiara risposta dalla Schiera superna. Nello scrivere e nel parlare, fu il primo fra i giusti, nelle delucidazioni e nei commentari un possente segno di Dio.

In Persia la sua vita era in imminente pericolo; e poiché restando a Najaf-Ábád avrebbe eccitato gli agitatori e scatenato sommosse, corse via ad Adrianopoli, cercando asilo presso Dio e gridando mentre andava: "Signore, Signore, eccomi!". Indossato l'abito del pellegrino d'amore, giunse alla Mecca dei suoi desideri. Vi si fermò per qualche tempo, alla presenza di Bahá’u’lláh, dopo di che gli fu comandato di partire con Jináb-i-Mirza Ja'far-i-Yazdí e di promulgare la Fede. Ritornò in Persia e incominciò a insegnare con grande eloquenza, così che le liete novelle dell'avvento del Signore risuonarono fino ai sommi cieli. Insieme con Mirza Ja'far viaggiò dappertutto, per città fiorenti e in rovina, divulgando la buona notizia che la Bellezza Benedetta era ora manifesta.

Ancora una volta, fece ritorno in 'Iráq dove fu il centro di ogni riunione e rallegrò i suoi ascoltatori. Dava sempre saggi consigli; era sempre consumato dall'amore di Dio.

Quando i credenti furono fatti prigionieri in 'Iráq e banditi a Mosul, Jináb-i-Zayn ne divenne il capo. Rimase a Mosul per qualche tempo, una consolazione per gli altri, lavorando per risolvere i loro numerosi problemi. Accese l'amore nel cuore della gente e li rese gentili gli unì con gli altri. Poi chiese il permesso di servire Bahá’u’lláh; quando gli fu concesso venne nella Prigione ed ebbe l'onore di accedere alla presenza

del Suo Benamato. In seguito si dedicò a trascrivere i sacri versetti e a incoraggiare gli amici. Fu amore personificato per gli emigranti e riscaldò il cuore dei viaggiatori. Non riposò neppure un attimo e ricevette ogni giorno nuova grazia e munificenza, mentre trascriveva le Scritture Bahá’í con impeccabile accuratezza.

Dalla giovinezza fino all'ultimo respiro, quest'uomo eminente non mancò mai di servire la Manifestazione. Dopo l'ascensione fu consumato da tale cordoglio, da tali continue lacrime e angosce, che con il passar dei giorni si consunse. Rimase fedele al Patto e fu compagno intimo di questo servo della Luce del Mondo, ma bramava di uscire da questa vita e attendeva la propria dipartita di giorno in giorno. Alla fine, sereno e felice, rallegrandosi delle novelle del Regno, s'involò verso quella terra misteriosa. Là fu sciolto da ogni dolore e nel luogo di riunione degli splendori fu immerso nella luce.

A lui saluti e lode dal luminoso Reame e la gloria del Gloriosissimo dalla Schiera superna e grande gioia in quel Regno che sempre permane. Iddio gli doni un eccelso stadio nel Paradiso di Abhá.

‘AZÍM-I-TAFRÍSHÍ

Quest'uomo di Dio veniva dal distretto di Tafrísh. Era distaccato dal mondo, intrepido, indipendente da congiunti ed estranei. Fu uno dei primissimi credenti e appartenne alla

schiera dei fedeli. Fu in Persia che conquistò l'onore della fede e incominciò ad assistere gli amici: servitore di ogni credente, fidato assistente di ogni viaggiatore. Venne in 'Iráq con Músáy-i-Qumí - su di lui sia la gloria di Dio - ricevette la sua parte di munificenza dalla Luce del Mondo ed ebbe l'onore di accedere alla presenza di Bahá’u’lláh, servendoLo e diventando oggetto di elargizioni e grazia.

Dopo qualche tempo, 'Azím e Hájí Mirza Músá ritornarono in Persia, dov'egli continuò a rendere servizi agli amici, solamente per amor di Dio. Servì Mirza Nasru'lláh di Tafrísh per alcuni anni senza alcun salario o stipendio, mentre la sua fede e la sua certezza si rafforzavano con l'andar dei giorni. Poi Mirza Nasru'lláh lasciò la Persia per Adrianopoli e Jináb-i-'Azím venne con lui ed ebbe accesso alla presenza di Bahá’u’lláh. Continuò a servire con amore e lealtà, solo per amor di Dio; e quando il convoglio partì per 'Akká, 'Azím ebbe il privilegio di accompagnare Bahá’u’lláh ed entrò nella Più Grande Prigione.

Nella prigione fu scelto per servire la Famiglia; divenne il portatore d'acqua in casa e fuori. Svolse molti pesanti compiti nella caserma. Non aveva riposo, giorno o notte. 'Azím "il grande, il magnifico", era magnifico quanto a carattere. Era paziente, longanime, tollerante, schivo delle macchie della terra. Ed essendo il portatore d'acqua della famiglia, ebbe l'onore di accedere alla presenza di Bahá’u’lláh tutti i giorni.

Fu un buon compagno per tutti gli amici, una consolazione per i loro cuori; portò felicità a tutti, presenti e assenti. Più e più volte, fu udito Bahá’u’lláh esprimere la Propria approvazione di quest'uomo. Egli manteneva sempre la stessa condizione interiore; era costante, non era mai soggetto a cambiamenti. Aveva sempre un aspetto felice. Non conosceva il significato della fatica. Non era mai depresso. Chiunque gli chiedesse un servizio, lo faceva subito. Era incrollabile e fermo nella fede, un albero che cresceva nel profumato giardino della tenerezza di Dio.

Dopo aver servito alla Santa Soglia per lunghi anni, da questa vita che rapidamente svanisce se ne andò, tranquillo, sereno, rallegrandosi delle novelle del Regno, nel mondo che non perisce. Tutti gli amici piansero il suo trapasso, ma la Bellezza Benedetta consolò i loro cuori, perché profuse grazia e lode su colui che se n'era andato.

Misericordie su 'Azím dal Regno della compassione divina; a lui la gloria di Dio, al cadere della notte e al levar del sole.

Mirza JA’FAR-I-YAZDÍ

Questo cavaliere del campo di battaglia fu uno dei più dotti ricercatori della verità, profondamente versato in molti rami del sapere. Frequentò per lungo tempo le scuole, specializzandosi nelle fondamenta della religione e della giurisprudenza religiosa e facendo ricerche in filosofia e metafisica, logica e storia, scienze contemplative e narrate.89 Ma incominciò a notare che i suoi compagni erano arroganti e compiaciuti di sé e questo lo disgustò. Fu allora che sentì il grido delle Schiere Supreme e senza un attimo di esitazione levò la voce e gridò:

"Sì, in verità!" e ripeté le parole: "O Signore! Abbiamo udito la voce di Uno che chiamava alla Fede gridando 'Credete nel vostro Signore!' e abbiamo creduto”.90

Quando vide il grande tumulto e le sommosse di Yazd, lasciò la patria e si recò a Najaf, la nobile città; lì per la propria salvezza si mescolò con gli studiosi di religione, diventando rinomato fra loro per il vasto sapere. Poi, dando ascolto alla voce da Baghdád, accorse colà e cambiò modo di vestire. Cioè si mise in testa il copricapo dei laici e andò a fare il carpentiere per guadagnarsi da vivere. Si recò una volta a Tihrán, ritornò e protetto dalla grazia di Bahá’u’lláh fu paziente e contento, rallegrandosi del suo abito di povertà. Malgrado il grande sapere era umile, modesto, semplice. Stava sempre in silenzio ed era un buon compagno per ogni sorta di uomo.

Nel viaggio dall'Iráq a Costantinopoli, Mirza Ja'far fece parte del seguito di Bahá’u’lláh e fu compagno di questo servitore nel provvedere ai bisogni degli amici. Quando facevamo tappa, i credenti esausti per le lunghe ore di viaggio riposavano o dormivano. Mirza Ja'far ed io andavamo in giro per i villaggi attorno a cercare avena, paglia e altre provviste per la carovana.91 Essendoci carestia nella zona, accadeva talvolta che girassimo di villaggio in villaggio da dopo mezzogiorno finché non era trascorsa metà della notte. Meglio che potevamo, ci procuravamo qualunque cosa fosse disponibile e poi ritornavamo al convoglio.

Mirza Ja'far era paziente e longanime, fedele attendente della Santa Soglia. Serviva tutti gli amici e lavorava giorno e notte. Uomo tranquillo, parco di parole, si affidava in tutto interamente a Dio. Continuò a servire ad Adrianopoli fino al bando ad 'Akká e anche lui fu fatto prigioniero. Ne fu grato, offrendo continui ringraziamenti e dicendo: "Sia lodato Iddio! Sono nell'Arca ricolma!".92

La Prigione era per lui giardino di rose e la sua angusta cella un luogo spazioso e fragrante. Nel periodo in cui eravamo nella caserma cadde gravemente ammalato e fu costretto a letto. Ebbe molte complicazioni, finché alla fine il dottore lo dette per spacciato e non andò più a visitarlo. Allora l'ammalato esalò l'ultimo respiro. Mirza Áqá Ján corse da Bahá’u’lláh, con la notizia della sua morte. Non solo il paziente aveva cessato di respirare, ma il suo corpo stava già diventando molle. La famiglia gli era riunita attorno, lo piangeva, versava lacrime amare. La Bellezza Benedetta disse: "Andate; cantate la preghiera Yá Sháfí, Tu il Sanatore, e Mirza Ja'far ritornerà in vita. Molto rapidamente, starà bene come prima". Andai al suo capezzale. Il corpo era freddo ed erano presenti tutti i segni della morte. Lentamente incominciò a muoversi; ben presto mosse le membra e prima che fosse passata un'ora sollevò la testa, si sedette e incominciò a ridere e a scherzare.

Dopo questo visse a lungo, occupato come sempre a servire gli amici. Questo di servire fu per lui un punto d'orgoglio: era un servitore per tutti. Fu sempre modesto e umile, memore di Dio e oltre misura pieno di speranza e fede. Infine, mentre si trovava nella Più Grande Prigione, abbandonò questa vita terrena e s'involò verso l'altra vita.

Saluti e lode a lui; su di lui la gloria del Gloriosissimo e gli sguardi di favore del Signore. La sua tomba luminosa è ad 'Akká.

HUSAYN-ÁQÁY-I-TABRÍZÍ

Quest'uomo che era vicino alla Soglia Divina era il rispettato figlio di 'Alí-'Askar-i-Tabrízí. Pieno di bramoso amore, venne col padre da Tabríz ad Adrianopoli e di sua volontà andò con gioia e speranza nella Più Grande Prigione. Dal giorno del suo arrivo nella fortezza di 'Akká assunse il servizio del caffè e servì gli amici. Quest'uomo ben educato era così paziente, così docile, che per oltre quarant'anni, malgrado estreme difficoltà (giorno e notte, amici e sconosciuti affollavano le porte), servì tutti coloro che venivano, aiutandoli tutti fedelmente. Durante tutto quel tempo Husayn-Áqá non offese anima viva e nessuno, per quel che lo riguardava, si lamentò mai. Ciò fu un vero miracolo e nessun altro avrebbe potuto stabilire un tale primato di servizio. Fu sempre sorridente, attento ai compiti affidati alle sue cure, conosciuto come uomo di fiducia. Nella Causa di Dio fu incrollabile, fiero e sincero; in tempi di calamità fu paziente e longanime.

Dopo l'ascensione di Bahá’u’lláh guizzarono i fuochi delle prove e un turbine di violazione abbatté l'edificio. Questo credente, malgrado uno stretto legame di parentela rimase leale, mostrando tale forza e fermezza che manifestò le parole: "Nella Causa di Dio, biasimo di biasimatori egli non temerà".93

Non esitò neppure per un attimo, non vacillò nella fede, ma restò saldo come una montagna, fiero come cittadella inespugnabile e profondamente attaccato.

I violatori del Patto portarono via sua madre nei loro luoghi, dove viveva sua figlia. Fecero tutto ciò che poterono immaginare per turbare la sua fede. In misura oltre il credibile, si profusero in favori e la assillarono di gentilezze, nascondendo il fatto che avevano violato il Patto. Ma alla fine quella rispettata ancella di Bahá’u’lláh scoprì l'odore della violazione, al che abbandonò immediatamente la Magione di Bahjí e ritornò subito ad 'Akká. "Sono ancella della Bellezza Benedetta" disse "e leale al Suo Patto e Testamento. Se mio genero fosse un principe del regno, a che mi gioverebbe? Non sono persona che si lasci conquistare da parentele e ostentazioni di affetto. Non mi interessano i segni esteriori d'amicizia di coloro che sono l'incarnazione del desiderio egoistico. Mi attengo al Patto e mi aggrappo al Testamento". Non acconsentì a incontrare ancora i violatori del Patto; se ne liberò del tutto e rivolse il viso verso Dio.

Quanto a Husayn-Áqá, non si separò mai da 'Abdu'l-Bahá Ebbe verso di me la massima considerazione e mi fu costante compagno e ne conseguì che il suo trapasso fu un duro colpo. Anche ora, quando lo rammento mi addoloro e piango la sua perdita. Ma sia lodato Iddio quest'uomo di Dio, nei giorni della Bellezza Benedetta, rimase sempre nelle strette vicinanze della Sua Casa e fu oggetto del Suo compiacimento. Più volte si udì Bahá’u’lláh commentare che Husayn-Áqá era stato creato per svolgere questo servizio.

Dopo quarant'anni di servizio, egli abbandonò questo mondo che passa rapidamente e s'involò verso i regni di Dio. Saluti e lode a lui e misericordia dal suo munifico Signore. La sua tomba sia avvolta da luci che fluiscono dall'eccelso Compagno. Essa si trova in 'Akká.

HÁJÍ ‘ALÍ-‘ASKAR-I-TABRÍZÍ

L’illustre 'Alí-’Askar era un mercante di Tabríz. Tutti coloro che lo conoscevano in Ádhirbáyján lo rispettavano molto e gli riconoscevano devozione e fidatezza, pietà e forte fede. Tutti a Tabríz ne attestavano l'eccellenza e ne lodavano il carattere e il modo di vivere, le qualità e i talenti. Fu uno dei primissimi credenti e fra i più notevoli.

Quando la Tromba suonò per la prima volta, egli andò in deliquio e al secondo squillo fu ridestato a nuova vita.94 Divenne una torcia ardente d'amor di Dio, un grande albero nei giardini di Abhá. Portò alla Fede tutta la famiglia, i parenti e gli amici e rese con successo molti servizi; ma la tirannide dei malvagi lo mise in una dolorosa situazione e ogni giorno fu colpito da nuove afflizioni. Eppure non cedette e non si scoraggiò; al contrario, la sua fede, la sua certezza e abnegazione crebbero. Infine non poté più sopportare la propria patria. Accompagnato dalla famiglia, arrivò ad Adrianopoli e lì, in ristrettezze economiche, ma contento, trascorse i suoi giorni con dignità, pazienza, acquiescenza e rendendo grazie.

Poi prese con sé da Adrianopoli un po' di mercanzia e partì per la città di Jum'ih-Bázár, per guadagnarsi da vivere. Quello che aveva con sé era irrilevante eppure i ladri lo derubarono. Quando il Console persiano lo venne a sapere presentò al Governo un documento, menzionando un'enorme somma come valore della merce rubata. Accadde che i ladri fossero catturati e si vide che erano in possesso di una considerevole somma. Fu deciso di esaminare il caso. Il Console fece chiamare Hájí 'Alí-'Askar e gli disse: "Questi ladri sono ricchissimi. Nel mio rapporto al Governo, ho scritto che l’entità del furto era notevole. Perciò devi partecipare al processo e testimoniare in conformità con quello che ho scritto".

Lo Hájí rispose: "Vostro Onore, Khán, la merce rubata valeva ben poco. Come posso dire una cosa non vera? Quando mi interrogheranno, esporrò i fatti esattamente come stanno. Considero questo il mio dovere, solamente questo".

"Hájí" disse il Console "abbiamo un occasione d'oro; ne possiamo approfittare entrambi, tu ed io. Non lasciarti sfuggire dalle mani un'occasione che si presenterà una sola volta nella vita".

Lo Hájí rispose: "Khán, come la metterei con Dio? Lasciami stare. Dirò la verità, nient'altro che la verità".

Il Console era fuori di sé. Incominciò a minacciare e a pressare 'Alí-'Askar. "Vuoi farmi passare per bugiardo?" gridò "Vuoi far di me lo zimbello di tutti? Ti rinchiuderò in prigione; ti farò cacciare via; non risparmierò alcun tormento. Ti consegnerò all'istante alla polizia e dirò che sei nemico dello stato, che ti ammanettino e ti portino al confine persiano".

Lo Hájí si limitò a sorridere. "Jináb-i-Khán" disse “ho dato la vita per la verità. Non ho altro. Mi stai dicendo di mentire e di rendere falsa testimonianza. Fa' di me ciò che vuoi; non girerò le spalle a ciò che è vero”.

Quando il Console vide che non c'era modo di convincere 'Alí-’Askar a testimoniare il falso, disse: "Allora è meglio che te ne vada, si che io possa informare il Governatore che il pro-

prietario della mercanzia non c’è più e che è andato via. Altrimenti, sarò disonorato".

Lo Hájí ritornò ad Adrianopoli e non fece parola della merce rubata, ma la cosa divenne di pubblico dominio e produsse notevole sorpresa.

Quel vecchio fine ed eccezionale fu portato prigioniero ad Adrianopoli con gli altri e accompagnò la Bellezza Benedetta nella fortezza di 'Akká, questa casa-prigione di dolori. Rimase prigioniero sulla via di Dio per diversi anni con tutta la famiglia; e rese sempre grazie, perché per lui la prigione era una reggia e la prigionia motivo di gioia. In tutti quegli anni non si seppe mai che egli si fosse espresso altrimenti che con gratitudine e lodi. Maggiore la tirannide degli oppressori, maggiore la sua felicità. Bahá’u’lláh fu udito più volte parlare di lui con tenerezza; diceva: "Sono contento di lui". Quest'uomo, che era spirito personificato, rimase costante, sincero e gioioso fino alla fine. Trascorsi alcuni anni, cambiò questo mondo di polvere per il Regno che è incontaminato e si lasciò alle spalle forti influssi.

Di regola, era l'intimo compagno di 'Abdu'l-Bahá. Un giorno all'inizio del nostro periodo nella Prigione, corsi nell'angolo della caserma dove viveva, la cella che era il suo squallido nido. Era coricato là, con la febbre alta, fuori di testa. Alla sua destra giaceva la moglie, tremante e scossa da brividi di freddo. Alla sinistra c'era la figlia, Fátimih, rovente di tifo. Dietro di loro il figlio Husayn-Áqá colpito dalla scarlattina; aveva dimenticato il persiano e gridava in turco: "Ho le viscere in fiamme!". Ai piedi del padre giaceva l'altra figlia, sprofondata nella malattia, e accanto al muro si trovava il fratello, Mashhadí Fattáh, vaneggiante e delirante. In questo stato, 'Alí 'Askar muoveva le labbra: rendeva grazie a Dio ed esprimeva gioia.

Sia lodato Iddio! Morì nella Più Grande Prigione, ancora paziente e grato, ancor dignitoso e saldo nella fede. Assurse ai recessi del compassionevole Signore. Su di lui la gloria del Gloriosissimo; a lui saluti e lode; su di lui misericordia e perdono per l’eternità.

ÁQÁ ‘ALÍY-I-QAZVÍNÍ

Quest'uomo illustre aveva alti proposti e intendimenti. Era oltremodo costante, leale e solidamente radicato nella sua fede e fu tra i primissimi e massimi credenti. Al primo albeggiare del nuovo giorno della Guida Divina s'innamorò del Báb e incominciò a insegnare. Dalla mattina fino a buio lavorava al suo mestiere e quasi tutte le notti intratteneva gli amici a cena. Così, anfitrione degli amici nello spirito, condusse alla Fede molti ricercatori, attraendoli con la melodia dell'amor di Dio. Era straordinariamente costante, energico e perseverante.

Poi dai giardini del Gloriosissimo incominciò a spirare aura fragrante e dalla fiamma or ora accesa egli s'infiammò. Incenerite illusioni e chimere, si levò a proclamare la Causa di Bahá’u’lláh. Ogni notte v'era un convegno, un cenacolo che emulava i fiori nelle aiuole. Si leggevano versetti, si cantavano preghiere, si partecipavano le liete novelle del sommo degli Avventi. Dedicava la massima parte del suo tempo a usare gentilezze a amici e forestieri, era magnanimo, espansivo, generoso.

Venne il giorno in cui partì per la Più Grande Prigione e arrivò con la famiglia nella cittadella di 'Akká. Durante il viaggio era stato afflitto da molti stenti, ma tale era la sua brama di vedere Bahá’u’lláh che trovò le calamità facili da sopportare; e così percorse quel lungo cammino alla ricerca di un focolare nell'asilo della grazia di Dio.

In un primo momento ebbe mezzi: la sua vita fu agiata e piacevole. Ma poi divenne povero e subì terribili cimenti. Il più delle volte si nutriva di pane, null'altro; invece di bere tè, si dissetava a un rivo scorrente. Eppure rimase felice e contento. Accedere alla presenza di Bahá’u’lláh era la sua grande gioia; ricongiungersi al suo Amato dono sufficiente. Per lui mirare la beltà della Manifestazione era cibo, e vino stare vicino a Bahá’u’lláh. Era sempre sorridente e sempre silenzioso, ma intanto il suo cuore gridava, balzava e danzava.

Stava spesso insieme con 'Abdu'l-Bahá. Fu un amico e un compagno eccellente, felice, delizioso, favorito da Bahá’u’lláh, rispettato dagli amici, schivo del mondo, fidente in Dio. In lui non v'era volubilità; la sua disposizione d'animo era sempre la stessa: stabile, costante, solidamente radicato come le montagne.

Ogni qual volta lo rammento e ne ricordo la pazienza e la serenità, la lealtà, l'appagamento, senz'accorgermene mi ritrovo a chiedere a Dio di elargire le Sue grazie ad Áqá 'Alí. Per quel degno uomo fu un susseguirsi di calamità e sventure: sempre ammalato, perennemente soggetto a innumerevoli infermità del corpo. E tutto perché mentre si trovava in patria e serviva la Fede a Qazvín, era stato catturato dai malevoli e così brutalmente percosso al capo che ne subì le conseguenze fino all'ora della morte. Lo maltrattarono e tormentarono in molti modi e ritennero lecito infliggergli crudeltà d'ogni sorta; eppure il suo unico crimine era d'essere divenuto credente e il suo solo peccato l'aver amato Dio. Come ha scritto il poeta in questi versi che illustrano la triste sorte di Áqá 'Alí:

Il falco reale è assediato dai gufi.
Pur immune da peccato, gli strappano le ali.
"Perché" motteggiano "ricordi ancora

quel polso di sovrano quella reggia dove abitavi?".

È uccello regale: questo il crimine commesso.

E fuorché la bellezza, quale fu la colpa di Giuseppe?

In breve quel grande trascorse i suoi giorni nella prigione di 'Akká, pregando e supplicando, il viso rivolto verso Dio. Immenso dono lo avvolse: fu favorito da Bahá’u’lláh, più e più volte ammesso al Suo cospetto e inondato di perenne grazia. Ecco la sua gioia e la sua delizia, la sua grande fortuna, il suo massimo voto.

Poi Sopravvenne l'ora fissata, aurora delle sue speranze, e giunse per lui il momento d'involarsi nel regno invisibile. Accolto sotto la protezione di Bahá’u’lláh, assurse anelante a quella terra di mistero. A lui saluti e lode e misericordia dal Signore di questo mondo e del mondo a venire. Iddio illumini la sua tomba coi raggi delle Schiere celesti.

ÁQÁ MUHAMMAD-BÁQIR
E ÁQÁ MUHAMMAD-ISMÁ’ÍL, IL SARTO

Erano fratelli e sulla via di Dio furono rinchiusi prigionieri nella fortezza di 'Akká assieme agli altri. Erano fratelli del defunto Pahlaván Ridá. Lasciarono la Persia ed emigrarono ad Adrianopoli, accorrendo verso l'amorevole bontà di Bahá’u’lláh e, sotto la Sua protezione, vennero ad 'Akká.

Pahlaván Ridá - a lui la misericordia, le benedizioni e gli splendori di Dio, a lui lode e saluti - era in apparenza un uomo ignorante, privo di cultura. Faceva il commerciante e, come tutti coloro che entrarono agli inizi, gettò via ogni cosa per

amor di Dio, raggiungendo d'un balzo le più eccelse vette del sapere. Era uno dei primi tempi. Improvvisamente diventò così eloquente che la gente di Káshán ne rimase stupefatta. Per esempio quest'uomo, apparentemente illetterato, si recò a Káshán da Hájí Muhammad-Karím Khán e gli pose questo quesito:

"Signore, siete voi la Quarta Colonna? Ho sete di verità spirituale e anelo di sapere della Quarta Colonna".95

Essendo presenti numerose personalità politiche e militari, lo Hájí rispose: "Lungi da noi tale pensiero! Sto lontano da tutti coloro che mi considerano la Quarta Colonna. Non ho mai avanzato tale pretesa. Chiunque affermi ch'io l'abbia fatto, dice il falso; Iddio lo maledica!".

Pochi giorni dopo Pahlaván Ridá si recò di nuovo a far visita allo Hájí e gli disse: “Signore, ho appena terminato il vostro libro, Irshádu'l-'Avám (La Guida degl'Ignoranti); l'ho letto da cima a fondo. In esso affermate che è obbligatorio conoscere la Quarta Colonna o Quarto Sostegno; in verità, lo considerate pari al Signore dell’Era.96 Desidero pertanto riconoscerlo e conoscerlo. Sono certo che voi ne siete informato; indicatemelo, vi scongiuro”.

Lo Hájí furente, esclamò: "La Quarta Colonna non è un'invenzione. È una persona che tutti possono vedere. Ha un turbante in testa, indossa un 'abá e impugna un bastone, proprio come me". Pahlaván Ridá gli sorrise. "Senza voler essere scortese" disse "nell'insegnamento di Vostro Onore c'è una contraddizione: prima dite una cosa, poi un'altra".

Furibondo, lo Hájí rispose: "Adesso ho da fare, discutiamone un'altra volta. Per oggi mi devo scusare".

Il fatto è che Ridá, ritenuto incolto, riuscì in una discussione a spuntarla con una così erudita "Quarta Colonna". Come diceva 'Allámiy-i-Hillí, egli lo batté con il Quarto Sostegno.97

Quando incominciava a parlare, quel coraggioso campione di sapere sbalordiva gli ascoltatori e fino all'ultimo respiro fu sempre patrono e protettore di tutti i ricercatori della verità. Alla fine divenne famoso dappertutto come bahá’í, fu trasformato in vagabondo e ascese al Regno di Abhá.

Quanto ai suoi due fratelli: per grazia della Bellezza Benedetta, dopo essere stati catturati dai tiranni, furono rinchiusi nella Più Grande Prigione, dove condivisero la sorte di questi pellegrini senza casa. Qui, nei primi giorni ad 'Akká, assursero anelanti al più glorioso Regno, con completo distacco e ardente amore. Infatti, appena arrivati, i nostri spietati oppressori ci rinchiusero tutti dentro la fortezza nella caserma dei soldati e bloccarono le uscite, sì che nessuno potesse andare o venire. A quei tempi l'aria di 'Akká era venefica e tutti i forestieri, appena giunti, si ammalavano. Muhammad-Báqir e Muhammad-Ismá'íl caddero gravemente ammalati, ma non c'erano né medici né medicine e quelle due luci personificate morirono la stessa notte, stretti l'uno nelle braccia dell'altro. Assursero al Regno imperituro, lasciando gli amici a rimpiangerli per sempre. Non vi fu nessuno che non pianse quella notte.

Giunto il mattino, volevamo trasportare le loro sante salme. Gli oppressori ci dissero: "Avete il divieto di uscire dalla fortezza. Dovete lasciare a noi queste due salme. Le laveremo, le avvolgeremo in un sudario e le seppelliremo. Prima però dovete pagarci". Ma non avevamo denaro. C'era un tappeto da preghiera che era stato steso sotto i piedi di Bahá’u’lláh. Egli lo prese e disse: "Vendetelo e date il denaro alle guardie". Il tappeto fu venduto per 170 piastre98 e la somma fu consegnata. Ma i due non furono mai lavati per la sepoltura né avvolti in un sudario; le guardie si limitarono a scavare una fossa nel terreno e ve li gettarono così com'erano, con i vestiti che avevano indosso; perciò ancora oggi la loro tomba è una sola e come le loro anime sono congiunte nel Regno di Abhá, così le loro salme stanno assieme qui, sotto terra, strette l'una nell'abbraccio dell'altra.

La Bellezza Benedetta profuse le Sue benedizioni su questi due fratelli. In vita, furono circondati dalla Sua grazia e dal Suo favore; nella morte, furono commemorati nelle Sue Tavole. La loro tomba è ad 'Akká. A loro saluti e lode. A loro la gloria del Gloriosissimo, e la misericordia di Dio e la Sua benedizione.

ÁQÁ ABU’L-QÁSIM DI SULTÁN-ÁBÁD

Un altro prigioniero fu Áqá Abu'l-Qásim di Sultán-Ábád, compagno di viaggio di Áqá Faraj. I due erano modesti, leali, incrollabili. Ravvivate che furono le loro anime dagli aliti dello Spirito Fedele, dalla Persia accorsero ad Adrianopoli, perché tale era l'implacabile ferocia dei malevoli che non potevano più restare nelle loro case. A piedi, sciolti da ogni legame, valicarono pianure e colline, facendosi strada fra

acque impraticabili e sabbie deserte. Quante notti non dormirono, perché si trovavano all'aperto senza saper dove posare il capo, senza nulla da mangiare o da bere, senza giaciglio se non la nuda terra, senza cibo tranne le erbe del deserto. Bene o male si trascinarono avanti e riuscirono a raggiungere Adrianopoli. Ebbero la ventura di arrivare durante gli ultimi giorni in quella città, furono fatti prigionieri assieme agli altri e andarono nella Più Grande Prigione in compagnia di Bahá’u’lláh.

Abu’l-Qásim s'ammalò gravemente di tifo e morì quasi contemporaneamente ai due fratelli Muhammad-Báqir e Muhammad-Ismá'íl e le sue pure spoglie furono sepolte alla periferia di 'Akká. La Bellezza Benedetta esternò approvazione per lui e tutti gli amici si dolsero per le sue afflizioni e lo compiansero. A lui la Gloria del Gloriosissimo.

ÁQÁ FARAJ

In tutti questi stenti, Áqá Faraj fu compagno di Abu'l-Qásim. La prima volta che nell'Iráq persiano udì il tumulto causato dall'Avvento della Più Grande Luce, tremò e fremette, batté le mani, gridò esultante e accorse in 'Iráq. Sopraffatto dalla gioia, giunse alla presenza del suo santo Signore. Fu accolto nell'amorevole sodalizio e beato ricevette l'onore di servire Bahá’u’lláh. Poi fece ritorno, recando la novella a Sultán-Ábád.

Qui i malevoli erano in agguato, scoppiarono tumulti, col risultato che il santo Mullá-Báshí e altri credenti che non avevano nessuno che li difendesse furono abbattuti e messi a morte. Allora Áqá Faraj e Abu'l-Qásim, che si erano dati alla macchia, accorsero ad Adrianopoli, per cadere alla fine assieme agli altri e al loro Amato nella prigione di 'Akká.

Áqá Faraj ebbe poi l'onore di servire l'Antica Bellezza. Servì sempre presso la Santa Soglia e fu una consolazione per gli amici. Durante i giorni di Bahá’u’lláh, fu per Lui fedele servitore e per i credenti amico intimo e così fu dopo la dipartita di Bahá’u’lláh: rimase fedele al Patto e nel dominio dell'asservimento si erse quale palma svettante; uomo nobile, superiore, paziente nelle crudeli avversità, contento in ogni circostanza.

Forte nella fede e nella devozione, abbandonò questa vita e rivolse il viso verso il Regno di Dio, per divenire oggetto di perpetua grazia. A lui la misericordia e il compiacimento di Dio, nel Suo Paradiso. Saluti a lui e lodi nei pascoli del Cielo.

LA CONSORTE DEL RE DEI MARTIRI

Fra le donne che lasciarono la patria vi fu la dolente Fátimih99 Begum, la vedova del Re dei martiri. Fu una santa foglia dell'Albero di Dio. Fin dalla prima giovinezza fu assediata da innumerevoli cimenti. Dapprima vi fu il disastro che colpì il suo nobile padre nei dintorni di Badasht, quando, dopo terribili sofferenze, egli morì in un caravanserraglio deserto, morì malamente, indifeso e lontano da casa.

La bambina rimase orfana e nell'indigenza, finché per grazia di Dio, divenne moglie del Re dei martiri. Ma essendo egli noto dappertutto come bahá’í, appassionato amante di Bahá’u’lláh, uomo inebriato ed entusiasta, e poiché Násiri'd-Dín Sháh era assetato di sangue - i nemici erano in agguato e ogni giorno lo denunciavano e calunniavano, davano inizio a un nuovo clamore e imbastivano una nuova cattiveria. Per questa ragione la sua famiglia non fu mai per un solo giorno certa della propria sicurezza, ma visse nell'angoscia momento per momento, prevedendo e temendo l'ora del suo martirio. Ecco una famiglia, nota dappertutto come bahá’í; i loro nemici, tiranni dal cuore di pietra; il governo inesorabile, sempre contro di loro; il Sovrano regnante avido di sangue.

È ovvio quale fosse la vita di questa famiglia. Ogni giorno c'era un nuovo incidente, un ulteriore tumulto, un'altra rivolta, e non potevano mai tirare un respiro di sollievo. Poi egli fu martirizzato. Il Governo si mostrò così brutale e selvaggio che la razza umana pianse e tremò. Tutti i suoi possedimenti furono depredati e saccheggiati e alla sua famiglia mancò anche il pane quotidiano.

Fátimih passò le notti a piangere; finché non spuntava l'alba, le sue sole compagne erano le lacrime. Ogni volta che guardava i figli, sospirava, consumandosi nello struggente dolore come un cero. Ma poi ringraziava Dio e diceva: "Sia lodato il Signore, queste agonie, queste sorti spezzate sono per Bahá’u’lláh, per amor Suo". Ricordava la famiglia indifesa del martirizzato Husayn e le calamità che essi ebbero il privilegio di subire sulla via di Dio. E mentre rifletteva su questi eventi, le batteva il cuore ed esclamava: "Sia lodato Iddio! Anche noi siamo diventati compagni della Famiglia del Profeta!”.100

Trovandosi la famiglia in tali angustie, Bahá’u’lláh disse loro di venire nella Più Grande Prigione sì che, protetti in questi recinti di abbondante grazia, fossero ricompensati di tutto quello che avevano passato. Qui per un po' di tempo, ella visse felice, grata, lodando Iddio. E anche se il figlio del Re dei martiri, Mirza 'Abdu'l-Husayn morì in prigione, pure la madre, Fátimih, accettò, si rassegnò alla volontà di Dio, non sospirò né pianse e non si abbandonò al cordoglio. Non disse parola per esprimere la sua pena.

Questa ancella di Dio fu infinitamente paziente, dignitosa e riservata e sempre grata. Ma poi Bahá’u’lláh lasciò il mondo e questa fu la suprema afflizione, l'estrema angoscia ed ella non resistette più. Il colpo e il timore furono tali che langui sulla terra come un pesce fuori dall'acqua, tremò e sussultò come se tutto il suo essere fosse scosso, finché alla fine si accomiatò dai figli e morì. Assurse nella misericordia protettrice di Dio e fu immersa in un oceano di luce. A lei saluti e lode, compassione e gloria. Iddio addolcisca la sua tomba con le effusioni della Sua celeste misericordia; onori la sua dimora all'ombra del divino Albero di Loto.101

SHAMS-I-DUHÁ

Khurshíd Begum, cui fu dato il titolo Shams-i-Duhá,102 Sole del Mattino, era la suocera del Re dei martiri. Questa eloquente, appassionata ancella di Dio era cugina, da parte di padre, del famoso Muhammad-Báqir di Isfáhán, onoratissimo primate degli 'ulamá della città. Perse ancora bambina entrambi i genitori, fu allevata dalla nonna in casa di quel famoso e dotto mujtahid e ricevette un'ottima istruzione nelle varie branche del sapere, in teologia, scienze e arti.

Cresciuta, fu data in sposa a Mirza Hádíy-i-Nahrí. Essendo lei e il marito, entrambi fortemente attratti dagli insegnamenti mistici del grande luminare, l'eccellente e insigne Siyyid Kázim-i-Rashtí,103 partirono per Karbilá, accompagnati dal fratello di Mirza Hádí, Mirza Muhammad-'Alíy-i-Nahrí.104 Lì frequentarono le classi del Siyyid, assimilandone la dottrina, così che quell'ancella divenne profonda conoscitrice dei temi relativi alla Divinità, delle Scritture e dei loro reconditi significati. La coppia ebbe due figli, una ragazza e un ragazzo; al ragazzo fu dato nome Siyyid 'Alí e alla ragazza Fátimih Begum, colei che, divenuta adolescente, fu maritata al Re dei martiri.

Shams-i-Duhá si trovava a Karbilá quando l'eccelso Signore lanciò l'appello a Shiráz e rispose: "Sì, lo sei!". Quanto al marito e al cognato, partirono immediatamente per Shiráz, poiché, visitando il santuario dell'Imám Husayn, avevano entrambi mirato la Beltà del Punto Primo, il Báb, ed erano rimasti attoniti innanzi a ciò che avevano veduto in quel volto sfolgorante, in quegli attributi e modi celestiali, ed erano concordi nel convincimento che Uno così, certo, doveva essere persona molto grande. Pertanto, come furono informati del Suo appello divino, risposero: "Sì, lo sei!" e s'infiammarono di bramoso amor di Dio. Inoltre erano stati presenti tutti i giorni nel santo luogo dove il defunto Siyyid insegnava e l'avevano chiaramente udito dire: "L'Avvento è vicino, la cosa più delicata e inafferrabile. È doveroso che ciascuno indaghi e cerchi, perché il Promesso potrebbe essere presente fra gli uomini già ora, già ora visibile, mentre tutti attorno a Lui ne sono ignari, immemori, con gli occhi bendati, come le sacre tradizioni hanno predetto".

Giunti in Persia, i due fratelli seppero che il Báb era andato alla Mecca in pellegrinaggio. Perciò Siyyid Muhammad-’Alí partì per Isfáhán e Mirza Hádí tornò a Karbilá. Shams-i-Duhá era divenuta nel frattempo amica dell' "Usignolo del Paradiso", la sorella di Mullá Husayn, il Bábu'l- Báb.105 Attraverso quella signora aveva incontrato Táhirih, Qurratu'l-'Ayn,106 e in loro compagnia aveva incominciato a dedicare la maggior parte del suo tempo all'insegnamento della Fede. Essendo i primi giorni della Causa, la gente non ne aveva ancora paura. Shams trasse immenso giovamento dal suo sodalizio con Táhirih, infervorandosi nella Fede più che mai. Trascorse tre anni a Karbilá in sua stretta compagnia. Notte e giorno fu come un mare agitato dai nembi del Misericordiosissimo e insegnò con eloquenza.

Divenuta Táhirih famosa in tutta Karbilá e sparsasi la Causa dell'Eccelsa Santità il Báb per tutta la Persia, gli 'ulamá dell'ultima ora insorsero a contrastarla, denigrarla e distruggerla. Emisero un fatvá, un verdetto, che invocava un massacro generale. Táhirih fu, con altri, considerata miscredente dai malvagi ‘ulamá e si pensò erroneamente che si trovasse in casa di Shams-i-Duhá. Fecero irruzione nella casa di Shams, l'accerchiarono, la maltrattarono, la ingiuriarono e la malmenarono brutalmente. La trascinarono fuori di casa per le strade fino al bazar, la colpirono con bastoni e pietre, la ingiuriarono con turpe linguaggio, aggredendola ripetutamente. Mentre ciò accadeva, giunse sul posto Hájí Siyyid Mihdí, padre del suo illustre consorte. "Questa donna non è Táhirih!" gridò loro. Ma non aveva testimoni per dimostrarlo107 e i farrash la polizia e la folla non volevano desistere. Poi, tra gli schiamazzi, si senti strillare: "Hanno arrestato Qurratu'l-'Ayn!". Allora, la gente lasciò Shams-i-Duhá.

Mentre le autorità aspettavano istruzioni da Baghdád e Costantinopoli, le sentinelle piazzate davanti alla porta dell'abitazione di Táhirih non permettevano ad alcuno di uscire o di entrare. Prolungandosi l'attesa, Táhirih chiese licenza di partire per Baghdád. "Lasciateci andare di persona" disse. "Siamo rassegnate a tutto. Qualunque cosa ci accada sarà la migliore e la più gradita". Con un salvacondotto del governo, Táhirih, l'Usignolo del Paradiso, la madre di lei e Shams-i-Duhá partirono da Karbilá alla volta di Baghdád. Per un lungo tratto una sinuosa fiumana di persone le seguì, bersagliandole dappresso con una fitta sassaiola.

Giunte a Baghdád, andarono a vivere nella casa di Shaykh Muhammad-i-Shibl, padre di Muhammad-Mustafá; e poiché molti ne affollavano le porte, vi fu gran tumulto in tutto il quartiere, così che Táhirih si trasferì altrove, in un proprio alloggio, dove insegnò la Fede e proclamò la Parola di Dio incessantemente. Là vennero ad ascoltarla 'ulamá, shaykh e altri, facendole domande e ricevendo le sue risposte e giacché spiegava i temi teologici più oscuri e più sottili, divenne ben presto famosissima in tutta la città.

Avutone sentore, le autorità governative trasferirono Táhirih, Shams-i-Duhá e l'Usignolo nella casa del Muftí e li rimasero tre mesi, finché non arrivarono da Costantinopoli istruzioni sul loro caso. Durante la permanenza nella casa del Muftí, Táhirih dedicò la maggior parte del suo tempo a conversare con lui, a produrre prove convincenti sugli Insegnamenti, ad analizzare e spiegare domande relative al Signore Iddio, a dissertare sul Giorno della Resurrezione, sulla Bilancia e sul Rendiconto,108 a dipanare i complicati intrecci delle verità nascoste.

Un giorno si presentò il padre del Muftí e le maltrattò a lungo e con violenza. Il Muftí, alquanto contrariato, incominciò scusandosi per lui. Poi disse: "È arrivata la risposta per voi da Costantinopoli. Il Sovrano vi ha lasciate libere, ma a patto che usciate dai suoi reami". L'indomani mattina, esse lasciarono la casa del Muftí e andarono ai bagni pubblici. Nel frattempo Shaykh Muhammad-i-Shibl e Shaykh Sultán-i-'Arab fecero i preparativi necessari per il viaggio; trascorsi tre giorni, partirono da Baghdád; cioè Táhirih, Shams-i-Duhá, l'Usignolo del Paradiso, la madre di Mirza Hádí e alcuni Siyyid di Yazd partirono per la Persia. Shaykh Muhammad si accollò tutte le spese del viaggio.

Giunsero a Kirmánsháh, dove le donne alloggiarono in una casa e gli uomini in un’altra. Il lavoro d'insegnamento proseguiva sempre e, come se ne resero conto, gli 'ulamá ordinarono che il gruppo fosse espulso. Al che il capo distretto penetrò nella casa con un'orda di persone e saccheggiò le loro cose; poi i viaggiatori furono caricati su howdah scoperte e scacciati dalla città. Nel bel mezzo della campagna, i mulattieri li depo-

sitarono sulla nuda terra e se ne andarono, portando via gli animali e le howdah e abbandonandoli senza cibo né bagagli, senza un tetto sopra il capo.

Allora Táhirih spedì una lettera al Governatore di Kirmánsháh. "Eravamo viaggiatori" scrisse "ospiti della vostra città. 'Onora l'ospite, fosse pure un miscredente' dice il Profeta. Ora, è giusto che un ospite debba essere così beffato e derubato?". Il Governatore ordinò che la refurtiva fosse recuperata e restituita tutta ai proprietari. Perciò anche i mulattieri ritornarono, risistemarono i viaggiatori sulle howdah, che proseguirono per Hamadán. Le dame di Hamadán, perfino le principesse, andarono ogni giorno a far visita a Táhirih, che rimase nella città per due mesi.109 Là ella congedò alcuni dei compagni di viaggio, perché potessero far ritorno a Baghdád; ma gli altri l'accompagnarono fino a Qazvín.

Durante il viaggio si avvicinarono alcuni cavalieri, parenti di Táhirih, cioè i suoi fratelli. Dissero: "Siamo venuti per ordine di nostro padre per portarla via, da sola." Ma Táhirih si rifiutò di seguirli e perciò il gruppo rimase tutto unito, fino all'arrivo a Qazvín. Qui Táhirih andò nella casa paterna e gli amici, quelli che erano venuti a cavallo e quelli che erano venuti a piedi, si sistemarono in un caravanserraglio. Mirza Hádí, il marito di Shams-i-Duhá, era andato a Máh-Kú, per far visita al Báb. Al ritorno, attese l'arrivo di Shams a Qazvín; poi la coppia partì per Isfáhán e, quando furono arrivati, Mirza Hádí proseguì per Badasht. In quel borgo e nelle sue vicinanze egli fu aggredito, tormentato, preso a sassate e sottoposto a tali maltrattamenti che alla fine in un caravanserraglio diroccato morì. Suo fratello, Mirza Muhammad-’Alí, lo seppellì là, sul ciglio della strada.

Shams-i-Duhá rimase a Isfáhán. Trascorse i suoi giorni e le sue notti nel ricordo di Dio e insegnando la Sua Causa alle donne della città. Aveva il dono dell'eloquenza, i suoi discorsi

erano meravigliosi. Fu molto onorata dal fior fiore delle donne di Isfáhán, celebrata per la devozione, la religiosità, la purezza di vita. Incarnazione di castità, trascorreva tutte le sue ore recitando le Sacre Scritture, o spiegando i Testi, o delucidando i più complessi temi spirituali, o spargendo i dolci aromi di Dio.

Fu per queste ragioni che il Re dei martiri sposò la sua onorata figlia e divenne suo genero. E quando Shams andò ad abitare nella sua casa principesca, giorno e notte la gente fece ressa alle sue porte, e fu un continuo andirivieni delle più nobili dame della città, conosciute o sconosciute, vicine e lontane. Tanto ardeva d'amore di Dio e con tale trasporto ed entusiasmo Ne proclamava la Parola, che divenne nota tra i non credenti come Fátimih, la Luminosa Signora dei bahá’í.110

E così passò il tempo, e venne il giorno in cui la "Serpe" e il "Lupo" cospirarono assieme ed emanarono un decreto, un fatvá, che condannava a morte il Re dei martiri. Presero anche segreti accordi con il Governatore della città, per poter insieme saccheggiare, depredare e carpire l'immenso tesoro ch'egli possedeva. Poi anche lo Sciá si alleò con quelle due belve e ordinò che il sangue dei due fratelli, il Re dei martiri e l'Amato dei martiri, fosse versato. Senza una parola d'avvertimento, quegli spietati, la Serpe, il Lupo e i loro brutali farrásh e sbirri, attaccarono; incatenarono i due fratelli, li trascinarono in prigione, ne saccheggiarono le dimore sontuosamente arredate, ne razziarono tutti i beni e non risparmiarono nessuno, neppure i lattanti. Torturarono, imprecarono, insultarono, beffeggiarono, malmenarono i parenti e gli altri della casa delle vittime, senza mai fermarsi.

A Parigi, lo zillu's-Sultán,111 giurando sul suo onore che stava dicendo la verità, raccontò: "Più volte ammonii quei due grandi figli della Casa del Profeta, ma invano. Alla fine una notte li convocai e con estrema urgenza dissi loro con tante parole: 'Signori, lo Sciá vi ha condannati a morte tre volte. I suoi farmán continuano ad arrivare. Il decreto è perentorio e non vi resta aperta che una strada: discolparvi e maledire la vostra Fede in presenza degli 'ulamá'. La loro risposta fu: 'Yá Bahá'u'l-Abha! O Gloria del Gloriosissimo! Siano sacrificate le nostre vite!' Infine acconsentii a che non maledicessero la loro Fede. Dissi che tutto ciò che si richiedeva loro era di dichiarare: 'Non siamo bahá’í'. 'Queste poche parole' spiegai ‘saranno sufficienti, perché possa scrivere un rapporto allo Sciá; e sarete salvi’ ‘È impossibile’ risposero ‘perché noi siamo bahá’í. O Gloria del Gloriosissimo, i nostri cuori anelano al martirio! Yá Bahá'u'l-Abha!’. Allora m'infuriai e cercai con le maniere forti di costringerli ad abiurare, ma non ci fu verso. Il decreto della Serpe e del Lupo, quei rapaci, e gli ordini dello Sciá furono eseguiti".

Dopo che i due furono martirizzati Shams-i-Duhá inseguita dovette rifugiarsi in casa del fratello. Benché non fosse credente, egli aveva in Isfáhán reputazione di persona retta, pia e religiosa, un erudito, un asceta che viveva appartato come un eremita; per questo tutti lo stimavano e si fidavano di lui. Ella si sistemò presso di Lui, ma il Governatore non abbandonò le ricerche, ne scoprì il rifugio e la convocò; anche i malvagi 'ulamá ci misero mano, facendo lega con le autorità civili. Il fratello fu quindi costretto ad accompagnare Shams-i-Duhá in casa del Governatore. Mentre ella veniva condotta nel gine-ceo, egli rimase fuori. Il Governatore si presentò alla porta e la percosse e la calpestò così selvaggiamente ch'ella svenne. Poi sbraitò alla moglie; "Principessa! Principessa! Vieni qui! Dà uno sguardo a questa Luminosa Signora dei bahá’í!".

Le donne la sollevarono e la trasportarono in una delle stanze. Intanto il fratello, sbigottito, aspettava fuori della residenza. Alla fine cercò di ammansire il Governatore, dicendo:

"Questa mia sorella è stata così rudemente malmenata, che è in punto di morte. A che pro trattenerla qui? Non ha più speranze ormai. Col vostro permesso la riporto a casa mia: meglio lasciarla morire là, piuttosto che qui, perché dopo tutto è una discendente del Profeta, del nobile lignaggio di Muhammad, e non ha fatto alcun male. Nulla è contro di lei, se non la parentela con il genero". Il Governatore rispose: "È una delle grandi maestre ed eroine dei bahá’í. Susciterà altri disordini". Il fratello ribatté: 'Vi prometto che non dirà nemmeno una parola. Indubbiamente in pochi giorni sarà già morta. Il suo corpo è fragile e debole, quasi senza vita e ha subito gravissimi danni".

Poiché nobili e popolani avevano per lui grande fiducia e rispetto, il Governatore affidò Shams-i-Duhá alla sua custodia e la lasciò andare. Per breve tempo ella visse in quella casa, in gemiti, doglianze e lacrime e nel cordoglio dei suoi morti. Ma il fratello non si sentiva tranquillo e i nemici non le davano pace: ogni giorno c'erano nuovi schiamazzi e tafferugli. Da ultimo il fratello stimò più saggio portare Shams lontano, in pellegrinaggio a Mashhad nella speranza che il fuoco della sedizione si spegnesse.

Andarono a Mashhad e si sistemarono in una casa libera nei pressi del Mausoleo dell'Imám Ridá.112

Da uomo pio qual era, il fratello usciva tutte le mattine per visitare il Santuario e lì si tratteneva, immerso in preghiera, fin quasi a mezzogiorno. Anche dopo pranzo correva al Santo Luogo e pregava fino a sera. Essendo la casa vuota Shams-i-Duhá si mise in contatto con diverse credenti e incominciò a frequentarle; e giacché l'amore di Dio ardeva veemente nel suo cuore, non riuscì a tacere, sì che nelle ore di assenza del fratello quel luogo si animava. Vi affluivano le donne bahá’í, che assimilavano i suoi discorsi lucidi ed eloquenti.

In quei giorni la vita a Mashhad era dura per i credenti, con i malevoli sempre all'erta, che uccidevano al minimo sospetto. Non v'era né sicurezza né pace. Ma Shams-i-Duhá non poté trattenersi: malgrado tutte le terribili prove subite, ignorò il pericolo, pronta a gettarsi tra le fiamme o in mare. Il fratello, che non frequentava nessuno, non sapeva nulla di quello che stava succedendo. Giorno e notte non faceva altro che uscire di casa per recarsi al Santuario e poi dal Santuario ritornava a casa; era isolato, non aveva amici e non parlava con nessuno. Nondimeno arrivò il giorno in cui vide la città in tumulto e capì che sarebbe finita molto male. Uomo pacato e taciturno qual era, non redarguì la sorella; si limitò a portarla via da Mashhad senza far motto e ritornarono a Isfáhán. Qui, non volendo più ospitarla sotto il suo tetto, la mandò dalla figlia, la vedova del Re dei martiri.

E così Shams-i-Duhá era rientrata a Isfáhán, dove coraggiosamente insegnò la Fede e sparse i dolci aromi di Dio. L'impetuoso amore divampava tanto nel suo cuore da costringerla a parlare ogni qual volta trovava orecchie disposte ad ascoltare. E allorché fu chiaro che ancora una volta la famiglia del Re dei martiri stava per essere colta da calamità e che si trovavano in grandi afflizioni in Isfáhán, Bahá'u'lláh desiderò ch'essi venissero nella Più Grande Prigione. Shams-i-Duhá giunse in Terra Santa con la vedova e i figli del Re dei martiri. Stavano qui trascorrendo giorni felici, quando il figlio del Re dei martiri, Mirza 'Abdu'l-Husayn, in seguito ai gravi patimenti cui era stato sottoposto a Isfáhán, s'ammalò di tubercolosi e ne morì ad 'Akká.

Nel cuore di Shams-i-Duhá c'era un gran peso: pianse la sua mancanza, si consunse di nostalgia per lui e tutto fu assai più difficile perché proprio allora sopravvenne la Suprema Afflizione, il massimo tormento. Le fondamenta della sua vita ne furono scosse; come un cero fu consumata dal dolore. S’indebolì tanto che, non potendosi più muovere, fu costretta a letto. Eppure non riposava mai, non taceva mai. Parlava di giorni ormai trascorsi, di cose accadute nella Causa, o declamava le Sacre Scritture, o innalzava suppliche, o cantava preghiere, finché dalla Più Grande Prigione spiccò il volo verso il mondo di Dio. Abbandonò questo polveroso abisso di perdizione per una terra immacolata; riposte le sue cose, si recò nella terra delle luci. A lei saluti e lode e, nell'asilo della compassione del suo Signore onnipotente, infinita misericordia.

Egli è Dio!

Tu vedi, o mio Signore, l'assemblea dei Tuoi amati, la compagnia dei Tuoi amici, riunita presso i recinti della Tua Tomba che a tutto basta e nelle vicinanze del Tuo eccelso giardino, in un giorno fra i giorni della Tua Festa di Ridvan - il tempo benedetto in cui albeggiasti sul mondo, riversandovi le luci della Tua santità e spargendo i fulgidi raggi della Tua unicità e uscisti da Baghdád, con una maestà e una possanza che avvolse l'intera umanità, con una gloria che fece cadere tutti prosternati davanti a Te, che fece sì che tutte le teste si chinassero, tutti i colli si piegassero e tutti gli sguardi si abbassassero. Essi Ti rammentano e Ti menzionano, i petti rallegrati dalle luci delle Tue elargizioni, le anime ristorate dalle prove dei Tuoi doni, innalzando la Tua lode, volgendo il viso verso il Tuo Regno, supplicando umilmente i Tuoi eccelsi Reami.

Sono qui riuniti per commemorare la Tua fulgida e santa ancella, foglia del Tuo verde Albero del Cielo, luminosa realtà, essenza spirituale, che sempre implora la Tua tenera compassione. Ella nacque fra le braccia della saggezza divina e fu allattata al petto della certezza; fiorì nella culla della fede e gioì nel seno del Tuo amore, o misericordioso, o compassionevole Signore! E crebbe fino a maturità in una casa da cui esalavano i dolci aromi dell’unità. Ma ancor fanciulla, il dolore la colse sulla Tua via e la sfortuna la assalì, o Elargitore, e nella sua gioventù indifesa bevve dalla coppa del cordoglio e del dolore, per amore della Tua bellezza, o Perdonatore!

Tu conosci, o mio Dio, le calamità che sopportò gioiosamente nella Tua via, le prove che affrontò nel Tuo amore, il volto radiante di gioia. Quante notti, mentre altri giacevano a letto in dolce riposo, ella vegliò, supplicando umilmente il Tuo celeste Reame. Quanti giorni trascorse la Tua gente al sicuro nella cittadella della Tua protettiva sollecitudine, mentre il suo cuore era tormentato da ciò che era accaduto ai Tuoi santi.

O mio Signore, i giorni e gli anni passarono, e ogni qual volta vedeva la luce del mattino piangeva sui dolori dei Tuoi servi, e al cadere delle ombre della notte gemeva e invocava e bruciava in dolorosa angoscia per quel che era accaduto ai Tuoi servitori. E si levò con tutta la sua forza per servirTi, per implorare il Cielo della Tua misericordia, per supplicarTi in umiltà e per posare il suo cuore in Te. Ed uscì velata in santità, le vesti immacolate dalla natura della Tua gente, e si unì in matrimonio con il Tuo servo al quale conferisti i Tuoi più ricchi doni, nel quale rivelasti le insegne della Tua sconfinata misericordia, il cui volto facesti rifulgere di luce imperitura nel Tuo gloriosissimo Reame. Sposò colui che Tu alloggiasti nell'assemblea del ricongiungimento, unito alla Schiera eccelsa, colui cui facesti mangiare ogni cibo celestiale, colui sul quale riversasti le Tue benedizioni, al quale conferisti il titolo di Re dei Martiri.

E abitò per alcuni anni sotto la protezione della Luce manifesta, e con tutta l'anima servi alla Tua santa e luminosa Soglia, preparando cibi e un luogo di riposo e giacigli per tutti i Tuoi amati che arrivavano, e non ebbe altra gioia che questa. Era modesta e umile davanti a ciascuna delle Tue ancelle, deferente con tutte, servendole tutte col cuore, l'anima e tutto il suo essere, per amore della Tua bellezza, e cercando di ottenere il Tuo compiacimento. Finché la sua casa non fu conosciuta col Tuo nome e la fama del marito non si sparse dappertutto, come di uno che apparteneva a Te, e la Terra di Sád

(Isfáhán) tremò ed esultò di gioia, per le continue benedizioni provenienti da questo Tuo possente paladino, e la profumata verzura del Tuo sapere e le rose della Tua munificenza incominciarono a sbocciare e una grande moltitudine fu condotta alle acque della Tua misericordia. Poi Tue creature ignobili e ignoranti insorsero contro di lui e con tirannia e malizia sentenziarono la sua morte e con dura oppressione, ingiustamente versarono il suo sangue immacolato. Sotto la spada fiammeggiante quel nobile uomo Ti gridò: "Lode a Te, o mio Dio, ché nel Giorno Promesso mi hai aiutato a ottenere questa grazia manifesta; ché hai arrossato la polvere con il mio sangue, sparso sulla Tua via, sì che produca fiori vermigli. Tuoi il favore e la grazia di concedermi questo dono che desideravo più di ogni cosa al mondo. Grazie a Te Che mi soccorresti e mi confermasti e mi desti da bere da questa coppa il cui licore fu miscelato di Canfora113 - il Giorno della Manifestazione, per mano del coppiere del martirio, nell'assemblea delle delizie. In verità Tu sei il Pieno di grazia, il Generoso, l'Elargitore".

E dopo che l'ebbero ucciso, invasero la sua principesca dimora. Attaccarono come lupi predatori, come leoni a caccia, e saccheggiarono e depredarono e rubarono, impadronendosi dei ricchi mobili, degli ornamenti e dei gioielli. Allora ella si trovò in grave pericolo, lasciata coi frammenti del suo cuore spezzato. Questo violento assalto ebbe luogo quando si diffuse la notizia del suo martirio e i bambini gridarono mentre il panico colpiva i loro cuori; essi gemettero ed ella pianse e da quella splendida dimora si levarono lamenti di cordoglio, ma non v'era nessuno a piangere per loro, nessuno a compatirli. E invece attorno a loro si addensò la notte della tirannia e il fiammeggiante Inferno dell'ingiustizia divampò più rovente che mai; non vi fu tormento che i malfattori le risparmiassero, né agonia che non le infliggessero. E questa santa foglia rimase, ella e i suoi figlioli, nelle grinfie degli oppressori, affrontando la malvagità degli immemori, senza nessuno che facesse loro da scudo.

E passarono giorni in cui sue uniche compagne furono le lacrime e suoi amici i lamenti; in cui fu esposta all'angoscia e non ebbe altro amico che il dolore. Eppure in queste sofferenze, o mio Signore, non cessò di amarTi; non Ti abbandonò, o mio Diletto, in queste prove infocate. Sebbene i disastri si succedessero l'un l'altro, pur circondata da tribolazioni, sopportò tutto pazientemente, per lei erano doni e favori Tuoi, e in tutta quella pesante agonia, o Signore dei nomi più belli, sulle sue labbra vi fu la Tua lode.

Poi abbandonò focolare, riposo, rifugio e asilo e presi i suoi piccoli, come gli uccelli, volò fino a questa Terra fulgida e santa, per fare qui il nido e cantare la Tua lode come fanno gli uccelli, e dedicarsi al Tuo amore con tutte le sue forze, e servirTi con tutto il suo essere, la sua anima, il suo cuore. Era umile di fronte alle Tue ancelle, modesta davanti a ogni foglia del giardino della Tua Causa, occupata nel Tuo ricordo, distaccata da tutto fuorché Te.

E all'alba si levavano i suoi gemiti e nella notte e nel luminoso mezzogiorno si udivano i dolci accenti del suo canto, finché non ritornò a Te e non s'involò verso il Tuo Regno; andò a cercare il riparo della Tua Soglia e si librò nel Tuo cielo eterno. O mio Signore, ricompensala con la contemplazione della Tua bellezza, alimentala alla mensa della Tua eternità, dalle una casa vicino a Te, sostienila nei giardini della Tua santità come vuoi e come ti piace; benedici la sua dimora, tienila al sicuro nell'ombra del Tuo Albero celeste; guidala, o Signore, nei padiglioni della Tua divinità, fa' di lei uno dei Tuoi segni, una delle Tue luci.

In verità Tu sei il Generoso, l'Elargitore, il Perdonatore, il Misericordiosissimo.

TÁHIRIH

Donna casta e santa, segno e pegno d'insuperata bellezza, spada fiammeggiante d'amor di Dio, lampada della Sua elargizione, fu Jináb-i-Táhirih.114 Si chiamava Umm-Salmá; era figlia di Hájí Mullá Sálih, mujtahid di Qazvín, e suo zio paterno era Mullá Taqí, l'Imám-Jum'ih o colui che guidava le preghiere nella moschea cattedrale della città. Fu sposata a Mullá Muhammad, figlio di Mullá Taqí e dette alla luce tre figli, due maschi e una femmina; tutti e tre furono privi della grazia che avvolse la loro madre e non riconobbero la verità della Causa.

Quando era ancora bambina il padre le scelse un maestro ed ella studiò vari rami del sapere e delle arti, conseguendo notevole abilità nelle attività letterarie. Tali erano la sua cultura e i suoi successi che spesso il padre si rammaricava, dicendo:

"Se fosse stata un ragazzo, avrebbe dato lustro alla mia casa e mi sarebbe succeduta!".115

Un giorno era ospite in casa di Mullá Javád, suo cugino da parte di madre, e nella sua biblioteca trovò alcuni scritti di Shaykh Ahmad-i-Ahsá'í.116 Deliziata da quello che questi diceva, Táhirih li chiese a prestito per portarli a casa. Mullá Javád rifiutò seccamente dicendole: "Tuo padre è nemico delle Due Luminose Luci, Shaykh Ahmad e Siyyid Kázim. Se mai si sognasse che ti sei imbattuta in una sola parola di quei due grandi, in una fragranza del giardino di quelle realtà, attenterebbe alla mia vita e anche tu diverresti bersaglio della sua collera". Táhirih rispose: "È da lungo tempo che desideravo, bramavo queste spiegazioni, queste verità interiori. Dammi tutti i libri che hai di questo genere. Non importa se mio padre andrà in collera". Perciò Mullá Javád le mandò gli scritti dello Shaykh e del Siyyid.

Una notte Táhirih incontrò il padre nella biblioteca e incominciò a parlargli degli insegnamenti di Shaykh Ahmad. Appena capì che la figlia conosceva le dottrine shaykhí, Mullá Sálih manifestò la sua disapprovazione e gridò: "Javád ha fatto di te un'anima perduta!". Táhirih rispose: "Il defunto Shaykh era un vero sapiente di Dio e dalla lettura dei suoi libri ho imparato un’infinità di verità spirituali. Inoltre egli basa tutto quello che afferma sulle tradizioni dei Santi Imám. Tu dici di essere sapiente mistico e uomo di Dio, consideri sapiente e uomo molto pio il tuo rispettato zio, eppure in nessuno di voi trovo traccia di tali qualità!".

Per qualche tempo continuò a discutere animatamente con il padre, dibattendo temi come la Resurrezione e il Giorno del Giudizio, l'Ascesa Notturna di Muhammad al Cielo, la Promessa e la Minaccia e l'Avvento del Promesso.117 A corto di argomentazioni, il padre ricorse a imprecazioni e insulti. Poi una notte, a sostegno del suo assunto, Táhirih citò una santa tradizione dell'Imám Ja'far-i-Sádiq,118 e poiché la tradizione confermava quello che ella diceva, il padre scoppiò a ridere, facendosene beffa. Táhirih disse: "Padre mio, queste sono le parole del Santo Imám. Come puoi deriderle e negarle?".

Da quel momento, cessò di discutere e disputare con il padre. Nel frattempo ebbe con Siyyid Kázim una corrispondenza segreta sulla soluzione di complessi problemi teologici e così avvenne che il Siyyid le conferì il titolo "Consolazione degli Occhi" (Qurratu'l-'Ayn); quanto al titolo Táhirih ("la Pura"), le fu assegnato per la prima volta a Badasht e fu poi approvato dal Báb e registrato nelle Tavole.

Táhirih si era infiammata. Partì per Karbilá, sperando di incontrare Siyyid Kázim, ma arrivò troppo tardi: egli era trapassato dieci giorni prima del suo arrivo in città. Non molto tempo prima di morire il Siyyid aveva annunciato ai suoi discepoli la lieta novella che l'Avvento promesso era imminente. "Andate" aveva detto loro ripetutamente "e cercate il vostro Signore". Così i suoi seguaci più illustri si riunirono in ritiro e in preghiera, per digiunare e vegliare, nella Masjid-i-Kúfih, mentre alcuni attesero l'Avvento a Karbilá. Fra questi Táhirih, la quale digiunò di giorno, fece esercizi spirituali e trascorse le notti a vegliare e cantare preghiere. Una notte mentre l'alba si avvicinava, posò la testa sul cuscino, perse coscienza di questa vita terrena e fece un sogno; nella sua visione le apparve nei cieli un giovane, un Siyyid, che indossava un manto nero e un turbante verde; si librava nell'aria, recitava versetti e pregava con le mani alzate. Ella subito memorizzò uno di quei versetti e quando si svegliò lo trascrisse su un taccuino. Dopo che il Báb ebbe dichiarato la Sua missione e che il Suo primo libro, "La Migliore delle Storie",119 aveva incominciato a circolare, Táhirih un giorno stava leggendo una parte del testo quando trovò lo stesso versetto che aveva annotato dal sogno. Immediatamente cadde in ginocchio e chinò la fronte a terra, rendendo grazie, convinta che il messaggio del Báb era la verità.

Questa buona notizia la raggiunse a Karbilá ed ella incominciò subito a insegnare. Tradusse e spiegò "La Migliore delle Storie", scrisse inoltre in persiano e in arabo, compose odi e liriche, recitando umilmente le preghiere, anche quelle facoltative e soprannumerarie. Quando i malvagi 'ulamá di Karbilá ebbero sentore di tutto questo, e seppero che una donna invitava la gente a una nuova religione, e ne aveva già influenzato un numero considerevole, andarono dal Governatore e sporsero una protesta ufficiale. In breve, le loro accuse provocarono violenti attacchi contro Táhirih e sofferenze, ch'ella accettò e per le quali rese lode e grazie. Quando le autorità vennero a cercarla, prima aggredirono Shams-i-Duhá, scambiandola per Táhirih. Ma non appena seppero che Táhirih era stata arrestata, lasciarono andare Shams, perché Táhirih aveva inviato al Governatore un messaggio che diceva: Sono a tua disposizione. Non far male a nessun altro".

Il Governatore mise le guardie alla sua casa, e ve la rinchiuse, e scrisse a Baghdád chiedendo istruzioni su come comportarsi. Per tre mesi, ella visse in stato di assedio, completamente isolata, la casa circondata dalle guardie. Non avendo le autorità locali ancora ricevuto alcuna risposta da Baghdád, Táhirih sottopose il proprio caso al Governatore dicendo: "Non è giunta parola né da Baghdád né da Costantinopoli. Di conseguenza ci recheremo di persona a Baghdád ad aspettare la risposta". Il Governatore le dette il permesso di partire, accompagnata da Shams-i-Duhá, dall'Usignolo del Paradiso (la sorella di Mullá Husayn) e dalla madre di lei. A Baghdád prima soggiornò nella casa di Shaykh Muhammad, l'illustre padre di Áqá Muhammad-Mustafá. Ma tale era la folla che le faceva ressa attorno che si trasferì in un'altra residenza, impegnata giorno e notte a divulgare la Fede e ad associarsi liberamente con gli abitanti di Baghdád. Divenne pertanto celebre in tutta la città e vi fu gran tumulto.

Táhirih ebbe anche una corrispondenza con gli 'ulamá di Kázimayn; presentò loro prove inoppugnabili e quando l'uno

o l'altro le venivano davanti offriva argomenti convincenti. Infine inviò un messaggio ai teologi sciiti, dicendo: "Se non siete soddisfatti di queste prove definitive, vi sfido a un giudizio per ordalia".120 Allora vi fu gran clamore fra i teologi e il Governatore fu costretto a mandare Táhirih e le sue compagne nella casa di Ibn-i-Álúsí, il muftí di Baghdád. Qui rimase circa tre mesi, in attesa di notizie e istruzioni da Costantinopoli. Ibn-i-Álúsí la impegnava in dotte conversazioni, venivano fatte domande e date risposte ed egli non negava quello che lei aveva da dire.

Un giorno il muftí le raccontò un sogno e le chiese di spiegargliene il significato. Disse: "In sogno ho visto gli 'ulamá sciiti che arrivavano nella santa tomba dell'Imám Husayn, il Principe dei Martiri. Toglievano la barriera che la chiude e aprivano la bara risplendente, sì che il corpo immacolato si trovò esposto agli sguardi. Cercavano di esumare le sante spo-glie, ma io mi gettai sulla salma e li cacciai via". Táhirih rispose: "Ecco il significato del tuo sogno: sei sul punto di liberarmi dalle mani dei teologi sciiti". "Anch'io l'ho interpretato così disse Ibn-i-Álúsí.

Avendo egli scoperto che era versata nei temi della dottrina, nei sacri commentari e nei Testi, i due discutevano spesso; lei parlava di temi come il Giorno della Resurrezione, la Bilancia e il Sirát,121 e lui non cambiava discorso.

Poi una notte il padre di Ibn-i-Álúsí si recò in casa del figlio. Ebbe un incontro con Táhirih e bruscamente, senza porre neppure una domanda, incominciò a imprecare, schernirla e insultarla. Imbarazzato dal comportamento del padre, Ibn-i-Álúsí si scusò. Poi disse: "E arrivata la risposta da Costantinopoli. Il Re ha dato ordine di liberarti, ma solo a condizione che tu lasci i suoi reami. Va' dunque, domattina, fa' i preparativi per il viaggio e fuggi da questa terra".

Pertanto Táhirih lasciò la casa del muftí con le sue compagne, provvide a procurarsi il necessario per il viaggio e partì da Baghdád. Quando lasciarono la città, alcuni credenti arabi, armati, si affiancarono al convoglio. Nella scorta c'erano Shaykh Sultán, Shaykh Muhammad e il suo illustre figlio Muhammad-Mustafá e Shaykh Sálih e questi tre erano a cavallo. Shaykh Muhammad si accollò le spese del viaggio.

Giunte a Kirmánsháh, le donne si fermarono in una casa, gli uomini in un'altra, e gli abitanti arrivarono come un fiume ininterrotto a chiedere informazioni sulla nuova Fede. Qui come altrove gli 'ulamá entrarono ben presto in uno stato di agitazione e comandarono che le nuove arrivate fossero espulse. Di conseguenza il kad-khudá o primo ufficiale del quartiere, assediò con una banda di persone la casa dove era Táhirih e la saccheggiò. Poi caricarono Táhirih e le sue compagne su una howdah scoperta e dalla città le portarono in aperta campagna, dove le fecero scendere. I conducenti si presero gli animali e tornarono in città. Le vittime furono lasciate sulla nuda terra, senza cibo, senza tetto e senza mezzi per proseguire il viaggio.

Táhirih scrisse immediatamente una lettera al principe del territorio, nella quale diceva: "O Governatore giusto! Eravamo ospiti della tua città. È questo il modo in cui trattate gli ospiti?". Quando la lettera fu portata al Governatore di Kirmánsháh egli disse: "Non sapevo nulla di questa ingiustizia. Questa malvagità è stata provocata dai teologi". Comandò immediatamente al kad-khudá di restituire ai viaggiatori tutte le loro proprietà. L'ufficiale riconsegnò debitamente le merci rubate, i conducenti ritornarono fuori dalla città con gli animali, i viaggiatori presero posto e si rimisero in viaggio.

Arrivarono a Hamadán e qui la loro permanenza fu felice. Le più illustri dame della città, anche le principesse, vennero in visita, cercando il beneficio dell'insegnamento di Táhirih. A

Hamadán ella licenziò parte della scorta e la rimandò a Baghdád, portando con sé a Qazvín alcuni di loro, fra cui Shams-i-Duhá e Shaykh Sálih.

Mentre erano in viaggio, si fecero loro incontro alcuni cavalieri di Qazvín, parenti di Táhirih, che volevano portar via lei sola, senza gli altri, nella casa del padre. Táhirih si rifiutò dicendo: "Sono in mia compagnia". In questo modo entrarono a Qazvín. Táhirih andò a casa del padre, mentre gli Arabi della scorta si fermarono in un caravanserraglio. Ben presto Táhirih lasciò il padre e si trasferì dal fratello e lì le gran dame della città vennero a farle visita; tutto questo fino all'assassinio di Mullá Taqí122 quando tutti i Bábí di Qazvín furono messi in prigione. Alcuni furono mandati a Tihrán e poi ricondotti a Qazvín e martirizzati.

Mullá Taqí fu assassinato in questo modo: un giorno quell'abbrutito tiranno, salito sul pulpito, incominciò a schernire e ingiuriare il grande Shaykh Ahmad-i-Ahsá'í. Spudoratamente, grossolanamente, urlando oscenità, gridò: "Lo Shaykh è colui che ha acceso questo fuoco di malvagità e sottoposto tutto il mondo a questo grande cimento!". Fra gli ascoltatori c'era un ricercatore, nativo di Shiráz. Egli trovò i sarcasmi, i lazzi e le oscenità più di quanto potesse sopportare. Protetto dall’oscurità, si recò nella moschea, affondò una punta di lancia fra le labbra di Mullá Taqí e fuggì. La mattina dopo i credenti inermi furono arrestati e, sebbene fossero tutti innocenti e non sapessero nulla di quello che era accaduto, furono sottoposti a strazianti torture. Nessuno chiese mai di indagare sul caso; i credenti proclamarono ripetutamente di essere innocenti ma nessuno dette loro ascolto. Trascorsi alcuni giorni, l'uccisore si costituì: confessò alle autorità, informandole di aver commesso l'omicidio perché Mullá Taqí aveva vilipeso Shaykh Ahmad. "Mi consegno nelle vostre mani" disse loro "perché liberiate questi innocenti". Fu arrestato anche lui, messo ai ceppi, incatenato e in catene mandato a Tihrán assieme agli altri.

Quando fu là egli vide che malgrado la sua confessione gli altri non venivano rilasciati. Nottetempo, fuggì di prigione e si recò nella casa di Ridá Khán, quell'uomo raro e prezioso, quella stella di sacrificio fra gli amanti di Dio, il figlio di Muhammad Khán, Maestro di Stalla di Muhammad Sháh. Vi si trattenne per qualche tempo, dopo di che egli e Ridá Khán andarono segretamente a cavallo fino al forte di Shaykh Tabarsí nel Mázindarán.123 Muhammad Khán li fece inseguire da uomini a cavallo per riportarli indietro, ma per quanto cercassero nessuno riuscì a trovarli. I due cavalieri andarono al Forte di Tabarsí, dove conquistarono entrambi la corona del martirio. Quanto agli altri amici che erano nella prigione di Tihrán, alcuni di loro furono ricondotti a Qazvín e anch'essi furono martirizzati.

Un giorno l'amministratore delle finanze, Mirza Sháfi' chiamò l'assassino e si rivolse a lui dicendo: "Jináb, appartieni a un ordine di dervisci o segui la legge? Se sei un seguace della Legge, perché hai inferto al dotto mujtahid un colpo crudele, fatale, nella bocca? Se sei un derviscio e segui la Via, una delle sue regole é di non far male a nessuno. Come hai dunque potuto uccidere quello zelante teologo?". "Signore" egli rispose "oltre alla Legge, oltre alla Via, abbiamo anche la Verità. È stato a servizio della Verità che l'ho ripagato per le sue azioni".124

Queste cose avvennero prima che la realtà di questa Causa fosse rivelata e tutto fosse chiarito. Perché in quei giorni nessuno sapeva che la Manifestazione del Báb sarebbe culminata nella Manifestazione della Bellezza Benedetta, e che la legge

del taglione sarebbe stata abrogata, e che il principio fondamentale della Legge di Dio sarebbe stato questo, che "È meglio essere uccisi che uccidere", che la discordia e le liti sarebbero cessate, e che la regola della guerra e della carneficina sarebbe decaduta. In quei giorni accadeva questo genere di cose. Ma sia lodato Iddio, con l'avvento della Bellezza Benedetta brillò tale splendore di armonia e di pace, tale spirito di mansuetudine e di tolleranza, che - quando a Yazd uomini, donne e bambini furono fatti bersaglio del fuoco dei nemici o furono passati per la spada, quando i capi e i malvagi 'ulamá e i loro seguaci si allearono e congiuntamente assalirono quelle vittime indifese e sparsero il loro sangue, dilaniando e sbranando i corpi di caste donne, tagliando con la spada gole di fanciulli cui avevano ucciso i genitori, bruciandone poi le membra dilaniate e sbranate - nessuno degli amici di Dio alzò un dito contro di loro. In verità, fra quei martiri, quei veri compagni di coloro che, molto tempo prima, morirono a Karbilá, vi fu un uomo che, quando vide la spada sguainata balenare su di lui, gettò zucchero candito nella bocca del suo assassino e gridò: "Mettimi a morte con un dolce sapore sulle labbra, perché mi rechi il martirio, il mio più caro desiderio!".

Ritorniamo al nostro tema. Dopo l'assassinio del suo empio zio, Mullá Taqí, a Qazvín, Táhirih si trovò in grande difficoltà. Era prigioniera e aveva il cuore pesante, si rammaricava per i dolorosi eventi che si erano verificati. Era sorvegliata da ogni parte, da attendenti, guardie, farrásh e nemici. Mentre così languiva, Bahá'u'lláh mandò dalla capitale Hadíy-i-Qazvíní, il marito della celebrata Khátún-Ján, ed essi riuscirono con uno stratagemma a liberarla da quel tumulto e la condussero a Tihrán durante la notte. Ella si fermò nella residenza di Bahá'u'lláh e fu alloggiata in un appartamento del piano superiore.

Quando a Tihrán se ne sparse la voce, il Governo le dette la caccia in lungo e in largo; nondimeno gli amici continuarono

ad arrivare per vederla, in un fiume costante, e Táhirih conversava con loro, seduta dietro una tenda. Un giorno c'era il grande Siyyid Yahyá, soprannominato Vahíd. Egli sedeva all’esterno e Táhirih lo ascoltava da dietro il velo. Ero allora un bambino e le stavo seduto in grembo. Vahíd discorreva con eloquenza e fervore sui segni e sui versetti che testimoniano l'avvento della nuova Manifestazione. Ella lo interruppe bruscamente e alzando la voce dichiarò con veemenza: "O Yahyá! Fatti e non parole attestino la tua fede, se sei uomo di vera dottrina. Smetti di ripetere vanamente le tradizioni del passato, perché è arrivato il giorno del servizio, di una risoluta azione. Ora è tempo di mostrare i veri segni di Dio, di squarciare i veli dell'oziosa fantasia, di promuovere la Parola di Dio e di sacrificarsi sulla Sua via. Fatti e non parole siano il nostro ornamento!".

La Bellezza Benedetta fece minuziosi preparativi per il viaggio di Táhirih a Badasht e la mandò via con equipaggiamento e seguito. Il Suo gruppo partì per quella regione qualche giorno dopo.

A Badasht, c'era un grande campo aperto. Nel mezzo scorreva un ruscello, a destra e sinistra e dietro c'erano tre giardini, che facevano invidia al Paradiso. Uno di questi giardini fu assegnato a Quddús,125 ma la cosa fu tenuta segreta. Un altro fu riservato a Táhirih e nel terzo fu alzato il padiglione di Bahá'u'lláh. I credenti piantarono le tende nel campo in mezzo ai tre giardini. La sera Bahá'u'lláh, Quddús e Táhirih si incontravano. In quei giorni non era ancora stato proclamato che il Báb era il Qá'im; fu la Bellezza Benedetta che organizzò con Quddús la proclamazione di un Avvento universale e l'abrogazione e il ripudio delle antiche leggi.

Poi un giorno, e c'era in questo una saggezza, Bahá'u'lláh

si ammalò; cioè quell'indisposizione sarebbe servita a uno scopo importantissimo. D'improvviso, sotto gli occhi di tutti, Quddús uscì dal suo giardino ed entrò nel padiglione di Bahá'u'lláh. Ma Táhirih gli mandò un messaggio, per dire che essendo il loro Ospite ammalato, egli avrebbe dovuto visitare invece il suo giardino. Quddús rispose: "Questo è preferibile. Vieni qui tu". Táhirih uscì dal suo a volto scoperto, dirigendosi verso il padiglione di Bahá'u'lláh; e mentre procedeva, gridò a gran voce queste parole: "Suona la Tromba! Squilla la grande Tromba! L'Avvento universale è ora proclamato! ".126I credenti riuniti nella tenda furono colti dal panico e si chiesero tra sé e sé: "Com'è possibile che la Legge sia abrogata? Com'è possibile che questa donna stia qui senza velo?".

"Leggi la sura dell'Inevitabile"127 disse Bahá'u'lláh; e il lettore incominciò: "Quando il Giorno che deve venire verrà d'improvviso ... Giorno che abbatterà! Giorno che esalterà!…” e così fu annunciata la nuova Dispensazione e manifestata la grande Resurrezione. All'inizio, i presenti fuggirono e alcuni abbandonarono la Fede, mentre altri caddero in preda a sospetti e dubbi e altri, dopo aver esitato, ritornarono alla presenza di Bahá'u'lláh. La Conferenza di Badasht si sciolse, ma l'Avvento universale era stato proclamato.

In seguito, Quddús accorse al Forte di Tabarsí128 e la Bellezza Benedetta Si recò a Níyálá con provviste ed equipaggiamenti, intenzionato a proseguire nella notte, attraversare l'accampamento nemico ed entrare nel Forte. Ma Mirza Taqí, il Governatore di Ámul, ne ebbe sentore e arrivò a Níyálá con settecento fucilieri. Circondato il villaggio nella notte, rimandò Bahá'u'lláh ad Ámul con undici cavalieri e si verificarono quelle calamità e tribolazioni, di cui si disse prima.

Quanto a Táhirih, dopo la pausa di Badasht fu catturata e gli oppressori la rimandarono a Tihrán sotto scorta. Lì fu imprigionata nella casa di Mahmúd Khán, il Kalántar. Ma era infiammata, innamorata, irrequieta e non poteva tacere. Le dame di Tihrán, con un pretesto o l'altro, si affollavano per vederla e ascoltarla. Accadde che nella casa del Sindaco vi fosse una celebrazione per le nozze di suo figlio; era stato preparato un banchetto nuziale e la casa era stata addobbata. Era stato invitato il fior fiore delle dame di Tihrán, le principesse, le mogli dei visir e degli altri grandi. Fu uno splendido matrimonio, con musica strumentale e melodie vocali, giorno e notte liuti, campanelle e canti. Poi Táhirih incominciò a parlare; e le gran dame furono così affascinate che dimenticarono liuti e tamburi e tutti i piaceri della festa nuziale per affollarsi attorno a Táhirih e ascoltare le dolci parole della sua bocca.

Così ella rimase, prigioniera indifesa. Poi vi fu l'attentato alla vita dello Sciá;129 fu emesso un farmán e fu condannata a morte. Dicendo che era stata convocata dal Primo Ministro, arrivarono per portarla via dalla casa del Kalántar. Si lavò il volto e le mani, indossò una veste costosa, si profumò con essenza di rose e uscì di casa.

La condussero in un giardino, dove i carnefici aspettavano; ma esitarono e poi si rifiutarono di por fine alla sua vita. Si trovò uno schiavo, immerso nell'ubriachezza, inebetito, vizioso, nero di cuore. E costui soffocò Táhirih. Le introdusse a forza una sciarpa fra le labbra e gliela spinse in gola. Poi sollevarono il suo corpo immacolato e lo gettarono in un pozzo, nel giardino, e vi rovesciarono sopra terra e pietre. Ma Táhirih gioì; aveva udito con cuore sereno la notizia del suo martirio; volse gli occhi verso il Regno superno e offrì la vita.

Saluti a lei e lode. La sua polvere sia santa, mentre cortine di luce discendono su di essa dal Cielo.

GUIDA ALLA PRONUNCIA PERSIANA
a come in casa
á fra a e o
aw ou
ch c di cibo
d z di zebra
dh z di zebra
g g di gatto
gh simile a una r francese
h leggera aspirazione

(N.B. La h va sempre pronunziata, per esempio Te-he-rán

i e
í i
j g di giovane
kh forte aspirazione
q simile a una r francese
s s
t t
th s
u o
ú u
z z di zebra

(N.B. Ogni sillaba è ugualmente accentata: Tá-he-re.

L'apostrofo indica una pausa: Bahá'... í)

Nell'alfabeto arabo-persiano vi sono lettere il cui suono non trova corrispondenza nell'alfabeto latino; contiene inoltre quattro diverse z, tre s, eccetera. Ciò comporta la necessità di usare segni arbitrari, lettere e combinazioni di lettere per traslitterare parole arabe e persiane nelle lingue occidentali. La pronuncia varia nelle diverse zone del Medio Oriente e fino ad ora la traslitterazione occidentale è stata diversa a seconda della nazionalità degli orientalisti. Per esempio gli inglesi scrivono shah, i francesi chah, i tedeschi schah e ogni nazione pronuncia le parole secondo il proprio accento. Il sistema sopra riportato è stato proposto da alcuni orientalisti per mettere un po' d'ordine. Il Custode della Fede Bahá'í lo ha adottato per uso interno. Si ottiene così una traslitterazione occidentale uniforme e lo studioso può subito capire come la parola è scritta nell'originale. Le lettere non indicate sono pronunciate come in italiano.

GLOSSARIO
'Abá: manto, mantello

Abhá: superlativo di Bahá; Più Glorioso, Gloriosissimo

Abjad: valore numerico delle lettere nell'alfabeto arabo-

persiano

Afnán: parente del Báb. Gfr. Dio passa nel mondo, pp.245,

338
Antica Bellezza: titolo di Bahá'u'lláh
Bellezza Benedetta: titolo di Bahá'u'lláh
Dawlih: stato, governo
Farmán: ordine, comando, decreto reale
Farrásh: attendente, lacchè

Farsakh: come parsang; unitá di misura, che varia fra tre

e quattro miglia, secondo il terreno
Fatvá: giudizio pronunziato da un muftí

Hájí: titolo di un musulmano che è andato in pellegri-

naggio alla Mecca

Hazíratu'l-Quds: Sacro Ovile; centro amministrativo

bahá'í

Imám: titolo dei dodici successori sciiti di Muhammad.

Diversamente dal Califfo dei Musulmani sunniti,

capo eletto, esteriore e visibile, vicegerente del

Profeta, è per gli Sciiti un attributo puramente
spirituale, conferito da Muhammad e da ciascuno
dei Suoi successori fino al dodicesimo. L’Imám è

i1 "successore del Profeta ordinato da Dio, dotato

di ogni perfezione e dono spirituale, al quale tutti i

fedeli devono obbedire, la cui decisione è assoluta e

finale, la cui saggezza è sovrumana e le cui parole

sono autorevoli".
Imám: colui che guida la preghiera

Imám-Jum'ih: colui che guida la preghiera nella moschea

del venerdì o cattedrale

Jináb: titolo di cortesia, di diverso peso; pressappoco

equivalente a Vostro Onore, Suo Onore
Kad-Khudá: borgomastro, capo di un villaggio
Kalántar: sindaco

Albero di Loto: riferimento alla Manifestazione di Dio

Mashriqu'l-Adhkár: oriente della lode di Dio; tempio

bahá'i
Muftí: esponente della legge islamica

Mujtahid: dottore della legge; prelato autorizzato dal

proprio rango a praticare la giurisprudenza
religiosa. La maggior parte dei mujtahid
persiani hanno ottenuto il diploma da un
grande giurista di Karbilá e Najaf
Mullá: prete musulmano

Nabíl: dotto, nobile. Il Báb e Bahá'u'lláh talvolta si

riferivano a una persona con un titolo le cui lettere,

nel conto abjad, avevano lo stesso valore numerico

del suo nome. Per esempio il valore numerico delle

lettere del nome Muhammad è 92 e anche quello
delle lettere del nome Nabíl è 92
Qá'im: Colui Che sorge. Titolo del Báb

Scuola Shaykhí: setta dell'Islam sciita. Gli Sciiti erano

divisi in due rami principali, la "Setta dei
Sette" e la "Setta dei Dodici". Sorta nel
secondo ramo, la Scuola Shaykhí fu
fondata da Shaykh Ahmad e Siyyid
Kázim, precursori del Báb. Il Custode in
Dio passa nel mondo, la sua storia del
primo secolo della Fede Bábí-Bahá'í, a
p. xvi, scrive: "Cercherò di descrivere e
correlare ... gli importanti eventi che
hanno impercettibilmente e inesorabil-
mente trasformato sotto gli occhi di
successive generazioni, perverse, indiffe-
renti od ostili, un'eterodossa e apparen-
temente trascurabile derivazione della
scuola shaykhí ... in una religione
mondiale ...".
Sirát: ponte o via; indica la religione di Dio

Siyyid: titolo dei discendenti del Profeta Muhammad 'Ulamá: teologi, sapienti

1 Per l’autore degli Araldi dell’Aurora, vedi Nabíl-i-Zarandí

2 Cfr. Nabíl, Gli Araldi dell’Aurora, p.373, nota 27.

3 Cfr. Corano XIX, 98.
4 Corano III, 97.
5 Corano LIV, 55.
6 1849-1850.
7 1853-1892.

8 Áqá Ján. Cfr. Shoghi Effendi, Dio passa nel mondo, p. 195.

9 Siyyid Muhammad, l’Anticristo della Rivelazione Bahá’í. Cfr. ivi,

p. 168,195.

10 Gli Afnán sono i familiari del Báb. Ivi, p. 245, 238.

11 Araldo del profeta Muhammad.
12 Corano LXVIII, 4.

13 Questo vino dice altrove Rumi, proviene dalla giara del “Si, lo sei”. Cioè simboleggia il Patto Primevo stretto fra Dio e l’uomo il giorno del “Non son Io il vostro Signore?”. Quel giorno il Signore chiamò la posterità dai lombi di Adamo e disse alle generazioni non ancora nate: ”Non son Io il vostro Signore?”. Al che esse risposero: “Si. In verità, lo sei”. Cfr. Corano VII, 172.

14 Il para turco era un nono di centesimo. Cfr. Webster, New International

Dictionary.

15 Nabíl, l’autore degli Araldi dell’Aurora, è il “poeta laureato di

Bahá’u’lláh. Suo cronista e infaticabile discepolo”. Cfr. Dio passa nel

mondo, p. 132.

16 Mirza Yahyá, “capo nominale” della comunità, era “il centro

provvisoriamente nominato in attesa della manifestazione del

Promesso”. Ivi, pp. 129-30.

17 Riferimento al simbolismo islamico, secondo il quale il bene è protetto

nei confronti del male: gli angeli scacciano gli spiriti maligni che

tentano di spiare il paradiso, scagliando contro di loro meteore. Cfr.

Corano XV, 18; XXXVII, 10 e LXVII, 5.

18 Riferimento alla dichiarazione dell’avvento di Bahá’u’lláh nel 1863,

come Promesso del Báb. L’avvento del Báb aveva avuto luogo

nell’anno sessanta”, il 1844.

19 Gli scritti Bahá’í sottolineano che la “divinità attribuita a un essere così

grande e la completa incarnazione dei nomi e degli attributi di Dio in

una Persona così eccelsa non deve, in nessun modo e in nessun caso,

essere mal concepita o fraintesa … quel Dio invisibile eppur razionale

… per quanto si lodi la divinità delle Sue Manifestazioni sulla terra non

può in nessun modo incarnare la Sua infinita, inconoscibile,

incorruttibile Realtà che tutto abbraccia … [in] un essere mortale”. Cfr.

Shoghi Effendi, “La Dispensazione di Bahá’u’lláh”, in L’Ordine

Mondiale di Bahá’u’lláh, p. 118.

20 Secondo il conteggio abjad, le lettere di “shidád” fanno in totale 309. Il

1892, data dell’ascensione di Bahá’u’lláh, corrisponde al 1309 A.H.

21 Gharíq. Le lettere che compongono questa parola ammontano a 1310,

l’anno dell’Egira che ebbe inizio il 26 luglio 1892.

22 Termini usati dai súfí.
23 Sidq, verità.
24 Corano LIV, 55.

25 Questo nome ha diversi significati, fra cui verace, leale e giusto.

26 Yá Sháfí
27 Corano LXXVI, 4.
28 Nabíl di Qá’in era il suo titolo.
29 Corano V, 54.

30 Il kran equivaleva a 20 sháhí, circa 8 centesimi. Cfr. Webster, op. cit.

31 Mirza Mihdi, il figlio di Bahá’u’lláh che morì cadendo mentre una sera

pregava sul tetto della caserma. Cfr. Dio passa nel mondo, p. 194.

32 Corano XIII, 29. II, 105. III, 74.

33 Yazíd (figlio di Mu’áviyyih), califfo ommiade che ordinò che l’Imám

Husayn fosse martirizzato. Proverbiale per la crudeltà. Cfr. S. Haim,

New Persian-English Dictionary, s.v.

34 La ribellione di Mirza Yahyá, che era stato nominato capo provvisorio della comunità Bábí. Il Báb non aveva mai nominato un successore o vicereggente, rimandando invece i Suoi discepoli al Suo Promesso. Nell'interregno, per ragioni di sicurezza, fu nominato capo apparente un uomo virtualmente sconosciuto. Dopo aver dichiarato nel 1863 di essere il Promesso, in Adrianopoli Bahá’u’lláh Si ritirò per un certo periodo di tempo, per consentire agli esuli di scegliere liberamente fra Lui e il Suo indegno fratellastro, che con i propri crimini e follie aveva minacciato di distruggere l'infante Fede. Atterrito per essere stato sfidato ad affrontare Bahá’u’lláh in un dibattito pubblico, Mirza Yahyá si rifiutò e fu completamente screditato. Come la storia bahá’í ha ripetutamente dimostrato, anche questa crisi, pur dolorosa, portò alla Fede vittorie ancor più grandi, compresa la raccolta degli eminenti discepoli attorno a Bahá’u’lláh e la proclamazione globale della missione di Bahá’u’lláh nelle Sue Tavole al Papa e ai Re. Cfr. Dio passa nel mondo, p.28, cap.X e successivi.

35 Mirza Yahyá non era stato esiliato dalla Persia. Ma ora stava per essere esiliato da Adrianopoli a Cipro e 'Abdu'l-Ghaffár era uno dei quattro compagni condannati ad andare con lui. Cfr. Bahá’u’lláh, L’Epistola al Figlio del Lupo, p.116 e Dio passa nel mondo, p.187.

36 Corano XI, 99; XI, 98; LXXVI, 5; LXXVI, 22; XVII, 19.

37 Cfr. Dio passa nel mondo, p. 109.
38 Cfr. Dio passa nel mondo, pp. 192, 199, 202.
39 Corano LIV, 55.

40 Questo riferimento ai due mondi, du jihán potrebbe alludere al detto :

Isfáhán è metà del mondo, Isfáhán nisf-i-jihán.

41 Per questa definizione della Manifestazione di Dio, vedi Dio passa nel

mondo, p. 120.

42 Queste “due fulgide luci” erano due fratelli, mercanti famosi di Isfáhán.

Il sommo sacerdote della città, l’Imám Jum’ih, dovendo loro un’ingente

somma di denaro, ne causò il martirio. Vedi Bahá’u’lláh L’Epistola al

Figlio del Lupo e Dio passa nel mondo, pp. 206-207 e 226.

43 Corano LXXXIX, 27-30.
44 Corano XXIV, 35.
45 Corano LXXXIX, 27-30.

46 Cfr. Corano XIII, 28 : “…non è col ricordo di Dio che si tranquillano i

cuori ?”.
47 Corano LXXVI, 5.
48 Corano XIII, 29.
49 Corano III, 97.
50 Corano XXIX, 20; LIII, 47; LVI, 62.
51 Mirza Músá
52 Cfr. Dio passa nel mondo, p. 192.

53 Località situata a circa quattrocento miglia a nord-ovest di Baghdád.

54 Shikastih, spezzato, scrittura corsiva o semistenografica. Si pensa sia

stata inventata alla fine del XVII secolo, a Hirát.

55 Corano LXXVI, 5.

56 Famoso calligrafo che visse e scrisse alla corte dello Scià ‘Abbás, il

Safavide (1557-1628).

57 Mishk significa muschio. Mishkín-Qalam significa sia penna muschiata

sia penna corvina.
58 Corano LXVI, 4.

59 In alcune produzioni dell’artista, lo scritto era disposto in modo da

assumere la forma di uccello. Mentre E.G. Browne si trovava in Persia,

gli fu detto che “queste sarebbero state molto ricercate da Persiani di

tutti i ceti, se non avessero riportato tutte, come firma del calligrafo, il

seguente verso:
“Dar díyár-i-khatt sháh-i-sáhib-‘alam
Bandiy-i- Báb-i-Bahá, Mishkín-Qalam”.

Cfr. A Year Amongst the Persians, p. 227. Il verso potrebbe così essere

tradotto:

Signore della calligrafia, è prima la mia bandiera;

Ma per Bahá’u’lláh, servitore alla porta,
E nient’altro son io,
Mishkín-Qalam.

Da notare il gioco di parole sulla parola porta, che permette di includere

oltre al nome di Bahá’u’lláh anche quello del Báb.

60 Ustád è un maestro, un esperto di un’arte o professione.

61 Corano VI, 127.
62 Corano III, 30.
63 Corano II, 264,265.

64 Per alcune di queste frasi in arabo vedi Corano III, 170; IV, 11, 176;

V, 15, 16; XI, 98, 99; XXVIII, 80; XLI, 35.

65 Il periodo di Baghdad della storia bahá’í va dall’8 aprile 1853 al

3 maggio 1863. Secondo varie stime a quell’epoca il túmán valeva fra

1,08 e 1,60 dollari

66 Così va diviso l’asse ereditario secondo la legge islamica.

Cfr. Corano IV, 11.
67 Corano VII, 172.

68 Quanto alle tribolazioni successive al trapasso di Bahá’u’lláh vedi

Dio passa nel mondo, capitolo XV.
69 L’Ercole persiano.
70 Corano LXXXIX, 27-8.
71 Corano IV, 69.
72 Cfr. Dio passa nel mondo, p. 185.
73 Corano LXXXIX,27-30.
74 Gli Afnán sono i familiari del Báb.
75 Corano VII, 172.
76 Corano XXXIX, 69.
77 Il Promesso del Báb.

78 Simbolismo islamico: Satana è il “lapidato”. Servendosi di stelle cadenti

come pietre, gli angeli cacciano i demoni dal Paradiso.

Corano III, 36; XV, 18, 34; XXXVII, 7; LXVII, 5.
79 Corano II, 18.
80 Corano IV, 69.
81 Il primo ministro.

82 Qum è la città sacra a Fátimih, “l’Immacolata”. Sorella dell’ottavo

Imám, l’Imám Ridá, vi fu sepolta nell’816 A.D.

83 Il resto del verso dice: “Fendiamo la Volta Celeste, tracciamo un nuovo

disegno”.
84 Corano LII, 4.
85 Cfr. Corano XIII, 29.
86 Corano III, 190.
87 Cfr. Corano XXXIX, 68.
88 Corano VII, 172.

89 Manqúl va ma’qúl: sapere “desunto” ed “escogitato”.

90 Corano III, 193.

91 Bahá’u’lláh fu accompagnato da membri della famiglia e da ventisei

discepoli . Il convoglio comprendeva una scorta a cavallo di dieci

soldati e un ufficiale, una fila di cinquanta muli e sette paia di howdah,

ogni paio sormontato da quattro parasole. Il viaggio a Costantinopoli

durò dal 3 maggio al 16 agosto 1863. Cfr. Dio passa nel mondo, p. 160.

92 Corano XXVI, 119; XXXVI, 41.
93 Cfr. Corano V, 54.

94 Corano XXXIX, 68-9. “E sarà dato fiato alla Tromba e cadran fulminati

tutti gli abitatori dei cieli e gli abitatori della terra, eccetto chi Iddio

vorrà. E squillerà un altro squillo, ed eccoli tutti, ritti a guardare. E

scintillerà allora la terra della Luce del Signore…”.

95 Nella terminologia shaykhí, il Quarto Supporto o Quarta Colonna era

l’uomo perfetto o canale della grazia, che si doveva sempre cercare.

Hájí Muhammad-Karím Khán si considerava tale. Cfr. Bahá’u’lláh,

Kitáb-i-Iqán ( Il Libro della Certezza ), p. 195 e ‘Abdu’l-Bahá, A

Traveller’s Narrative, p. 4.
96 Il promesso Dodicesimo Imám.

97 ‘Allámiy-i-Hillí, l’ “Eruditissimo Dottore”, titolo del famoso teologo

sciita, Jamálu’d-Dín Hasan ibn-i-Yúsuf ibn-i-Alí di Hilla (1250-1325

A.D.)

98 Il gurúsh o piastra turca del tempo equivaleva a quaranta para e un para equivaleva a un nono di centesimo. Queste cifre sono approssimative.

99 L’accento cade sulla prima sillaba: Fà-te-me.

100 Del martirio dell’Imam Husayn e della sorte della sua Famiglia Gibbon

scrive che “in ère e climi distanti la tragica scena … risveglia la

compassione del lettore più freddo”.

101 Il Sadratu’l-Muntahá, tradotto anche Albero di Sidrah che segna il

confine e Albero di Loto dell’estremità. Cfr. Corano LIII, 14. Si dice

che si erga nel punto più alto del Paradiso e che segni il luogo oltre il

quale né uomini né angeli possono passare. Nella terminologia bahá’í si

riferisce alla Manifestazione di Dio.
102 Si pronuncia Sciam-se-Zohà.

103 Precursore del Báb e cofondatore della Scuola Shaykhí. Vedi glossario.

104 Sua figlia, divenne poi la consorte di ‘Abdu’l-Bahá. Cfr. Dio passa nel

mondo, p. 132 e Gli Araldi dell’Aurora, p. 433.

105 “Porta della Porta”, uno dei titoli di Mullá Husayn, il primo credente

nel Báb. Quanto alla sorella, Cfr. Gli araldi dell’aurora, p. 362, nota 12.

106 “Consolazione degli occhi”.

107 Le donne persiane del tempo andavano in pubblico coperte da un

pesante velo.

108 Corano VII, 8; XIV, 41; XXI, 47; LVII, 25 eccetera.

109 Cfr. Nabil, Gli Araldi dell’Aurora, capitolo XV.

110 È un riferimento a Fátimih, la figlia di Muhammad, “la Luminosa

Signora, fulgida e bella di volto”.

111 Figlio maggiore dello Scià e governatore di oltre due quinti del regno.

Ratificò la sentenza di morte. Poco dopo questi eventi, cadde in

disgrazia. Cfr. Dio passa nel mondo, pp. 206-9.

112 L’ottavo Imám, avvelenato per ordine del califfo Ma’múm, nel 203

A.H., dopo che era stato ufficialmente designato erede del Califfo. Il

suo mausoleo, dalla cupola dorata, è stato chiamato gloria del mondo

sciita. Secondo la tradizione il Profeta disse: “Una parte del mio corpo

dev’essere sepolta nel Khurásán”.
113 Corano LXXVI, 5.
114 Si pronuncia Tà-he-re.

115 Cfr. Gli Araldi dell’Aurora, p. 76, nota 35 e p. 266, nota 20. Alcune

righe, là tradotte da Shoghi Effendi, sono state qui incorporate.

116 Precursore del Báb e primo dei due fondatori della scuola Shaykhí.

Vedi glossario.
117 Corano XVII, 1; XXX, 56; L, 20 eccetera.
118 Il sesto Imám.

119 L’ “Ahsanu’l-Qisas”, il commento del Báb sulla sura di Giuseppe, fu

detto il Corano dei Bábí e tradotto in persiano da Táhirih. Cfr. Dio passa

nel mondo, pp. 22-3.

120 Corano III, 61. “…e invochiamo insieme la maledizione di Dio sui

mendaci!” L’ordalia era per imprecazione.

121 Corano XXI, 47; XIX, 39 eccetera. Nell’Islam il Ponte verso Sirát,

affilato come una spada e più sottile di un capello, va verso il Paradiso

attraverso l’inferno.

122 Cfr. Gli Araldi dell’Aurora, p. 259. L’assassino non fu un Bábí, ma un

fervido ammiratore dei capi shaykhí, le Due Luminose Luci Gemelle.

123 Cfr. Gli Araldi dell’Aurora, p. 260.

124 Queste parole si riferiscono alla dottrina secondo la quale la vie verso

Dio sono tre: la Legge (sharí’at), la Via (taríqat) e la Verità (haqíqat),

cioè, la legge degli ortodossi, la via dei dervisci e la verità. Cfr. R.A.

Nicholson, Commentary on the Mathnavi of Rumi, s.v.

125 La diciottesima Lettera del Vivente, martirizzato con indicibili crudeltà

nella piazza del mercato di Bárfurúsh, a ventisette anni di età.

Bahá’u’lláh gli conferì uno stadio inferiore solo a quello del Báb.

Cfr. Gli Araldi dell’Aurora, pp. 384-91.

126 Cfr. Corano LXXIV, 8 e VI, 73; inoltre Isaia XXVII, 13 e Zaccaria

IX, 14.
127 Corano LVI.

128 Le autorità civili ed ecclesiastiche avevano congiuntamente lanciato

una campagna sistematica contro la nuova Fede in Persia. I credenti,

stroncati dovunque fossero isolati, si riunirono in bande ogni qual volta

lo potevano, per proteggersi dal Governo, dal clero e dalla gente.

Traditi e circondati mentre attraversavano la foresta del Mázindarán,

circa trecento credenti, per lo più studenti e anacoreti, costruirono il

Forte di Shaykh Tabarsí e tennero testa agli eserciti di Persia per undici

mesi. Cfr. Gli Araldi dell’Aurora, capitoli XIX e XX; Dio passa nel

mondo, p. 37 e segg.

129 Il 15 agosto 1852, un giovane Bábí squilibrato ferì lo Scià con un colpo

di pistola. L’aggressore fu immediatamente ucciso e le autorità fecero

un vero massacro dei credenti, il cui acme fu descritto da Renan come

“un giorno forse senza uguali nella storia del mondo”. Cfr. Lord

Curzon, Persia and the Persian Question, pp. 501-2 e Dio passa nel

mondo, p. 61 e segg.
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